ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  168-bis,
quarto comma, del codice penale, promosso dal Giudice  per  l'udienza
preliminare del  Tribunale  ordinario  di  Bologna  nel  procedimento
penale a carico di D. A. e D. D.V. con ordinanza del 16 giugno  2021,
iscritta al n. 151 del registro ordinanze  2021  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  41,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23  giugno  2022  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 giugno 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 16 giugno  2021,  il  Giudice  dell'udienza
preliminare del Tribunale  ordinario  di  Bologna  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 168-bis, quarto comma,  del  codice  penale,
nella parte in cui, disponendo che la  sospensione  del  procedimento
con messa alla prova dell'imputato non puo' essere concessa  piu'  di
una volta, non prevede che l'imputato ne possa  usufruire  per  reati
connessi, ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettera b), del  codice  di
procedura penale, con altri reati per i quali tale beneficio sia gia'
stato concesso. 
    1.1.- Riferisce il rimettente che D. A. e D. D.V. - imputati  del
reato di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.  309
(Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli  stupefacenti
e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e  riabilitazione   dei
relativi stati di tossicodipendenza), per aver effettuato, tra il  20
settembre e il 21  dicembre  2018,  undici  cessioni  di  cocaina  in
quantita' variabile tra 0,5 e 1,7 grammi  -  nel  corso  dell'udienza
preliminare hanno chiesto la sospensione del procedimento  con  messa
alla prova, ai sensi dell'art. 168-bis cod. pen. 
    Gli imputati hanno gia' beneficiato della  messa  alla  prova  in
altro procedimento penale relativo a un episodio di spaccio, coevo  a
quelli contestati  nel  giudizio  a  quo  e  ad  essi  avvinto  dalla
continuazione (art. 81, secondo comma,  cod.  pen.),  trattandosi  di
fatti tutti commessi in esecuzione del  medesimo  disegno  criminoso.
Tale procedimento, sospeso con ordinanza del 7 gennaio  2019,  si  e'
concluso con declaratoria di estinzione del reato per esito  positivo
della messa alla prova. 
    Osserva il rimettente che la richiesta  avanzata  dagli  imputati
non puo' allo stato essere accolta, in quanto l'art. 168-bis,  quarto
comma, cod. pen. prevede che la messa  alla  prova  non  puo'  essere
concessa per piu' di una volta. Di qui la rilevanza della questione. 
    1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
osserva quanto segue. 
    1.2.1.- Ricostruite anzitutto la genesi storica e la ratio  della
sospensione del procedimento con messa  alla  prova  -  istituto  che
sarebbe connotato da «una necessaria componente  afflittiva  (che  ne
salvaguarda  la  funzione  punitiva  e  intimidatrice)»  e  volto   a
«soddisfare    nel    contempo    istanze     specialpreventive     e
risocializzatrici,  mediante   l'incentivazione   dei   comportamenti
riparativi indirizzati alla persona offesa dal reato» - il rimettente
osserva che la limitazione posta  dall'art.  168-bis,  quarto  comma,
cod. pen. non era contenuta nel disegno all'origine  della  legge  28
aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di  pene  detentive
non carcerarie e di riforma del sistema  sanzionatorio.  Disposizioni
in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei
confronti degli irreperibili), che ha introdotto nell'ordinamento  la
facolta', per l'imputato maggiorenne, di  richiedere  la  sospensione
del procedimento  con  messa  alla  prova.  Prima  degli  emendamenti
apportati al disegno di legge in  Senato,  era  infatti  prevista  la
possibilita' di fruire per due volte della messa  alla  prova,  salvo
quando il successivo  procedimento  riguardasse  reati  della  stessa
indole dei precedenti. 
    1.2.2.- Il limite della concedibilita' per una sola volta non  e'
inoltre previsto in relazione alla sospensione del  procedimento  con
messa alla prova dell'imputato minorenne, di cui agli artt. 28  e  29
del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni
sul processo penale a carico di imputati minorenni). 
    Con riferimento al tale istituto, la  giurisprudenza  avrebbe  in
effetti  riconosciuto  che,  in  caso  di  continuazione  tra   reati
giudicati e giudicandi, e' possibile concedere il beneficio anche  in
relazione a questi ultimi, purche' il giudice accerti la  sussistenza
del vincolo della continuazione e di elementi idonei a  svolgere  una
prognosi di positiva evoluzione della  personalita'  del  minore,  al
fine di redigere un progetto idoneo al raggiungimento  dell'obiettivo
di rieducazione e reinserimento nella vita sociale (sono citate Corte
di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 8 luglio 2014, n. 40312
e sezione seconda penale, sentenza 8 novembre 2012, n. 46366). 
    1.2.3.- Quanto alla messa alla prova per l'imputato  maggiorenne,
la limitazione prevista  dalla  disposizione  censurata,  secondo  il
giudice rimettente, «non esclude, in linea di principio, che in  caso
di simultaneus processus avent[e] ad oggetto piu' fatti di reato,  il
Giudice possa riconoscere il vincolo della continuazione  e  giungere
(con adeguata  motivazione)  ad  un  giudizio  di  meritevolezza  del
programma di trattamento redatto dall'UEPE [Ufficio per  l'esecuzione
penale esterna] anche attraverso l'esercizio dei poteri  (integrativi
e/o aggiuntivi) in  tema  di  condotte  riparatorie  a  favore  della
persona offesa e di commisurazione dei tempi e modi  di  espletamento
del lavoro di pubblica utilita'». 
    Ove, invece, «per scelta processuale  del  PM  nella  fase  delle
indagini preliminari o per diversa tempistica processuale»,  i  reati
commessi  in  esecuzione  del  medesimo  disegno  criminoso   vengano
contestati in diversi procedimenti, e uno di questi si  concluda  con
l'estinzione del reato per esito positivo  della  messa  alla  prova,
cio' «consuma definitivamente l'unica possibilita'» dell'imputato  di
fruire del beneficio. E invero, la  richiesta  di  messa  alla  prova
successivamente avanzata in altro procedimento - pur  relativo  a  un
reato connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc.
pen. - sarebbe destinata  a  una  declaratoria  di  inammissibilita',
giusta il disposto dell'art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. 
    1.2.4.- Sotto quest'ultimo profilo, si  coglierebbe  «in  maniera
apprezzabile   l'irrazionalita'   del   sistema   conseguente    alla
applicazione della norma censurata: la messa alla  prova,  per  poter
essere richiesta nell'unica volta esperibile,  deve  riguardare  solo
fatti giudicati in uno stesso procedimento»,  mentre  «[i]n  caso  di
parcellizzazione dei procedimenti - e  di  esistenza  di  ipotesi  di
connessione ex art. 12, comma 1, lett. b) c.p.p. -, la disciplina  in
vigore non consente di 'agganciare' alla  precedente  estinzione  del
reato  fatti  per  cui  si  sarebbe  potuta  compiere  una   prognosi
favorevole di astensione futura dai reati  e  positivo  reinserimento
sociale,  con  riconoscimento  del  vincolo  della  continuazione   e
valutazione finale di esito positivo della messa alla prova». 
    1.2.5.-   La   disposizione   censurata   determinerebbe   dunque
un'irragionevole disparita' di trattamento tra l'imputato  sottoposto
a simultaneus processus in relazione a reati  connessi  ex  art.  12,
lettera b),  cod.  proc.  pen.  -  il  quale  potrebbe  fruire  della
sospensione del procedimento con messa alla prova per tutti  i  reati
contestatigli - e l'imputato che affronta giudizi distinti (ancorche'
connessi), che invece avrebbe diritto a richiedere il beneficio  solo
la prima (e unica) volta. 
    Tale disparita' sarebbe palese, alla luce dei principi  affermati
dalla giurisprudenza di legittimita' (e' citata Corte di  cassazione,
sezioni unite penali, sentenza 27 novembre 2008-23 gennaio  2009,  n.
3286), secondo cui il reato continuato «va considerato  unitariamente
solo per gli effetti espressamente previsti dalla legge, come  quelli
relativi alla determinazione della pena, mentre, per tutti gli  altri
effetti non espressamente previsti, la considerazione  unitaria  puo'
essere ammessa solo esclusivamente a  condizione  che  garantisca  un
risultato favorevole al reo, cosi' rispondendo alla  ratio  di  favor
rei dell'istituto in oggetto»; giurisprudenza in base  alla  quale  i
reati avvinti  dalla  continuazione  sarebbero  da  considerare  come
un'unita'  fittizia,  ad  esempio,  ai  fini  della  concessione  del
beneficio  della  sospensione  condizionale  della  pena.  Stante  il
parallelismo - evidenziato da questa Corte nella sentenza n.  91  del
2018 - tra quest'ultimo istituto e  la  messa  alla  prova,  tra  gli
effetti  favorevoli  che  il   riconoscimento   del   vincolo   della
continuazione tra reati  comporta  «non  [potrebbe]  non  annoverarsi
quello  derivante  dall'esito  positivo  della  messa   alla   prova,
ovviamente previa valutazione positiva in  ordine  al  riconoscimento
del medesimo disegno criminoso e alla meritevolezza  per  [l]'accesso
al beneficio». 
    1.2.6.- Non sarebbero  d'altra  parte  ostative  all'accoglimento
della questione le conclusioni raggiunte nella  sentenza  n.  52  del
1995 di questa Corte, ove si e' escluso che ledesse gli artt. 3 e  24
Cost.  l'impossibilita'  di  un  simultaneus  processus  innanzi   al
tribunale per i minorenni,  in  conseguenza  della  non  operativita'
della  connessione,  anche  nei  casi  di   reato   continuato,   tra
procedimenti per i reati commessi rispettivamente  quando  l'imputato
era minorenne e quando aveva raggiunto la  maggiore  eta'.  Nel  caso
oggi in esame, infatti, «il  sistema  di  riferimento  processuale  e
sostanziale e' il medesimo». 
    1.2.7.- Alla luce  del  suo  tenore  letterale,  la  disposizione
censurata   non   si    presterebbe    poi    a    un'interpretazione
costituzionalmente orientata, data l'impossibilita' di considerare la
seconda richiesta di messa alla prova «non  come  ulteriore  e  nuova
richiesta ma come prosecuzione oppure  integrazione  di  quella  gia'
avanzata in altro procedimento».  Occorrerebbe  altresi'  considerare
che «la vicenda relativa  al  percorso  della  messa  alla  prova  si
conclude con una pronuncia di estinzione del reato che  impedisce  di
'riprendere' o 'rivalutare' quel percorso e le condizioni di  accesso
al beneficio, perche' il reato e' estinto e la sentenza  del  Giudice
ha  definitivamente  prodotto  un  effetto   sostanziale   non   piu'
revocabile». 
    1.2.8.- Si sarebbe dunque  «in  presenza  di  una  situazione  di
contrarieta' interna del sistema delineato dall'istituto della  messa
alla prova  sotto  il  profilo  della  irriducibilita'  della  regola
contenuta nel quarto comma dell'art. 168 bis c. p.  al  rispetto  dei
principi  ispiratori  della  norma»,  che  determinerebbe  un  vulnus
all'art. 3 Cost. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  e
comunque non fondata. 
    2.1.-  L'interveniente  eccepisce   anzitutto   il   difetto   di
motivazione sulla rilevanza: l'ordinanza sarebbe «totalmente silente»
circa la sussistenza, nel caso di specie, sia dei presupposti per  il
riconoscimento del  vincolo  della  continuazione,  sia  di  elementi
idonei a  sostenere  la  valutazione  di  positiva  evoluzione  della
personalita' degli imputati - ai fini della redazione di un programma
di trattamento  idoneo  a  consentire  il  reinserimento  nella  vita
sociale - e la prognosi di astensione  dalla  futura  commissione  di
ulteriori reati. 
    2.2.- Contrariamente  a  quanto  sostenuto  dal  giudice  a  quo,
sarebbe  inoltre  possibile   un'interpretazione   costituzionalmente
orientata della disposizione censurata: secondo un'ormai  consolidata
giurisprudenza  di  legittimita',  il   reato   continuato   andrebbe
considerato unitariamente ai fini dell'applicazione della sospensione
condizionale della pena ex art. 168 cod. pen.; e tale  principio  ben
potrebbe essere applicato anche all'istituto  della  sospensione  del
procedimento con messa alla prova. 
    A tale interpretazione non osterebbe  neppure  l'irreversibilita'
della dichiarazione di estinzione  del  reato  conseguente  all'esito
positivo della massa  alla  prova.  E  invero,  il  medesimo  effetto
estintivo caratterizzerebbe anche la sospensione del procedimento con
messa alla prova  nel  processo  minorile,  al  quale  -  secondo  le
sentenze n. 46366 del 2012  e  n.  40312  del  2014  della  Corte  di
cassazione - e' possibile accedere anche ove  l'imputato  abbia  gia'
fruito  di  tale  beneficio  per  reati  avvinti  dal  vincolo  della
continuazione con quelli sottoposti a un giudizio successivo. 
    3.- In prossimita' della camera di consiglio, il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha depositato memoria illustrativa. 
    3.1.- In punto di ammissibilita', l'interveniente  insiste  sulla
mancata indicazione, da parte del rimettente, degli elementi di prova
da  cui   risulterebbe   la   medesimezza   del   disegno   criminoso
nell'esecuzione dei reati, nei termini richiesti dalla giurisprudenza
di legittimita' (e' citata Corte di cassazione, sezione sesta penale,
sentenza  23  novembre  2021,  n.  5447),   nonche'   sulla   carente
motivazione circa la sussistenza degli ulteriori presupposti  per  la
concedibilita' del beneficio della sospensione del  procedimento  con
messa  alla  prova  (sussistenza  e  idoneita'   del   programma   di
trattamento, prognosi sulla  futura  astensione  dell'imputato  dalla
commissione di nuovi reati). 
    3.2.- La questione sarebbe in ogni caso non  fondata,  attesa  la
possibilita'   di   interpretazione   conforme   della   disposizione
censurata, corroborata dagli approdi  giurisprudenziali  in  tema  di
sospensione  condizionale  della  pena  per   reati   avvinti   dalla
continuazione (e' citata Corte di cassazione, sezione  prima  penale,
sentenza 28 ottobre 2015,  n.  3775).  La  giurisprudenza  di  merito
avrebbe del resto gia' affermato che la messa alla prova in relazione
a piu' reati in continuazione sarebbe da  considerare  come  concessa
una sola volta (e' richiamata un'ordinanza del Tribunale  di  Milano,
sezione terza penale, del 28 aprile 2015). 
    Alla possibilita' di interpretazione costituzionalmente orientata
non  osterebbe  neppure  l'irreversibilita'  della  dichiarazione  di
estinzione del reato, stante la gia' richiamata analogia rispetto  al
corrispondente istituto per i minorenni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice dell'udienza
preliminare del Tribunale  ordinario  di  Bologna  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 168-bis, quarto comma,  del  codice  penale,
nella parte in cui, disponendo che la  sospensione  del  procedimento
con messa alla prova dell'imputato non puo' essere concessa  piu'  di
una volta, non prevede che l'imputato ne possa  usufruire  per  reati
connessi, ai sensi dell'art. 12, comma 1, lettera b), del  codice  di
procedura penale, con altri reati per i quali tale beneficio sia gia'
stato concesso. 
    2.- Le eccezioni formulate dall'Avvocatura generale  dello  Stato
non sono fondate. 
    2.1.-  Va  disattesa,  anzitutto,  l'eccezione  di   difetto   di
motivazione sulla rilevanza della questione. 
    2.1.1.-  Il  rimettente  chiarisce  di   dover   decidere   sulla
richiesta, formulata dalla difesa degli imputati, di sospensione  del
procedimento con messa alla prova. Dal momento  che  gli  interessati
hanno gia' fruito  del  beneficio  in  una  occasione  anteriore,  il
giudice a quo osserva che  l'accoglimento  della  richiesta  e'  allo
stato impedito dal  tenore  letterale  del  censurato  art.  168-bis,
quarto comma, cod. pen., che vieta di concedere piu' di una volta  la
sospensione del procedimento con messa alla prova. 
    Il rimettente aggiunge, peraltro, che il difensore degli imputati
ha sottolineato, da un lato, che i fatti per i quali gli stessi  sono
ora rinviati a giudizio sarebbero stati commessi in  epoca  coeva  al
reato relativamente al quale  sono  gia'  stati  ammessi,  con  esito
positivo, alla sospensione del procedimento con messa alla prova;  e,
dall'altro, che i reati per i quali ora e' processo appaiono  avvinti
da un medesimo disegno criminoso rispetto a quello ormai  estinto  in
esito alla esperita messa alla prova. 
    Conseguentemente,  il  giudice  a  quo   solleva   questione   di
legittimita' costituzionale dello stesso art. 168-bis, quarto  comma,
cod. pen., nella parte in cui esclude  che  possa  egualmente  essere
ammesso al beneficio l'imputato che ne abbia fruito nell'ambito di un
procedimento relativo ad un reato connesso  ai  sensi  dell'art.  12,
comma 1, lettera b), del codice di  procedura  penale:  disposizione,
quest'ultima, la quale prevede che  due  procedimenti  sono  connessi
laddove una persona sia imputata di piu' reati commessi con una  sola
azione od omissione ovvero, appunto, con  piu'  azioni  od  omissioni
esecutive di un medesimo disegno criminoso. 
    2.1.2.- Tanto basta ai fini  della  motivazione  sulla  rilevanza
della questione, cosi' come formulata dal rimettente. 
    L'accoglimento della questione avrebbe infatti, nella prospettiva
del giudice a quo, l'effetto di rimuovere la preclusione oggi opposta
a una possibile seconda  concessione  del  beneficio  previsto  dalla
disposizione censurata, consentendogli cosi' di valutare  nel  merito
se effettivamente i nuovi reati contestati  siano  espressivi  di  un
medesimo disegno criminoso rispetto a quello estinto, e se sussistano
gli ulteriori presupposti delineati dagli artt. 168-bis cod.  pen.  e
464-bis e 464-quater cod. proc. pen. per  l'accesso  all'istituto  in
questione. 
    La prospettazione dei difensori degli imputati  non  appare,  del
resto, prima facie implausibile, in  ragione  della  omogeneita'  dei
reati per cui si procede nel giudizio a  quo  (tutti  consistenti  in
cessioni di modeste quantita' di sostanze stupefacenti, riconducibili
alla previsione normativa di cui all'art. 73, comma 5, del  d.P.R.  9
ottobre 1990, n. 309, recante «Testo unico delle leggi in materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi  stati  di  tossicodipendenza»)  e
della loro contiguita' temporale rispetto a quello gia'  estinto  per
effetto della precedente messa alla prova. 
    Ne', ai fini della motivazione sulla rilevanza  della  questione,
sarebbe stato necessario per il giudice rimettente diffondersi  sulla
sussistenza dei requisiti  del  beneficio  in  capo  a  entrambi  gli
imputati, posto che tale valutazione e' logicamente  successiva  alla
rimozione della preclusione stabilita dalla  disposizione  censurata,
che allo stato vieta in  modo  assoluto  -  secondo  la  lettura  del
rimettente - la concessione del beneficio a chi ne abbia gia'  fruito
(in senso analogo, sentenza n. 253 del 2019, punto 6 del  Considerato
in diritto). 
    2.2.- Nemmeno e' fondata l'eccezione di omessa sperimentazione di
una interpretazione conforme da parte del rimettente. 
    Il giudice a  quo  ha  infatti  motivatamente  escluso  di  poter
superare in via ermeneutica la preclusione censurata in relazione  al
caso in esame, ritenendo insuperabile il relativo dato testuale,  che
in effetti recita, senza contemplare alcuna espressa eccezione: «[l]a
sospensione del procedimento con messa alla prova  dell'imputato  non
puo' essere concessa piu' di una volta». In tal modo,  il  rimettente
ha assolto al  proprio  onere  motivazionale  sulla  rilevanza  della
questione,  attenendo  invece  al  merito  della  stessa  l'effettiva
praticabilita'   o   impraticabilita'    di    una    interpretazione
costituzionalmente orientata della disposizione censurata,  idonea  a
superare il vulnus denunciato (ex multis, sentenza n. 172 del 2021). 
    3.- La questione e' fondata. 
    3.1.- Cuore dell'articolata motivazione dell'unica censura svolta
dal rimettente e' la constatazione dell'irragionevole  disparita'  di
trattamento tra l'imputato cui tutti i reati commessi  in  esecuzione
di un medesimo disegno criminoso vengano contestati nell'ambito di un
unico procedimento, nel quale egli ha la possibilita' di accedere  al
beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova,  e
l'imputato nei  cui  confronti  l'azione  penale  venga  inizialmente
esercitata solo in relazione ad alcuni di tali reati, e che  si  veda
contestare gli altri, per effetto di  una  scelta  discrezionale  del
pubblico ministero o di altre evenienze processuali,  nell'ambito  di
un diverso procedimento, dopo che egli abbia gia' avuto accesso  alla
messa  alla  prova.  Questo   secondo   imputato   si   trova   cosi'
nell'impossibilita' di ottenere una seconda volta il  beneficio,  cui
avrebbe invece potuto accedere ove tutti i reati  gli  fossero  stati
contestati in un unico procedimento. 
    3.2.- Preclusioni analoghe a  quella  oggi  all'esame  sono  gia'
state dichiarate costituzionalmente illegittime da sentenze risalenti
di questa Corte. 
    3.2.1.-  In  un  contesto  normativo  in   cui   la   sospensione
condizionale della pena poteva parimenti essere  concessa  una  volta
soltanto, la sentenza n. 86 del 1970 ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 164, secondo comma, numero 1), e 168  cod.
pen., nelle  formulazioni  all'epoca  vigenti,  nella  parte  in  cui
disponevano che il  giudice  non  potesse  esercitare  il  potere  di
concedere o  negare  il  beneficio  della  sospensione  condizionale,
ovvero dovesse revocare di diritto il beneficio gia' concesso, quando
il secondo reato fosse  legato  dal  vincolo  della  continuazione  a
quello punito con pena sospesa. 
    Questa Corte aveva, allora,  osservato  che  le  norme  censurate
facevano «dipendere l'esistenza del  nesso  di  continuita'  fra  due
reati da circostanze occasionali, e cioe' a dire, dal  fatto  che  la
continuazione sia accertata  in  un  solo  tempo  anziche'  in  tempi
successivi, circostanze che non possono elevarsi a fondamento di  una
diversa disciplina [...]. La circostanza che il primo giudice non era
a notizia che l'imputato aveva, in continuazione, ancora  violato  la
legge penale,  non  puo'  percio'  impedire  al  secondo  giudice  di
compiere gli apprezzamenti che avrebbe fatto il primo, e imporgli  di
sostituire, al suo libero convincimento, una  presunzione  legale  di
inopportunita'  della  sospensione.  Tale  inopportunita'  non   puo'
spiegarsi nemmeno con il rilievo che  l'imputato  non  rese  noto  al
giudice di aver commesso i nuovi reati,  perche',  se  cosi'  potesse
ragionarsi,  dalla  norma  si  farebbe  derivare  una   inconcepibile
sanzione alla reticenza dell'imputato; al quale invece  l'ordinamento
garantisce piena liberta' di  comportamento  processuale,  al  riparo
dalla presunzione della sua non colpevolezza». 
    3.2.2.- Analoga sorte ha colpito, ad opera della sentenza n.  108
del 1973, l'art. 169 cod. pen., nella parte cui - prevedendo  che  il
perdono giudiziale  per  i  minori  di  diciotto  anni  possa  essere
concesso una sola volta - non consentiva di estendere il beneficio ad
altri reati legati dal vincolo della continuazione a  quello  per  il
quale  era  stato  accordato.  In  quella  occasione,  questa   Corte
richiamo' gli argomenti gia' spesi nella sentenza  n.  86  del  1970,
rilevando la stretta similitudine tra le due questioni. 
    Nella sentenza n. 295 del 1986, invece,  e'  stata  ritenuta  non
fondata  una  questione  mirante  a  estendere  la  possibilita'   di
concedere una seconda volta il  perdono  giudiziale  in  relazione  a
reati commessi successivamente alla prima  concessione,  sul  rilievo
che tale situazione fosse essenzialmente diversa  rispetto  a  quella
esaminata dalle sentenze n. 86 del 1970 e n. 108 del 1973. 
    3.2.3.- Infine, con  la  sentenza  n.  267  del  1987,  e'  stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo l'allora  vigente  art.  80
della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al  sistema  penale),
nella parte in cui escludeva la reiterabilita' del  provvedimento  di
concessione delle sanzioni sostitutive della liberta'  controllata  e
della pena pecuniaria, quando l'imputato dovesse rispondere di  reati
avvinti dalla continuazione a quelli per i  quali  egli  avesse  gia'
fruito del beneficio. 
    Anche in questa occasione, furono richiamati i principi  espressi
dalla sentenza n. 86 del 1970, affermandosi che «il caso "riguardante
piu' fatti legati da  nesso  di  continuita'  con  altri  puniti  con
sentenza precedente non puo' essere trattato diversamente dal caso in
cui la continuazione viene accertata con unica sentenza", ad  evitare
che un nesso "sostanziale", quale quello di continuita', venga  fatto
dipendere da circostanze meramente occasionali». 
    3.3.- E' sulla base dei medesimi principi che deve essere risolta
la questione ora all'esame. 
    Come rilevato dalla  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione
(sezione seconda penale, sentenza 12 marzo 2015, n.  14112),  di  cui
questa stessa Corte ha recentemente preso atto (sentenza n.  146  del
2022), la preclusione posta dall'art.  168-bis,  quarto  comma,  cod.
pen., in questa sede censurata, non osta a che  uno  stesso  imputato
possa essere ammesso al beneficio della sospensione del  procedimento
con messa alla prova anche qualora gli vengano contestati piu'  reati
nell'ambito del medesimo procedimento, sempre che i  limiti  edittali
di  ciascuno  di  essi  siano  compatibili  con  la  concessione  del
beneficio. Cio' vale, evidentemente, anche nel caso specifico in  cui
tali reati siano avvinti dalla continuazione, essendo stati  commessi
in  esecuzione  di  un  medesimo  disegno  criminoso.  In  una   tale
situazione, infatti, l'ordinamento considera unitariamente i reati ai
fini sanzionatori, prevedendo l'inflizione di una sola pena che tenga
conto del loro complessivo disvalore; sicche' appare logico che,  ove
tutti i singoli reati siano compatibili, in  ragione  dei  rispettivi
limiti edittali, con il beneficio della messa alla prova,  l'imputato
possa essere ammesso ad un percorso unitario di  risocializzazione  e
riparazione, nel quale si sostanzia il  beneficio  medesimo  (ancora,
sentenza n. 146 del 2022 e le altre pronunce ivi citate),  e  il  cui
esito positivo comporta l'estinzione dei reati contestati. 
    In ipotesi come quella verificatasi nel giudizio a  quo,  dunque,
se tutti i reati commessi in continuazione fossero  stati  contestati
nell'ambito  di  un  unico  procedimento,  i  relativi  imputati  ben
avrebbero avuto la possibilita' di chiedere e - sussistendone tutti i
presupposti  -  di  ottenere  il  beneficio  della  sospensione   del
procedimento con messa alla prova in relazione a tutti  i  reati,  il
cui  esito  positivo  avrebbe  determinato  l'estinzione  dei   reati
medesimi. 
    Risulta,  allora,  irragionevole  che  quando,  per  scelta   del
pubblico ministero o per altre evenienze processuali, i reati avvinti
dalla   continuazione   vengano   invece   contestati   in   distinti
procedimenti, gli imputati non  abbiano  piu'  la  possibilita',  nel
secondo procedimento, di chiedere ed ottenere la  messa  alla  prova,
allorche' siano stati gia'  ammessi  al  beneficio  nel  primo.  Cio'
equivarrebbe a far dipendere la possibilita' di accedere  a  uno  dei
riti  alternativi  previsti  dal  legislatore  -   possibilita'   che
costituisce «una modalita', tra le piu'  qualificanti,  di  esercizio
del diritto di difesa» dell'imputato di cui  all'art.  24  Cost.  (ex
multis, sentenza n. 192 del 2020, nonche' sentenze n. 19 e n. 14  del
2020, n. 131 del  2019)  -  dalle  scelte  contingenti  del  pubblico
ministero o da circostanze casuali, sulle quali l'imputato stesso non
puo' in alcun modo influire. 
    3.4.- Sotto  un  diverso  ma  connesso  profilo,  la  preclusione
censurata, applicata a ipotesi come  quella  all'esame,  finisce  per
frustrare lo stesso intento  legislativo  di  sanzionare  in  maniera
unitaria il  reato  continuato,  attraverso  un  aumento  della  pena
prevista per il reato piu' grave, secondo la  regola  generale  posta
dall'art. 81, secondo comma, cod. pen. - intento, si noti, che non e'
precluso nemmeno dall'intervento del giudicato, come dimostra  l'art.
671 cod. proc. pen.,  che  consente  al  giudice  dell'esecuzione  di
rideterminare  la  pena  complessiva   per   piu'   reati   giudicati
separatamente con sentenze o  decreti  penali  irrevocabili,  tenendo
conto appunto della continuazione tra gli stessi. 
    Se e' vero,  infatti,  che  la  messa  alla  prova  dell'imputato
maggiorenne  ha  anche  una  innegabile  connotazione   sanzionatoria
rispetto al reato per il quale si procede (sentenze n. 146 del  2022,
n. 139 e n. 75  del  2020,  n.  68  del  2019),  l'impossibilita'  di
ammettere alla messa alla prova  chi  abbia  gia'  avuto  accesso  al
beneficio in relazione ad altro reato commesso in  esecuzione  di  un
medesimo  disegno  criminoso  si   traduce   nell'impossibilita'   di
sanzionare in modo sostanzialmente unitario  tutti  i  reati  avvinti
dalla continuazione, in contrasto  con  la  logica  del  sistema  del
codice penale. 
    3.5.- Tali considerazioni valgono, a maggior ragione, per l'altra
ipotesi di connessione prevista dall'art. 12, comma  1,  lettera  b),
cod. proc. pen., che  si  verifica  nel  caso  del  concorso  formale
disciplinato dall'art. 81, primo comma, cod. pen., e dunque allorche'
piu' reati sono commessi dalla stessa persona con una sola azione  od
omissione. Anche in  questo  caso,  il  legislatore  prevede  che  il
trattamento sanzionatorio sia commisurato unitariamente dal  giudice,
secondo le medesime regole che vigono per il reato continuato: il che
normalmente accade nell'ambito di un unico processo.  Sicche',  nelle
ipotesi in cui il pubblico ministero abbia invece proceduto per reati
in concorso formale nell'ambito di procedimenti distinti -  e  sempre
che il secondo procedimento non sia di per se' precluso dall'art. 649
cod. pen. (sul  punto,  sentenza  n.  200  del  2016,  punto  12  del
Considerato  in  diritto)  -,   risulterebbe   irragionevole   negare
all'imputato la possibilita' di accedere nuovamente alla  messa  alla
prova, nell'ambito di un procedimento che ha pur sempre ad oggetto la
medesima condotta attiva od omissiva per la quale egli ha gia' fruito
del beneficio. 
    3.6.- Da tutto cio' discende che la disposizione  censurata  deve
essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte  in  cui
non prevede che l'imputato possa essere ammesso alla sospensione  del
procedimento con messa alla prova nell'ipotesi in cui si proceda  per
reati connessi, ai sensi dell'art. 12,  comma  1,  lettera  b),  cod.
proc. pen., con altri reati per i quali tale beneficio sia gia' stato
concesso. 
    In una simile ipotesi, spettera' al giudice, ai  sensi  dell'art.
464-quater,  comma  3,  cod.  proc.  pen.,  una   nuova   valutazione
dell'idoneita' del programma di  trattamento  e  una  nuova  prognosi
sull'astensione  dalla  commissione  di  ulteriori  reati  da   parte
dell'imputato. In tale valutazione non potra' non tenersi conto - per
un verso - della natura e della gravita' dei reati oggetto del  nuovo
procedimento, e - per altro verso - del  percorso  di  riparazione  e
risocializzazione eventualmente gia' compiuto durante la prima  messa
alla prova. Nel caso poi in cui ritenga di poter concedere nuovamente
il beneficio, il giudice stabilira' la durata del periodo  aggiuntivo
di messa alla prova, comunque entro  i  limiti  complessivi  indicati
dall'art.  464-quater,  comma  5,  cod.  proc.   pen.,   valorizzando
opportunamente il percorso gia' compiuto, alla luce  dell'esigenza  -
sottesa  al  sistema  -  di  apprestare  una  risposta  sanzionatoria
sostanzialmente unitaria rispetto a tutti i reati in concorso formale
o commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.