ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  11,  comma
4-ter, della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del  giudice
di pace), promosso dal Giudice onorario  di  pace  di  Catanzaro  nel
procedimento vertente tra F. P. e il Ministero della  giustizia,  con
ordinanza del  6  aprile  2021,  iscritta  al  n.  116  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 34, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 5  ottobre  2022  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 ottobre 2022. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 6 aprile 2021 (r.o.  n.  116  del
2021), il Giudice onorario di pace  di  Catanzaro  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 36  e  97  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 4-ter, della legge 21
novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace), «nella parte
in cui stabilisce che la somma di  €  72.000  lordi  annui  non  puo'
essere superata»; 
    che innanzi al rimettente pende  un  giudizio  introdotto  da  un
magistrato onorario che esercita le funzioni di giudice di pace nella
sede di Reggio Calabria, il quale avrebbe maturato,  per  l'attivita'
svolta nel dicembre del 2016,  un'indennita'  mensile  pari  ad  euro
6.347,22, importo pero' decurtato di euro 2.294,07, in considerazione
del superamento del limite annuo massimo di  euro  72.000,00  (lordi)
previsto dalla disposizione censurata; 
    che  il  suddetto  magistrato  onorario  ha,  quindi,  citato  in
giudizio il Ministero della giustizia, in persona  del  Ministro  pro
tempore,  chiedendone  la  condanna  al  pagamento  delle  indennita'
spettanti per venti sentenze «depositate nell'ultima decade del  mese
di dicembre 2016» e non compensate, oltre interessi e rivalutazione; 
    che,  in  punto  di  rilevanza,  il  rimettente  osserva  che  la
disposizione  sospettata  d'illegittimita'   costituzionale   risulta
abrogata dall'art. 33, comma 2, del  decreto  legislativo  13  luglio
2017, n. 116 (Riforma organica della magistratura  onoraria  e  altre
disposizioni sui giudici  di  pace,  nonche'  disciplina  transitoria
relativa ai magistrati onorari in servizio, a norma  della  legge  28
aprile 2016, n. 57), solo a decorrere dal  15  agosto  2021,  sicche'
essa, «in ossequio al principio tempus regit actum», dovrebbe  ancora
trovare applicazione al «fatto dedotto in  citazione»,  che  «attiene
alla mensilita' di Dicembre 2016» e,  in  particolare,  alla  mancata
corresponsione  dell'indennita'  spettante  per  «l'attivita'  svolta
extrasoglia», consistente in venti sentenze depositate  nel  mese  di
dicembre 2016; 
    che, quanto alla non manifesta infondatezza,  il  giudice  a  quo
ritiene   di   non   poter   accedere    ad    una    interpretazione
«costituzionalmente orientata, segnatamente nel senso  di  consentire
il pagamento dell'indennita' annua eccedente il limite di € 72.000,00
nel successivo anno solare», in ragione del  tenore  letterale  della
disposizione, «che vuole chiaramente porre un tetto ai compensi annui
elargiti ai giudici di pace»; 
    che, infatti, l'art. 11, comma 4-ter, della legge n. 374 del 1991
«e' stato costantemente interpretato nel senso che lo stesso pone  un
tetto massimo alle indennita' annue  percepibili  da  un  giudice  di
pace», senza pero' indicare «una soluzione per l'attivita' svolta  da
un giudice di pace oltre la suddetta soglia»,  destinata,  dunque,  a
rimanere «priva di indennita' (rectius priva di retribuzione)»; 
    che tale conseguenza  contrasterebbe  con  l'art.  36  Cost.,  in
considerazione    della    natura     sostanzialmente     retributiva
dell'indennita', destinata a compensare «l'attivita' del  giudice  di
pace (lavoratore) extra-soglia»; 
    che sarebbe cosi' violato il diritto a percepire una retribuzione
«proporzionale alla quantita' del lavoro  svolto»,  dal  momento  che
«emettere sentenze in nome del  popolo  italiano»  costituirebbe  «un
lavoro in senso tecnico»; 
    che sarebbe violato,  altresi',  l'art  97  Cost.,  «poiche'  una
interpretazione che  proponga  di  procrastinare  il  deposito  delle
sentenze extra-soglia al successivo mese di gennaio» si  porrebbe  in
contrasto con il principio del  buon  andamento  dell'amministrazione
della giustizia; 
    che, infatti, sarebbe incoerente  «censurare  l'eccessiva  durata
del processo civile e [...] richiedere al giudice condotte dilatorie,
sol perche' si e' raggiunto il limite massimo di spesa per l'anno  in
corso»; 
    che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate; 
    che, quanto alla questione sollevata in riferimento  all'art.  36
Cost., l'interveniente sostiene che la posizione del giudice di  pace
non sarebbe equiparabile a quella di un  pubblico  dipendente  ne'  a
quella di un lavoratore parasubordinato, in quanto la  categoria  dei
funzionari  onorari,  della  quale  fa  parte  il  giudice  di  pace,
presuppone un rapporto di servizio volontario,  con  attribuzione  di
funzioni   pubbliche,   ma   senza   la   presenza   degli   elementi
caratterizzanti  l'impiego  pubblico,  come  l'accesso  alla   carica
mediante concorso, l'inserimento nell'apparato  amministrativo  della
pubblica amministrazione, lo  svolgimento  del  rapporto  secondo  lo
statuto apposito per  tale  impiego,  il  carattere  retributivo  del
compenso e la durata potenzialmente indeterminata del rapporto (viene
citata, a sostegno, Corte di cassazione, sezione lavoro,  sentenza  9
settembre 2016, n. 17862); 
    che, quindi, non sarebbe possibile evocare l'art.  36  Cost.  per
richiedere interventi  di  adeguamento  retributivo,  trattandosi  di
parametro non applicabile a rapporti diversi dal lavoro subordinato o
parasubordinato (viene citata Corte di  cassazione,  sezione  lavoro,
sentenza 7 dicembre 2017, n. 29437); 
    che, secondo l'Avvocatura generale, il  limite  annuale  pari  ad
euro 72.000, comparato con  gli  stipendi  tabellari  dei  magistrati
professionali, sarebbe da considerare, in ogni  caso,  «proporzionato
alla quantita' e qualita' del lavoro prestato dal Giudice di pace nel
suo complesso»; 
    che  sarebbe  non  fondata  anche  la  questione   sollevata   in
riferimento all'art. 97 Cost., in quanto giammai  il  buon  andamento
della pubblica amministrazione  potrebbe  essere  inciso  dal  limite
introdotto dalla disposizione censurata, posto che i termini previsti
per il compimento delle attivita' giudiziarie da  parte  dei  giudici
onorari sono imposti dalle norme  dei  codici  di  rito  e  non  sono
collegati alla misura delle indennita' percepite. 
    Considerato che il Giudice onorario di pace di Catanzaro solleva,
in riferimento agli artt. 36 e 97 Cost.,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 11, comma 4-ter,  della  legge  n.  374  del
1991, istitutiva del giudice di pace, applicabile  ratione  temporis,
nella parte in cui stabilisce che  il  compenso  spettante  a  questa
categoria di magistrati onorari non puo' superare la  somma  di  euro
72.000 lordi annui; 
    che, nel giudizio principale, un altro giudice onorario di  pace,
il quale esercita le funzioni  nella  sede  di  Reggio  Calabria,  ha
convenuto in giudizio l'amministrazione della giustizia,  chiedendone
la  condanna  al  pagamento  di  una  somma  pari  alla  decurtazione
dell'indennita' spettante per  il  mese  di  dicembre  2016,  operata
d'ufficio in misura tale da ricondurre il complessivo  importo  annuo
al di sotto del limite di 72.000 euro lordi; 
    che, a tal  fine,  dagli  emolumenti  maturati  per  il  mese  di
dicembre 2016 sarebbero state escluse  le  indennita'  spettanti  per
venti sentenze  «depositate  nell'ultima  decade»,  che  resterebbero
definitivamente prive di compenso, dal momento che il tenore testuale
della  disposizione  censurata  non  ne  consentirebbe   neppure   il
"recupero" nel successivo anno 2017; 
    che la disposizione  sospettata  d'illegittimita'  costituzionale
risulta abrogata dall'art. 33, comma 2, del d.lgs. n. 116 del 2017  a
decorrere dal 1° gennaio 2022, termine cosi'  fissato,  in  luogo  di
quello originario  stabilito  al  15  agosto  2021,  in  forza  della
modifica  apportata  dall'art.  17-ter,  comma  1,  lettera  d),  del
decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante «Misure  urgenti  per  il
rafforzamento  della   capacita'   amministrativa   delle   pubbliche
amministrazioni funzionale  all'attuazione  del  Piano  nazionale  di
ripresa e resilienza (PNRR)  e  per  l'efficienza  della  giustizia»,
convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2021, n. 113; 
    che tale disposizione, dunque, come correttamente evidenziato dal
rimettente, trova ancora applicazione nell'ambito del giudizio a quo,
avente ad oggetto la pretesa al pagamento di somme maturate nel  mese
di dicembre dell'anno 2016, cio' che e'  sufficiente  ai  fini  della
rilevanza delle questioni sollevate; 
    che il  rimettente,  in  punto  di  non  manifesta  infondatezza,
esclusa la possibilita'  di  una  interpretazione  costituzionalmente
orientata, muove dal presupposto che, per effetto della  disposizione
censurata, l'attivita' svolta da un giudice di pace oltre  la  soglia
di euro 72.000 e' destinata a rimanere «priva di indennita'  (rectius
priva di retribuzione)»; 
    che in cio' risiederebbe, appunto, il  contrasto  con  l'art.  36
Cost., in considerazione  della  natura  sostanzialmente  retributiva
dell'indennita'   destinata   a    compensare    anche    l'attivita'
«extra-soglia» del giudice di pace, dal rimettente  considerato  come
«lavoratore»; 
    che, infatti, per il giudice a quo, «emettere  sentenze  in  nome
del popolo italiano» costituirebbe  «un  lavoro  in  senso  tecnico»,
sicche' la disposizione censurata violerebbe il diritto  a  percepire
una retribuzione «proporzionale alla quantita' del lavoro svolto»; 
    che  sarebbe  violato,  altresi',  l'art.   97   Cost.,   e,   in
particolare, il principio  del  buon  andamento  dell'amministrazione
presidiato dal secondo comma (in tal  senso  dovendosi  precisare  il
riferimento al parametro evocato), leso da una  previsione  normativa
che  imporrebbe  «di  procrastinare  il   deposito   delle   sentenze
extra-soglia al successivo mese di gennaio», in tal modo  richiedendo
«al giudice condotte dilatorie, sol perche' si e' raggiunto il limite
massimo di spesa per l'anno in corso»; 
    che le questioni  sollevate  dal  Giudice  onorario  di  pace  di
Catanzaro devono essere dichiarate manifestamente inammissibili; 
    che, quanto alla censura mossa in riferimento all'art. 36  Cost.,
essa  si  fonda  sulla  ritenuta  natura  retributiva  del   compenso
spettante al giudice onorario di  pace,  dal  rimettente  qualificato
come «lavoratore» unicamente in  forza  dell'attivita'  di  «emettere
sentenze in nome del popolo italiano», che costituirebbe  «un  lavoro
in senso tecnico»; 
    che in tal modo, tuttavia, il giudice a quo non  fornisce  alcuna
reale motivazione sulle ragioni per le quali il compenso spettante ai
giudici onorari di pace deve essere considerato come avente carattere
retributivo; 
    che, infatti, il rimettente si astiene da qualsiasi confronto con
le norme applicabili ratione temporis e, in particolare,  con  quelle
dettate dalle altre disposizioni del medesimo art. 11 della legge  n.
374 del 1991,  secondo  cui  «[l]'ufficio  del  giudice  di  pace  e'
onorario» (comma 1) e i compensi  spettanti  per  l'attivita'  svolta
costituiscono  non   emolumenti   di   natura   retributiva,   bensi'
«indennita'» (cosi', espressamente, i commi 2, 3,  3-bis,  3-ter,  4,
4-bis e 4-ter) corrisposte  per  l'esercizio  di  funzioni,  appunto,
onorarie (sul carattere onorario delle funzioni,  ancora  da  ultimo,
sentenze n. 41 del 2021 e n. 267 del 2020); 
    che  il  rimettente,  del  resto,  neppure  si  e'  premurato  di
argomentare  le  proprie  censure  alla  luce  dell'evoluzione  della
giurisprudenza della Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea  (con
particolare riferimento  alla  sentenza  16  luglio  2020,  in  causa
C-658/18, UX, alla quale questa Corte ha  fatto  cenno  nella  citata
sentenza n. 267 del 2020), secondo cui, per il diritto  europeo,  «un
giudice  di  pace  che,  nell'ambito  delle  sue   funzioni,   svolge
prestazioni reali ed effettive, che non sono ne' puramente  marginali
ne' accessorie, e per le quali percepisce indennita' aventi carattere
remunerativo, puo' rientrare nella  nozione  di  "lavoratore"  [...],
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare»; 
    che, in disparte, in questa sede, ogni valutazione sugli  effetti
nell'ordinamento interno di  una  tale  statuizione,  e'  sufficiente
osservare come il giudice a quo non abbia  in  alcun  modo  adempiuto
all'onere  di  verificare  la  sussistenza   di   quelle   necessarie
condizioni alle quali la stessa  giurisprudenza  europea  vincola  il
riconoscimento, caso per caso, di un rapporto di  lavoro  subordinato
alla luce del diritto  europeo  (nell'interpretazione  fornita  dalla
Corte di giustizia), del resto dal rimettente neppure invocato per il
tramite dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    che, di conseguenza, per il modo in cui  la  questione  e'  stata
impostata dal rimettente, continua a essere fondata la presunzione di
non conferenza dell'evocazione del principio enunciato  nell'art.  36
Cost., come da risalente giurisprudenza di questa Corte (sentenza  n.
70  del  1971),  con  conseguente  manifesta  inammissibilita'  della
questione sollevata in riferimento ad esso; 
    che  analoga  sorte  va  riservata  alla  censura   fondata   sul
prospettato contrasto  con  l'art.  97,  secondo  comma,  Cost.,  dal
momento  che,  nella  giurisprudenza  costituzionale,   e'   costante
l'affermazione che il  principio  di  buon  andamento,  «pur  essendo
riferibile agli organi dell'amministrazione della giustizia,  attiene
esclusivamente alle  leggi  concernenti  l'ordinamento  degli  uffici
giudiziari ed il loro funzionamento sotto  l'aspetto  amministrativo;
mentre  tale  principio  e'  estraneo  all'esercizio  della  funzione
giurisdizionale»  (sentenza  n.  14  del  2019;  nello  stesso  senso
sentenze n. 80 del 2020, n. 90 del 2019, n. 91 del 2018 e n.  44  del
2016), funzione che viene in rilievo nella  questione  sollevata  dal
giudice a quo. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte  costituzionale,  quest'ultimo  nel   testo   vigente   ratione
temporis.