ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  538  del
codice di procedura penale, promosso dal Tribunale militare  di  Roma
nel procedimento penale a carico di  F.  T.,  con  ordinanza  del  27
aprile 2021, iscritta  al  n.  122  del  registro  ordinanze  2021  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  36,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 25  maggio  2022  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 27 aprile 2021 (reg. ord. n. 122 del 2021),
il Tribunale militare di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt.
3, 24, 111 e 117, primo comma, della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione  all'art.  6,  paragrafo  1,  della  Convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  538  del
codice di procedura penale, nella  parte  in  cui  non  prevede  che,
«quando pronuncia sentenza  di  proscioglimento  per  la  particolare
tenuita'  del  fatto,  il  giudice  decide  sulla  domanda   per   le
restituzioni e il risarcimento del  danno,  proposta  a  norma  degli
artt. 74 e seguenti» dello stesso codice. 
    La sentenza di proscioglimento a cui fa riferimento il giudice  a
quo e' quella emessa ai sensi dell'art. 131-bis  del  codice  penale,
aggiunto dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015,
n. 28, recante  «Disposizioni  in  materia  di  non  punibilita'  per
particolare tenuita' del fatto, a norma  dell'articolo  1,  comma  1,
lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67»,  il  quale  configura
una causa generale di esclusione della punibilita' il cui  fondamento
si correla al principio di offensivita': la norma,  infatti,  prevede
che nei reati per i quali e' prevista la pena detentiva non superiore
nel massimo  a  cinque  anni,  ovvero  la  pena  pecuniaria,  sola  o
congiunta alla suddetta pena, la punibilita' e' esclusa  quando,  per
le modalita' della  condotta  e  per  l'esiguita'  del  danno  o  del
pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, primo  comma,  cod.  pen.,
l'offesa e' di particolare tenuita' e il  comportamento  risulta  non
abituale (primo comma). 
    Ai fini della determinazione della pena detentiva  non  si  tiene
conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge
stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e
di quelle ad effetto speciale; in  quest'ultimo  caso  non  si  tiene
conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all'art.
69 cod. pen. (quinto comma). 
    La causa di non punibilita' si  applica  anche  quando  la  legge
prevede la  particolare  tenuita'  del  danno  o  del  pericolo  come
circostanza attenuante (sesto comma). 
    L'art. 538, comma 1, cod.  proc.  pen.  prevede  che  il  giudice
penale «decide» sulla domanda per le restituzioni e  il  risarcimento
del danno proposta con la costituzione  di  parte  civile,  «[q]uando
pronuncia sentenza di condanna». 
    La  condanna   penale,   dunque,   costituisce   il   presupposto
indispensabile del provvedimento del  giudice  penale  sulla  domanda
civile:  se  emette  sentenza  di  proscioglimento,  tanto  in   rito
(sentenza di non doversi procedere), quanto nel merito  (sentenza  di
assoluzione), il giudice non deve provvedere sulla domanda civile; se
invece emette sentenza di condanna, provvede altresi'  sulla  domanda
restitutoria o risarcitoria, accogliendola o rigettandola. 
    Il rimettente  sospetta  che  questa  norma,  nel  precludere  la
pronuncia del giudice penale  sulla  domanda  civile  restitutoria  o
risarcitoria anche nell'ipotesi di sentenza di proscioglimento emessa
ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. (ipotesi in cui,  contrariamente
alle altre fattispecie di proscioglimento, sarebbe accertata  sia  la
sussistenza del fatto, gia' qualificabile come illecito  civile,  sia
la  sua  commissione  da  parte  dell'imputato),  violi  i  parametri
costituzionali su richiamati, per  un  verso  comprimendo  i  diritti
costituzionali e convenzionali della vittima  del  reato,  per  altro
verso ledendo il principio generale di ragionevolezza e  quello  piu'
specifico di ragionevole durata del processo. 
    2.- L'ordinanza e' stata emessa nell'ambito di un giudizio penale
che vede imputato un militare, F. T., per il  reato  di  diffamazione
militare aggravata, commessa in danno di piu' persone. 
    All'esito dell'istruttoria dibattimentale, il pubblico  ministero
ne ha chiesto la  condanna  alla  pena  di  mesi  sei  di  reclusione
militare e le persone  offese,  costituite  parti  civili,  ne  hanno
invocato la condanna al risarcimento del danno. 
    Peraltro, secondo il rimettente, pur essendo stata provata sia la
sussistenza  del  fatto  di   reato,   sia   la   sua   riferibilita'
all'imputato, in seguito al dibattimento sarebbe altresi'  emersa  la
particolare tenuita' dell'offesa recata alle vittime, dal momento che
la contestazione riguarda un unico episodio, la condotta criminosa e'
stata posta in essere in un contesto informale e in presenza di poche
persone e l'autore e' incensurato. 
    Avuto riguardo alla pena edittale  prevista  per  il  delitto  di
diffamazione militare (non superiore nel massimo a cinque anni), alla
«non abitualita'» del comportamento e alla non ricorrenza delle cause
ostative previste dalla legge, risulterebbero, pertanto, integrati  i
presupposti di applicabilita' dell'art. 131-bis cod. pen.,  dovendosi
emettere una sentenza assolutoria per essere l'imputato non  punibile
per la particolare tenuita' del fatto. 
    3.- Tanto premesso, il giudice a  quo,  in  considerazione  della
domanda risarcitoria formulata dalle parti civili, ritiene  anzitutto
che le questioni di legittimita' costituzionale  dell'art.  538  cod.
proc. pen. siano rilevanti nel giudizio principale. 
    Evidenzia, in proposito, che, avuto riguardo al  chiaro  disposto
di questa norma, e al consolidato orientamento  della  giurisprudenza
di  legittimita'  (vengono  citate  le  sentenze   della   Corte   di
cassazione, sezione quinta penale, 18 dicembre 2020-11 febbraio 2021,
n. 5433 e 6 dicembre 2016-10 febbraio 2017, n. 6347), l'emissione  di
una sentenza di proscioglimento, quale che ne sia la formula (dunque,
anche se pronunciata ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen.,  che  pure
presuppone l'accertamento del fatto, della sua  illiceita'  penale  e
della sua  ascrivibilita'  all'imputato),  precluderebbe  al  giudice
penale   di   provvedere   sulla   proposta   domanda   risarcitoria,
costringendo il danneggiato ad esercitare ex novo la relativa  azione
dinanzi al giudice civile; tale preclusione  verrebbe  meno,  invece,
nell'ipotesi in cui  la  norma  fosse  dichiarata  costituzionalmente
illegittima, riconoscendosi in tal guisa al giudice penale il  potere
di conoscere della domanda formulata  dalla  parte  civile  anche  in
mancanza  del  presupposto  (altrimenti  necessario)   della   previa
pronuncia di condanna, e profilandosi, dunque, nel caso concreto,  la
possibilita' di liquidare il danno richiesto  dalle  persone  offese,
pur a fronte di una declaratoria di non punibilita' dell'imputato per
l'ascritto delitto di diffamazione militare aggravata. 
    4.- Le questioni,  poi,  sarebbero  altresi'  non  manifestamente
infondate. 
    4.1.-   In   primo   luogo,   il   sospetto   di   illegittimita'
costituzionale della norma si porrebbe in riferimento  all'art.  117,
primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  6,  paragrafo  1,  CEDU,
parametro non esaminato nella sentenza di  questa  Corte  n.  12  del
2016,  la  quale,  nel  dichiarare  non  fondate  le   questioni   di
costituzionalita' dello stesso art. 538 cod.  proc.  pen.,  sollevate
per contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., aveva  osservato  che,
nell'ipotesi  di  sentenza  di   proscioglimento,   il   non   liquet
sull'azione civile rappresenta la naturale implicazione del carattere
accessorio e subordinato della stessa rispetto  all'azione  penale  e
risponde  perfettamente   alla   finalita'   del   processo   penale,
inscindibilmente connesso alla definizione della pretesa punitiva. 
    Secondo il rimettente, pero', tale orientamento  dovrebbe  essere
rimeditato, avuto  riguardo  ai  diritti  della  vittima  del  reato,
protetti dalla norma convenzionale richiamata a parametro interposto,
la quale tutelerebbe il duplice diritto, tanto della  persona  offesa
quanto di  quella  danneggiata  dal  reato,  sia  all'accesso  ad  un
tribunale sia alla  celebrazione  di  un  giusto  processo  entro  un
termine ragionevole. 
    Tra  i  numerosi  precedenti  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo (sezione prima, sentenza 7 dicembre  2017,  Arnoldi  contro
Italia; sezione seconda, sentenza 7 novembre  2017,  Leuska  e  altri
contro Estonia; sezione quinta, sentenza 19  novembre  2009,  Tonchev
contro Bulgaria; sezione quinta, sentenza 2 ottobre  2008,  Atanasova
contro   Bulgaria;   sezione   prima,   sentenza   3   aprile   2003,
Anagnostopoulos  contro   Grecia),   il   rimettente   richiama,   in
particolare, la recente decisione (sezione prima, sentenza  18  marzo
2021, Petrella contro Italia), nella quale alla vittima di  un  reato
di diffamazione era stata preclusa la  possibilita'  di  ottenere  il
risarcimento del danno derivante dalla lesione della sua reputazione,
a causa dell'eccessiva durata delle indagini preliminari,  che  aveva
determinato l'archiviazione del procedimento penale per  prescrizione
del reato. 
    Nell'occasione, evidenzia il rimettente, la  ritenuta  violazione
dell'art. 6, paragrafo 1, CEDU avrebbe trovato fondamento nel rilievo
che una limitazione  del  diritto  di  accesso  ad  un  tribunale  e'
compatibile con la norma convenzionale solo se  tende  ad  uno  scopo
legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalita' tra
i mezzi impiegati e lo scopo perseguito, talche' nessuna  importanza,
in senso contrario, avrebbe potuto attribuirsi alla  circostanza  che
il danneggiato fosse  legittimato  ad  adire,  comunque,  il  giudice
civile. 
    Sotto tale profilo, dunque, la possibilita' che la  parte  civile
trasferisca l'azione in sede civile, in  ipotesi  di  proscioglimento
dell'imputato, non inciderebbe  sulla  illegittimita'  costituzionale
della norma, stante l'assenza del rapporto di proporzionalita'. 
    Inoltre,   la   norma    censurata    rallenterebbe,    altresi',
irragionevolmente la  durata  del  procedimento,  imponendo  una  non
necessaria dilatazione dei tempi di liquidazione del  danno,  poiche'
costringerebbe la parte danneggiata ad introdurre un nuovo  giudizio,
pur essendo gia'  stata  accertata,  da  parte  del  giudice  penale,
l'illiceita' del  fatto,  rilevante  ai  fini  della  responsabilita'
civile. Tale irragionevole allungamento dei tempi processuali sarebbe
fonte di responsabilita' per lo Stato anche ai sensi dell'art.  1-bis
della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa  riparazione  in
caso di violazione del termine ragionevole del  processo  e  modifica
dell'articolo 375 del codice di procedura civile). 
    4.2.- Il dubbio di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  538
cod. proc. pen. (nella parte in cui non consente la delibazione della
domanda civile in  ipotesi  di  proscioglimento  ai  sensi  dell'art.
131-bis cod. pen.) si porrebbe,  in  secondo  luogo,  in  riferimento
all'art. 3 Cost. 
    Il giudice a quo osserva che la regola  secondo  cui  il  giudice
penale decide sulla domanda restitutoria o risarcitoria  solo  quando
pronuncia sentenza di condanna va  incontro  a  due  eccezioni  nelle
ipotesi contemplate dall'art. 578 cod. proc. pen., che prevede che il
giudice di appello o la Corte di cassazione, nel dichiarare il  reato
estinto   per   amnistia   o   prescrizione,    nondimeno    decidono
sull'impugnazione limitatamente alle questioni civili. 
    Questa regola particolare  troverebbe  il  suo  fondamento  nella
circostanza che, nelle  ipotesi  da  essa  considerate,  il  processo
penale si conclude con l'accertamento della sussistenza del  fatto  e
della sua riferibilita'  all'imputato.  In  questo  modo  il  giudice
penale sarebbe messo in condizione «di risarcire e liquidare il danno
senza alcun ulteriore aggravio istruttorio». 
    A conforto di tale argomentazione vengono richiamati  l'art.  576
cod. proc. pen. (che  legittima  la  parte  civile  ad  impugnare  la
sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio ai soli  effetti
della responsabilita' civile dell'imputato) e l'art. 622 del medesimo
codice (che, con riguardo all'ipotesi in cui sia necessaria una nuova
determinazione sulle questioni civili, per essere stata  la  sentenza
di merito annullata solo con riferimento  ad  esse  in  seguito  alla
cristallizzazione degli effetti penali, stabilisce che  la  Corte  di
cassazione rinvii, quando occorre, al giudice civile  competente  per
valore in grado di appello), nonche', infine, l'art. 464-septies cod.
proc. pen., sulla sentenza dichiarativa di estinzione del  reato  per
esito positivo del procedimento  con  messa  alla  prova,  la  quale,
secondo la  giurisprudenza  di  legittimita'  (Corte  di  cassazione,
sezione quinta penale, sentenza 28 marzo-7 luglio  2017,  n.  33277),
non potrebbe contenere la  condanna  al  risarcimento  del  danno  in
favore della parte civile, stante il mancato accertamento sul  merito
dell'accusa e sulla responsabilita' dell'imputato. 
    Avuto riguardo alle richiamate regole processuali, sarebbe dunque
conforme al principio di ragionevolezza che, quando il fatto e'  gia'
stato accertato e  risulti  che  lo  abbia  commesso  l'imputato,  il
giudice penale possa provvedere sulla domanda civile, restitutoria  o
risarcitoria; in tal senso disporrebbe, infatti, il citato art.  578,
con riferimento all'ipotesi in cui venga dichiarata l'estinzione  del
reato per amnistia o prescrizione. 
    La fattispecie prevista  dall'art.  131-bis  cod.  pen.  sarebbe,
secondo il rimettente, del tutto sovrapponibile a quelle  contemplate
dall'art. 578 cod. proc. pen., che implicano  un  accertamento  pieno
sia  della  sussistenza  del  fatto,  sia  della  sua   riferibilita'
all'imputato. 
    Vi sarebbe, dunque, una ingiustificata disparita' di  trattamento
tra situazioni analoghe che renderebbe  la  norma  costituzionalmente
illegittima per contrasto con l'art. 3 Cost. 
    4.3.- Un ulteriore profilo di  illegittimita'  costituzionale  si
porrebbe, ancora, in riferimento all'art. 24 Cost. 
    Il rimettente, richiamata la sentenza n. 60 del  1996  di  questa
Corte (dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 270,
primo comma, del regio decreto 20  febbraio  1941,  n.  303,  recante
«Codici penali  militari  di  pace  e  di  guerra»),  e  ritenuta  la
corrispondenza   tra   l'art.   6   CEDU   e   l'evocato    parametro
costituzionale, osserva che il diritto ad un  tribunale  «e'  davvero
tale non  tanto  se  e'  possibile  esercitare  l'azione  innanzi  al
giudice, ma piuttosto quando il  Tribunale  adito  puo'  in  concreto
rendere una decisione». 
    Una volta adito il giudice penale, la persona offesa avrebbe  una
«aspettativa legittima» a che la  domanda  sia  esaminata,  anche  se
resta   impregiudicata   la   sua    possibilita'    di    rivolgersi
successivamente   al   giudice   civile,   poiche',   attraverso   la
costituzione di parte civile, essa avrebbe esercitato il suo  diritto
mediante  il   ricorso   ad   un   rimedio   appositamente   previsto
dall'ordinamento. 
    L'art.  538  cod.  proc.  pen.,  frustrando  questa  «aspettativa
legittima» nell'ipotesi di proscioglimento per  particolare  tenuita'
del  fatto,  violerebbe  il   predetto   diritto,   in   quanto   non
consentirebbe di esaminare l'istanza risarcitoria della persona a cui
e' stata riconosciuta la legittimazione a costituirsi parte civile; e
cio' anche quando sia possibile soddisfarla prontamente all'esito del
processo penale, senza necessita' di instaurare un ulteriore giudizio
per la liquidazione del danno dinanzi al giudice civile, essendo gia'
stato effettuato  l'accertamento  del  fatto,  nonche'  quello  della
responsabilita' (civile) dell'imputato. 
    4.4.- La norma codicistica,  infine,  sarebbe  costituzionalmente
illegittima anche per contrasto  con  l'art.  111  Cost.,  in  quanto
lesiva del principio di ragionevole durata del processo. 
    Il rimettente richiama la gia' citata sentenza n.  12  del  2016,
per evidenziarne il rilievo secondo cui possono arrecare un vulnus  a
quel principio solo le norme che comportino una dilatazione dei tempi
del processo non sorretta da alcuna logica esigenza. 
    Questa  considerazione,  mentre  nella  predetta  sentenza  aveva
indotto questa Corte  ad  escludere  l'illegittimita'  costituzionale
della   norma   in   relazione   all'ipotesi   del    proscioglimento
dell'imputato per  vizio  di  mente  (avuto  riguardo  al  preminente
interesse pubblico alla sollecita definizione del processo penale che
non si concluda con un accertamento di responsabilita'), al contrario
dovrebbe portare a un esito opposto in relazione alla diversa ipotesi
di proscioglimento per particolare  tenuita'  del  fatto.  In  questo
caso, infatti, il protrarsi, dinanzi al giudice civile, della  durata
della procedura giudiziaria per ottenere il risarcimento di un  danno
«gia'  prontamente  liquidabile  dal  giudice  penale»   sarebbe   un
«illogico aggravio» non giustificato da alcuna ragionevole  esigenza,
mentre, l'eventuale (contestuale) decisione del giudice penale  sulle
questioni  civili  non  comporterebbe  alcun  vulnus  alla  sollecita
definizione del procedimento penale, le cui finalita' prioritarie  di
natura pubblicistica non sarebbero in alcun modo pregiudicate. 
    5.- Nel giudizio incidentale e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, il  quale  ha  respinto  tutte  le  prospettate
censure, concludendo per la  declaratoria  di  non  fondatezza  delle
questioni. 
    La difesa statale ha osservato,  in  particolare,  che  l'assetto
generale del processo, posto a base del codice  di  procedura  penale
del 1988, e' ispirato all'idea della separazione dei giudizi,  penale
e civile. La persona offesa costituisce  parte  necessaria,  ma  solo
eventuale allorche' essa si costituisce  parte  civile  nel  processo
penale. 
    Il diverso risalto attribuito agli interessi della parte civile e
dell'imputato nel sistema processuale penale viene giustificato dalla
constatazione che alla prima e'  comunque  assicurato  un  diretto  e
incondizionato ristoro dei propri diritti attraverso l'azione  sempre
esercitabile in sede civile. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 27 aprile 2021 (reg. ord. n. 122 del 2021),
il Tribunale militare di Roma ha sollevato questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 538 del codice di  procedura  penale,  nella
parte  in  cui  non  prevede  che,  quando  pronuncia   sentenza   di
proscioglimento per la  particolare  tenuita'  del  fatto,  ai  sensi
dell'art. 131-bis del codice penale, il giudice decida sulla  domanda
per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla  parte
civile, a norma degli artt. 74 e seguenti cod. proc. pen. 
    Le censure sono articolate in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU). 
    La disposizione censurata violerebbe, anzitutto, il diritto della
parte civile all'accesso ad un tribunale e alla  celebrazione  di  un
giusto processo entro un termine ragionevole. Sarebbe leso il diritto
di  difesa  della  parte  civile,   di   cui   rimarrebbe   frustrata
l'«aspettativa legittima» a che la sua domanda  di  risarcimento  del
danno sia debitamente esaminata dal giudicante (art. 24 Cost.). 
    Inoltre, sarebbe violato l'art. 3 Cost., stante la ingiustificata
disparita' di trattamento tra la  fattispecie  contemplata  dall'art.
131-bis cod. pen. e altre analoghe, in  cui,  pur  a  fronte  di  una
sentenza  penale  di   proscioglimento   dell'imputato,   e'   invece
consentita la sua condanna civile  restitutoria  o  risarcitoria  sul
presupposto  dell'accertamento  pieno   dell'elemento   oggettivo   e
soggettivo del reato e della sua commissione da parte dell'imputato. 
    La norma censurata, poi, lederebbe l'art. 111 Cost., dal  momento
che pone a carico della parte civile l'aggravio di  dover  introdurre
un  nuovo  giudizio  dinanzi  al  giudice  civile,  per  ottenere  il
risarcimento di un danno «gia' prontamente  liquidabile  dal  giudice
penale», dando cosi' luogo ad una irragionevole dilatazione dei tempi
del  processo  non  giustificata  da  alcuna  logica   esigenza.   Al
contrario, l'eventuale (contestuale)  decisione  del  giudice  penale
sulle questioni civili non comporterebbe alcun vulnus alla  sollecita
definizione del procedimento penale, le cui finalita' prioritarie  di
natura pubblicistica non sarebbero in alcun modo pregiudicate. 
    Per la stessa ragione sarebbe violato il diritto  a  un  processo
equo, garantito dall'art. 6 CEDU. 
    2.-  Preliminarmente,  va  osservato,  sotto  il  profilo   della
rilevanza, che sussiste l'ammissibilita' delle questioni. 
    Il rimettente ha, infatti, evidenziato  che,  nella  fattispecie,
pur essendo stato  accertato  il  fatto  di  diffamazione  e  la  sua
commissione da parte dell'imputato, tuttavia l'unicita' dell'episodio
criminoso  contestato,  la  ridotta  offensivita'  della  condotta  e
l'incensuratezza dell'autore (unitamente  ai  limiti  edittali  della
pena stabilita per il delitto di diffamazione  militare  e  alla  non
ricorrenza  di  cause  ostative)  inducono  a  ritenere  integrati  i
presupposti previsti dall'art. 131-bis cod. pen. per  l'emissione  di
una pronuncia assolutoria per particolare tenuita' del fatto. 
    Le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  devono,  allora,
ritenersi rilevanti, atteso che, una volta emessa siffatta  pronuncia
assolutoria,  per  il  disposto  dell'art.  538  cod.   proc.   pen.,
resterebbe preclusa la possibilita' di provvedere  sulla  domanda  di
risarcimento del danno proposta dalle parti civili costituite. 
    Questa disposizione,  infatti,  consente  al  giudice  penale  di
decidere sulla domanda per le  restituzioni  e  il  risarcimento  del
danno proposta con la costituzione di  parte  civile  solo  «[q]uando
pronuncia sentenza di condanna», mentre gli preclude  di  provvedere,
al riguardo, se emette sentenza di proscioglimento. 
    Tale  preclusione,  pero',  verrebbe  meno  se  la  norma   fosse
dichiarata  costituzionalmente  illegittima,  riconoscendosi  in  tal
guisa  al  giudice  penale  il  potere  di  conoscere  della  domanda
risarcitoria proposta dalle persone offese (costituite  parti  civili
nel processo a quo), anche in mancanza  del  presupposto  (altrimenti
necessario) della previa pronuncia di condanna. 
    Il giudice rimettente ha poi adeguatamente motivato anche la  non
manifesta infondatezza delle sollevate  questioni  in  riferimento  a
tutti i suddetti parametri, sicche'  esse  sono  sotto  ogni  profilo
ammissibili. 
    3.- Nel merito, le questioni sono fondate  con  riferimento  agli
artt. 3, 24 e 111 Cost. 
    4.-  L'art.  131-bis  cod.  pen.,  rubricato  «Esclusione   della
punibilita' per particolare tenuita' del fatto», e' stato  introdotto
dall'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 16 marzo 2015,  n.  28,
recante «Disposizioni in materia di non punibilita'  per  particolare
tenuita' del fatto, a norma dell'articolo 1,  comma  1,  lettera  m),
della legge 28 aprile 2014, n. 67». 
    Il legislatore delegato, nel contesto di una piu'  ampia  riforma
del sistema sanzionatorio, ha anche previsto l'introduzione di  nuovi
istituti processuali,  diretti  ad  escludere  la  punibilita'  della
condotta con possibile dichiarazione di estinzione  del  reato,  vuoi
per la particolare tenuita' dell'offesa, vuoi  per  l'esito  positivo
della  messa   alla   prova   dell'imputato   con   sospensione   del
procedimento. 
    In particolare, il Governo era delegato (art. 1, comma 1, lettera
m, della legge 28 aprile 2014, n. 67, recante «Deleghe al Governo  in
materia di pene detentive non carcerarie e  di  riforma  del  sistema
sanzionatorio.   Disposizioni   in   materia   di   sospensione   del
procedimento  con  messa   alla   prova   e   nei   confronti   degli
irreperibili») a «escludere la punibilita' di condotte sanzionate con
la sola pena pecuniaria  o  con  pene  detentive  non  superiori  nel
massimo  a  cinque  anni,  quando  risulti  la  particolare  tenuita'
dell'offesa e la non abitualita' del comportamento, senza pregiudizio
per l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento  del  danno  e
adeguando la relativa normativa processuale penale». 
    Questo specifico criterio di delega aveva,  quindi,  una  duplice
direttrice, in quanto concerneva non solo l'imputato, la cui condotta
avrebbe potuto  essere  dichiarata  non  punibile  in  ragione  della
«particolare tenuita' dell'offesa», ma  anche  la  parte  civile,  la
quale non avrebbe dovuto subire  «pregiudizio»  nell'esercizio  della
sua azione per il risarcimento del danno. 
    Il legislatore delegato avrebbe,  dunque,  dovuto  bilanciare  la
rinuncia  dello  Stato  a  sanzionare   penalmente   l'imputato   per
determinate condotte "minori" con la garanzia, al contempo, che alcun
pregiudizio ne derivasse per le pretese risarcitorie  e  restitutorie
della parte civile. 
    Ed e' cio' che ha  fatto  il  legislatore  delegato  introducendo
rispettivamente  due  disposizioni,  di  nuovo   conio,   in   chiaro
parallelismo: l'art. 131-bis cod. pen. e l'art.  651-bis  cod.  proc.
pen. 
    5.- L'art. 131-bis cod. pen. prevede, al primo comma, che  «[n]ei
reati per i quali e' prevista la pena  detentiva  non  superiore  nel
massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria,  sola  o  congiunta
alla  predetta  pena,  la  punibilita'  e'  esclusa  quando,  per  le
modalita' della condotta e per l'esiguita' del danno o del  pericolo,
valutate ai sensi dell'articolo 133,  primo  comma,  l'offesa  e'  di
particolare tenuita' e il comportamento risulta non abituale». 
    Il fondamento dell'istituto e' stato, da ultimo,  posto  in  luce
dal giudice della nomofilachia, nel suo massimo consesso, il quale ha
evidenziato che «il fatto non e' punibile non perche' inoffensivo, ma
perche'  il  legislatore,  pur  in  presenza  di  un  fatto   tipico,
antigiuridico e colpevole, ritiene che sia inopportuno  punirlo,  ove
ricorrano  le  condizioni  indicate  nella  richiamata   disposizione
normativa» (Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27  gennaio-12
maggio 2022, n. 18891). 
    In proposito anche questa Corte (ordinanza n. 279  del  2017)  ha
affermato che «il fatto particolarmente  lieve,  cui  fa  riferimento
l'art. 131-bis  cod.  pen.,  e'  comunque  un  fatto  offensivo,  che
costituisce reato e che il legislatore preferisce non punire, sia per
riaffermare la natura di extrema ratio  della  pena  e  agevolare  la
"rieducazione del condannato", sia per contenere il gravoso carico di
contenzioso penale gravante sulla giurisdizione». 
    L'esimente, dunque, trova fondamento non gia' nella  mancanza  di
offensivita' del fatto, ma nel rilievo per cui, in corrispondenza  di
un giudizio di  "lieve"  offensivita',  l'esigenza  punitiva  diviene
recessiva. 
    In altre parole, l'istituto -  che  costituisce  «innovazione  di
diritto penale  sostanziale»  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite
penali, sentenza 25 febbraio-6 aprile 2016, n. 13681)  -  si  iscrive
nella logica dell'extrema ratio della sanzione penale. 
    Ci sono casi concreti che - pur non essendo privi di offensivita'
e quindi pur  in  presenza  di  un  «fatto  tipico,  antigiuridico  e
colpevole» (Cass., sez. un., n. 18891  del  2022)  -  possono  essere
valutati dal giudice come  di  «particolare  tenuita'»,  si'  che  la
irrogazione della sanzione penale sarebbe non opportuna  per  eccesso
del mezzo  rispetto  a  questa  logica.  L'applicazione  della  pena,
quand'anche nel minimo, sarebbe una reazione non necessaria, giacche'
l'ordinamento giuridico conosce anche altri rimedi  -  tra  i  quali,
altresi', in senso lato, il risarcimento del danno quando il fatto e'
di particolare tenuita' - piu' adatti a "riparare" il vulnus. 
    Il distinto piano -  quello  dell'offensivita'  (che  permane)  e
quello della punibilita' (che viene meno)  -  emerge  in  particolare
nelle fattispecie in cui  la  legge  contempla  gia'  la  particolare
tenuita' del danno  come  circostanza  attenuante  del  reato.  Anche
quando, talora, la «particolare tenuita'», come  circostanza,  riduce
la gravita' di alcuni  reati,  ma  li  lascia  sussistere,  cio'  non
esclude che in concreto il giudice possa,  comunque,  accertare  tale
«particolare tenuita'» che fa venir meno  la  punibilita'  (cosi'  il
quinto comma dell'art. 131-bis cod. pen.). 
    Parimenti, se il legislatore stabilisce  in  generale  soglie  di
punibilita' che  gia'  configurano  condotte  non  punibili,  perche'
relative a fatti  ritenuti  di  minore  gravita',  non  di  meno  una
condotta "sopra soglia" puo' essere  ritenuta  dal  giudice  come  di
«particolare tenuita'» (Cass., sentenza n. 13681 del 2016). 
    Si ha finanche che la punibilita' - che permane sempre in caso di
comportamento abituale, come prevede l'art. 131-bis cod. pen. -  puo'
non di meno essere esclusa, in concreto, in caso di plurime  condotte
legate dal vincolo della continuazione (Cass., sentenza n. 18891  del
2022). 
    5.1.- Indubbio e', poi, anche l'effetto deflattivo  dei  processi
penali, atteso che l'applicazione dell'istituto riduce  la  pressione
sulla giustizia penale. 
    Tanto la funzione riparativa quanto la finalita' deflattiva  sono
alla base  della  recente  scelta  del  legislatore  di  ampliare  il
perimetro applicativo dell'istituto. 
    La legge 27  settembre  2021,  n.  134  (Delega  al  Governo  per
l'efficienza del processo penale  nonche'  in  materia  di  giustizia
riparativa e disposizioni per la celere definizione dei  procedimenti
giudiziari) prevede, infatti, al riguardo, due criteri di delega:  il
primo, volto a dare rilievo al minimo edittale, in  conformita'  alla
sentenza  di  questa  Corte  n.  156  del  2020,  che  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 131-bis  cod.  pen.,  nella
parte in  cui  non  consentiva  l'applicazione  della  causa  di  non
punibilita' per particolare tenuita' del fatto ai reati per  i  quali
non e' previsto un minimo edittale di  pena  detentiva;  il  secondo,
volto a dare  rilievo  alla  condotta  dell'imputato  susseguente  al
reato,  ai  fini  della  valutazione  del  carattere  di  particolare
tenuita' dell'offesa (art. 1, comma 21). 
    Dunque, le ragioni fondanti dell'istituto hanno anche impresso ad
esso una forza espansiva, nella prospettiva  di  un  sempre  maggiore
contenimento della sanzione penale vera e propria secondo il criterio
dell'extrema  ratio,  pur  in  un  sistema  che  vede,  come   canone
costituzionale, l'obbligatorieta' dell'azione penale. 
    6.- In simmetria con l'art. 131-bis cod. pen. si  colloca  l'art.
651-bis cod. proc. pen. 
    Il  legislatore  delegato,  per  evitare  il   «pregiudizio   per
l'esercizio dell'azione civile per il risarcimento del  danno»,  come
prescriveva il criterio di delega, e'  intervenuto  sulla  disciplina
sostanziale  del  giudicato  penale  introducendo,  appunto,   l'art.
651-bis cod.  proc.  pen.  In  passato,  invece,  per  la  simmetrica
fattispecie dei reati di competenza del giudice di  pace,  quando  il
fatto e' di «particolare tenuita'», altro legislatore delegato  (art.
34 del d.lgs. n. 274 del 2000) ha presidiato la  tutela  della  parte
civile prevedendo che essa possa  finanche  opporsi,  precludendo  al
giudice la possibilita' di dichiarare l'improcedibilita'  dell'azione
penale (sentenza n. 120 del 2019). 
    In particolare, l'art. 651-bis cod. proc. pen. prevede, al  primo
comma, che «[l]a  sentenza  penale  irrevocabile  di  proscioglimento
pronunciata  per  particolare  tenuita'  del  fatto  in   seguito   a
dibattimento ha efficacia di giudicato quanto all'accertamento  della
sussistenza del fatto, della sua illiceita' penale e all'affermazione
che l'imputato lo ha commesso, nel giudizio civile  o  amministrativo
per  le  restituzioni  e  il  risarcimento  del  danno  promosso  nei
confronti del prosciolto e del  responsabile  civile  che  sia  stato
citato ovvero sia intervenuto nel processo penale». 
    L'esigenza che  l'esimente  fondata  sulla  particolare  tenuita'
dell'offesa e la non abitualita' del comportamento  fosse  introdotta
nell'ordinamento  penalistico  sostanziale  «senza  pregiudizio   per
l'esercizio dell'azione civile per il  risarcimento  del  danno»  era
contenuta - come gia' rilevato - espressamente nel criterio di delega
in base al quale il legislatore  delegato  e'  stato  facoltizzato  a
prevedere l'istituto di cui all'art. 131-bis cod. pen. 
    Il legislatore delegato, in attuazione anche di questo  criterio,
si e' preoccupato di approntare una speciale tutela alla parte civile
a fronte del beneficio per l'imputato, costituito dall'introdotta non
punibilita' per particolare tenuita' del fatto. 
    La relazione al Consiglio dei ministri  del  12  marzo  2015,  di
accompagnamento al testo del decreto legislativo,  pone  in  evidenza
che «l'esclusione della punibilita' per la particolare  tenuita'  del
fatto - accertata con sentenza passata in giudicato in  esito  ad  un
rituale processo - non e' una pronuncia tipicamente assolutoria,  ma,
al contrario, accerta, in via  definitiva,  che  il  reato  e'  stato
commesso dalla persona dichiarata non punibile. A questo accertamento
penale, passato in giudicato in ordine all'entita' del fatto illecito
causativo del danno  di  cui  si  chiede  (con  l'azione  civile)  il
risarcimento, deve attribuirsi efficacia nel processo civile,  tenuto
conto che  l'imputato  ha  avuto  ogni  possibilita'  di  difesa  nel
giudizio penale in cui la particolare tenuita'  del  fatto  e'  stata
accertata (non con un decreto di archiviazione, ma con  una  sentenza
dibattimentale passata in giudicato)». 
    Si  tratta,  quindi,  di  una  sentenza  di  proscioglimento  che
presenta una marcata peculiarita': la  disciplina  dell'efficacia  di
giudicato di tale pronuncia nel giudizio civile di danno sta non gia'
nell'art.  652  cod.  proc.  pen.  (che  riguarda  le   sentenze   di
assoluzione),  bensi'  nell'art.   651-bis   dello   stesso   codice,
ripetitivo della formulazione dell'art.  651  cod.  proc.  pen.  (che
concerne le sentenze di condanna). 
    Al  pari  della  sentenza   penale   irrevocabile   di   condanna
pronunciata in seguito a dibattimento (art.  651  cod.  proc.  pen.),
anche  quella  dibattimentale  di  proscioglimento  per   particolare
tenuita' del fatto ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento
della  sussistenza  del  fatto,  della  sua   illiceita'   penale   e
all'affermazione che l'imputato lo ha commesso, nel  giudizio  civile
restitutorio o  risarcitorio  promosso  nei  confronti  dell'imputato
(condannato, nel primo caso; prosciolto  nel  secondo),  nonche'  del
responsabile civile che  sia  stato  citato  o  sia  intervenuto  nel
processo penale (art. 651-bis cod. proc. pen.). 
    Il giudicato, in tal modo, e' modellato su  quello  tipico  delle
sentenze  di  condanna  e  non  gia'  su  quello  delle  sentenze  di
assoluzione. 
    Ed e' percio' che,  a  differenza  di  ogni  altra  pronuncia  di
proscioglimento che accerti  la  sussistenza  di  una  causa  di  non
punibilita', la sentenza di proscioglimento per  non  punibilita'  ex
art. 131-bis cod. pen. va iscritta  nel  casellario  giudiziario,  ai
sensi dell'art. 3, comma 1, lettera f), del d.P.R. 14 novembre  2002,
n.  313,  recante  «Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia  di  casellario  giudiziale,  di  casellario
giudiziale  europeo,  di  anagrafe  delle   sanzioni   amministrative
dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti. (Testo A)». 
    La sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza n. 13681 del
2016) hanno ritenuto in via interpretativa che, con  la  sentenza  di
proscioglimento per non punibilita' ex art. 131-bis cod. pen. per  il
reato di guida in stato di ebbrezza, il giudice  possa  non  di  meno
applicare la sanzione  amministrativa  accessoria  della  sospensione
della patente di guida, anche se l'art. 186 del  decreto  legislativo
30  aprile  1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della  strada)   richiede
testualmente una sentenza di condanna o di applicazione della pena su
richiesta delle parti,  mentre  in  generale,  con  una  sentenza  di
proscioglimento, il giudice non applica la sanzione amministrativa. 
    La sentenza che dichiara la non punibilita'  del  fatto  ex  art.
131-bis cod. pen., pur integrando una decisione  di  proscioglimento,
contiene, dunque, gia' l'accertamento, con  efficacia  di  giudicato,
delle circostanze che  possono  essere  poste  a  fondamento  di  una
pretesa risarcitoria. 
    Si ha, in sintesi, che «[l]a perdurante illiceita'  penale  della
condotta,  anche  quando  il  fatto  e'  di  lieve  entita',  risulta
inequivocabilmente dall'art. 651-bis cod. proc.  pen.»  (sentenza  n.
120 del 2019). 
    La pronuncia di proscioglimento ex  art.  131-bis  cod.  pen.  si
atteggia, pertanto, come una vera e propria sentenza di  accertamento
dell'illecito penale, che, in quanto avente efficacia  di  giudicato,
puo' costituire presupposto di una domanda di risarcimento del  danno
nel successivo giudizio civile, rimanendo al giudice adito il compito
della determinazione, di norma, del danno risarcibile, sempre che  ne
sussistano sussistano i presupposti nella specificita'  dell'illecito
civile, avente comunque carattere di  ontologica  autonomia  rispetto
all'illecito penale. 
    7.- Questo parallelismo di cui si e' finora detto (sopra ai punti
5 e 6) - tra la regola dell'estinzione del reato per  la  particolare
tenuita' del fatto (art. 131-bis cod. pen.) e  quella  dell'efficacia
della relativa sentenza di  proscioglimento  nel  giudizio  civile  o
amministrativo di danno (art. 651-bis cod.  proc.  pen.)  -  disvela,
pero', un deficit di tutela per la parte civile, quando  si  viene  a
ragionare della prescrizione processuale dettata  dalla  disposizione
censurata (art. 538 cod. proc. pen.), secondo cui il  giudice  decide
sulla domanda per  le  restituzioni  e  il  risarcimento  del  danno,
proposta  dalla  parte  civile,  «[q]uando  pronuncia   sentenza   di
condanna». 
    L'idoneita'  dell'istituto  ad  adempiere  pienamente  alla   sua
funzione riparativa «senza pregiudizio  per  l'esercizio  dell'azione
civile  per  il  risarcimento  del  danno»  trova  un  limite   nella
impossibilita', derivante dalla norma suddetta, per il giudice penale
di conoscere della  domanda  restitutoria  o  risarcitoria  formulata
dalla  parte  civile  quando,  con  sentenza   resa   all'esito   del
dibattimento,  dichiara  la  non  punibilita'  dell'imputato  per  la
particolare tenuita' del fatto;  impossibilita'  che  discende  dalla
qualificazione formale della sentenza, la  quale  e'  pur  sempre  di
proscioglimento per estinzione del reato, anche se - come si e'  gia'
osservato - ha un contenuto positivo di accertamento dei  presupposti
di tale reato. 
    Una volta che nel processo si e' accertato, con pronuncia  idonea
ad acquisire efficacia di  giudicato  (ex  art.  651-bis  cod.  proc.
pen.), che sussiste il fatto ascritto all'imputato e che egli  lo  ha
commesso e, altresi', che  tale  fatto  integra  una  fattispecie  di
illecito penale, sussistendo il relativo elemento soggettivo del dolo
o  della  colpa,  risulta  irragionevole  l'impossibilita'   di   una
pronuncia sulla pretesa risarcitoria  (o  restitutoria)  della  parte
civile, ad opera dello  stesso  giudice  penale  che  contestualmente
adotti  una  sentenza  di  proscioglimento  dell'imputato   per   non
punibilita' ex art. 131-bis cod. pen. 
    La  mancanza  di  una  pronuncia  sulla  pretesa  risarcitoria  o
restitutoria della  parte  civile  comporta  che  quest'ultima  debba
promuovere ex novo un distinto giudizio civile  in  cui  azionare  la
medesima pretesa, nonostante il giudicato che  si  forma  gia'  nella
sede penale in senso favorevole alla possibile fondatezza  della  sua
domanda (ai sensi dell'art. 651-bis cod. proc. pen.). 
    Inoltre,  la  parte  civile  soffre  anche  il  pregiudizio  che,
nell'immediato, le  spese  da  essa  sostenute  nel  processo  penale
restino a suo carico, non potendo il giudice penale  porle  a  carico
dell'imputato in mancanza di una formale soccombenza (cosi', Corte di
cassazione, sezione seconda  penale,  sentenza  13  novembre  2020-11
febbraio 2021, n. 5423). 
    8.- E' ben vero che - come ribadito da questa Corte (sentenza  n.
176 del 2019) - nel processo penale l'azione civile «assume carattere
accessorio e  subordinato  rispetto  all'azione  penale,  sicche'  e'
destinata a subire tutte le conseguenze e gli  adattamenti  derivanti
dalla funzione e dalla struttura del  processo  penale,  cioe'  dalle
esigenze, di interesse pubblico, connesse all'accertamento dei  reati
e alla rapida definizione dei processi». L'assetto generale del nuovo
processo penale e', infatti, ispirato all'idea della separazione  dei
giudizi, penale e civile, essendo prevalente, nel disegno del codice,
l'esigenza di speditezza e  di  sollecita  definizione  del  processo
penale, rispetto all'interesse del soggetto danneggiato  di  esperire
la propria azione nel processo medesimo. 
    Si e' anche sottolineato che l'esercizio,  nel  giudizio  penale,
del diritto della parte civile alla restituzione  o  al  risarcimento
del  danno,  avendo  carattere  accessorio,  ha  un  orizzonte   piu'
limitato, di cui quest'ultima non puo'  non  essere  consapevole  nel
momento in cui opta per far valere le sue pretese civilistiche  nella
sede penale piuttosto che in quella civile. Nel fare questa  opzione,
l'eventuale «impossibilita' di ottenere una decisione  sulla  domanda
risarcitoria laddove il processo penale si concluda con una  sentenza
di proscioglimento per qualunque causa (salvo che nei  limitati  casi
previsti dall'art. 578 cod. proc. pen.) costituisce [...]  uno  degli
elementi dei quali il danneggiato deve tener conto nel  quadro  della
valutazione comparativa dei vantaggi  e  degli  svantaggi  delle  due
alternative che gli sono offerte» (sentenza n. 12 del 2016). 
    Di qui la regola posta dalla  disposizione  censurata  (art.  538
cod. proc. pen.): il giudice  penale  decide  sulla  domanda  per  le
restituzioni e il risarcimento del danno «[q]uando pronuncia sentenza
di   condanna»   dell'imputato,   soggetto   debitore   quanto   alle
obbligazioni civili. 
    9.- Questa regola, pero', non e' assoluta, ma deflette  in  varie
fattispecie in cui si giustifica, all'opposto, che possa esservi  una
decisione sui capi civili, vuoi dello stesso giudice penale, vuoi  in
prosecuzione  dell'originario  giudizio  penale  in  cui   e'   stata
azionata,  dalla   parte   civile,   la   domanda   risarcitoria   (o
restitutoria). 
    La prima e piu' vistosa eccezione e' quella  dell'art.  578  cod.
proc. pen.,  che,  al  comma  1,  prescrive:  «Quando  nei  confronti
dell'imputato e' stata pronunciata  condanna,  anche  generica,  alle
restituzioni o al risarcimento  dei  danni  cagionati  dal  reato,  a
favore della parte civile, il  giudice  di  appello  e  la  corte  di
cassazione, nel dichiarare  il  reato  estinto  per  amnistia  o  per
prescrizione,  decidono  sull'impugnazione  ai  soli  effetti   delle
disposizioni e dei capi della sentenza che concernono  gli  interessi
civili». In queste  due  fattispecie  (quella  piu'  frequente  della
prescrizione, ma anche  quella  dell'amnistia)  ci  puo'  essere,  al
contempo, la condanna al risarcimento del danno, nella misura in  cui
il giudice penale accerta che l'imputato ha commesso l'atto  illecito
e che la parte  civile  ha  diritto  al  risarcimento  del  danno,  e
contestualmente   il   proscioglimento   dall'accusa    penale    per
prescrizione  o  amnistia,  laddove  dalle  risultanze   processuali,
valutate dal giudice, non risulti che il fatto  non  sussiste  o  che
l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato  o
non e' previsto dalla legge come reato (art. 129 cod. proc. pen.). 
    Il proscioglimento penale convive con la condanna civile da parte
dello stesso giudice penale, senza che venga  in  sofferenza  -  come
gia' ritenuto da questa Corte (sentenza n. 182 del 2021) - il  canone
della presunzione di innocenza di cui all'art. 6, paragrafo 2, CEDU e
all'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea
(CDFUE). 
    Una ulteriore eccezione alla regola dell'art. 538 cod. proc. pen.
e' quella posta dall'art. 576, comma 1, cod. proc. pen., secondo  cui
la parte civile puo' proporre impugnazione, oltre che contro  i  capi
della sentenza di condanna che riguardano l'azione civile, anche,  ai
soli effetti della responsabilita'  civile,  contro  la  sentenza  di
proscioglimento pronunciata nel giudizio. E' noto che, dopo la  legge
20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale,  in
materia di inappellabilita' delle sentenze di proscioglimento),  che,
mediante il suo art. 6, comma 1, lettera a), ha eliminato dal comma 1
dell'art. 576 cod. proc. pen. l'espressione «con  il  mezzo  previsto
per  il  pubblico  ministero»,  la  giurisprudenza  della  Corte   di
cassazione (sezioni unite penali, sentenze 29 marzo-12  luglio  2007,
n. 27614 e 28 marzo-3 luglio 2019, n. 28911) ha ritenuto che la parte
civile possa impugnare la sentenza di proscioglimento, che reca anche
il rigetto della domanda  di  risarcimento  del  danno,  si'  che  il
giudice dell'impugnazione (quale la corte d'appello)  puo'  riformare
la pronuncia impugnata e - se  non  c'e'  impugnazione  del  pubblico
ministero - accogliere solo la  domanda  di  risarcimento  del  danno
anche  in  presenza  del  proscioglimento  dell'imputato  dall'accusa
penale. 
    Pertanto, in questo caso, il processo penale si  puo'  concludere
con un giudicato penale assolutorio e uno civile  di  condanna  senza
che siano in sofferenza il principio  di  eguaglianza  e  quello  del
giusto processo. 
    Questa Corte (sentenza n. 176 del  2019)  -  nel  dichiarare  non
fondate le questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  576
cod. proc. pen., sollevate in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo
comma, Cost. - ha ritenuto che anche tale eccezione  sia  compatibile
con la regola  dell'art.  538  cod.  proc.  pen.:  essendo  stata  la
sentenza di primo grado pronunciata  da  un  giudice  penale  con  il
rispetto delle  regole  processualpenalistiche,  e'  ragionevole  che
anche il giudizio d'appello sia devoluto a un giudice penale  (quello
dell'impugnazione) secondo le norme dello stesso codice di rito. 
    Sulla  scia  di  queste  eccezioni  si  colloca,   altresi',   la
previsione dell'art. 622 cod. proc. pen., secondo la quale, fermi gli
effetti penali della sentenza, la Corte di cassazione, se ne  annulla
solamente le disposizioni o i capi che  riguardano  l'azione  civile,
ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro  la  sentenza
di proscioglimento dell'imputato, rinvia quando  occorre  al  giudice
civile  competente  per  valore  in  grado  di  appello,   anche   se
l'annullamento ha per oggetto una  sentenza  inappellabile.  Pure  in
questo caso il giudizio sui capi civili prosegue e  la  parte  civile
non deve promuovere un nuovo giudizio. Trovano applicazione le regole
processuali e probatorie proprie del processo civile e l'accertamento
richiesto  al  giudice  del  "rinvio"  ha  ad  oggetto  gli  elementi
costitutivi   dell'illecito   civile,    prescindendosi    da    ogni
apprezzamento, sia pure  incidentale,  sulla  responsabilita'  penale
dell'imputato (Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 28
gennaio-4 giugno 2021, n. 22065). 
    Una ulteriore ipotesi di continuita' tra  accertamento  penale  e
accertamento civile e' disegnata dall'art.  578,  comma  1-bis,  cod.
proc. pen., introdotto dall'art. 2, comma 3, della recente  legge  n.
134  del  2021,  che,  nel  contesto  della  nuova  disciplina  della
prescrizione dei reati, ha previsto (per i reati commessi a far  data
dal 1° gennaio 2020) che «[q]uando  nei  confronti  dell'imputato  e'
stata pronunciata condanna, anche generica, alle  restituzioni  o  al
risarcimento dei danni cagionati dal  reato,  a  favore  della  parte
civile,  il  giudice  di  appello  e  la  corte  di  cassazione,  nel
dichiarare improcedibile  l'azione  penale  per  il  superamento  dei
termini di cui ai commi 1 e 2 dell'articolo 344-bis, rinviano per  la
prosecuzione al giudice civile competente  per  valore  in  grado  di
appello,  che  decide  valutando  le  prove  acquisite  nel  processo
penale». Sara' il giudice civile in grado d'appello, investito  della
«prosecuzione» del giudizio (non gia'  di  un  "nuovo"  giudizio),  a
confermare o riformare la condanna dell'imputato al risarcimento  del
danno in favore della parte civile. 
    In tutti questi  casi  e'  ben  possibile  che  la  pronuncia  di
accoglimento  della  domanda  di  risarcimento  del  danno   non   si
accompagni a una pronuncia di condanna  penale,  per  esserci  stata,
invece,  una  pronuncia  di  proscioglimento,  o  che  vi   sia,   in
prosecuzione dello stesso giudizio,  una  pronuncia  in  ordine  alla
pretesa restitutoria o risarcitoria della parte civile. 
    10.- Diversa - va peraltro precisato - e', invece, la fattispecie
oggetto della sentenza n. 12 del 2016. Questa Corte ha dichiarato non
fondate le questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  538
cod. proc. pen., sollevate, in riferimento agli artt.  3,  24  e  111
Cost., nella parte in cui non consente al giudice di  decidere  sulla
domanda per le restituzioni e il  risarcimento  del  danno,  proposta
dalla  parte  civile,  quando  pronuncia  sentenza   di   assoluzione
dell'imputato in quanto non imputabile per  vizio  totale  di  mente.
Cio'  si  giustifica  perche'  l'accertamento  penale,  che  in  tale
evenienza ha il diverso effetto di giudicato previsto  dall'art.  652
cod. proc. pen. e non certo quello di cui all'art. 651-bis cod. proc.
pen., comporta il mutamento della prospettiva e dei presupposti della
pretesa risarcitoria della  parte  civile:  per  il  danno  cagionato
dall'incapace risponde chi e'  tenuto  alla  sua  sorveglianza  (art.
2047, primo comma, del codice civile). Invece,  nel  caso  della  non
punibilita' per «particolare tenuita'» dell'offesa, vengono accertate
la sussistenza del fatto e la sua illiceita' penale, e si afferma che
l'imputato lo ha commesso.  Su  tutto  cio'  si  forma  il  ben  piu'
pregnante giudicato di cui all'art. 651-bis cod. proc. pen., per  cui
l'accertamento necessario  per  il  proscioglimento  per  difetto  di
punibilita' ex art. 131-bis cod. pen. ridonda anche  in  accertamento
utile al fine dell'an della pretesa risarcitoria civile. 
    11.- La logica di fondo, che complessivamente  emerge  da  queste
fattispecie, e' quella di evitare, finche'  possibile  e  compatibile
con l'esito del giudizio in ordine all'azione penale, una  situazione
di absolutio ab instantia in riferimento  alla  domanda  della  parte
civile e di salvare il procedimento in cui quest'ultima  ha  promosso
la pretesa risarcitoria o  restitutoria,  senza  che  la  stessa  sia
gravata dell'onere di promuovere un nuovo giudizio. 
    Nelle fattispecie sopra  esaminate,  sia  quelle  che  vedono  lo
stesso giudice penale pronunciarsi nel merito  della  pretesa  civile
risarcitoria (o restitutoria), pur senza che  contestualmente  emetta
una condanna penale (cio' in deroga alla regola  dell'art.  538  cod.
proc.  pen.),  sia   quelle   connotate   comunque   dalla   distinta
prosecuzione del giudizio solo sui capi civili, c'e' una risposta  di
giustizia  alla  domanda  della  parte  civile,  anche  in   mancanza
dell'accertamento, da  parte  del  giudice  penale,  con  effetto  di
giudicato, quanto «[a]lla sussistenza del fatto, della sua illiceita'
penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso». 
    Invece, una risposta  di  giustizia  manca  proprio  quando  tale
accertamento sussiste, ex art. 651-bis cod. proc. pen., allorche'  il
giudice penale prosciolga l'imputato per la particolare tenuita'  del
fatto, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. 
    In questo caso la regola generale, posta dall'art. 538 cod. proc.
pen., non deflette, non consentendo al giudice penale di pronunciarsi
anche sulla pretesa risarcitoria o restitutoria della parte civile. 
    Cio' rende la norma censurata contrastante con  il  principio  di
eguaglianza (art. 3, primo comma, Cost.), per l'argomento a  fortiori
che puo' trarsi dalla comparazione con le fattispecie in cui non c'e'
l'absolutio ab instantia pur in mancanza  di  siffatto  accertamento,
vuoi perche' il giudice  penale  e'  chiamato  a  pronunciarsi  sulla
domanda risarcitoria (o restitutoria) civile anche se non vi  e'  una
condanna penale, vuoi perche' il giudizio prosegue  comunque  per  la
definizione anche solo delle pretese civilistiche;  essa  inoltre  si
pone in violazione del diritto alla tutela giurisdizionale (art.  24,
secondo comma, Cost.), nella specie  della  parte  civile,  la  quale
subisce la mancata decisione in ordine alla sua pretesa  risarcitoria
(o restitutoria) anche quando essa appare  fondata  e  meritevole  di
accoglimento proprio in  ragione  del  contestuale  accertamento,  ad
opera del giudice penale, della  sussistenza  del  fatto,  della  sua
illiceita' penale  e  della  riferibilita'  della  condotta  illecita
all'imputato nel contesto del proscioglimento di quest'ultimo ex art.
131-bis  cod.  pen.  Infine,  essa  collide  con  il   canone   della
ragionevole durata del processo (art. 111, secondo  comma,  Cost.)  a
causa dell'arresto del giudizio che ne deriva,  quanto  alla  domanda
risarcitoria (o restitutoria), con soluzione di continuita'  rispetto
a un nuovo giudizio civile, del cui promovimento e' onerata la  parte
civile, anche solo per recuperare le  spese  sostenute  nel  processo
penale. 
    12.- La reductio ad legitimitatem  della  disposizione  censurata
richiede, dunque, di riconoscere al giudice penale,  come  necessaria
deroga alla regola posta dalla disposizione stessa,  la  possibilita'
di pronunciarsi anche sulla domanda di risarcimento del danno  quando
accerti  che  sussistono  i  presupposti  per   dichiarare   la   non
punibilita' dell'imputato in ragione della particolare  tenuita'  del
fatto, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen. 
    13.- L'accoglimento delle questioni sollevate in riferimento agli
artt. 3, 24 e 111 Cost. comporta l'assorbimento dell'altro  parametro
evocato dal giudice rimettente (art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU).