ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 248,  comma
4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali), promosso dal Consiglio  di
Stato, in sede  giurisdizionale,  sezione  quinta,  nel  procedimento
vertente tra il Comune di Santa Venerina e Ingegneria & Appalti  srl,
con ordinanza del 21 luglio 2021, iscritta al  n.  177  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione del Comune  di  Santa  Venerina  e
Ingegneria & Appalti srl, nonche' l'atto di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  4  ottobre  2022  il  Giudice
relatore Angelo Buscema; 
    uditi gli avvocati Andrea  Scuderi  e  Marcello  Clarich  per  il
Comune di Santa Venerina, Antonio Saitta per Ingegneria & Appalti srl
e l'avvocato dello Stato Gianni  De  Bellis  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 ottobre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 luglio 2021 (reg. ord. n. 177 del 2021),
il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale,  sezione  quinta,  ha
sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  248,
comma 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo  unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), in riferimento  agli
artt. 3, 5, 81, 97, 114 e 118 della Costituzione. 
    Riferisce il giudice rimettente di essere stato adito dal  Comune
di Santa Venerina per la riforma della sentenza del TAR  Lazio,  sede
di Roma, sezione seconda-bis, 18 agosto 2020, n. 9250,  resa  fra  il
medesimo Comune e la societa' Ingegneria & Appalti srl, nel  giudizio
di ottemperanza del lodo arbitrale del 13 luglio 2010, n.  95,  della
Camera  arbitrale  presso  l'Autorita'  di  vigilanza  sui  contratti
pubblici, con cui il Comune di Santa Venerina era stato condannato  a
risarcire alla  societa'  i  danni  conseguenti  alla  risoluzione  -
disposta a decorrere dal 1° gennaio 2009 dall'amministrazione  locale
- di una convenzione risalente  al  7  marzo  2003  e  avente  natura
trentennale (scadenza il 7 marzo  2033),  ai  sensi  della  quale  la
medesima societa' era risultata aggiudicatrice di un appalto  per  la
progettazione definitiva ed esecutiva, la costruzione e  la  gestione
degli impianti di trattamento delle acque destinate al consumo  umano
e acqua da tavola, incluso l'adeguamento dei serbatori esistenti  nel
Comune di Santa Venerina. 
    L'importo valutato in sede arbitrale a titolo di risarcimento dei
danni a favore della societa' ammontava in  linea  capitale  ad  euro
4.318.405,  oltre  ad  accessori,  costituiti   dalla   rivalutazione
monetaria e dagli interessi. 
    A causa dell'insostenibilita'  per  il  bilancio  comunale  della
somma dovuta, il Comune di Santa Venerina, con delibera del Consiglio
comunale del 12 marzo 2013, n. 9, dichiarava il proprio dissesto,  ai
sensi degli artt. 244 e seguenti t.u. enti locali e, contestualmente,
impugnava il lodo dinanzi alla  Corte  d'appello  di  Roma  che,  con
sentenza  29  luglio  2015,  n.  4643,  confermava  la  validita'   e
l'efficacia   della   decisione   arbitrale   (ad   eccezione   della
rivalutazione a titolo di maggior danno). Con ordinanza 9 marzo 2018,
n. 5835 la Corte  di  cassazione,  prima  sezione  civile,  rigettava
integralmente i ricorsi proposti da entrambe le parti. 
    In seguito all'adesione del Comune  alla  procedura  semplificata
(di cui all'art. 258 t.u. enti locali) e della conseguente erogazione
dell'anticipazione di liquidita' del Ministero dell'interno (art.  33
del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante «Misure urgenti  per
la  competitivita'  e  la   giustizia   sociale»,   convertito,   con
modificazioni, nella legge 23 giugno 2014, n. 89), il credito vantato
dalla societa' Ingegneria & Appalti srl e' stato inserito nella massa
passiva della procedura e liquidato  in  data  22  gennaio  2018  per
l'intero importo ammesso in linea capitale, nonche' per gli interessi
maturati fino al momento della dichiarazione del dissesto, ossia fino
all'11 marzo 2013  (euro  4.354.405,96  in  sorte  capitale  ed  euro
476.547,96  a  titolo  di  interessi,   per   un   totale   di   euro
4.830.953,92). 
    Una volta chiusa la gestione liquidatoria, con l'approvazione del
rendiconto (ex art. 256, comma 11, t.u. enti locali), la societa', in
data 4 giugno 2018, ha chiesto all'amministrazione, tornata in bonis,
il  pagamento   degli   interessi   maturati   successivamente   alla
dichiarazione di dissesto e, avendo ricevuto  risposta  negativa,  ha
promosso il richiamato  giudizio  di  ottemperanza,  per  l'integrale
esecuzione del lodo arbitrale, domanda accolta in primo grado dal TAR
Lazio, sede di Roma, con la menzionata sentenza n. 9250 del 2020. 
    Nei confronti di tale pronuncia, il Comune di Santa  Venerina  ha
presentato appello al Consiglio  di  Stato,  deducendo  che,  secondo
un'interpretazione «logico-sistematica» dell'art. 248, comma 4,  t.u.
enti locali, il dissesto sarebbe funzionale a garantire il  sollecito
ripristino della piena funzionalita' degli enti locali, il  pagamento
del  credito  per  l'intera  quota  capitale  durante  la   procedura
concorsuale avrebbe  «natura  transattiva  e  tombale»,  determinando
l'estinzione di tutti i debiti dell'ente. Sempre secondo  il  Comune,
peraltro, gli oneri maturati sul credito in linea  capitale  dopo  la
dichiarazione del dissesto - quantificati dalla societa' nella  prima
richiesta di pagamento del 4 giugno 2018 in euro 1.385.676,83 e nella
seconda  del  7  febbraio  2020  in  euro  1.812.677,50  -  sarebbero
insostenibili per il bilancio comunale, al punto da dover ricorrere a
un nuovo dissesto. 
    Ritenendo le questioni rilevanti e non manifestamente  infondate,
il Consiglio di Stato ha sospeso il giudizio e ha sollevato questioni
di legittimita' costituzionale dell'art.  248,  comma  4,  t.u.  enti
locali, sulla base delle seguenti motivazioni. 
    1.1.- In punto di  rilevanza,  afferma  il  rimettente  di  dover
necessariamente applicare nel giudizio la norma censurata, posto  che
essa rappresenta la premessa legislativa su cui si fonda  la  pretesa
creditoria della societa' appellata, precisando altresi' di non poter
percorrere l'opzione interpretativa seguita dall'ente  locale,  sugli
effetti  estintivi  del  pagamento  integrale  della  quota  capitale
disposto dall'organo straordinario  di  liquidazione  nella  fase  di
dissesto. Riferisce il  Consiglio  di  Stato,  infatti,  che  a  tale
interpretazione  osterebbe  non  solo  il  tenore   letterale   della
disposizione, ma la stessa  giurisprudenza  costituzionale  resa,  da
ultimo, nella sentenza n. 269 del 1998,  con  cui  la  Corte  avrebbe
dichiarato non fondate le questioni di legittimita' della  previgente
disposizione (art. 81, comma 4, del decreto legislativo  25  febbraio
1995, n. 77, recante «Ordinamento finanziario e contabile degli  enti
locali», come modificato dal decreto legislativo 11 giugno  1996,  n.
336, recante «Disposizioni  correttive  del  decreto  legislativo  25
febbraio 1995,  n.  77,  in  materia  di  ordinamento  finanziario  e
contabile degli enti locali»), precisando che,  in  coerenza  con  le
caratteristiche  di  una  procedura  concorsuale,   la   disposizione
relativa agli accessori del credito ha la  finalita'  di  determinare
esattamente la  consistenza  della  massa  passiva  da  ammettere  al
pagamento nell'ambito del dissesto dell'ente  locale,  ma  essa  «non
implica la "estinzione" dei crediti non ammessi o residui,  i  quali,
conclusa la procedura di liquidazione, potranno essere  fatti  valere
nei confronti dell'ente risanato». Questo precedente avrebbe chiarito
che  la  norma  in  questione  stabilisce  un  regime  di  temporanea
inesigibilita'  degli  accessori  del   credito,   strumentale   alla
liquidazione della massa passiva  dell'ente  locale,  e  destinato  a
cessare con la chiusura delle attivita' dell'organo straordinario  di
liquidazione (d'ora innanzi: OSL). 
    1.2.-  In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  sostiene  il
Consiglio  di  Stato  che  il  principio  espresso   dal   precedente
costituzionale ora  richiamato  debba  essere  rivalutato,  sotto  il
profilo della sua perdurante conformita' a  Costituzione,  alla  luce
della riforma  del  Titolo  V  della  Parte  II  della  Costituzione,
intervenuta nel 2001, che avrebbe riconosciuto  «in  modo  pieno»  ai
Comuni «la loro posizione di  ente  pubblico  territoriale  di  base,
esponenziale delle comunita'  locali,  in  attuazione  del  principio
fondamentale  del  pluralismo  autonomistico  espresso  dall'art.   5
Cost.». 
    La norma di cui all'art. 248, comma 4, t.u. enti locali  sarebbe,
dunque, anzitutto  costituzionalmente  illegittima  per  lesione  del
principio autonomista di  cui  all'art.  5  Cost.,  che  postulerebbe
l'esistenza necessaria dei comuni,  in  ragione  dell'inesauribilita'
delle funzioni e dei servizi pubblici loro attribuiti, quale  livello
di  governo  di  prossimita',  e  che  renderebbe  una   «conseguenza
costituzionalmente vincolata il loro ritorno in bonis». 
    La norma sull'inesigibilita' solo temporanea degli accessori  del
credito per gli enti in dissesto, in quanto  analoga  alla  normativa
applicabile all'imprenditore insolvente (segnatamente, l'art. 154 del
decreto legislativo 12 gennaio 2019, n.  14,  recante  «Codice  della
crisi d'impresa  e  dell'insolvenza  in  attuazione  della  legge  19
ottobre  2017,  n.   155»),   sarebbe   altresi'   costituzionalmente
illegittima per contrasto con il  principio  di  uguaglianza,  recato
dall'art. 3 Cost., poiche' sarebbero equiparate, sul piano normativo,
situazioni ontologicamente diverse. Afferma  il  giudice  rimettente,
infatti, che mentre lo scopo della procedura di dissesto  sarebbe  la
stabile rimozione degli squilibri di bilancio che  hanno  determinato
il dissesto dell'ente locale, nelle regole di matrice civilistica che
si applicano alla crisi dell'impresa, la sorte del soggetto  debitore
e'   indifferente.   Come   conseguenza   di    tale    equiparazione
«ingiustificata» e dell'applicazione, quindi, anche  all'ente  locale
delle regole sul decorso  degli  interessi  dei  crediti  commerciali
nell'ambito della procedura concorsuale,  l'obiettivo  della  stabile
rimozione degli  squilibri  di  bilancio  che  hanno  determinato  il
dissesto dell'ente sarebbe compromesso, poiche' all'ente  tornato  in
bonis sarebbero ancora imputabili  gli  interessi  maturati  dopo  la
dichiarazione del dissesto, nonostante l'intervenuto pagamento  della
quota capitale del debito da parte dell'OSL. Tale  norma,  in  ultima
analisi, nell'imputare all'ente tornato in bonis  gli  interessi  non
liquidabili dall'OSL, potrebbe rendere necessario un nuovo intervento
straordinario a carico della finanza pubblica  e  pertanto  innescare
una catena di dissesti, vanificando l'obiettivo di  riequilibrio  del
bilancio. 
    Sarebbe altresi' leso il principio di ragionevolezza, poiche'  la
vigente  disciplina  sugli  accessori  del  credito,  attribuendo  ai
creditori degli enti locali in dissesto una tutela eccessiva rispetto
a un equilibrato bilanciamento delle  contrapposte  esigenze  a  base
dell'istituto, determinerebbe il rischio di dissesti  in  successione
dell'ente locale, a scapito della collettivita' di cui l'ente  locale
e' istituzione pubblica esponenziale. 
    Il regime normativo degli accessori  del  credito  nei  confronti
dell'ente dissestato contrasterebbe, poi, con  gli  artt.  81  e  97,
primo  comma,  Cost.,  per  il  rischio  di  generare   dissesti   in
successione, cosi' compromettendo il percorso dell'ente locale  verso
l'obiettivo primario dell'equilibrio di bilancio,  con  la  rimozione
degli squilibri finanziari che ne avevano  determinato  il  dissesto,
rendendo   irrealizzabile   «qualsiasi   ragionevole   progetto    di
risanamento, in tal modo entrando in collisione sia con il  principio
di equita' intragenerazionale che intergenerazionale» (e'  citata  la
sentenza di questa Corte n. 18 del 2019). 
    Il  Consiglio  di  Stato  ravvisa  altresi'  un  contrasto  della
disciplina  censurata  con  il  principio  di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione, di cui all'art. 97, secondo  comma,  Cost.,
poiche', nonostante l'avvenuta liquidazione dei debiti accumulati  in
precedenza,   sarebbe   ostacolato   il   ripristino   della    piena
funzionalita' dell'ente locale, il quale  rimarrebbe  sempre  esposto
alle azioni dei  creditori  privati  a  tutela  dei  propri  diritti.
Verrebbe distorto, quindi, l'impianto complessivo  della  disciplina,
non solo sul dissesto, ma anche sulla "lotta" contro  i  ritardi  nei
pagamenti delle transazioni commerciali, che si  fonderebbe,  invece,
sul «rischio di insolvenza del debitore privato e  sulla  conseguente
esigenza di mercato di una sua maggiore remunerazione» (e' citata  la
sentenza di questa Corte n. 78 del 2020). 
    Sarebbero, infine, lesi gli artt. 114  e  118  Cost.  poiche'  il
regime di inesigibilita' solo temporanea degli accessori dei  crediti
commerciali, paventando per l'ente comunale il  possibile  succedersi
"a catena"  di  dissesti  finanziari,  contrasterebbe  con  il  ruolo
assegnato  dalla  Costituzione  al  comune,  quale  ente  di  governo
esponenziale  delle  comunita'  locali,   «radicato   nell'esperienza
storico-istituzionale  di  queste   ultime   e,   pertanto   preposto
all'esercizio delle funzioni amministrative e dei servizi rispondenti
ai bisogni primari della persona». 
    Ritiene, pertanto,  il  Consiglio  di  Stato  che  la  «soluzione
costituzionalmente  imposta»   per   rimuovere   tale   irragionevole
equiparazione di  situazioni  fra  loro  antitetiche  sia  quella  di
«considerare inesigibili in via definitiva e non solo temporanea  gli
accessori del  credito  nei  confronti  dell'ente  locale»  e  quindi
assegnare carattere estintivo al  pagamento  del  credito  per  quota
capitale ed interessi - maturati fino al  momento  dell'apertura  del
dissesto - disposto dall'OSL. 
    2.- Si e' costituita in giudizio  la  Ingegneria  &  Appalti  srl
chiedendo  che  le  questioni  siano  dichiarate   inammissibili   e,
comunque, manifestamente infondate. 
    2.1.- Secondo la resistente nel  giudizio  a  quo,  per  costante
giurisprudenza ordinaria e amministrativa, la norma di  cui  all'art.
248, comma 4, t.u. enti locali avrebbe carattere meramente sospensivo
e non precluderebbe all'interessato - una volta esaurita la  gestione
straordinaria  con  la  fine  della  procedura  di  dissesto   -   di
riattivarsi per la corresponsione delle stesse  poste  nei  confronti
dell'ente risanato  (sono  citate  numerose  sentenze  fra  cui,  TAR
Calabria, sezione di Reggio Calabria, 12 febbraio 2021, n.  131;  TAR
Sicilia, sezione di Catania, 30 luglio 2021, n.  2603;  Consiglio  di
Stato, sezione quinta, 19 settembre 2007, n. 4878 e  sezione  quarta,
17 maggio 2005, n. 2469; nonche' Corte di cassazione,  sezione  terza
civile, 29 gennaio 2003, n. 1265). 
    Riporta la difesa della  societa'  che  la  giurisprudenza  della
stessa sezione cui appartiene il  giudice  rimettente,  fino  a  poco
tempo fa, risultava allineata a tale interpretazione  dell'art.  248,
comma  4,  t.u.  enti  locali,  tanto  da  giudicare   manifestamente
infondata  una  analoga  questione  di  legittimita'   costituzionale
prospettatale, ritenendo che  non  ci  fosse  alcun  contrasto  della
disciplina sul dissesto, ne' con l'art. 41 Cost., «ne' con la  tutela
del diritto di credito, ai sensi dell'art. 3 della Costituzione letto
in combinato disposto con l'art. 1 del Protocollo» della  Convenzione
europea per i diritti dell'uomo (e' citata la sentenza del  Consiglio
di Stato, sezione quinta, 26 maggio 2020, n. 3338). 
    Rammenta la difesa della parte privata che, in passato, la  norma
censurata dall'odierno rimettente sarebbe stata  sottoposta  per  ben
quattro volte al giudizio  di  questa  Corte,  benche'  i  precedenti
costituzionali abbiano riguardato disposizioni normative contenute in
fonti antecedenti al d. lgs. n. 267 del  2000,  nel  quale  sono  poi
confluite, e abbiano affrontato censure per  certi  versi  opposte  a
quelle odierne, relative alla lesione di  prerogative  costituzionali
attribuite  ai  creditori  degli   enti   locali.   Tali   precedenti
giurisprudenziali  imporrebbero  di  respingere,  con   «insuperabili
argomenti», i dubbi  di  legittimita'  costituzionale  ipotizzati  in
quelle occasioni  e  precluderebbero  pertanto  l'accoglimento  delle
odierne questioni. 
    Piu' precisamente, con la sentenza n. 149 del 1994, questa  Corte
avrebbe affermato che, in mancanza  (a  quel  tempo)  di  un  diritto
vivente, la norma allora vigente (art. 21, comma 3, del decreto-legge
18 gennaio 1993, n. 8, recante «Disposizioni urgenti  in  materia  di
finanza  derivata  e  di  contabilita'  pubblica»,  convertito,   con
modificazioni,  in  legge  19  marzo  1993,  n.  68)  doveva   essere
interpretata nel senso di lasciare «in ogni caso impregiudicate tutte
le eventuali questioni (di merito) in ordine alla  sussistenza  della
pretesa creditoria», anche durante lo  stato  di  dissesto  dell'ente
locale. 
    Con la sentenza n. 155 del 1994, inoltre,  questa  Corte  avrebbe
affermato - avversando la tesi oggi propugnata dal rimettente -  che,
nelle more  del  dissesto,  i  debiti  del  comune  verso  i  privati
continuano a maturare accessori, ritenendo non in  contrasto  con  la
Costituzione  il  regime  giuridico,   allora   vigente,   dell'aiuto
finanziario dello Stato che poneva il creditore di un'amministrazione
territoriale in una posizione migliore rispetto al  creditore  di  un
privato. 
    Chiamata nuovamente a pronunciarsi sulla medesima norma,  con  la
successiva sentenza n. 242 del 1994, questa Corte avrebbe,  altresi',
chiarito che  «[q]uanto  [...]  al  profilo  relativo  alla  ritenuta
definitivita' della c.d. cristallizzazione del  credito  -  la  quale
concreterebbe una ingiustificata disparita' di  trattamento  rispetto
alla  procedura  fallimentare   per   essere   in   quest'ultima   la
cristallizzazione stessa soltanto temporanea posto che alla  chiusura
della  procedura  concorsuale  i  creditori  riacquistano  il  libero
esercizio della loro azione verso il debitore (ex art. 120 l.  fall.)
-  deve  escludersi  che  sussista  tale  denunziata  violazione  del
principio di eguaglianza. La corretta lettura della norma  censurata,
compiuta tenendo presente il quadro normativo complessivo  risultante
anche dalle disposizioni regolamentari dettate dal d.P.R. n. 378  del
1993, conduce a ritenere errata  l'opinione  del  giudice  rimettente
circa la pretesa definitivita' della lamentata cristallizzazione  dei
crediti». 
    Fugherebbe ogni dubbio, poi, la sentenza n. 269 del 1998, con cui
questa Corte avrebbe ribadito che rivalutazione ed interessi maturano
anche successivamente all'apertura della procedura, ma rimangono  non
opponibili ad essa ed esclusi dalla massa passiva,  restando  integra
la facolta' del creditore di azionare tali diritti nei confronti  del
comune, esaurita  la  gestione  straordinaria.  La  stessa  pronuncia
affermerebbe, poi, che  tale  interpretazione,  «compatibile  con  il
testo  normativo  e  coerente  con   i   principi   delle   procedure
concorsuali, non si presta ai dubbi  di  legittimita'  costituzionale
sollevati e deve dunque essere preferita dal giudice nell'individuare
il  contenuto  normativo  della   legge   della   quale   deve   fare
applicazione» (e' citata la sentenza n. 269 del 1998). 
    Secondo la  difesa  della  parte  privata,  dunque,  gli  approdi
costituzionali  teste'  richiamati   fornirebbero   l'interpretazione
costituzionalmente  orientata  dell'art.  248,  comma  4,  t.u.  enti
locali,  da  considerarsi  da  tempo   ormai   diritto   vivente,   e
renderebbero le odierne questioni manifestamente infondate. 
    2.2.-  Ad  adiuvandum,  afferma  ulteriormente  che   l'eventuale
accoglimento dei dubbi prospettati dal Consiglio di  Stato  lederebbe
«il principio ultramillenario ex  art.  2740  c.c.  secondo  cui  "il
debitore risponde dell'adempimento delle  obbligazioni  con  tutti  i
suoi  beni  presenti  e  futuri",  indipendentemente  dal  fatto  che
soggetto  passivo  dell'obbligazione  sia  un  privato  o   un   ente
pubblico». Non sarebbe nemmeno chiaro  dall'ordinanza  di  rimessione
perche', fra tutti gli enti della pubblica amministrazione,  solo  il
comune dovrebbe essere esentato  dalla  responsabilita'  patrimoniale
universale. 
    Invero, la disciplina dell'art. 248, comma 4,  t.u.  enti  locali
trarrebbe origine proprio dalla norma civilistica sulla  liquidazione
giudiziale  dell'imprenditore  commerciale,  come   interpretata   da
costante giurisprudenza, ai sensi della  quale  «la  sospensione  del
corso degli interessi sui crediti chirografari, di cui alla L. Fall.,
art. 55, comma 1, vale solo  all'interno  del  concorso,  mentre  nei
rapporti  intercorrenti  tra   ciascun   creditore   e   il   fallito
(l'imprenditore  insolvente)  gli  interessi  continuano  a  maturare
[...]. Ne consegue che, una volta chiuso il fallimento (la  procedura
concorsuale), i creditori possono richiedere al debitore  tornato  in
bonis non solo il pagamento della residua  somma  (comprensiva  degli
interessi preconcorsuali) ammessa al passivo  e  non  ricevuta  nella
ripartizione dell'attivo, ma anche  gli  interessi  sul  credito  per
sorte capitale ammesso, come normalmente e ordinariamente  prodottisi
durante il  tempo  della  pendenza  della  procedura»  (e'  riportata
l'ordinanza della Corte  di  cassazione,  sezione  prima  civile,  12
maggio 2021, n. 12559). 
    Tale schema sarebbe mutuato dal legislatore per la procedura  sul
dissesto, di cui all'art. 248, comma 4, t.u. enti  locali,  normativa
gia' giudicata conforme a Costituzione dalla richiamata  sentenza  n.
269 del 1998, in cui la Corte avrebbe affermato che «[l]a  norma,  in
coerenza con le caratteristiche di una procedura concorsuale,  ha  la
finalita' di determinare in maniera certa e definitiva, rispetto alla
procedura, la massa passiva, in  modo  da  consentire  il  pagamento,
totale o parziale, dei debiti con la  massa  attiva.  Ma  questo  non
implica la "estinzione" dei crediti non ammessi o residui,  i  quali,
conclusa la procedura di liquidazione, potranno essere  fatti  valere
nei confronti dell'ente risanato». 
    La soluzione ipotizzata  dal  rimettente,  per  contro  -  sempre
secondo la difesa della  parte  privata-  sarebbe  costituzionalmente
illegittima, in quanto, prevedendo l'estinzione definitiva dei debiti
residui, si porrebbe in netto contrasto con i principi di uguaglianza
e di imparzialita' di cui agli artt. 3 e 97 Cost. Si  determinerebbe,
infatti, un'ingiustificata asimmetria a danno del creditore  privato,
che  subirebbe  per  intero  l'inadempimento  dell'ente   locale,   a
differenza di quanto avverrebbe nei confronti di un soggetto  privato
debitore. Parimenti ingiustificata e  costituzionalmente  illegittima
sarebbe la disuguaglianza che si  creerebbe  fra  due  creditori  del
medesimo comune,  in  ipotesi,  con  riferimento  a  obbligazioni  di
identica natura, ma sorte in momenti diversi, che vedrebbero trattato
diversamente il proprio credito, a seconda  che  rientri  o  non  nel
periodo di competenza della procedura di dissesto. 
    Sarebbe, infine,  privo  di  pregio  il  richiamo  al  precedente
costituzionale di cui alla  sentenza  n.  18  del  2019,  perche'  la
fattispecie decisa in quell'occasione sarebbe del  tutto  diversa  da
quella  odierna,  trattandosi  in  quel  caso  di  una   norma   che,
consentendo  l'allungamento  dei  tempi  di  rientro  dei  piani   di
riequilibrio degli enti locali in dissesto, alterava l'equilibrio  di
bilancio per un lunghissimo periodo e consentiva «di  destinare,  per
un trentennio, in ciascun esercizio relativo  a  tale  periodo,  alla
spesa di parte corrente somme necessarie al rientro dal disavanzo». 
    3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che venga  dichiarata  anzitutto  l'inammissibilita'
delle   questioni,   per   omesso   tentativo   di    interpretazione
costituzionalmente orientata della norma. 
    Premesso  che,  per   costante   giurisprudenza   costituzionale,
l'illegittimita'  costituzionale  viene  dichiarata  non  quando  sia
possibile dare alle leggi interpretazioni incostituzionali, ma quando
sia impossibile dare alle leggi  interpretazioni  costituzionali  (e'
citata la sentenza n. 49 del 2011), secondo la  difesa  erariale  non
puo' comprendersi come il rimettente possa al contempo affermare  che
«l'interpretazione dell'art. 248, comma 4, T.u.e.l. data dalla  Corte
costituzionale nel precedente  piu'  volte  richiamato  non  consente
[...] di  ritenere,  sul  distinto  piano  dell'ammissibilita'  delle
questioni di costituzionalita', che i possibili profili di  contrasto
della disposizione di legge applicabile nel presente  giudizio  siano
superabili in via interpretativa» e chiedere, poi, che  il  principio
affermato dalla Corte venga rivalutato, «quanto meno sotto il profilo
della sua perdurante conformita' alla Carta fondamentale,  alla  luce
della successiva riforma del  titolo  V  della  parte  seconda  della
Costituzione». Ritiene, pertanto, l'Avvocatura generale  dello  Stato
che il rimettente avrebbe  dovuto  cercare  di  dare  alla  normativa
censurata una  interpretazione  costituzionalmente  orientata,  anche
alla luce del mutato quadro costituzionale e legislativo  all'interno
del quale si inserisce la norma. 
    Le questioni sarebbero in  ogni  caso  non  fondate,  poiche'  la
scelta di equiparare - ai fini della sospensione degli interessi - la
situazione sul dissesto degli enti locali a quella della procedura di
liquidazione  giudiziale,  costituirebbe  espressione  dell'esercizio
della discrezionalita' del  legislatore,  sindacabile  esclusivamente
sotto il profilo della palese irragionevolezza, che non  ricorrerebbe
nel caso in esame. 
    4.- Si e'  costituito  in  giudizio  anche  il  Comune  di  Santa
Venerina, e ha chiesto che vengano accolte le censure  formulate  dal
rimettente, proponendo le  medesime  argomentazioni  prospettate  dal
Consiglio di Stato in ordine alla lesione degli artt. 3, 5,  81,  97,
114 e 118 Cost. 
    5.- Con memoria depositata nei termini, la difesa di Ingegneria &
Appalti srl ha ribadito la  manifesta  infondatezza  delle  questioni
sollevate dal Consiglio di Stato, poiche' quest'ultimo  avrebbe  dato
un'interpretazione atomistica della disposizione di cui all'art. 248,
comma 4, t.u. enti locali, senza tener conto del sistema normativo in
cui la norma si colloca. L'erronea  prospettiva  ermeneutica  da  cui
avrebbe preso le mosse l'ordinanza di rimessione avrebbe  indotto  il
Consiglio  di  Stato  a  postulare  come  contrarie  a   costituzione
conseguenze   applicative   che   pero'    non    sarebbero    frutto
dell'irragionevolezza della norma  in  discussione,  ne'  dell'intero
sistema normativo, ma esclusivamente  della  «condizione  deficitaria
estrema in cui, di fatto, un'amministrazione locale si puo' venire  a
trovare». 
    6.- Il Comune di Santa Venerina ha depositato  ulteriore  memoria
in  cui  sostiene  che,  alla  luce  delle  modifiche  costituzionali
intervenute nel 2001 al Titolo V della Parte II della Costituzione  e
nel  2012  (con  l'introduzione  del  principio  dell'equilibrio   di
bilancio per tutte  le  pubbliche  amministrazioni  e  per  gli  enti
territoriali), il dubbio di legittimita' costituzionale sollevato dal
Consiglio  di  Stato  debba  ritenersi  fondato,  poiche'   sarebbero
prevalenti e assorbenti esigenze di stabilita' di bilancio,  rispetto
alle esigenze «di natura  "organizzativa"»,  collegate  all'andamento
della procedura liquidatoria, che avevano giustificato la sentenza di
questa Corte n. 269 del 1998, secondo una lettura  sistematica  delle
norme, raffrontate alla Costituzione allora vigente. 
    Infine, la difesa del Comune di Santa  Venerina  afferma  che  la
norma censurata sarebbe irragionevolmente equiparata alla  disciplina
sul fallimento privatistico, per due  ordini  di  motivi,  indicativi
della  non  assimilabilita'  del  dissesto  degli  enti  locali  alle
procedure liquidatorie di natura commerciale. Il primo consiste nella
previsione  dell'intervento  statale  quale   «pagatore   di   ultima
istanza», per la copertura del disavanzo dell'ente locale  e  per  il
suo  risanamento,  norma   assente   nelle   procedure   fallimentari
privatistiche. Il secondo motivo «di natura  teleologica»  -  sarebbe
collegato e derivante dai nuovi principi sanciti dagli artt. 97,  114
e 118 Cost. - si rinverrebbe nel fatto che la sopravvivenza dell'ente
locale e dell'esercizio delle funzioni pubbliche  affidategli  e'  un
elemento essenziale, mentre  nelle  procedure  concorsuali  la  sorte
dell'imprenditore sarebbe «del tutto irrilevante». 
    Ritiene  pertanto  il  Comune  che,  trattandosi   di   posizioni
ontologicamente e funzionalmente  diseguali,  il  mantenimento  della
norma  censurata  sia  irragionevole  e  lesivo  del   principio   di
uguaglianza. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord.  n.  177  del
2021), il  Consiglio  di  Stato,  in  sede  giurisdizionale,  sezione
quinta,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 248, comma 4, t.u. enti locali, ai sensi del quale «[d]alla
data della deliberazione di  dissesto  e  sino  all'approvazione  del
rendiconto di cui all'articolo 256 i debiti insoluti a tale data e le
somme dovute per anticipazioni di cassa gia'  erogate  non  producono
piu' interessi ne' sono soggetti a  rivalutazione  monetaria.  Uguale
disciplina  si  applica  ai  crediti  nei  confronti  dell'ente   che
rientrano nella competenza dell'organo straordinario di  liquidazione
a decorrere dal momento della loro liquidita' ed esigibilita'». 
    Secondo  il  rimettente,  la  disposizione,   nell'omologare   la
disciplina sugli accessori del credito a quella dell'impresa in stato
di insolvenza - anziche'  prevedere  che  il  pagamento  della  quota
capitale  del   debito,   eseguito   dall'organo   straordinario   di
liquidazione (d'ora innanzi: OSL), abbia natura estintiva  -  sarebbe
lesiva degli artt. 3, 5, 81, 97, 114 e 118 Cost. 
    1.1.-  Piu'  precisamente,  il   giudice   a   quo   assume   che
l'inesigibilita' solo temporanea degli accessori del credito per  gli
enti in dissesto, analogamente a quanto previsto  per  l'imprenditore
insolvente sottoposto a procedura concorsuale (art. 154 del d.lgs. n.
14 del 2019), sarebbe costituzionalmente  illegittima  per  contrasto
con  il  principio  di  uguaglianza,  poiche'  equipara,  sul   piano
normativo, situazioni ontologicamente diverse, essendo i comuni  enti
esponenziali della collettivita' amministrata,  non  assimilabili  ai
privati. 
    Sarebbe altresi' leso il principio di ragionevolezza, poiche'  la
vigente disciplina  sugli  accessori  del  credito  attribuirebbe  ai
creditori degli enti locali  in  dissesto  una  tutela  eccessiva,  a
scapito della collettivita' di cui il comune e' espressione. 
    Il regime normativo degli accessori  del  credito  nei  confronti
dell'ente dissestato contrasterebbe, poi, con  gli  artt.  81  e  97,
primo  comma,  Cost.,  per  il  rischio  di  generare   dissesti   in
successione, cosi' compromettendo il percorso dell'ente locale  verso
l'obiettivo   primario   dell'equilibrio   di   bilancio,    rendendo
irrealizzabile, «qualsiasi ragionevole progetto  di  risanamento,  in
tal modo entrando in collisione  sia  con  il  principio  di  equita'
intragenerazionale che intergenerazionale». 
    Il Consiglio di Stato ravvisa, altresi', un contrasto della norma
censurata  con  il  principio  di  buon  andamento   della   pubblica
amministrazione, di cui all'art. 97, secondo comma,  Cost.,  poiche',
nonostante la liquidazione  dei  debiti  precedentemente  accumulati,
sarebbe ostacolato il ripristino della piena funzionalita'  dell'ente
locale,  il  quale  rimarrebbe  esposto  alle  azioni  dei  creditori
privati. 
    Sarebbero, infine, violati gli artt. 5, 114 e 118 Cost.,  poiche'
il regime di  inesigibilita'  solo  temporanea  degli  accessori  dei
crediti  commerciali,  consentendo  una   successione   di   dissesti
finanziari "a catena", sarebbe incompatibile con il  ruolo  assegnato
dalla Costituzione al comune,  quale  ente  di  governo  esponenziale
delle      comunita'      locali,      «radicato      nell'esperienza
storico-istituzionale  di  queste   ultime   e,   pertanto   preposto
all'esercizio delle funzioni amministrative e dei servizi rispondenti
ai bisogni primari della persona». 
    1.2.- Riferisce il Giudice rimettente di essere stato  adito  dal
Comune di Santa Venerina per la riforma della sentenza del TAR Lazio,
sede di Roma, sezione seconda-bis, 18 agosto 2020, n. 9250, resa  fra
il medesimo Comune e  la  societa'  Ingegneria  &  Appalti  srl,  nel
giudizio di ottemperanza del lodo arbitrale richiamato  nel  Ritenuto
in fatto, con cui il Comune di Santa Venerina era stato condannato  a
risarcire alla societa' i danni conseguenti alla risoluzione  di  una
convenzione trentennale per la progettazione,  la  costruzione  e  la
gestione degli impianti  di  trattamento  delle  acque  destinate  al
consumo  umano  e  da  tavola,  e  che  aveva  portato  l'ente   alla
deliberazione di dissesto. 
    Una volta conclusa la gestione liquidatoria -  durante  la  quale
l'OSL aveva pagato il debito alla societa' Ingegneria &  Appalti  srl
in  quota  capitale  e  interessi,  maturati  fino   alla   data   di
deliberazione del dissesto - la medesima societa'  aveva  chiesto  al
Comune  tornato  in  bonis  il  pagamento  degli  interessi  maturati
successivamente alla dichiarazione di dissesto,  ai  sensi  dell'art.
248,  comma   4,   t.u.   enti   locali.   A   fronte   del   rifiuto
dell'amministrazione di pagare gli ulteriori interessi,  la  societa'
ha proposto il richiamato giudizio  di  ottemperanza,  che  e'  stato
accolto in primo grado dal TAR. Nel corso dell'appello, il  Consiglio
di  Stato  ha  sollevato  le  presenti  questioni   di   legittimita'
costituzionale. 
    1.3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  sia  dichiarata  anzitutto  l'inammissibilita'
delle   questioni,   per   omesso   tentativo   di    interpretazione
costituzionalmente orientata della norma  e,  in  subordine,  che  la
questione sia dichiarata non fondata poiche' la scelta di  equiparare
- ai fini della sospensione  degli  interessi  -  la  situazione  sul
dissesto  degli  enti  locali  a  quella  dell'impresa  sottoposta  a
procedura concorsuale costituirebbe espressione dell'esercizio  della
discrezionalita' del legislatore, sindacabile esclusivamente sotto il
profilo della palese irragionevolezza, che non ricorrerebbe nel  caso
in esame. 
    2.- In via preliminare,  deve  essere  disattesa  l'eccezione  di
inammissibilita' sollevata dalla difesa dello Stato, secondo  cui  il
rimettente non avrebbe esperito il doveroso tentativo di interpretare
l'art.  248,  comma  4,  t.u.  enti  locali  in  senso   conforme   a
Costituzione. 
    Il Consiglio di  Stato  ha,  infatti,  espressamente  escluso  la
praticabilita'  di  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
della disposizione censurata,  affermando  di  non  poter  percorrere
l'opzione ermeneutica prospettata dall'ente  locale,  sugli  asseriti
effetti estintivi del pagamento integrale  della  quota  capitale  da
parte  dell'OSL.  A  tale  interpretazione,  secondo  il  rimettente,
osterebbe non solo il tenore letterale della disposizione,  ma  anche
l'orientamento espresso da questa Corte, e da ultimo con la  sentenza
n. 269 del 1998, che  ha  dichiarato  non  fondate  le  questioni  di
legittimita' avente ad oggetto la  medesima  norma,  contenuta  pero'
nella previgente disposizione (art. 81, comma 4, del d.lgs. n. 77 del
1995, come modificato dal d.lgs. n. 336  del  1996).  Nel  precedente
richiamato, questa Corte ha precisato che la norma in questione detta
un regime d'inesigibilita'  (solo)  temporanea  degli  accessori  del
credito, strumentale alla liquidazione della massa passiva  dell'ente
locale nell'ambito della procedura di dissesto e destinato a  cessare
con la chiusura delle attivita' dell'OSL. 
    Come  questa  Corte  afferma,  con  indirizzo   ormai   costante,
«l'effettivo  esperimento  del  tentativo  di   una   interpretazione
costituzionalmente orientata - ancorche' risolto dal  giudice  a  quo
con esito negativo  per  l'ostacolo  ravvisato  nella  lettera  della
disposizione  denunciata  -  consente  di  superare  il   vaglio   di
ammissibilita' della questione incidentale sollevata. La  correttezza
o  meno  dell'esegesi  presupposta  dal  rimettente  -  e,  piu'   in
particolare, la superabilita'  o  non  superabilita'  degli  ostacoli
addotti  a  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata   della
disposizione censurata - attiene  invece  al  merito,  e  cioe'  alla
successiva verifica di fondatezza della questione stessa» (da ultimo,
sentenza n. 204 del 2021). 
    3.- Al fine dell'esame  del  merito,  onde  valutare  le  censure
formulate in riferimento all'art. 3 Cost., giova  premettere  l'esame
della disciplina  sugli  accessori  del  credito  nella  liquidazione
giudiziale dell'impresa privata, che funge da tertium  comparationis,
e, specificamente, la norma che impone la sospensione del corso degli
interessi, contenuta nel comma 1 dell'art. 154 del d.lgs. n.  14  del
2019, ai sensi  del  quale  «[l]a  dichiarazione  di  apertura  della
liquidazione   giudiziale   sospende   il   corso   degli   interessi
convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura
della procedura  ovvero  fino  all'archiviazione  disposta  ai  sensi
dell'articolo 234, comma 7, a meno che i crediti non siano  garantiti
da  ipoteca,  da  pegno  o  privilegio,  salvo  quanto  e'   disposto
dall'articolo 153, comma 3». 
    Tale   disposizione   ricalca   sostanzialmente   la   precedente
disciplina recata dagli artt. 55, comma 1, e 120 del regio decreto 16
marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo, dell'amministrazione  controllata  e  della  liquidazione
coatta amministrativa), prima che  il  d.lgs.  n.  14  del  2019,  in
attuazione della legge di delega  n.  155  del  2017,  adottasse  una
revisione organica e sistematica del regime concorsuale, al  fine  di
dare unitarieta' a una materia gia' oggetto di molteplici  interventi
legislativi. 
    In proposito, la giurisprudenza di legittimita'  ha  riconosciuto
la responsabilita' del debitore insolvente, tornato in bonis, per gli
interessi maturati nel corso della procedura concorsuale, pur essendo
tutti i creditori gia' stati  pagati  integralmente  per  capitale  e
interessi nel corso della procedura (ex multis, Corte di  cassazione,
sezione prima civile, ordinanza 12 maggio 2021, n. 12559; sentenze  9
luglio 2020, n. 14527 e 19 giugno 2020, n. 11983), ed ha chiarito che
la ratio di tale  normativa  risiede  nel  generale  principio  della
responsabilita'  patrimoniale  sancito  dall'art.  2740  del   codice
civile, che si applica anche alle procedure concorsuali. 
    4.- Tanto premesso e passando all'esame del merito, la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art.  248,  comma  4,  t.u.  enti
locali, sollevata in riferimento al principio di eguaglianza, non  e'
fondata. 
    Il rimettente assume, quale tertium comparationis, l'art. 154 del
codice della  crisi  d'impresa  e  dell'insolvenza,  che  prevede  la
medesima  sorte  degli  accessori   del   credito   stabilita   dalla
disposizione  censurata,  consistente  nell'asserita   ingiustificata
equiparazione, sul piano  normativo,  di  situazioni  ontologicamente
diverse, posto che i comuni non  sarebbero  omologabili  ai  privati,
essendo enti esponenziali della collettivita' amministrata. 
    4.1.- Questa Corte, nell'esaminare la disposizione - contenuta in
una fonte  previgente  a  quella  oggetto  dell'odierno  scrutinio  -
relativa agli interessi sul debito degli enti  locali,  ha  affermato
che, in coerenza con le caratteristiche di una procedura concorsuale,
la disposizione relativa agli accessori del credito ha  la  finalita'
di determinare esattamente la  consistenza  della  massa  passiva  da
ammettere al pagamento nell'ambito del dissesto dell'ente locale,  ma
essa «non implica la "estinzione" dei crediti non ammessi o  residui,
i quali, conclusa la procedura di liquidazione, potranno essere fatti
valere nei confronti dell'ente risanato» (sentenza n. 269 del  1998).
Ha altresi' precisato, con riferimento al «blocco di rivalutazione ed
interessi»,  in  pendenza  della  procedura  concorsuale,  che   tale
meccanismo risulta finalizzato alla realizzazione della par condicio,
oltre che a impedire un  ulteriore  deterioramento  della  condizione
patrimoniale del debitore (sentenza n. 242 del 1994). 
    In sostanza, l'esigenza che le  disposizioni  poste  a  raffronto
mirano a soddisfare  afferisce  specificamente  alla  condizione  dei
creditori - tanto dell'ente locale,  quanto  dell'imprenditore  -  di
essere tutelati in  modo  analogo,  ancorche'  l'ordinamento  preveda
misure atte ad assicurare la  continuita'  delle  funzioni  dell'ente
locale oltre il dissesto. 
    Emblematico, in proposito, e' il disposto  dell'art.  256,  comma
12, t.u. enti locali, che prevede specificamente per l'ente locale in
dissesto -  in  caso  di  incapienza  della  massa  attiva,  tale  da
comprometterne il risanamento  -  la  possibilita'  per  il  Ministro
dell'interno di  stabilire  misure  straordinarie  per  il  pagamento
integrale della massa passiva della  liquidazione,  anche  in  deroga
alle norme vigenti, senza oneri a carico dello Stato. 
    5.- Parimenti non e' fondata la censura formulata in  riferimento
al principio di ragionevolezza. 
    L'assunto  del  giudice  rimettente,  secondo  cui   la   vigente
disciplina sugli accessori del  credito  attribuirebbe  ai  creditori
degli enti locali in dissesto una tutela eccessiva  a  scapito  della
collettivita' di cui l'ente locale e' esponenziale, non  tiene  conto
del fatto che la disciplina sul dissesto (artt. 244 e  seguenti  t.u.
enti locali) contiene una serie di misure volte a consentire,  da  un
lato, che l'OSL gestisca il passivo pregresso (a tutela  della  massa
dei creditori) e, dall'altro lato, che il comune continui a  esistere
e operare (in quanto ente necessario), con  un  bilancio  autonomo  e
distinto da quello dell'OSL,  finalizzato  non  solo  a  gestire  gli
affari correnti, connessi soprattutto ai servizi essenziali, ma  pure
ad accantonare  risorse  per  il  pagamento  di  eventuali  debiti  o
accessori  che  dovessero  generarsi  in  pendenza   della   gestione
liquidatoria. 
    Le attuali norme  sul  dissesto  sono  dunque  espressive  di  un
bilanciamento non irragionevole tra  l'esigenza,  che  e'  alla  base
della sicurezza dei traffici commerciali, che si correla all'art.  41
Cost., di tutelare i creditori e l'esigenza di  ripristinare  sia  la
continuita' di esercizio dell'ente locale incapace di assolvere  alle
funzioni, sia i servizi indispensabili per la comunita' locale. 
    Benche', dunque, con la separazione tra le attivita'  finalizzate
al risanamento e quelle  di  liquidazione  della  massa  passiva,  il
dissesto abbia assunto una fisionomia che lo avvicina  al  fallimento
dell'impresa, la  normativa,  complessivamente  considerata,  include
anche dei correttivi, a  tutela  sia  dell'ente  locale  -  che  deve
continuare a esistere - sia dei creditori, che  possono  contare  sul
contributo a carico dello Stato (in tal  senso,  anche  Consiglio  di
Stato, adunanza plenaria, 12 gennaio 2022, n. 1). 
    6.- Prive di  fondamento  sono  anche  le  censure  formulate  in
riferimento agli artt. 5, 81, 97, primo e secondo comma,  114  e  118
Cost. 
    Secondo il rimettente, la disposizione denunciata sarebbe  idonea
a innescare una serie di dissesti "a catena", cosi' da  compromettere
irrimediabilmente il raggiungimento  dell'equilibrio  di  bilancio  e
della piena funzionalita' dell'ente locale,  ponendosi  in  contrasto
con il ruolo assegnato al comune dalla Costituzione. 
    Tale valutazione non e' condivisibile. 
    Deve invero osservarsi che  la  particolare  fattispecie  da  cui
origina il giudizio a quo riguarda un Comune di  piccole  dimensioni,
che aveva pero' generato un debito ingente. Il dissesto  "a  catena",
che il rimettente imputa all'art. 248, comma 4, t.u. enti locali, non
e' la conseguenza diretta della norma, ma e' attribuibile piuttosto a
scelte amministrative dell'ente, il  quale  -  nella  pendenza  della
procedura di dissesto  -  avrebbe  dovuto  apprestare  misure,  anche
contabili,   idonee   a   garantire   il   piu'   rapido   ripristino
dell'equilibrio finanziario (artt. 259 e seguenti t.u. enti locali). 
    In proposito, questa Corte ha gia' ribadito che il pagamento  dei
debiti  scaduti  della  pubblica   amministrazione   rappresenta   un
«"obiettivo prioritario [...] non  solo  per  la  critica  situazione
economica che il ritardo ingenera nei soggetti  creditori,  ma  anche
per la stretta connessione con l'equilibrio finanziario  dei  bilanci
pubblici, il quale viene intrinsecamente  minato  dalla  presenza  di
situazioni debitorie non onorate tempestivamente"  (sentenza  n.  250
del 2013)» (sentenza n. 78 del 2020). 
    Nel caso oggetto del giudizio a quo,  ad  esempio,  la  possibile
nuova dichiarazione di dissesto a cui - si assume -  sarebbe  esposto
il Comune di Santa Venerina  non  e'  dunque  imputabile  alla  norma
censurata,  ma  rappresenta  piuttosto  un  inconveniente  di  fatto,
inidoneo,  da  solo,   a   fondare   un   profilo   di   legittimita'
costituzionale (ex multis, sentenze n. 220 del 2021, n. 115 del 2019,
n. 225 del 2018). 
    Peraltro, come questa Corte ha gia' chiarito, il quadro normativo
e  quello  costituzionale  vigenti  consentono   di   affrontare   le
situazioni patologiche della finanza locale, sia quando queste  siano
imputabili a caratteristiche socio-economiche della  collettivita'  e
del territorio, mediante l'attivazione dei meccanismi di solidarieta'
previsti dall'art. 119, terzo  e  quinto  comma,  Cost.  (quindi,  in
ipotesi di deficit  strutturali);  sia  quando  le  disfunzioni  sono
dovute a patologie organizzative, per il rilievo  e  contrasto  delle
quali il decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni  urgenti
in materia  di  finanza  e  funzionamento  degli  enti  territoriali,
nonche' ulteriori disposizioni in favore delle zone  terremotate  nel
maggio 2012), convertito, con modificazioni, nella legge  7  dicembre
2012, n.  213,  ha  previsto  strumenti  puntuali  e  coordinati  per
prevenire situazioni di  degrado  progressivo  nella  finanza  locale
(sentenza n. 115 del 2020). 
    Seppur  con  riferimento  a  leggi  regionali,  questa  Corte  ha
altresi' ribadito che le norme che comportino spese, quando non siano
connesse a prestazioni riconducibili  a  diritti  fondamentali,  sono
assoggettate  al  «principio  della  sostenibilita'  economica»   (ex
multis, sentenze n. 190 del 2022, n. 62  del  2020  e,  nello  stesso
senso, n. 227 del 2019). In altri termini, un  comune,  nell'assumere
un  impegno  di  spesa  pluridecennale,  dovrebbe   prestare   idonea
considerazione  alla   relativa   sostenibilita'   finanziaria,   con
l'indicazione delle risorse effettivamente disponibili, con studi  di
fattibilita' di natura tecnica e finanziaria  e  con  l'articolazione
delle singole coperture finanziarie (sentenza n.  227  del  2019),  a
presidio della sana gestione finanziaria. 
    Deve tuttavia osservarsi che, nel caso oggi all'esame  di  questa
Corte, il profilo dell'esposizione debitoria  per  interessi  passivi
per  ritardati  pagamenti  assume  particolare  rilievo,  anche   «in
considerazione  [...]  del  loro  specifico  e  oneroso  criterio  di
calcolo,  [che]  riduce  le  effettive  risorse  da  destinare   alle
finalita' istituzionali» (sentenza n. 78 del 2020). 
    7.- Il tema dell'imputabilita' all'ente risanato dei  debiti  non
soddisfatti  dall'OSL  e'  stato  peraltro   segnalato   di   recente
dall'Osservatorio sulla finanza e la contabilita' degli  enti  locali
istituito presso il Ministero dell'interno  («Criticita'  finanziarie
degli enti locali. Cause e spunti  di  riflessione  per  una  riforma
delle procedure di  prevenzione  e  risanamento»,  pubblicato  il  12
luglio 2019), il quale, nel valutare gli strumenti  posti  in  essere
dal legislatore per fronteggiare le situazioni di  crisi  degli  enti
locali  -  segnatamente,  il  dissesto,  il  dissesto  guidato  e  la
procedura di riequilibrio finanziario -  ne  ha  messo  in  luce  gli
aspetti problematici, riferiti in particolare alla facolta'  concessa
ai creditori di rifiutare la proposta transattiva formulata dall'OSL,
ovvero di chiedere all'ente  tornato  in  bonis  eventuali  interessi
maturati nel corso della procedura. 
    In  questa  prospettiva,  il  legislatore,   nell'apprestarsi   a
riformare la normativa sulla crisi  finanziaria  degli  enti  locali,
potra' prestare adeguata attenzione  alle  diverse  esigenze  che  si
contrappongono.