ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 5,  commi
3, 19, 25, 26 e 29; 6, comma 32; 20, comma 1; e  35  comma  5,  della
legge della Regione Sardegna 22 novembre 2021, n. 17 (Disposizioni di
carattere  istituzionale-finanziario  e  in   materia   di   sviluppo
economico e sociale),  promosso  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri con ricorso notificato il 24  gennaio  2022,  depositato  in
cancelleria il 27 gennaio  2022,  iscritto  al  n.  12  del  registro
ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
n. 11, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna; 
    udito nell'udienza pubblica  del  22  novembre  2022  il  Giudice
relatore Angelo Buscema; 
    uditi l'avvocato dello Stato Gianna Galluzzo  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e gli  avvocati  Mattia  Pani  e  Giovanni
Parisi per la Regione autonoma Sardegna; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 novembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al registro ricorsi n. 12 del  2022,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  promosso  questioni  di
legittimita'  costituzionale  di  vari  articoli  della  legge  della
Regione Sardegna 22 novembre 2021, n. 17 (Disposizioni  di  carattere
istituzionale-finanziario  e  in  materia  di  sviluppo  economico  e
sociale). Tra questi, sono  ora  all'esame  di  questa  Corte  quelle
concernenti gli artt. 5, commi 3, 19, 25, 26 e 29; 6, comma  32;  20,
comma l; e 35, comma 5, della stessa legge. 
    1.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha  impugnato,  in
primo luogo, l'art. 5, comma 3, della legge reg. Sardegna n.  17  del
2021 per violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera  l),
Cost., in relazione agli artt. 19 e 28  del  decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e dell'art.  3,  lettera
a), della legge  costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  3  (Statuto
speciale per la Sardegna). 
    Sostiene l'Avvocatura generale dello Stato  che  la  disposizione
impugnata  prevederebbe  requisiti  di  accesso  alla  dirigenza  non
conformi al quadro regolativo nazionale disciplinato dagli artt. 19 e
28 del d.lgs. n. 165 del 2001, perche' sostituirebbe il requisito del
titolo di studio della laurea, previsto dai parametri indicati per il
suddetto accesso, con quello della mera anzianita' di servizio. 
    In  tal  modo,  la   normativa   regionale,   che   non   sarebbe
riconducibile a profili di autonomia organizzativa della Regione,  si
porrebbe in  contrasto  con  la  disciplina  ordinamentale  e  con  i
principi di cui agli artt. 117, secondo comma, lettera l), e 97 Cost.
(e' citata la sentenza di questa Corte n. 324 del 2010). 
    L'art. 5, comma  3,  violerebbe  anche  l'art.  3  dello  statuto
speciale per la Sardegna il quale, pur se alla lettera a) prevede una
competenza  legislativa  esclusiva  della   Regione   nella   materia
«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e
stato  giuridico  ed  economico  del  personale»,  limiterebbe   tale
competenza  entro  i  confini  della  Costituzione  e  dei   principi
dell'ordinamento giuridico nonche'  delle  norme  fondamentali  delle
riforme economico-sociali della Repubblica. 
    1.3.- Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  impugnato
altresi' l'art. 5, comma 19, della legge  reg.  Sardegna  n.  17  del
2021, per violazione del principio  di  coordinamento  della  finanza
pubblica di cui all'art. 117, terzo comma, Cost.,  nonche'  dell'art.
119  Cost.  (in  riferimento  all'autonomia  finanziaria  degli  enti
territoriali),  in  relazione  all'art.  23,  comma  2,  del  decreto
legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e  integrazioni
al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli
16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1,
lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o),  q),  r),  s)  e  z),
della legge 7 agosto 2015, n. 124,  in  materia  di  riorganizzazione
delle amministrazioni pubbliche». 
    L'art. 5, comma 19, prevede, nel  comparto  della  contrattazione
collettiva  regionale,  l'applicazione  dell'art.  3,  comma  2,  del
decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, recante «Misure  urgenti  per  il
rafforzamento  della   capacita'   amministrativa   delle   pubbliche
amministrazioni funzionale  all'attuazione  del  Piano  nazionale  di
ripresa e resilienza (PNRR)  e  per  l'efficienza  della  giustizia»,
convertito, con modificazioni, nella legge 6  agosto  2021,  n.  113.
L'indicata norma interposta ha introdotto la possibilita' di superare
i limiti  di  spesa  relativi  al  trattamento  economico  accessorio
previsti dall'art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75  del  2017,  secondo
criteri e modalita' da definire nell'ambito dei contratti  collettivi
nazionali di lavoro,  compatibilmente  con  il  raggiungimento  degli
obiettivi di finanza pubblica e nei limiti delle risorse  finanziarie
destinate a tale finalita'. 
    La Regione - ad avviso  del  ricorrente  -  con  la  disposizione
impugnata non avrebbe potuto superare i limiti previsti dal d.lgs. n.
75 del 2017, essendo  solo  programmatoria  la  previsione  contenuta
nell'art. 3, comma 2, del d.l. n. 80 del  2021,  come  convertito.  I
nuovi limiti al trattamento economico accessorio, difatti,  sarebbero
stati disciplinati con l'art. 1, comma 604, della legge  30  dicembre
2021,  n.  234  (Bilancio  di  previsione  dello  Stato  per   l'anno
finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il triennio 2022-2024). 
    Essendo quest'ultima  legge  entrata  in  vigore  in  un  momento
successivo  rispetto   alla   disposizione   impugnata,   l'ammontare
complessivo  delle  risorse  destinate  annualmente  al   trattamento
accessorio del personale regionale, anche  di  livello  dirigenziale,
non avrebbe potuto superare il limite posto dal precedente  art.  23,
comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017. 
    1.4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato anche
l'art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna  n.  17  del  2021,  in
riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma,  lettera  l),  Cost.,
con  specifico  riguardo  alla  materia  «ordinamento   civile»,   in
relazione all'art. 30, commi 1 e 2-quinquies, del d.lgs. n.  165  del
2001 e all'art. 3 dello statuto speciale. 
    La disposizione  impugnata,  al  fine  di  rafforzare  l'organico
regionale,   anche   in   relazione   alle   necessita'   determinate
dall'emergenza  epidemiologica  da  COVID-19,   e   in   applicazione
dell'art. 38-bis della legge della Regione Sardegna 13 novembre 1998,
n. 31 (Disciplina del personale regionale e dell'organizzazione degli
uffici della Regione), stabilisce che il personale  con  contratto  a
tempo indeterminato che abbia prestato servizio, negli ultimi  cinque
anni, presso  il  sistema  Regione  in  posizione  di  comando  o  in
assegnazione temporanea, anche attraverso  i  progetti  di  cui  alla
deliberazione della Giunta regionale 18 gennaio 2005, n.  1/11,  puo'
transitare,  a  seguito  di  apposita  domanda,  nell'amministrazione
regionale  mediante  cessione  di  contratto,   previo   nulla   osta
dell'amministrazione di provenienza. 
    Il riferimento all'istituto della  cessione  del  contratto  come
strumento di  mobilita'  violerebbe,  ad  avviso  del  ricorrente,  i
principi in materia di accesso agli impieghi pubblici posto che,  sul
punto, occorrerebbe tener conto della speciale disciplina dettata dal
d.lgs.  n.  165  del  2001.  La  disposizione  regionale,  attraverso
l'espresso riferimento all'art. 38-bis della legge reg.  Sardegna  n.
31 del 1998, prevederebbe, per la mobilita', il previo  rilascio  del
nulla osta dell'amministrazione di appartenenza. Nulla osta  che  non
sarebbe piu' previsto in via generalizzata dalla disciplina  statale,
a seguito della modifica dell'art. 30 del d.lgs. 165 del 2001 operata
dall'art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come convertito. 
    L'art. 38-bis  della  legge  reg.  Sardegna  n.  31  del  1998  -
richiamato dalla norma impugnata - al comma 5 prevede inoltre che  al
personale trasferito in  mobilita',  nel  caso  di  attribuzione  del
livello economico di valore pari o immediatamente inferiore a  quello
posseduto nell'ente di  provenienza,  sia  riconosciuto  «un  assegno
personale riassorbibile atto a garantire  l'importo  del  trattamento
economico fisso e continuativo annuo in godimento». Questa previsione
sarebbe difforme dal dettato dell'art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001,
secondo  il  quale,  invece,  «salvo  diversa  previsione  [...]   al
dipendente trasferito per  mobilita'  si  applica  esclusivamente  il
trattamento  giuridico  ed  economico,  compreso  quello  accessorio,
previsto nei contratti collettivi vigenti nel comparto  della  stessa
amministrazione». 
    Tale  contrasto  determinerebbe,  come  detto,   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17
del 2021 per violazione della competenza  legislativa  statale  nella
materia «ordinamento civile», di cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost. 
    La disposizione impugnata  contrasterebbe  anche  con  l'art.  3,
lettera a), dello statuto speciale, che attribuisce alla  Regione  la
competenza legislativa esclusiva  in  materia  di  ordinamento  degli
uffici e di stato giuridico ed economico del  proprio  personale,  ma
che, al tempo stesso, individua come  limiti  le  norme  fondamentali
delle riforme economico-sociali  della  Repubblica,  tra  cui  quelli
contenuti nel d.lgs. n. 165 del 2001, che la Regione  sarebbe  quindi
tenuta a rispettare. 
    1.5.- Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  impugnato
altresi' l'art. 5, comma 26, della legge  reg.  Sardegna  n.  17  del
2021, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera  l),
Cost., in relazione all'art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 e all'art.
3 dello statuto speciale. 
    L'art. 5, comma 26, prevede la possibilita' di prorogare, fino  a
un massimo di  due  anni  e  nei  limiti  delle  risorse  finanziarie
disponibili,  gli  incarichi   dirigenziali   a   tempo   determinato
attribuiti con procedure ad evidenza pubblica nel sistema Regione, ai
sensi dell'art. 29 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998,  secondo
le direttive impartite dall'assessore competente. 
    La disposizione impugnata, nel prevedere la facolta' di prorogare
l'incarico  dirigenziale  a  tempo  determinato  fino  a  due   anni,
disciplinerebbe la durata dell'incarico in modo contrastante  con  il
dettato della norma interposta individuata nell'art. 19 del d.lgs. n.
165 del 2001. 
    La disciplina della fase costitutiva del  contratto  di  incarico
dirigenziale, cosi' come quella del rapporto che  sorge  per  effetto
della  conclusione  di   quel   negozio   giuridico,   rientrerebbero
nell'ambito della materia dell'ordinamento  civile,  attribuita  alla
competenza  legislativa  esclusiva  statale  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost. 
    Cio' comporterebbe la  violazione  del  parametro  costituzionale
indicato e dell'art. 3, lettera a), dello statuto  di  autonomia,  in
quanto la disposizione impugnata avrebbe travalicato le  attribuzioni
statutarie. 
    L'art. 5, comma 26, e' impugnato anche in quanto prevederebbe  la
proroga  degli  incarichi  dirigenziali  sulla  base   di   direttive
impartite dall'assessore competente. Tale previsione, ad  avviso  del
ricorrente, sarebbe in contrasto con il principio  della  separazione
tra le funzioni di  indirizzo  politico-amministrativo  e  quelle  di
gestione  amministrativa,  principio  di   carattere   generale   che
troverebbe il suo fondamento nell'art. 97 Cost. 
    Gli atti inerenti all'instaurazione e alla gestione dei  rapporti
di lavoro, tra cui anche il provvedimento amministrativo  di  rinnovo
di  un  incarico  di   livello   dirigenziale,   sarebbero,   secondo
l'Avvocatura generale, riconducibili alle attribuzioni proprie  delle
figure di vertice dirigenziale degli enti  e,  come  tali,  sottratti
alla competenza degli organi di indirizzo politico. 
    Il legislatore regionale avrebbe compiuto una scelta in contrasto
con il principio di separazione tra politica e  amministrazione,  che
si tradurrebbe  in  una  lesione  dell'imparzialita'  della  pubblica
amministrazione di cui all'art. 97 Cost. 
    1.6.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  inoltre
impugnato l'art. 5, comma 29, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del
2021, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera  l),
Cost., in relazione agli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del
2001, e all'art. 3 dello statuto speciale di autonomia. 
    La disposizione regionale impugnata, al fine di  dare  attuazione
ai commi 4-ter e 4-quater dell'art. 58 della legge reg.  Sardegna  n.
31 del 1998 (introdotti dall'art. 5, comma 28, lettera a, della legge
reg.  Sardegna  n.  17  del  2021)  e  di   istituire   un'indennita'
pensionabile in analogia all'indennita' di specificita' organizzativa
percepita  dal   personale   della   protezione   civile   nazionale,
riconosciuta dall'art. 18 del contratto collettivo integrativo  della
Presidenza del Consiglio dei ministri, sottoscritto il  15  settembre
2004, autorizza, ai sensi dell'art. 62 della legge reg.  Sardegna  n.
31 del 1998, l'ulteriore spesa di euro 285.840 per l'anno 2021  e  di
euro 1.143.360 annui  a  decorrere  dall'anno  2022  (missione  01  -
programma 10 - titolo 1). 
    L'art. 5, comma 29,  disporrebbe,  quindi,  un  incremento  delle
risorse destinate alla contrattazione collettiva regionale  per  dare
attuazione alle previsioni, pure contenute nella legge  regionale  in
esame, che dispongono, per  il  personale  della  direzione  generale
della protezione civile, la costituzione di una autonoma  e  separata
area di contrattazione all'interno del comparto  e  stabiliscono  una
disciplina specifica per le figure professionali di  altre  direzioni
generali dell'amministrazione regionale o  del  sistema  Regione  che
concorrono  allo  svolgimento  delle  attivita'  previste  nel  piano
regionale per la protezione civile. 
    La disciplina del trattamento economico e giuridico del  pubblico
impiego regionale sarebbe  riconducibile  alla  materia  «ordinamento
civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello  Stato
dall'art. 117, secondo comma,  lettera  l),  Cost.  (sono  citate  le
sentenze di questa Corte n. 273 del 2020, n. 175 e n. 160 del  2017);
per tale motivo, sarebbe precluso alle regioni adottare una normativa
che incida su un rapporto di lavoro gia' sorto e che,  nel  regolarne
il  trattamento  giuridico  ed   economico,   si   sostituisca   alla
contrattazione collettiva, fonte imprescindibile di disciplina  (sono
citate le sentenze di questa Corte n. 20 del 2021 e n. 199 del 2020). 
    La previsione  di  un'indennita'  pensionabile  per  il  predetto
personale e il relativo finanziamento, con un intervento  in  materia
riservata alla contrattazione collettiva, si  porrebbe  in  contrasto
con  il   principio   generale   secondo   cui,   a   seguito   della
contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, il  trattamento
giuridico ed economico dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni
e' disciplinato dal codice civile e dalla contrattazione  collettiva,
cui la legge dello Stato rinvia. 
    In particolare, la disposizione regionale  impugnata  sarebbe  in
contrasto con gli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del  2001,
i quali  stabiliscono  che  i  rapporti  individuali  di  lavoro  dei
dipendenti   delle   amministrazioni    pubbliche    sono    regolati
contrattualmente  e  che  il  trattamento  economico  fondamentale  e
accessorio e' definito  dai  contratti  collettivi.  Tale  disciplina
costituirebbe norma fondamentale di riforma  economico-sociale  della
Repubblica e detterebbe principi che si configurerebbero come «tipici
limiti  di  diritto  privato,  fondati  sull'esigenza,  connessa   al
precetto costituzionale di eguaglianza,  di  garantire  l'uniformita'
nel territorio nazionale delle regole  fondamentali  di  diritto  che
disciplinano i rapporti tra privati, principi che si impongono  anche
alle Regioni a statuto speciale»  (sono  richiamate  le  sentenze  di
questa Corte n. 189 del 2007 e n. 81 del 2019). 
    Il contrasto  con  dette  norme  comporterebbe,  come  detto,  la
violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost e dell'art.
3 dello statuto di autonomia. 
    1.7.- L'Avvocatura generale dello  Stato  ha  impugnato  altresi'
l'art. 6, comma 32, della legge reg. Sardegna  n.  17  del  2021,  in
riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in
relazione all'art. 3 del d.l. n. 80  del  2021,  come  convertito,  e
all'art. 3, lettera a), dello statuto speciale. 
    L'art. 6, comma 32, dispone che «[l]a validita' delle graduatorie
relative alle procedure selettive per il reclutamento di personale  a
tempo  determinato  e   indeterminato,   pubblicate   dalle   aziende
ospedaliere, dalle aziende ospedaliere universitarie della Sardegna e
dalle  amministrazioni  del  sistema  Regione,  e'  prorogata  al  31
dicembre 2022». 
    Il ricorrente, pur rammentando la  giurisprudenza  costituzionale
secondo cui spetta al legislatore regionale la competenza legislativa
afferente alla  disciplina  delle  graduatorie  (sono  richiamate  le
sentenze n. 341 del 2009, n. 133 del 2010, n. 115 e n. 187 del 2012 e
n. 125 del 2015 e n. 241 del 2018), sostiene che tale competenza  non
potrebbe, tuttavia, ritenersi  svincolata  dal  rispetto  dai  limiti
scaturenti   dai   principi   costituzionali   di   buon   andamento,
imparzialita' e ragionevolezza (e' richiamata anche  la  sentenza  n.
126 del 2020). 
    Lo  scorrimento   delle   graduatorie   ancora   valide   sarebbe
assoggettato a quelle limitazioni idonee a renderlo compatibile con i
principi di imparzialita' e di buon  andamento  dell'amministrazione.
Tali canoni  consentirebbero  di  ricorrere  allo  scorrimento  delle
graduatorie solo quando vi sarebbe corrispondenza tra il profilo e la
qualifica professionale del posto che si intende coprire e il profilo
e la categoria professionale per i quali si e'  bandito  il  concorso
conclusosi con l'approvazione delle graduatorie. Non potrebbe  essere
previsto lo scorrimento per posti di nuova istituzione  o  frutto  di
trasformazione, per evitare rimodulazioni dell'organico in  contrasto
con il principio di imparzialita' prescritto dalla Costituzione. 
    Il  principio  di  buon  andamento  precluderebbe,  inoltre,   la
possibilita' di scorrimento delle graduatorie quando  sia  mutato  il
contenuto professionale delle mansioni tipiche  del  profilo  che  si
intende acquisire o quando, per il tempo trascorso o per le modifiche
sostanziali nel frattempo introdotte  nelle  prove  di  esame  e  nei
requisiti di partecipazione  dei  concorrenti,  la  graduatoria  gia'
approvata rispecchi una valutazione  attendibile  dell'idoneita'  dei
concorrenti  e  della  qualificazione  professionale  necessaria  per
ricoprire l'incarico. 
    Evidenzia il ricorrente  che  il  personale  assunto  dagli  enti
locali o dalle regioni, puo', alla luce della  disciplina  introdotta
con l'art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, fruire,  senza
vincoli di  autorizzazione,  della  piu'  ampia  mobilita'  verso  le
pubbliche amministrazioni.  Tale  circostanza  richiederebbe  che  il
personale venga reclutato attraverso procedure in grado di  garantire
il piu' alto livello di omogeneita', per raggiungere il  quale  anche
l'attualita' della selezione effettuata costituirebbe un  ineludibile
passaggio.  Ne  conseguirebbe  che  il  reclutamento  del   personale
dovrebbe avvenire  entro  tempi  ragionevolmente  brevi  rispetto  al
momento in cui e' stata svolta la selezione, affinche' la stessa  sia
rispondente  ai  requisiti  previsti  dal  quadro  ordinamentale   di
riferimento. 
    La disposizione regionale impugnata, al contrario, prevedendo  la
validita' fino al 31 dicembre 2022 delle  graduatorie  relative  alle
procedure  selettive  per  il  reclutamento  di  personale  a   tempo
determinato e indeterminato delle aziende ospedaliere, delle  aziende
ospedaliere universitarie della Sardegna e delle amministrazioni  del
sistema  Regione  senza  tenere  in  alcun  conto  di  quanto   sopra
evidenziato, si porrebbe in contrasto con  i  principi  di  cui  agli
artt. 97 e 117, secondo  comma,  lettera  l),  Cost.  e  delle  norme
statutarie richiamate. 
    1.8.- Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha,  inoltre,
impugnato l'art. 20, comma 1, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del
2021, lamentando la violazione dell'art. 81, terzo comma, Cost. 
    Il comma 1 dell'art. 20 della legge reg. Sardegna n. 17 del  2021
apporta modifiche alla legge della Regione Sardegna 22 dicembre 1989,
n. 45 (Norme per l'uso e  la  tutela  del  territorio  regionale)  in
materia di esecuzione dei provvedimenti di demolizione  e  rimessione
in pristino, autorizzando  l'amministrazione  regionale  a  concedere
un'anticipazione  delle  spese  ai  comuni  tenuti   a   eseguire   i
provvedimenti di  demolizione  o  di  rimessione  in  pristino.  Tale
disposizione consentirebbe ai comuni di iniziare il  procedimento  di
recupero  delle  spese  sostenute  dal  trasgressore  entro  un  anno
dall'esecuzione della demolizione e di concluderlo entro cinque anni,
salvo    proroga    per    giustificati    motivi,    da     chiedere
all'amministrazione regionale prima della scadenza  del  termine.  Le
somme recuperate verrebbero restituite all'amministrazione  regionale
che le ha anticipate senza interessi.  Inoltre,  la  restituzione  di
quanto anticipato dalla Regione non avverrebbe nello stesso esercizio
nel quale viene concessa. Tale operazione, secondo il ricorrente, non
potrebbe quindi essere configurata come anticipazione, trattandosi di
un prestito. 
    Il  meccanismo  previsto  dalla   disposizione   impugnata,   non
quantificando e non prevedendo la copertura degli oneri a carico  del
bilancio regionale si porrebbe in  contrasto  con  l'art.  81,  terzo
comma, Cost. 
    1.9.- Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha,  infine,
impugnato l'art. 35, comma 5, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del
2021, in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost.,  in  relazione
all'art. 2, comma 1, lettera b), del decreto-legge 10  ottobre  2012,
n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di  finanza  e  funzionamento
degli enti territoriali, nonche'  ulteriori  disposizioni  in  favore
delle zone terremotate nel maggio 2012), convertito con modificazioni
nella legge 7 dicembre 2012,  n.  213,  nonche'  per  violazione  dei
principi di ragionevolezza,  imparzialita'  e  buon  andamento  della
pubblica amministrazione di cui  agli  artt.  3  e  97  Cost.  e  del
principio di leale collaborazione di cui agli artt. 5 e 120 Cost. 
    2.- Si e' costituita in giudizio la  Regione  autonoma  Sardegna,
deducendo l'inammissibilita' e, comunque,  la  non  fondatezza  delle
questioni di legittimita' costituzionale promosse dal Presidente  del
Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe. 
    2.1.- Con riguardo alla questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 5, comma 3, della legge  reg.  Sardegna  n.  17  del  2021,
promossa in riferimento all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),
Cost., la Regione chiede che sia dichiarata non fondata. 
    Il comma 3  dell'art.  5  riguarderebbe  il  personale  regionale
transitato mediante progressione "verticale" nella categoria  per  la
quale e' previsto, per l'accesso dall'esterno, il diploma di laurea a
norma dell'art. 1, comma 4, della legge reg. Sardegna n. 18 del 2017.
Quest'ultimo prevederebbe, tra i requisiti per  poter  effettuare  la
predetta progressione, anche  quello  del  possesso  del  diploma  di
laurea. 
    La disposizione censurata in argomento, pertanto,  contrariamente
a quanto affermato dal ricorrente,  non  sostituirebbe  il  requisito
culturale con quello professionale, ma si limiterebbe  a  riconoscere
al suddetto personale l'anzianita' nella categoria di provenienza  ai
fini dell'ammissione alle procedure di accesso alla dirigenza di  cui
all'art. 32 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998. 
    Sostiene la difesa regionale che il comma  3  dell'art.  5  della
legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 non introdurrebbe, quindi,  alcuna
deroga ai requisiti culturali minimi  per  l'accesso  alla  qualifica
dirigenziale previsti a livello nazionale dall'art. 28 del d.lgs.  n.
165 del 2001. L'art. 32, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 31 del
1998, nello stabilire i requisiti per l'ammissione alle procedure per
l'accesso alla qualifica dirigenziale,  prevederebbe  infatti,  quale
requisito culturale,  il  diploma  di  laurea,  come  previsto  dalla
legislazione nazionale vigente,  e,  quale  requisito  professionale,
l'anzianita' di servizio. 
    La   disposizione   impugnata   interverrebbe    unicamente    su
quest'ultimo requisito, considerando utile l'anzianita' gia' maturata
in qualifiche per le quali sarebbe comunque richiesto il possesso del
diploma di laurea. 
    Inoltre, la disposizione censurata  interverrebbe  sui  requisiti
necessari per l'accesso ad un nuovo rapporto, quello dirigenziale,  e
non sulla regolamentazione  di  un  rapporto  di  lavoro  in  essere,
sicche' la materia interessata non sarebbe  quella  dell'«ordinamento
civile» bensi'  quella  dell'organizzazione  del  personale  e  degli
uffici  regionali.  Ne  conseguirebbe  l'assenza  della   prospettata
lesione dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    Sul punto la Regione richiama  la  giurisprudenza  costituzionale
secondo cui «la stessa legislazione statale in materia di ordinamento
della dirigenza non esclude una, seppur ridotta, competenza normativa
regionale in materia, dal momento che anzi prevede espressamente  che
"le  Regioni  a  statuto  ordinario,  nell'esercizio  della   propria
potesta' statutaria, legislativa e regolamentare  (...)  adeguano  ai
principi dell'art. 4  e  del  presente  Capo  i  propri  ordinamenti,
tenendo conto delle relative  peculiarita'  (...)"  (art.  27,  primo
comma, del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165  [...])»  (e'
citata la sentenza n. 2 del 2004). 
    Dunque, il legislatore regionale si sarebbe mosso nel solco delle
proprie prerogative statutarie inerenti all'ordinamento degli  uffici
e stato giuridico ed economico del personale di cui alla  lettera  a)
dell'art. 3 dello statuto di autonomia, incidendo in  un  ambito  nel
quale la stessa legge statale assegnerebbe alle Regioni propri  spazi
di autonomia. 
    La  difesa  regionale  eccepisce  poi  l'inammissibilita'   della
censura posta in riferimento all'art. 97  Cost.,  essendo  la  stessa
meramente assertiva e priva di argomentazione. 
    2.2.- La  difesa  regionale  eccepisce  l'inammissibilita'  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 19, della
legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 essendo  soltanto  prospettato  il
vulnus ai parametri costituzionali asseritamente lesi. In ogni  caso,
ritiene la doglianza non fondata nel merito. 
    La disposizione regionale disporrebbe, nell'ambito  del  comparto
di contrattazione regionale, l'applicazione dell'art. 3, comma 2, del
d.l. n. 80  del  2021,  come  convertito,  alle  risorse  costituenti
economie  di  spesa  derivanti  dalla  retribuzione  individuale   di
anzianita' (RIA) del personale cessato.  Si  tratterebbe  di  risorse
gia' destinate  dalla  contrattazione  collettiva  al  fondo  per  la
retribuzione  di  rendimento  e  al   fondo   per   le   progressioni
professionali la  cui  spendita  sarebbe  stata,  tuttavia,  limitata
dall'art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017. 
    La normativa regionale  non  genererebbe,  quindi,  una  maggiore
spesa e non configurerebbe la violazione dei principi in  materia  di
coordinamento della finanza pubblica. 
    Inconferente sarebbe, poi, il richiamo all'art.  119  Cost.  che,
nell'affermare il principio dell'autonomia finanziaria delle  Regioni
nel  rispetto  dell'equilibrio  di  bilancio,  non  osterebbe  a  che
determinate risorse vengano destinate ad una  specifica  finalita'  -
nella fattispecie, il trattamento  economico  accessorio  oggetto  di
contrattazione collettiva -  allorche'  le  stesse  siano  dotate  di
adeguata copertura finanziaria e non comportino maggiori spese. 
    La   difesa   regionale   non   condivide,   inoltre,   la   tesi
dell'Avvocatura generale secondo cui l'art. 3, comma 2, del  d.l.  n.
80 del 2021, come convertito, sarebbe non immediatamente  applicabile
e   meramente   "programmatico",   in   quanto   tale    disposizione
consentirebbe di superare i limiti stabiliti dall'art. 23,  comma  2,
del d.lgs. n. 75 del  2017,  compatibilmente  con  il  raggiungimento
degli obiettivi della finanza  pubblica  e  a  condizione  che  siano
rispettati i criteri definiti  dalla  contrattazione  collettiva  nei
limiti delle risorse finanziarie destinate a tale finalita'. 
    La disposizione impugnata, afferma la difesa  regionale,  avrebbe
rispettato tali condizionalita' per cui non sussisterebbe la  lesione
lamentata dal ricorrente. 
    2.3.- In merito alla  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17 del  2021,  la
Regione  eccepisce  innanzitutto  l'inammissibilita'  della   censura
ritenendo che essa sia stata formulata in termini dubitativi. 
    La questione sarebbe comunque non fondata in quanto, con riguardo
alla   previsione   del   rilascio   del   nulla   osta   da    parte
dell'amministrazione di provenienza, potrebbe essere data una lettura
della  disposizione   impugnata   conforme   all'invocato   parametro
interposto di cui all'art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001, che prevede
il rilascio del nulla osta in presenza di situazioni specifiche. 
    L'art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001 prevederebbe, difatti,  che,
«nel caso in cui si  tratti  di  posizioni  dichiarate  motivatamente
infungibili dall'amministrazione cedente o di  personale  assunto  da
meno di tre anni o qualora la  mobilita'  determini  una  carenza  di
organico superiore al 20 per cento nella qualifica  corrispondente  a
quella del richiedente», il passaggio in mobilita'  sarebbe  comunque
subordinato all'assenso dell'ente di originaria appartenenza. 
    Quanto, invece, alla censura inerente  al  trattamento  economico
del dipendente trasferito, la Regione  sostiene  che  l'art.  38-bis,
comma 5, della legge reg. Sardegna n. 31 del  1998,  cui  l'impugnato
comma 25 dell'art.  5  fa  dichiarato  riferimento,  non  sarebbe  in
contrasto con la  disposizione  statale.  Quest'ultima  prevederebbe,
difatti, che al dipendente trasferito si  applichi  «esclusivamente»,
e, «salvo diversa previsione», il trattamento giuridico ed economico,
compreso quello accessorio, previsto dal contratto collettivo vigente
nel comparto dell'ente di destinazione. Dunque, il rapporto di lavoro
del  personale   trasferito   per   mobilita'   troverebbe   la   sua
regolamentazione  unicamente  nel  contratto   collettivo   applicato
nell'amministrazione  di  destinazione,   salvo   specifica   diversa
previsione. 
    L'art. 38-bis, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998,
nel disporre che il nuovo datore di lavoro  «applica  il  trattamento
giuridico ed economico previsto nel contratto collettivo del  proprio
personale», sarebbe, ad avviso della  Regione,  conforme  al  dettato
normativo  statale,  limitandosi  a  prevedere   il   divieto   della
reformatio in peius del trattamento economico acquisito. 
    Per tale motivo sarebbe non fondata la questione di  legittimita'
costituzionale della disposizione impugnata in  riferimento  all'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    Inoltre, la Regione  avrebbe  esercitato  la  propria  competenza
legislativa in  materia  di  ordinamento  degli  uffici  e  di  stato
giuridico ed economico del personale in  linea  con  quanto  previsto
dallo statuto di  autonomia  e  pertanto  non  sarebbe  configurabile
neppure la lesione del parametro statutario. 
    2.4.-  Quanto  alla  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 5, comma 26, della legge reg. Sardegna n. 17 del  2021,  la
difesa   regionale   asserisce   che   la   disposizione    impugnata
consentirebbe di prorogare di due anni gli incarichi dirigenziali non
apicali con durata non superiore al quinquennio, attribuiti ai  sensi
dell'art. 29, comma 4-bis, della legge reg. Sardegna n. 31 del  1998,
come previsto dall'art.  28,  comma  7,  della  medesima  legge  reg.
Sardegna n. 31 del 1998. Tali incarichi, inerenti  alle  funzioni  di
direttore di servizio e di direttore di unita' di progetto, sarebbero
stati conferiti, per la durata di tre anni, ai  sensi  dell'art.  19,
comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001,  esplicitamente  richiamato  dal
citato art. 29 della legge reg. Sardegna n. 31 del 1998. 
    La proroga per ulteriori due anni non sarebbe  in  contrasto  con
quanto stabilito dalla  legge  statale,  in  quanto  complessivamente
verrebbe mantenuta la durata degli incarichi entro il lasso di  tempo
massimo (cinque anni) stabilito dal medesimo art. 19,  comma  6,  del
d.lgs. n. 165 del 2001. Cio' escluderebbe il paventato contrasto  con
l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    Quanto alla asserita violazione dell'art.  97  Cost.,  la  difesa
regionale   ne   eccepisce   l'inammissibilita'   per    genericita',
limitandosi il ricorrente a invocare il principio di separazione  tra
la funzione politica  e  quella  di  gestione  amministrativa,  senza
fornire spiegazioni circa la lesione  di  detto  principio  da  parte
della disposizione regionale impugnata. 
    Inoltre, l'art. 5, comma  26,  si  limiterebbe  a  prevedere  che
l'eventuale  proroga  dell'incarico   dirigenziale   venga   disposta
«secondo le direttive dell'Assessore competente», senza, quindi,  che
vi sia ingerenza diretta di  tale  organo  sullo  specifico  atto  di
proroga. Le predette direttive si limiterebbero, difatti, a  definire
"a monte" la cornice  entro  la  quale  potrebbe  essere  operata  la
proroga. 
    Ad avviso della difesa regionale, oltretutto, anche la  normativa
statale prevederebbe che gli incarichi dei dirigenti apicali e quelli
di livello dirigenziale generale vengano conferiti con  provvedimento
dell'organo politico, per cui la previsione regionale non sarebbe  di
per se'  foriera  di  danno  al  buon  funzionamento  della  pubblica
amministrazione. 
    Aggiunge, inoltre, la Regione che la separazione tra attivita' di
indirizzo politico e attivita' gestionale sarebbe un principio  privo
di   precisi   confini   o   limiti   che   lascerebbe   margini   di
discrezionalita' decisionale al legislatore regionale, incontrando il
solo limite della ragionevolezza. Nel caso di specie,  tuttavia,  non
sarebbe dimostrata ne' l'irragionevolezza della  scelta  legislativa,
ne' l'asserita lesione del principio di imparzialita' della  pubblica
amministrazione, per cui non sarebbe  ravvisabile  il  contrasto  con
l'art. 97 Cost. 
    2.5.-  Quanto  alla  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 5, comma 29, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del  2021,
sostiene la difesa regionale che tale disposizione si limiterebbe  ad
assicurare la  copertura  finanziaria  per  l'ipotesi  in  cui  venga
istituita un'indennita' pensionabile «in analogia  all'indennita'  di
specificita' organizzativa percepita dal personale  della  Protezione
civile nazionale, riconosciuta dall'art. 18 del contratto integrativo
della Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri  sottoscritto  il  15
settembre 2004» nell'ambito della contrattazione collettiva regionale
inerente  al  personale  deputato  allo  svolgimento  di  compiti  di
protezione civile. 
    Non  sarebbe  riscontrabile  la   prospettata   invasione   della
competenza legislativa dello Stato prevista  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost., in quanto l'indennita' di che trattasi  non
sarebbe  istituita  dal  comma  29  dell'art.  5  impugnato,  che  si
limiterebbe a disporre la provvista finanziaria. 
    Inoltre, ad avviso della difesa regionale, la  censura  sollevata
in riferimento all'art. 97 Cost. sarebbe inammissibile, atteso che il
parametro  costituzionale  sarebbe  stato  solo  menzionato,  ma  non
sviluppato nei motivi di impugnazione, e non sarebbe  neppure  citato
nella deliberazione del Consiglio dei ministri  di  proposizione  del
ricorso. 
    2.6.- La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,
comma 32, della legge reg. Sardegna  n.  17  del  2021,  promossa  in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera  l),  Cost.  sarebbe
inammissibile in quanto promossa  in  modo  contraddittorio  e  senza
adeguata motivazione. 
    Il ricorso, pur  lamentando  la  violazione  di  detto  parametro
costituzionale, ammetterebbe  che  la  disciplina  delle  graduatorie
inerenti a concorsi banditi dalle pubbliche amministrazioni rientra a
pieno titolo nella  competenza  legislativa  regionale  residuale  in
materia di organizzazione amministrativa e del personale. 
    La censura sarebbe, poi, inammissibile perche'  sindacherebbe  il
merito delle scelte del  legislatore  regionale  sardo  che  gode  di
discrezionalita' nell'esercizio della propria competenza  legislativa
residuale. 
    La scelta di  prorogare  le  graduatorie  vigenti  sarebbe  stata
determinata dal fatto che l'emergenza sanitaria negli anni  2020-2021
avrebbe provocato dapprima una sospensione  e  poi  un  considerevole
rallentamento  nell'espletamento  delle  procedure  concorsuali,  con
conseguente ritardo nell'acquisizione di personale da assegnare  alle
aziende sanitarie ed evidenti criticita'  e  disfunzioni  soprattutto
nelle zone periferiche della Regione, esposta ad un'endemica  carenza
di personale medico indispensabile. 
    Le censure proposte dal ricorrente sarebbero inammissibili  anche
con riguardo alla paventata violazione dell'art.  97  Cost.  Cio'  in
quanto  la  Regione,  nel  periodo  considerato,  avrebbe  incontrato
difficolta'  anche  nell'individuazione  delle  figure  professionali
amministrative necessarie  per  l'indizione  dei  concorsi  (quali  i
segretari e il comitato di  vigilanza),  nel  reperimento  di  locali
idonei allo svolgimento delle prove selettive, e altre criticita'  di
carattere tecnico. Difficolta' si  sarebbero  riscontrate,  altresi',
nella fase riguardante la nomina  dei  componenti  delle  commissioni
esaminatrici,  in  quanto   quelli   nominati   avrebbero   rifiutato
l'incarico  sia  per  ragioni  organizzative   aziendali,   sia   per
l'appartenenza della Regione alle cosiddette "zone rosse" pandemiche. 
    La  proroga  delle  graduatorie  vigenti  sarebbe  stata   dunque
necessaria onde permettere il  reclutamento  del  personale,  ovviare
all'emergenza in atto e  rispondere  proprio  al  principio  di  buon
andamento della amministrazione pubblica. 
    2.7.- Con riguardo alle censure sollevate nei confronti dell'art.
20, comma 1, della legge reg. Sardegna n.  17  del  2021,  la  difesa
regionale  ne  eccepisce  l'irricevibilita',  l'inammissibilita'   e,
comunque, la non fondatezza. 
    Rappresenta che gia' nella norma  precedentemente  vigente  -  il
comma 3-bis dell'art. 15 della legge reg. Sardegna n.  45  del  1989,
come modificato dall'art. 1, comma  17,  della  legge  della  Regione
Sardegna  22  aprile  2002,  n.  7,  recante  «Disposizioni  per   la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  della  Regione  (legge
finanziaria 2002)», mai impugnato  dallo  Stato  -  era  prevista  la
possibilita' per l'amministrazione regionale di anticipare  le  spese
relative all'esecuzione  delle  ordinanze  di  demolizione  di  opere
eseguite  in  violazione  della  disciplina  urbanistica.   Da   cio'
conseguirebbe la tardivita' e quindi l'irricevibilita' della  censura
perche' i rilievi statali si riferirebbero  a  un  aspetto,  l'omessa
indicazione della copertura finanziaria a  sostegno  dell'intervento,
che mai era stato oggetto di contestazione nella precedente normativa
regionale,  la  quale   nulla   disponeva   in   ordine   all'aspetto
finanziario. 
    Da tale presupposto deriverebbe l'inammissibilita' della  censura
per carenza di interesse, in quanto  la  disposizione  in  esame  non
innoverebbe  il  panorama   legislativo   regionale   esistente,   ma
confermerebbe un pregresso strumento al servizio  degli  enti  locali
finalizzato ad assicurare il preminente interesse  alla  salvaguardia
ambientale in presenza di abusi accertati e  non  piu'  contestabili,
che  necessiterebbero  di  un  immediato  intervento  per  il  pronto
ripristino dello stato dei luoghi. 
    La  disposizione  impugnata  prevede  l'anticipazione  agli  enti
locali  -  che  sarebbero  tenuti  ad  eseguire  i  provvedimenti  di
demolizione o di rimessione in pristino - delle spese sostenute  che,
in ipotesi di mancato recupero a carico del privato, graverebbero sul
complessivo assetto finanziario regionale e degli enti locali sardi. 
    L'intervento regionale sarebbe, quindi, finalizzato ad evitare un
vulnus nei bilanci degli  enti  locali  garantendo  nel  contempo  la
tutela del territorio e l'equilibrio della finanza  locale,  per  cui
non potrebbe ravvisarsi la violazione  del  parametro  costituzionale
evocato dal ricorrente. 
    3.- In prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio  dei
ministri  ha   depositato   una   memoria   illustrativa,   ribadendo
integralmente  le  deduzioni  svolte  con  il  ricorso  e  replicando
sinteticamente alle osservazioni  formulate  dalla  Regione  autonoma
Sardegna  con  l'atto  di  costituzione  in  ordine  alle   questioni
promosse. 
    4.-  Con   memoria   illustrativa   depositata   in   prossimita'
dell'udienza, la resistente ha  sostanzialmente  ribadito  difese  ed
eccezioni precedentemente formulate. 
    5.- Con riguardo alla questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 35, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 17 del  2021,  la
Regione, avendo ravvisato l'esigenza di intervenire con  modifiche  o
con l'eventuale abrogazione  della  disposizione  al  fine  di  poter
eliminare le criticita' dalle quali e' scaturito il ricorso  statale,
con  istanza  del  15  novembre  2022  ha  chiesto  il  rinvio  della
trattazione della questione; a tale richiesta ha aderito l'Avvocatura
generale dello Stato. 
    5.1.- Con decreto del Presidente della Corte  costituzionale  del
16 novembre 2022 e' stata rinviata a nuovo ruolo la  discussione  del
giudizio  iscritto  al  n.  12  del  registro   ricorsi   del   2022,
limitatamente alla questione di legittimita' costituzionale dell'art.
35, comma 5, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al registro ricorsi n. 12 del  2022,  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  promosso  questioni  di
legittimita' costituzionale di diverse disposizioni della legge  reg.
Sardegna n. 17 del 2021. 
    Riservata  a  separate  pronunce   la   decisione   delle   altre
impugnative promosse con il  ricorso  indicato,  vanno  esaminate  le
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 5, commi 3,  19,
25, 26 e 29; 6, comma 32; 20, comma l, della legge reg.  Sardegna  n.
17 del 2021. 
    1.1.- Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  impugnato
l'art. 5, comma 3, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del  2021  per
violazione degli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost., in
relazione agli artt. 19 e 28 del d.lgs. n. 165 del 2001, e  dell'art.
3, lettera a), dello statuto speciale. 
    La disposizione impugnata, secondo  il  ricorrente,  prevederebbe
requisiti di accesso alla dirigenza non conformi al quadro regolativo
nazionale disciplinato dagli artt. 19 e 28  del  d.lgs.  n.  165  del
2001, in quanto sostituirebbe il requisito del titolo di studio della
laurea con quello della mera anzianita' di servizio. In tal  modo  la
disposizione impugnata, che non sarebbe riconducibile  a  profili  di
autonomia organizzativa della Regione, si porrebbe in  contrasto  con
la disciplina ordinamentale e con i principi di cui agli  artt.  117,
secondo comma, lettera l), e 97 Cost. 
    L'art. 5, comma  3,  violerebbe  anche  l'art.  3  dello  statuto
speciale, il quale stabilisce che «[i]n armonia con la Costituzione e
i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e col rispetto
degli obblighi internazionali e degli  interessi  nazionali,  nonche'
delle  norme  fondamentali  delle  riforme  economico-sociali   della
Repubblica,  la  Regione  ha  potesta'  legislativa  nelle   seguenti
materie: a) ordinamento degli  uffici  e  degli  enti  amministrativi
della Regione e stato giuridico ed economico del  personale;  [...]»,
perche', nell'esercizio della sua competenza legislativa  in  materia
«ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e
stato giuridico ed economico  del  personale»,  non  rispetterebbe  i
limiti previsti dallo statuto medesimo. 
    1.2.- Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  impugnato
altresi' l'art. 5, comma 19, della legge  reg.  Sardegna  n.  17  del
2021, per violazione del principio  di  coordinamento  della  finanza
pubblica di cui  all'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75 del  2017,  nonche'  dell'art.
119 Cost. 
    L'art. 5, comma 19, prevede l'applicazione - nel  comparto  della
contrattazione collettiva regionale - dell'art. 3, comma 2, del  d.l.
n. 80 del 2021, come convertito, che ha introdotto la possibilita' di
superare  i  limiti  di  spesa  relativi  al  trattamento   economico
accessorio, di cui all'art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75  del  2017,
secondo criteri e modalita' da  definire  nell'ambito  dei  contratti
collettivi nazionali di lavoro, compatibilmente con il raggiungimento
degli obiettivi di  finanza  pubblica  e  nei  limiti  delle  risorse
finanziarie destinate a tale finalita'. 
    Sostiene il ricorrente che la previsione contenuta  nell'art.  3,
comma 2, del d.l. n. 80 del 2021, come convertito, avrebbe  carattere
solamente programmatorio: i nuovi  limiti  al  trattamento  economico
accessorio sarebbero stati, infatti, disciplinati successivamente con
l'art. 1, comma 604, della legge n. 234 del 2021. 
    La disposizione regionale, quindi, prevedendo il superamento  dei
limiti di spesa di cui al d.lgs. n. 75 del 2017 prima dell'emanazione
del sopra indicato art. 1, comma 604, della legge n. 234 del  2021  e
stabilendone  essa  stessa  criteri  e  modalita',  si  porrebbe   in
contrasto con il principio di coordinamento  della  finanza  pubblica
sancito  dall'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  violando,  altresi',
l'autonomia  finanziaria   degli   enti   territoriali   riconosciuta
dall'art. 119 Cost. 
    1.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, con  il  medesimo
ricorso, ha impugnato l'art. 5, comma 25, della legge  reg.  Sardegna
n. 17 del 2021, in riferimento agli artt. 97 e  117,  secondo  comma,
lettera l), Cost., con specifico riguardo alla  materia  «ordinamento
civile», in relazione all'art. 30, commi 1 e 2-quinquies, del  d.lgs.
n. 165 del 2001, e all'art. 3, lettera a), dello statuto speciale. 
    La disposizione impugnata, per rafforzare  l'organico  regionale,
anche  in  relazione  alle  necessita'   determinate   dall'emergenza
epidemiologica da COVID-19, e in applicazione dell'art. 38-bis  della
legge reg. Sardegna n. 31 del 1998, stabilisce che il  personale  con
contratto a tempo indeterminato che abbia  prestato  servizio,  negli
ultimi cinque anni, presso il sistema Regione in posizione di comando
o in assegnazione temporanea, anche attraverso i progetti di cui alla
deliberazione della Giunta regionale. 18 gennaio 2005, n. 1/11,  puo'
transitare,  a  seguito  di  apposita  domanda,  nell'amministrazione
regionale  mediante  cessione  di  contratto,   previo   nulla   osta
dell'amministrazione di provenienza. 
    Il riferimento all'istituto della  cessione  del  contratto  come
strumento di  mobilita'  violerebbe,  ad  avviso  del  ricorrente,  i
principi in materia di accesso agli impieghi pubblici posto che,  sul
punto, occorrerebbe tener conto della speciale disciplina dettata dal
d.lgs.  n.  165  del  2001.  La  disposizione  regionale,  attraverso
l'espresso riferimento all'art. 38-bis della legge reg.  Sardegna  n.
31  del  1998,  prevederebbe  invece  il  previo  rilascio  da  parte
dell'amministrazione  di  appartenenza  del  relativo   nulla   osta;
quest'ultimo non piu' previsto in via generalizzata dalla  disciplina
statale, a seguito della modifica dell'art. 30  del  d.lgs.  165  del
2001 operata dall'art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come convertito. 
    L'art. 38-bis  della  legge  reg.  Sardegna  n.  31  del  1998  -
richiamato dalla norma impugnata - al comma 5  prevede  inoltre  che,
nel caso di attribuzione del  livello  economico  di  valore  pari  o
immediatamente inferiore a quello posseduto nell'ente di provenienza,
sia riconosciuto «un assegno personale riassorbibile atto a garantire
l'importo del trattamento economico fisso  e  continuativo  annuo  in
godimento». Detta previsione sarebbe difforme dal  dettato  dell'art.
30 del d.lgs. n. 165 del  2001,  secondo  il  quale,  invece,  «salvo
diversa previsione [...] al dipendente trasferito  per  mobilita'  si
applica  esclusivamente  il  trattamento  giuridico   ed   economico,
compreso quello accessorio, previsto nei contratti collettivi vigenti
nel comparto della stessa amministrazione». 
    Tale  contrasto  determinerebbe  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 5, comma 25, della legge reg. Sardegna n. 17 del  2021  per
violazione  della  competenza  legislativa  statale  in  materia   di
ordinamento civile, di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera  l),
Cost. 
    La disposizione impugnata  contrasterebbe  anche  con  l'art.  3,
lettera a), dello statuto della Regione autonoma Sardegna, in quanto,
nell'esercizio   delle   proprie   prerogative,   la   Regione    non
rispetterebbe i limiti dettati  dal  d.lgs.  n.  165  del  2001,  che
costituirebbero norme fondamentali di riforme economico-sociali della
Repubblica. 
    1.4.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ha,  altresi',
impugnato l'art. 5, comma 26, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del
2021, in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera  l),
Cost., in relazione all'art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001 e all'art.
3, lettera a), dello statuto speciale. 
    La disposizione regionale, nel prevedere la facolta' di prorogare
gli incarichi dirigenziali fino a due anni, si porrebbe in  contrasto
con l'art. 19 del  d.lgs.  n.  165  del  2001.  La  disciplina  degli
incarichi dirigenziali rientrerebbe,  secondo  il  ricorrente,  nella
materia «ordinamento  civile»  di  competenza  legislativa  esclusiva
statale, per cui la  predetta  disposizione  violerebbe  l'art.  117,
secondo comma, lettera l), Cost. 
    Inoltre, l'impugnato art. 5, comma 26,  prevederebbe  la  proroga
degli incarichi dirigenziali sulla  base  delle  direttive  impartite
dall'assessore competente, previsione che, ad avviso del  ricorrente,
sarebbe in contrasto  con  il  principio  della  separazione  tra  le
funzioni di indirizzo politico-amministrativo e  quelle  di  gestione
amministrativa, principio di carattere  generale  che  trova  il  suo
fondamento nell'art. 97 Cost. 
    1.5.- Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  altresi'
impugnato l'art. 5, comma 29, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del
2021 in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo comma,  lettera  l),
Cost. e all'art. 3, lettera a), dello statuto speciale, in  relazione
agli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001. 
    La  disposizione  regionale   impugnata   da'   attuazione   alle
disposizioni previste dai commi 4-ter (che  prevede  una  autonoma  e
separata area di contrattazione all'interno del comparto) e  4-quater
(che prevede  specifiche  discipline  nell'ambito  dei  contratti  di
comparto per le figure professionali dell'amministrazione regionale o
del sistema Regione che concorrono allo svolgimento  delle  attivita'
di protezione civile) dell'art. 58 della legge reg.  Sardegna  n.  31
del 1998, introdotti dalla legge reg. Sardegna n.  17  del  2021.  In
particolare, detta disposizione istituisce un'indennita' pensionabile
in analogia all'indennita' di  specificita'  organizzativa  percepita
dal personale della  protezione  civile  nazionale  e,  a  tal  fine,
autorizza, ai sensi dell'art. 62 della legge reg. Sardegna n. 31  del
1998, l'ulteriore spesa di  euro  285.840  per  il  2021  e  di  euro
1.143.360 annui a decorrere dal 2022 (missione 01 -  programma  10  -
titolo 1). 
    L'istituzione  di  un'indennita'  pensionabile  per  il  predetto
personale e il relativo finanziamento, intervenendo  in  una  materia
riservata alla contrattazione collettiva, si  porrebbe  in  contrasto
con  il   principio   generale   secondo   cui,   a   seguito   della
contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, il  trattamento
giuridico ed economico dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni
e' disciplinato dal codice civile e dalla contrattazione  collettiva,
cui la legge dello Stato rinvia. 
    La disciplina del trattamento economico e giuridico del  pubblico
impiego regionale sarebbe  riconducibile  alla  materia  «ordinamento
civile», riservata alla competenza legislativa esclusiva dello  Stato
dall'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.  Sarebbe  quindi
preclusa alle regioni,  secondo  il  ricorrente,  l'adozione  di  una
normativa  che  incida  su  un  rapporto   di   lavoro   gia'   sorto
sostituendosi alla contrattazione collettiva,  fonte  imprescindibile
di disciplina. 
    La disposizione regionale impugnata sarebbe in contrasto con  gli
artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del  2001,  da  considerarsi
quali  norme  fondamentali   di   riforma   economico-sociale   della
Repubblica. Il contrasto con dette norme comporterebbe la  violazione
anche dell'art. 3, lettera a), dello statuto di autonomia. 
    1.6.- L'Avvocatura generale dello Stato ha impugnato anche l'art.
6, comma 32, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021, in riferimento
agli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost. e  all'art.  3,
lettera a), dello statuto speciale, in relazione all'art. 3 del  d.l.
n. 80 del 2021, come convertito. 
    L'art. 6, comma 32, dispone che «[l]a validita' delle graduatorie
relative alle procedure selettive per il reclutamento di personale  a
tempo  determinato  e   indeterminato,   pubblicate   dalle   aziende
ospedaliere, dalle aziende ospedaliere universitarie della Sardegna e
dalle  amministrazioni  del  sistema  Regione,  e'  prorogata  al  31
dicembre 2022». 
    Sostiene il  ricorrente  che  lo  scorrimento  delle  graduatorie
indicate sarebbe possibile solo quando vi sia corrispondenza  tra  il
profilo e la qualifica professionale del posto che si intende coprire
e il profilo e la categoria professionale per i quali si  e'  bandito
il concorso poi  concluso  con  l'approvazione  delle  graduatorie  e
sarebbe assoggettato a limitazioni idonee a renderlo compatibile  con
i principi di imparzialita' e di buon andamento dell'amministrazione.
Non potrebbe essere  previsto  lo  scorrimento  per  posti  di  nuova
istituzione o frutto di  trasformazione,  per  evitare  rimodulazioni
dell'organico in potenziale contrasto con i principi di imparzialita'
prescritti dalla Costituzione. 
    La disposizione regionale impugnata, prevedendo la validita' fino
al 31 dicembre  2022  delle  predette  graduatorie,  si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 97 e 117, secondo comma, lettera l), Cost.  e
con la norma statutaria piu' volte richiamata. 
    1.7.- Il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  impugnato
l'art. 20, comma 1, della legge reg. Sardegna  n.  17  del  2021,  in
riferimento all'art. 81, terzo comma, Cost. 
    Il comma 1 dell'art. 20 della legge reg. Sardegna n. 17 del  2021
apporta modifiche alla legge reg.  n.  45  del  1989  in  materia  di
esecuzione dei provvedimenti di demolizione e rimessione in  pristino
autorizzando l'amministrazione regionale a concedere un'anticipazione
delle  spese  ai  comuni  tenuti  a  eseguire  i   provvedimenti   di
demolizione  o   di   rimessione   in   pristino.   Tale   operazione
determinerebbe oneri a carico del bilancio regionale non quantificati
e per i quali non  sarebbe  indicata  la  copertura  finanziaria,  in
violazione dell'art. 81, terzo comma, Cost. 
    1.8.-  Infine,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha
promosso questione di legittimita' costituzionale dell'art. 35, comma
5, della legge reg. Sardegna n. 17 del  2021.  Con  riguardo  a  tale
questione, come detto (punti 5 e 5.1.  del  Ritenuto  in  fatto),  e'
stato disposto lo stralcio e il rinvio a  nuovo  ruolo.  Stante  tale
rinvio, si esamineranno di seguito solo le questioni  riguardanti  le
altre disposizioni della medesima legge regionale all'esame odierno. 
    2.- Si e' costituita in giudizio la  Regione  autonoma  Sardegna,
deducendo l'inammissibilita' e, comunque,  la  non  fondatezza  delle
questioni di legittimita' costituzionale promosse. 
    3.-  In  via  preliminare  occorre   esaminare   l'eccezione   di
inammissibilita'  della  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 5, comma 3, della  legge  reg.  Sardegna  n.  17  del  2021
promossa in riferimento all'art. 97 Cost. 
    Sul punto la difesa della Regione Sardegna eccepisce  un  difetto
di motivazione quanto alle concrete modalita' della dedotta lesione. 
    L'eccezione e' fondata. 
    La  questione  di   legittimita'   costituzionale   promossa   in
riferimento all'art. 97 Cost. deve  essere  dichiarata  inammissibile
essendo la relativa censura meramente assertiva e priva di una  anche
minima argomentazione. 
    Per   costante   giurisprudenza   costituzionale,   difatti,   e'
necessario che il ricorso  in  via  principale  contenga  una  seppur
sintetica  argomentazione  di  merito  a  sostegno  della   richiesta
declaratoria di illegittimita'  costituzionale  della  legge.  Questa
Corte e' costante nell'affermare che il ricorso in via principale non
puo' limitarsi a indicare «le norme costituzionali  e  ordinarie,  la
definizione del cui rapporto  di  compatibilita'  o  incompatibilita'
costituisce l'oggetto della questione di costituzionalita'» (sentenza
n. 450 del 2005), ma deve contenere, per  superare  lo  scrutinio  di
ammissibilita',  anche  una  argomentazione  di  merito,   sia   pure
sintetica,   a   sostegno    della    richiesta    declaratoria    di
incostituzionalita', posto che l'impugnativa  deve  fondarsi  su  una
motivazione adeguata e non meramente assertiva (ex plurimis, sentenze
n. 239, n. 135 e n. 71 del 2022; nello stesso senso,  sentenze  n.  5
del 2022, n. 201, n. 52 e n. 29 del 2021). 
    3.1.- La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
comma 3, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 e', invece, fondata
in riferimento all'art. 117, secondo comma,  lettera  l),  Cost.,  in
relazione agli artt. 19 e 28 del d.lgs. n. 165 del 2001,  e  all'art.
3, lettera a), dello statuto speciale. 
    L'art. 5, comma 3, della legge regionale in esame stabilisce: «Al
personale transitato ai sensi dell'articolo 1, comma  4  della  legge
regionale 3 agosto 2017, n.  18  (Disposizioni  finanziarie  e  prima
variazione al bilancio 2017-2019. Modifica alla legge regionale n.  5
del 2017, alla legge regionale n. 6 del 2017, alla legge regionale n.
32 del 2016 e alla legge regionale n. 12 del  2007),  si  applica  il
riconoscimento di anzianita' previsto dall'articolo 87, comma  terzo,
della legge regionale 17 agosto 1978, n. 51 (Ordinamento degli uffici
e  stato  giuridico  del  personale  regionale).  L'anzianita'  cosi'
maturata nella qualifica per l'accesso alla  quale  dall'esterno  sia
prescritto il diploma di laurea vale quale  requisito  di  ammissione
alle procedure di accesso alla dirigenza di cui all'articolo 32 della
legge regionale n. 31 del 1998». 
    La disposizione  impugnata  prevede  requisiti  di  accesso  alla
dirigenza non conformi al quadro  regolativo  nazionale  disciplinato
dagli artt. 19 e 28 del d.lgs. n. 165  del  2001,  che  costituiscono
parametro interposto rispetto ai precetti costituzionali invocati dal
ricorrente. Infatti, essa consente al personale transitato - mediante
progressione "verticale" nella qualifica  apicale  -  di  partecipare
alle  procedure  di  accesso  alla  dirigenza  senza   possedere   il
necessario  requisito  del  titolo  di  studio  della  laurea,  e  di
computare, al fine della maturazione del requisito  professionale  di
permanenza di almeno cinque anni di servizio  nell'area  o  categoria
apicale, l'anzianita' di servizio maturata in carriere non apicali. 
    E' costante l'orientamento di questa Corte  secondo  cui  -  alla
luce della legislazione in materia di  privatizzazione  del  pubblico
impiego - la disciplina del trattamento giuridico  ed  economico  dei
dipendenti pubblici contrattualizzati - tra cui, ai  sensi  dell'art.
1, comma 2, del d.lgs. n. 165  del  2001,  sono  ricompresi  anche  i
dipendenti  delle  regioni  -  e'  attribuita  in  via  esclusiva  al
legislatore statale dall'art. 117, secondo comma, lettera  l),  Cost.
(in tal senso, ex plurimis, sentenze n. 190 del 2022, n. 146, n.  138
e n. 10 del 2019). Cio' comporta che le regioni non possono  alterare
le regole che disciplinano tali rapporti (ex multis, sentenza n.  282
del 2004). 
    In particolare, questa Corte  ha  affermato  che  l'art.  19  del
d.lgs. n. 165 del 2001 «contiene una pluralita' di precetti  relativi
alla  qualificazione  professionale  ed  alle  precedenti  esperienze
lavorative del soggetto esterno, alla  durata  massima  dell'incarico
(e, dunque, anche del relativo contratto di  lavoro),  all'indennita'
che  -  a  integrazione  del  trattamento  economico  -  puo'  essere
attribuita   al   privato,   alle   conseguenze   del    conferimento
dell'incarico  su  un  eventuale  preesistente  rapporto  di  impiego
pubblico e, infine, alla percentuale massima di incarichi conferibili
a  soggetti  esterni  (il  successivo  comma   6-bis   contiene   una
prescrizione in tema di modalita' di calcolo di quella  percentuale).
Tale disciplina non riguarda,  pertanto,  ne'  procedure  concorsuali
pubblicistiche per l'accesso al pubblico impiego, ne' la scelta delle
modalita' di costituzione di quel rapporto giuridico. Essa,  valutata
nel suo complesso, attiene ai requisiti soggettivi che debbono essere
posseduti dal contraente privato, alla durata massima  del  rapporto,
ad alcuni aspetti del regime economico e  giuridico  ed  e'  pertanto
riconducibile alla regolamentazione  del  particolare  contratto  che
l'amministrazione  stipula  con  il  soggetto  ad  essa  esterno  cui
conferisce l'incarico dirigenziale» (sentenza n. 324 del 2010). 
    L'art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001  non  attiene,  pertanto,  a
materie di competenza legislativa  concorrente  (coordinamento  della
finanza pubblica) o residuale regionale (organizzazione delle Regioni
e degli uffici regionali, organizzazione degli enti locali), bensi' a
quella dell'ordinamento civile di  competenza  legislativa  esclusiva
statale (ancora sentenza n. 324 del 2010). 
    La  disposizione  regionale  impugnata   sostituisce,   in   modo
costituzionalmente  non  consentito,  i  requisiti  di  accesso  alla
dirigenza regionale, in tal modo violando l'art. 117, secondo  comma,
lettera  l),  Cost.,  che  attribuisce  alla  competenza  legislativa
esclusiva  dello  Stato  la  disciplina  della  materia  «ordinamento
civile»,  cui  appartiene  la  definizione  delle  procedure  e   dei
requisiti di accesso alla carriera dirigenziale. 
    Risulta  violato  anche  l'art.  3,  lettera  a),  dello  statuto
speciale,  perche'   la   disposizione   impugnata   esorbita   dalle
attribuzioni regionali, essendo la disciplina  dei  requisiti  minimi
culturali di accesso alla dirigenza non riconducibile  a  profili  di
autonomia organizzativa della Regione. 
    4.- Con riguardo alla questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 5, comma 19, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del  2021,
quanto al profilo riferito all'art. 119 Cost.  (riguardo  l'autonomia
finanziaria  della  Regione),   occorre   preliminarmente   esaminare
l'eccezione di inammissibilita' sollevata dalla difesa regionale  per
carenza di motivazione. 
    Tale eccezione e' fondata. 
    La censura formulata dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  in
riferimento all'art. 119 Cost., deve essere dichiarata  inammissibile
in quanto priva di qualunque  argomentazione  di  merito  a  sostegno
della richiesta declaratoria di illegittimita' costituzionale. 
    Questa Corte e' costante nell'affermare che  il  ricorso  in  via
principale   deve   contenere,   per   superare   lo   scrutinio   di
ammissibilita',  anche  una  argomentazione  di  merito,   sia   pure
sintetica,   a   sostegno    della    richiesta    declaratoria    di
incostituzionalita', posto che l'impugnativa  deve  fondarsi  su  una
motivazione adeguata e non meramente assertiva (ex plurimis, sentenze
n. 239, n. 135 e n. 71 del 2022; nello stesso senso,  sentenze  n.  5
del 2022, n. 201, n. 52 e n. 29 del 2021). 
    4.1.- La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
comma 19, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 e' invece  fondata
in  riferimento  all'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 23 del d.lgs. n. 75 del 2017. Detta disposizione prevede, al
comma  2,  che:   «al   fine   di   assicurare   la   semplificazione
amministrativa, la valorizzazione del merito, la qualita' dei servizi
e  garantire  adeguati  livelli   di   efficienza   ed   economicita'
dell'azione  amministrativa,  assicurando  al  contempo  l'invarianza
della spesa, a decorrere dal 1° gennaio 2017, l'ammontare complessivo
delle risorse destinate annualmente  al  trattamento  accessorio  del
personale,  anche  di  livello  dirigenziale,   di   ciascuna   delle
amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo  30  marzo  2001,  n.   165,   non   puo'   superare   il
corrispondente importo determinato per l'anno 2016. A decorrere dalla
predetta data l'articolo 1, comma 236, della legge 28 dicembre  2015,
n. 208 e'  abrogato.  Per  gli  enti  locali  che  non  hanno  potuto
destinare  nell'anno  2016  risorse  aggiuntive  alla  contrattazione
integrativa a causa del mancato  rispetto  del  patto  di  stabilita'
interno del 2015, l'ammontare complessivo delle  risorse  di  cui  al
primo periodo del presente comma non puo' superare il  corrispondente
importo determinato per l'anno 2015, ridotto in misura  proporzionale
alla riduzione del personale in servizio nell'anno 2016». 
    L'art. 5, comma 19, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del  2021
stabilisce il superamento dei limiti di spesa relativi al trattamento
economico accessorio del personale regionale, prevedendo che:  «[n]el
comparto   della   contrattazione   collettiva   regionale   di   cui
all'articolo 58 delle legge regionale n. 31 del 1998, la disposizione
di cui al comma 2 dell'articolo 3 del decreto legge 9 giugno 2021, n.
80, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto  2021,  n.  113
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9  giugno
2021, n. 80,  recante  misure  urgenti  per  il  rafforzamento  della
capacita' amministrativa delle pubbliche  amministrazioni  funzionale
all'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza  (PNRR)  e
per l'efficienza della giustizia), si applica  con  riferimento  alle
economie di spesa destinate dal  contratto  collettivo  regionale  di
lavoro del triennio 2016-2018 del personale dipendente,  sottoscritto
il 4 dicembre 2017, al fondo per la retribuzione di rendimento  e  al
fondo per le progressioni professionali, da attribuirsi con i criteri
di   selettivita'   e   merito   previsti    dalla    contrattazione,
compatibilmente con il  raggiungimento  degli  obiettivi  di  finanza
pubblica e  a  condizione  che  le  risorse  risultino  correttamente
conservate nel bilancio  regionale  con  le  modalita'  previste  dal
decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni  in  materia
di armonizzazione dei sistemi contabili e degli  schemi  di  bilancio
delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma  degli
articoli 1 e 2 della legge  5  maggio  2009,  n.  42),  e  successive
modifiche ed integrazioni». 
    Il comma 2 dell'art. 3 del d.l. n. 80 del 2021, come  convertito,
richiamato dalla norma impugnata  prevede,  a  sua  volta,  che  «[i]
limiti di spesa relativi al trattamento economico accessorio  di  cui
all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017,  n.
75, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di  finanza
pubblica, possono essere superati, secondo  criteri  e  modalita'  da
definire nell'ambito dei contratti collettivi nazionali di  lavoro  e
nei limiti delle risorse finanziarie destinate a tale finalita'». 
    Successivamente, con l'art. 1, comma 604, della legge n. 234  del
2021, sono stati definiti i criteri e le modalita' in base  ai  quali
e'  possibile  incrementare  le  risorse  destinate  ai   trattamenti
accessori del personale dipendente dalle  amministrazioni  pubbliche.
Tale disposizione stabilisce che, al fine di dare attuazione a quanto
previsto dall'art. 3,  comma  2,  del  d.l.  n.  80  del  2021,  come
convertito,  le  risorse  destinate  ai  trattamenti  accessori   del
personale dipendente dalle amministrazioni di cui all'art.  1,  comma
2, del d.lgs. n. 165 del 2001 «possono essere incrementate,  rispetto
a quelle destinate a tali finalita' nel 2021, con modalita' e criteri
stabiliti  dalla  contrattazione  collettiva  nazionale  relativa  al
triennio  2019-2021  o  dai   provvedimenti   di   determinazione   o
autorizzazione dei medesimi trattamenti, di  una  misura  percentuale
del monte salari 2018 da determinare, per le amministrazioni statali,
nei limiti di una spesa  complessiva  di  110,6  milioni  di  euro  a
decorrere dall'anno 2022, al lordo degli oneri contributivi  ai  fini
previdenziali e dell'imposta regionale  sulle  attivita'  produttive,
mediante  l'istituzione  nello  stato  di  previsione  del  Ministero
dell'economia e delle finanze di un apposito fondo con una  dotazione
di pari importo e, per le  restanti  amministrazioni,  a  valere  sui
propri bilanci, con la medesima  percentuale  e  i  medesimi  criteri
previsti per il personale delle amministrazioni dello Stato,  secondo
gli indirizzi impartiti dai rispettivi comitati di settore  ai  sensi
dell'articolo 47, comma 2, del predetto decreto legislativo 30  marzo
2001, n. 165». 
    Il contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale
del comparto funzioni centrali per il triennio 2019-2021  stabilisce,
all'art. 49,  che  ciascuna  amministrazione,  per  proprie  esigenze
organizzative o gestionali, puo'  incrementare  la  parte  variabile,
oltre il limite di cui all'art. 23, comma 2, del  d.lgs.  n.  75  del
2017, di un importo comunque non superiore allo 0,22  per  cento  del
monte salari dell'anno 2018. 
    La disposizione impugnata consente di destinare (per effetto  del
richiamo all'art.  3,  comma  2,  del  d.l.  n.  80  del  2021,  come
convertito)  -  in  eccedenza  rispetto  ai  limiti  al   trattamento
economico accessorio previsti dall'art. 23, comma 2, del d.lgs. n. 75
del 2017 - le economie di spesa del contratto collettivo regionale di
lavoro del triennio 2016-2018 al fondo retributivo del rendimento e/o
al fondo per le progressioni professionali. 
    La Regione non avrebbe potuto applicare l'art. 3,  comma  2,  del
d.l. n. 80 del 2021, come convertito,  avendo  quest'ultimo  soltanto
carattere  programmatorio  e  la  cui  attuazione  e'   compiutamente
avvenuta solo successivamente con l'art. 1, comma 604, della legge n.
234 del 2021, norma che prevede criteri e limitazioni  alla  predetta
possibilita' di superare la spesa relativa al  trattamento  economico
accessorio. 
    La normativa regionale, entrata  in  vigore  prima  dell'art.  1,
comma 604, della  legge  n.  234  del  2021,  avrebbe  dovuto  quindi
rispettare il limite di spesa  posto  originariamente  dall'art.  23,
comma 2, del d.lgs. n. 75 del 2017. 
    Con  riguardo  al  salario   accessorio   del   personale   delle
amministrazioni pubbliche, e' costante l'orientamento di questa Corte
nel ritenere che le  relative  modalita'  e  criteri  di  incremento,
stabiliti dalla legislazione statale, sono vincolanti  anche  per  le
autonomie speciali,  «poiche'  essi  sono  funzionali  "a  preservare
l'equilibrio    economico-finanziario     del     complesso     delle
amministrazioni pubbliche e  anche  a  garantire  l'unita'  economica
della Repubblica, come richiesto dai principi  costituzionali  e  dai
vincoli derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  all'Unione  europea
(sentenza n. 82 del 2005, nonche' sentenza n. 62 del 2017)"». In  tal
senso si sono espresse anche le pronunce specificamente inerenti alle
autonomie speciali (sentenze n. 54 del 2014, n. 229 del 2011, n.  169
e n. 82 del 2007, n. 417 del  2005  e  n.  353  del  2004)  le  quali
affermano che i principi  di  coordinamento  della  finanza  pubblica
recati dalla legislazione statale si applicano anche ad esse  poiche'
«funzionali  a  prevenire  disavanzi  di   bilancio,   a   preservare
l'equilibrio    economico-finanziario     del     complesso     delle
amministrazioni pubbliche e  a  garantire  l'unita'  economica  della
Repubblica (sentenza n. 82 del  2015),  dato  che  la  finanza  delle
Regioni a Statuto speciale e' parte della finanza pubblica  allargata
(sentenze n. 80 del 2017)» (sentenza n. 231 del 2017). 
    La disposizione regionale  impugnata,  prevedendo  un  incremento
della spesa per il trattamento economico  accessorio  del  personale,
non rispettoso dei limiti posti dallo Stato  al  fine  di  assicurare
l'invarianza  della   spesa,   non   risulta   compatibile   con   il
raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti in ambito
nazionale, in  coerenza  con  le  procedure  e  i  criteri  stabiliti
dall'Unione europea garantiti dall'art. 117, primo comma,  Cost.  (in
tal senso, sentenze n. 190 del 2022, n. 412 e n. 169 del 2007, n. 417
del 2005 e n. 36 del 2004). 
    5.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
comma 25, della  legge  reg.  Sardegna  n.  17  del  2021,  posta  in
riferimento all'art. 117, secondo comma,  lettera  l),  Cost.,  nella
materia «ordinamento civile», in relazione all'art.  30,  commi  1  e
2-quinquies, del d.lgs. n. 165 del 2001, e' fondata. 
    L'art. 5, comma 25, della legge della Regione Sardegna n. 17  del
2021 stabilisce che: «[a]l fine di rafforzare  l'organico  regionale,
con particolare riguardo alle  necessita'  di  personale  determinate
dall'emergenza da Covid-19 e  in  applicazione  dell'articolo  38-bis
della legge regionale n. 31 del 1998, il personale  con  contratto  a
tempo indeterminato che abbia prestato  servizio  presso  il  sistema
Regione in posizione di comando o in  assegnazione  temporanea  anche
attraverso i progetti di cui alla Delib. G.R.  18  gennaio  2005,  n.
1/11 negli ultimi cinque anni puo' transitare, a seguito di  apposita
domanda,  nell'Amministrazione   regionale   mediante   cessione   di
contratto, previo nulla osta dell'amministrazione di provenienza.  La
presente disposizione non comporta  oneri  aggiuntivi  a  carico  del
bilancio regionale e si applica nei limiti delle risorse  finanziarie
disponibili nel fondo per il  reclutamento  del  personale  in  conto
della missione 01 - programma 10 - titolo 1 del bilancio regionale  e
nel rispetto delle  facolta'  assunzionali  previste  a  legislazione
vigente». 
    La disposizione  impugnata,  come  visto,  consente  il  transito
nell'amministrazione regionale del personale con  contratto  a  tempo
indeterminato, subordinando detto transito all'assenza di  oneri  per
la  finanza  regionale  e  nei  «limiti  delle  risorse   finanziarie
disponibili nel fondo per  il  reclutamento  del  personale»  e  «nel
rispetto  delle  facolta'  assunzionali   previste   a   legislazione
vigente». 
    La disciplina dettata  dal  combinato  della  norma  impugnata  e
dell'art.  38-bis  della  legge  reg.  Sardegna  n.  31   del   1998,
espressamente richiamato dall'art. 5,  comma  25,  della  legge  reg.
Sardegna n. 17 del 2021,  si  pone  in  contrasto  con  la  normativa
statale in materia di mobilita', come disciplinata dall'art.  30  del
d.lgs.  n.   165   del   2001.   Quest'ultimo   stabilisce   che   le
amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico  mediante
passaggio diretto  di  dipendenti  delle  amministrazioni  pubbliche,
appartenenti a una qualifica  corrispondente  e  in  servizio  presso
altre amministrazioni, che  facciano  domanda  di  trasferimento.  La
disposizione prevede che l'amministrazione  di  appartenenza  esprima
previamente il proprio assenso soltanto nel caso in cui si tratti  di
posizioni dichiarate motivatamente infungibili o di personale assunto
da meno di tre anni, oppure quando la mobilita' determini una carenza
di organico superiore al 20 per cento nella qualifica. 
    Nel caso di mobilita' volontaria, peraltro, non e'  garantito  il
mantenimento   del   livello   retributivo   in   godimento    presso
l'amministrazione di provenienza. L'art. 30, comma  2-quinquies,  del
d.lgs. n. 165 del  2001,  stabilisce  infatti  che  «[s]alvo  diversa
previsione, a seguito dell'iscrizione nel ruolo  dell'amministrazione
di destinazione, al dipendente trasferito per  mobilita'  si  applica
esclusivamente il trattamento giuridico ed economico, compreso quello
accessorio, previsto nei contratti collettivi  vigenti  nel  comparto
della  stessa  amministrazione».  Tale  disposizione   e'   collegata
all'art. 45, comma 2, del medesimo decreto legislativo  a  mente  del
quale  «[l]e  amministrazioni  pubbliche   garantiscono   ai   propri
dipendenti di cui all'articolo 2, comma  2,  parita'  di  trattamento
contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a  quelli  previsti
dai rispettivi contratti collettivi». 
    Dal confronto  tra  la  disposizione  regionale  impugnata  e  la
normativa primaria richiamata dalla  medesima  disposizione  emergono
profili di illegittimita' costituzionale: le  disposizioni  regionali
disciplinano  in  modo  differenziato  dalle  norme   interposte   il
trattamento del personale in esame, invadendo la materia «ordinamento
civile», riservata dalla Costituzione al legislatore statale. Di  qui
la  violazione  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.
(sentenze n. 146, n. 138 e n. 10 del 2019). 
    Sul punto questa  Corte  ha  ribadito,  anche  recentemente,  che
«"[l]a materia dell'ordinamento civile, riservata in via esclusiva al
legislatore statale, investe la disciplina del trattamento  economico
e  giuridico  dei  dipendenti  pubblici  e   ricomprende   tutte   le
disposizioni che incidono sulla regolazione del  rapporto  di  lavoro
(ex plurimis, sentenze n. 175 e n. 72 del 2017, n. 257 del  2016,  n.
180 del 2015, n. 269, n. 211 e n. 17 del 2014)" (sentenza n. 257  del
2020)» (sentenza n. 25 del 2021). 
    In particolare, con riguardo  alla  disciplina  dei  rapporti  di
lavoro pubblico e alla loro contrattualizzazione, e' stato  affermato
che «i principi fissati dalla legge statale in materia "costituiscono
tipici limiti di diritto privato, fondati sull'esigenza, connessa  al
precetto costituzionale di eguaglianza,  di  garantire  l'uniformita'
nel territorio nazionale delle regole  fondamentali  di  diritto  che
disciplinano i rapporti fra privati e, come tali, si impongono  anche
alle Regioni a statuto speciale [...]"» (sentenza n.  154  del  2019;
nello stesso senso, sentenze n. 232 e n. 81  del  2019,  n.  234  del
2017, n. 225 e n. 77 del 2013). 
    Cio' comporta che le regioni non possono alterare le  regole  che
disciplinano tali rapporti privati (ex multis, sentenze 190 del  2022
e n. 282 del 2004). Peraltro, l'art. 3,  lettera  a),  dello  statuto
speciale, che attribuisce  alla  Regione  la  competenza  legislativa
esclusiva in materia di stato  giuridico  ed  economico  del  proprio
personale, incontra, secondo quanto previsto dallo statuto stesso,  i
limiti   derivanti    dalle    norme    fondamentali    di    riforma
economico-sociale della Repubblica (cosi', tra le altre, sentenza  n.
172 del 2018) come espressi nell'art. 30, commi 1 e 2-quinquies,  del
d.lgs. n. 165 del 2001. 
    Da quanto sopra esposto deriva la fondatezza della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 25, della  legge  reg.
Sardegna n. 17 del 2001 per violazione della  competenza  legislativa
esclusiva statale nella materia «ordinamento civile», di cui all'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    5.1.- Restano assorbiti gli ulteriori motivi di impugnazione. 
    6.-   Con   riguardo   poi   alla   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 26, della legge reg. Sardegna n. 17
del 2021, promossa in riferimento all'art. 97 Cost., occorre, in  via
preliminare, esaminare l'eccezione di inammissibilita'  della  difesa
della Regione autonoma Sardegna, la quale  eccepisce  un  difetto  di
motivazione in  merito  alla  lesione  del  parametro  costituzionale
invocato. 
    Tale eccezione e' fondata. 
    Secondo il costante insegnamento di questa Corte, il  ricorso  in
via principale non puo' limitarsi a indicare le norme  costituzionali
e ordinarie, la definizione del  cui  rapporto  di  compatibilita'  o
incompatibilita'   costituisce   l'oggetto   della    questione    di
legittimita' costituzionale,  ma  deve  contenere,  per  superare  lo
scrutinio di ammissibilita', anche una argomentazione di merito,  sia
pure  sintetica,  a  sostegno   della   richiesta   declaratoria   di
incostituzionalita', posto che l'impugnativa  deve  fondarsi  su  una
motivazione adeguata e non meramente assertiva (ex plurimis, sentenze
n. 239, n. 135 e n. 71 del 2022; nello stesso senso,  sentenze  n.  5
del 2022, n. 201, n. 52 e n. 29 del 2021). 
    La censura del Presidente del Consiglio dei  ministri  e'  invece
formulata in modo generico  e  del  tutto  ipotetico,  limitandosi  a
invocare il principio di separazione tra funzione politica e funzione
di gestione amministrativa. Cio' determina  l'inammissibilita'  delle
censure in riferimento al predetto parametro. 
    6.1.- La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
comma 26, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del  2021  promossa  in
riferimento all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,  in
relazione all'art. 19 del d.lgs.  n.  165  del  2001  e  all'art.  3,
lettera a), dello statuto speciale e', invece, fondata. 
    La richiamata disposizione regionale stabilisce che:  «[a]l  fine
di garantire l'assolvimento  delle  procedure  in  corso,  l'avvio  e
l'attuazione della programmazione europea  2021/2027  possono  essere
prorogati, fino ad un massimo di due anni e nei limiti delle  risorse
finanziarie  disponibili,  gli   incarichi   dirigenziali   a   tempo
determinato attribuiti in seguito a procedure  ad  evidenza  pubblica
nel sistema Regione ai sensi dell'articolo 29 della  legge  regionale
n. 31 del 1998, secondo le direttive dell'Assessore  competente».  La
disposizione impugnata riguarda rapporti di lavoro gia' in essere,  a
prescindere dal loro oggetto e dalla loro durata iniziale,  e  va  ad
incidere sul termine di durata stabilito al momento della stipula del
contratto, disponendone la proroga fino a un massimo di due anni. 
    La disciplina degli incarichi dirigenziali attiene  alla  materia
«ordinamento civile» di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  l),
Cost. 
    In particolare, questa Corte ha  affermato  che  «l'articolo  19,
comma 6, d.lgs. n. 165 del 2001 contiene una pluralita'  di  precetti
relativi  alla  qualificazione  professionale  ed   alle   precedenti
esperienze lavorative  del  soggetto  esterno,  alla  durata  massima
dell'incarico (e, dunque, anche del relativo  contratto  di  lavoro),
all'indennita' che - a integrazione del trattamento economico -  puo'
essere attribuita  al  privato,  alle  conseguenze  del  conferimento
dell'incarico  su  un  eventuale  preesistente  rapporto  di  impiego
pubblico e, infine, alla percentuale massima di incarichi conferibili
a soggetti esterni» (sentenza n. 324 del 2010). 
    L'art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, invocato quale disposizione
interposta, ha infatti un effetto unificante  delle  regole  inerenti
all'accesso nelle pubbliche amministrazioni, mentre  la  disposizione
impugnata, collegata con la precedente  legge  regionale  n.  31  del
1998, prevede una disciplina specifica, valevole per la sola  Regione
autonoma Sardegna, che consente di prorogare  in  modo  generalizzato
gli incarichi dirigenziali regionali in corso di esecuzione. 
    Questa Corte ha  reiteratamente  affermato  che  «gli  interventi
legislativi che incidono  sui  rapporti  lavorativi  in  essere  sono
ascrivibili alla materia "ordinamento civile", dovendosi per converso
ricondurre alla materia residuale dell'organizzazione  amministrativa
regionale quelli che intervengono "a monte", in una fase  antecedente
all'instaurazione    del    rapporto,    e     riguardano     profili
pubblicistico-organizzativi  dell'impiego  pubblico   regionale   (ex
plurimis, sentenze n. 39 e n. 9 del 2022; n. 195, n. 25 e n.  20  del
2021; n. 273, n. 194 e n. 126 del 2020; n. 241 del  2018)»  (sentenza
n. 84 del 2022). 
    Cio' determina l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma
26, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2021 per contrasto con l'art.
117, secondo comma, lettera l), Cost., in relazione all'art.  19  del
d.lgs. n. 165 del 2001. 
    7.- La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,
comma 29, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del  2021  promossa  in
riferimento all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,  in
relazione agli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n. 165 del 2001,  e'
fondata. 
    Il comma 29  dell'art.  5  stabilisce  che  «[a]l  fine  di  dare
attuazione ai commi 4-ter e 4-quater  dell'articolo  58  della  legge
regionale n. 31 del 1998 introdotti dalla presente legge e  istituire
una   indennita'   pensionabile   in   analogia   all'indennita'   di
specificita' organizzativa percepita dal personale  della  Protezione
civile  nazionale,  riconosciuta  dall'articolo  18   del   contratto
integrativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri  sottoscritto
il 15 settembre 2004, per la contrattazione collettiva  regionale  e'
autorizzata, ai sensi dell'articolo 62 della legge  regionale  n.  31
del 1998, l'ulteriore spesa di euro 285.840 per l'anno 2021 e di euro
1.143.360 annui a decorrere dall'anno 2022 (missione 01  -  programma
10 - titolo 1)». 
    La   disposizione   impugnata,   intervenendo   nell'ambito   del
trattamento     giuridico     ed     economico     dei     dipendenti
dell'amministrazione regionale, si pone in  contrasto  con  le  norme
interposte di cui agli artt. 2, comma 3, e 45 del d.lgs. n.  165  del
2001, i quali stabiliscono rispettivamente che i rapporti individuali
di lavoro dei dipendenti delle  amministrazioni  pubbliche,  compresi
quelli regionali, sono regolati contrattualmente e che il trattamento
economico  fondamentale  e  accessorio  e'  definito  dai   contratti
collettivi. 
    Secondo la Regione la disposizione impugnata non  invaderebbe  la
competenza legislativa dello Stato prevista  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost., in  quanto  il  comma  29  dell'art.  5  si
limiterebbe a disporre una provvista finanziaria nell'ipotesi in  cui
l'indennita' pensionabile per il personale  della  protezione  civile
regionale sia inserita nel contratto collettivo di settore. 
    Deve invece osservarsi  che  la  disposizione  regionale  non  si
limita a prevedere le risorse  finanziarie  necessarie  al  pagamento
dell'indennita' pensionabile al  personale  della  protezione  civile
regionale,   ma   interviene   determinando   unilateralmente   detta
indennita', con cio' sottraendone la disciplina alla negoziazione tra
le  parti  interessate  secondo   i   canoni   della   contrattazione
collettiva. E cio' comporta l'invasione della competenza  legislativa
dello  Stato  nella  materia  «ordinamento  civile»  (in  tal  senso,
sentenze n. 190 del 2022, n. 146, n. 138 e n. 10 del 2019). 
    Con  riferimento  alle  regioni  a  statuto   speciale   occorre,
altresi', tener conto  delle  competenze  statutarie  le  quali,  con
riguardo alla  Regione  autonoma  Sardegna,  devono  comunque  essere
esercitate  nel  rispetto  delle  norme  fondamentali  delle  riforme
economico-sociali della Repubblica e, conseguentemente,  anche  delle
previsioni recate dal d.lgs. n. 165 del 2001. 
    7.1.- Restano assorbiti gli ulteriori motivi di censura. 
    8.- Con riguardo alla questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 6, comma 32, della legge  reg.  Sardegna  n.  17  del  2021
promossa in riferimento agli artt. 97 e 117, secondo  comma,  lettera
l), Cost., nonche' all'art. 3, lettera a),  dello  statuto  speciale,
occorre preliminarmente valutare  le  eccezioni  di  inammissibilita'
della difesa regionale per contraddittorieta' e mancanza di  adeguata
motivazione. 
    Le eccezioni di inammissibilita'  sono  fondate  con  riguardo  a
tutti i parametri invocati. 
    Le censure in esame sono formulate in modo generico  e  assertivo
con  riguardo  alle  singole  fattispecie  oggetto  di  censura.   Il
ricorrente, infatti, si limita ad affermare in modo apodittico che la
disposizione regionale violerebbe i principi di cui agli artt.  97  e
117, secondo comma, lettera l), Cost. e l'art. 3, lettera  a),  dello
statuto speciale, ma non fornisce argomentazioni con riferimento alla
lesione principio di buon andamento, ne' tanto meno  alla  violazione
della competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato  nella  materia
«ordinamento civile» e neppure all'asserita lesione dell'art. 3 dello
statuto speciale. 
    E' costante l'orientamento di questa  Corte  secondo  cui  «nella
impugnazione in via principale, il ricorrente non solo deve,  a  pena
di inammissibilita', individuare l'oggetto della  questione  proposta
(con riferimento alla normativa  che  censura  ed  ai  parametri  che
denuncia violati), ma ha anche l'onere  (da  considerare  addirittura
piu' pregnante rispetto a quello sussistente nei giudizi incidentali:
ex plurimis, sentenza n. 115 del 2021) di esplicitare una motivazione
chiara  ed  adeguata  in   ordine   alle   specifiche   ragioni   che
determinerebbero la violazione dei parametri che assume  incisi»  (ex
plurimis, da ultimo, sentenze n. 135, n. 239 e n. 71 del 2022). 
    9.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  20,
comma 1, della legge reg.  Sardegna  n.  17  del  2021,  promossa  in
riferimento all'art. 81, terzo comma, Cost., e' fondata. 
    L'art. 20 della legge reg. n. 17 del  2021  stabilisce  che:  «1.
L'articolo 15 della legge regionale 22 dicembre 1989 n. 45 (Norme per
l'uso e la  tutela  del  territorio  regionale),  e'  sostituito  dal
seguente: "Art. 15 (Esecuzione dei  provvedimenti  di  demolizione  e
rimessione in pristino) 1. L'Amministrazione regionale e' autorizzata
a concedere una anticipazione delle spese ai comuni che  sono  tenuti
ad eseguire  i  provvedimenti  di  demolizione  e  di  rimessione  in
pristino  delle  autorita'  amministrativa  e  giudiziaria  ai  sensi
dell'articolo 6 della legge regionale n. 23 del  1985,  dell'articolo
31, comma 9, del decreto del Presidente  della  Repubblica  6  giugno
2001,  n.  380  (Testo  unico  delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari in materia edilizia) e dell'articolo 181, comma 2,  del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali
e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002,
n. 137). 2. Alla richiesta di anticipazione e' allegato il titolo  da
eseguirsi ed un preventivo di spesa. 3. L'anticipazione  e'  concessa
senza interessi. 4. I comuni iniziano  il  procedimento  di  recupero
delle spese sostenute dal trasgressore entro un anno  dall'esecuzione
della demolizione e lo concludono entro cinque  anni,  salva  proroga
per giustificati motivi  da  chiedere  all'Amministrazione  regionale
prima della  scadenza  del  termine.  5.  Le  somme  recuperate  sono
restituite all'Amministrazione regionale che le ha anticipate. 6.  In
assenza di recupero dal trasgressore il comune procede comunque  alla
restituzione   delle   somme   entro   dieci   anni   dall'erogazione
dell'anticipazione."». 
    9.1.- Occorre preliminarmente precisare che  non  possono  essere
accolte le eccezioni formulate dalla difesa regionale.  La  prima  e'
incentrata sul fatto che i rilievi  statali  si  riferirebbero  a  un
aspetto contabile (omessa indicazione della copertura  finanziaria  a
sostegno  dell'intervento),  gia'  presente  anche  nella  precedente
formulazione che pero' mai era stata  oggetto  di  contestazione.  La
seconda - connessa alla  prima  -  si  basa  sull'asserzione  che  vi
sarebbe carenza di interesse  al  ricorso  in  ragione  della  natura
meramente riproduttiva di una disposizione regionale  precedente  mai
impugnata. 
    In riferimento a entrambe  le  eccezioni  e'  bene  ricordare  la
costante giurisprudenza  di  questa  Corte,  secondo  cui  l'istituto
dell'acquiescenza non opera nei giudizi in via principale, atteso che
la norma censurata, anche se preceduta da altra di identico contenuto
e non impugnata, ha l'effetto  di  reiterare  la  lesione  che  fonda
l'interesse a ricorrere (in tal senso, sentenze n. 195 n.  124  e  n.
107 del 2021). 
    Peraltro, va  anche  rilevato  che  la  vecchia  norma  e  quella
subentrata  non  presentano   un   contenuto   identico.   La   prima
disposizione prevedeva difatti - per l'esecuzione delle ordinanze  di
demolizione  di  opere  eseguite  in  violazione   della   disciplina
urbanistica -  la  concessione  ai  comuni  dei  mezzi  meccanici  di
proprieta'  della  Regione  e  del  proprio  personale  addetto,   la
possibilita' di stipulare convenzioni con imprese  specializzate  per
l'effettuazione dei lavori e, infine, eventualmente,  l'anticipazione
delle spese relative all'esecuzione delle ordinanze di demolizione. 
    Con la nuova disposizione, invece,  i  comuni  non  vengono  piu'
dotati di attrezzature e personale della Regione, ma  si  prevede  la
possibilita' di concedere anticipazioni  per  fronteggiare  le  spese
inerenti  all'esecuzione  dei  provvedimenti  di  demolizione  e   di
rimessione  in  pristino,  stabilendo  le  modalita'  e  i  tempi  di
restituzione dell'anticipazione. 
    9.2.-  Non   puo'   essere   ritenuta   un'esimente   il   fatto,
incontestabile,  che  il   legislatore   regionale,   attraverso   la
disposizione in esame, abbia adempiuto alla  funzione  statutaria  di
garantire la tutela del territorio nel proprio ambito, sostenendo  in
parte - e, in alcuni casi, del tutto, quando l'ente sia  radicalmente
sprovvisto di risorse per improntare i relativi interventi - gli enti
locali  nell'esecuzione  dei  provvedimenti  di  demolizione   e   di
rimessione in pristino relativi ad opere abusive. 
    Questa  finalita'  non  giustifica  alcuna  deroga  al  principio
generale secondo cui la legge regionale che dispone  una  spesa  deve
essere corredata  della  esatta  quantificazione  e  dell'indicazione
della posta di bilancio, secondo le modalita'  previste  nel  decreto
legislativo 23 giugno  2011,  n.  118  (Disposizioni  in  materia  di
armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle
Regioni, degli enti locali  e  dei  loro  organismi,  a  norma  degli
articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42). 
    La disposizione impugnata, quand'anche  diretta  a  sostenere  le
politiche  degli  enti  locali  verso  un  concreto  contrasto   alle
attivita'  illegali  e  pregiudizievoli  per  il  territorio,   viene
impugnata per il profilo riguardante la sua inidoneita' ad assicurare
un'adeguata copertura finanziaria, onde evitare che si traduca in  un
vulnus all'equilibrio del bilancio della Regione stessa. 
    E'  costante  l'orientamento  di   questa   Corte   secondo   cui
«ogniqualvolta si introduca una  previsione  legislativa  che  possa,
anche solo in  via  ipotetica,  determinare  nuove  spese,  occorr[e]
sempre indicare i mezzi per farvi fronte» (ex multis, sentenze n. 190
del 2022, n. 163 del 2020 e n. 307 del 2013). 
    Si aggiunga che il combinato degli artt. 17 e 19 della  legge  31
dicembre 2009, n. 196 (Legge  di  contabilita'  e  finanza  pubblica)
stabilisce che le leggi e i provvedimenti che comportano oneri, anche
sotto  forma  di  minori  entrate,  a  carico   dei   bilanci   delle
amministrazioni pubbliche devono contenere la  previsione  dell'onere
stesso  e  l'indicazione  della  copertura  finanziaria  riferita  ai
relativi bilanci, annuali e pluriennali. L'art. 19,  comma  1,  della
legge n. 196 del 2009, specificativa del precetto di cui all'art. 81,
terzo comma, Cost.,  prescrive,  quale  presupposto  della  copertura
finanziaria, la previa quantificazione della  spesa,  per  l'evidente
motivo che  non  puo'  essere  assoggettata  a  copertura  un'entita'
indefinita, unitamente all'indicazione del relativo stanziamento  nel
bilancio. 
    La  disposizione   impugnata   non   contiene,   invece,   alcuna
quantificazione della spesa derivante dall'applicazione dell'art. 20,
comma 1,  della  legge  reg.  Sardegna  n.  17  del  2021  e  nemmeno
l'indicazione del relativo stanziamento. 
    Sul punto e' bene ricordare che questa  Corte  ha  affermato  che
«copertura economica delle spese ed equilibrio del bilancio sono  due
facce della stessa medaglia, dal momento che l'equilibrio  presuppone
che  ogni  intervento   programmato   sia   sorretto   dalla   previa
individuazione   delle   pertinenti   risorse:   nel   sindacato   di
costituzionalita' copertura finanziaria ed equilibrio integrano  "una
clausola generale in grado  di  operare  pure  in  assenza  di  norme
interposte  quando  l'antinomia  [con  le   disposizioni   impugnate]
coinvolga direttamente il precetto costituzionale: infatti 'la  forza
espansiva dell'art. 81, quarto [oggi terzo]  comma,  Cost.,  presidio
degli equilibri di finanza pubblica,  si  sostanzia  in  una  vera  e
propria clausola generale in grado di  colpire  tutti  gli  enunciati
normativi causa di effetti perturbanti la sana gestione finanziaria e
contabile' (sentenza n. 192 del 2012)" (sentenza n.  184  del  2016)»
(sentenza n. 274 del 2017). 
    Tali principi valgono anche per le autonomie speciali,  le  quali
sono quindi tenute a indicare la copertura  finanziaria  delle  leggi
regionali che prevedono nuovi o maggiori oneri a  carico  della  loro
finanza e  della  finanza  di  altre  amministrazioni  pubbliche,  in
conformita' all'art. 81 Cost. 
    Questa Corte ha gia' affermato che «l'obbligo di  copertura  deve
essere osservato con puntualita' rigorosa nei confronti  delle  spese
che incidono su un esercizio in corso e deve valutarsi il tendenziale
equilibrio tra entrate ed uscite nel  lungo  periodo,  valutando  gli
oneri gia' gravanti sugli esercizi futuri (sentenza n. 384 del 1991)»
(sentenza n. 6 del 2017). 
    In definitiva, la disposizione regionale in esame,  omettendo  di
indicare   la   copertura   finanziaria   delle    spese    afferenti
all'esecuzione dei provvedimenti di demolizione e  di  rimessione  in
pristino, deve essere dichiarata costituzionalmente  illegittima  per
contrasto con l'art. 81, terzo comma, Cost.