ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 429,  comma
2-bis, del codice di procedura  penale,  in  combinato  disposto  con
l'art. 458 del medesimo codice,  e  dell'art.  34  cod.  proc.  pen.,
promosso dal  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale
ordinario di Bologna nel procedimento penale a carico di R.G. C., con
ordinanza del 2  dicembre  2021,  iscritta  al  n.  55  del  registro
ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 21, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2023  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 febbraio 2023. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 2 dicembre 2021 (r.o. n.  55  del
2022), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario
di Bologna ha sollevato - in  riferimento  agli  artt.  101,  secondo
comma, 111,  secondo  e  sesto  comma,  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione, quest'ultimo in  relazione  all'art.  6,  paragrafo  1,
della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU) - questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 429, comma 2-bis, del codice di
procedura penale, in combinato disposto con l'art. 458  del  medesimo
codice, «nella parte in cui consente  che  a  celebrare  il  giudizio
abbreviato sia un  giudice  che,  per  limiti  funzionali,  non  puo'
ritenersi "terzo e imparziale" e in  quanto  "non  soggetto  soltanto
alla legge"»; 
    che il giudice a quo ha altresi' censurato l'art. 34  cod.  proc.
pen.,  «nella  parte  in  cui  non   prevede   l'incompatibilita'   a
partecipare al giudizio abbreviato del giudice  individuato  a  norma
della disposizione di cui all'art. 458 c.p.p., che per le limitazioni
derivanti dall'art. 438 co. 1 bis c.p.p. e  per  l'impossibilita'  di
fare applicazione dell'art. 521 c.p.p. non  puo'  essere  considerato
"terzo e imparziale"», denunziandone il contrasto con gli artt.  111,
secondo e sesto comma, e 117, primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU; 
    che il rimettente si trova a celebrare un giudizio abbreviato nei
confronti di R.G. C.; 
    che - espone il giudice a quo - nei  confronti  dell'imputato  il
pubblico ministero aveva originariamente chiesto il rinvio a giudizio
per omicidio volontario aggravato ai sensi degli  artt.  575  e  577,
primo comma, numero 4), del codice penale, in relazione all'art.  61,
numero 1), cod. pen., per avere volontariamente cagionato la morte di
R. N. investendolo con un autotreno: ipotesi delittuosa per la  quale
l'art. 438,  comma  1-bis,  cod.  proc.  pen.  preclude  il  giudizio
abbreviato; 
    che in esito all'udienza preliminare, nel decreto che dispone  il
giudizio, il GUP aveva riqualificato il fatto  in  omicidio  stradale
(art. 589-bis cod. pen.), fattispecie di  reato  per  cui  e'  invece
consentita la celebrazione del giudizio abbreviato; 
    che,  conseguentemente,  l'imputato  aveva  chiesto  il  giudizio
abbreviato ai sensi del combinato disposto  degli  artt.  429,  comma
2-bis, e 458 cod. proc. pen., poi ammesso dal giudice rimettente; 
    che,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  il  giudizio  abbreviato
instaurato in forza delle menzionate disposizioni si differenzierebbe
dal giudizio abbreviato "ordinario", in quanto celebrato  non  «sulla
pretesa  punitiva  fatta  valere  nel  processo  attraverso  l'azione
intrapresa dal Pubblico Ministero, bensi' su un titolo di  reato  che
e' individuato dal precedente  GUP»,  con  una  riqualificazione  del
fatto «autoritativa» e contenuta in un provvedimento - il decreto che
dispone   il   giudizio    -    insuscettibile    di    impugnazione,
riqualificazione peraltro che il giudice competente a  giudicare  con
rito abbreviato si troverebbe a subire «per  vincolo  funzionale»,  e
che comunque egli non potrebbe smentire, quanto meno in peius; 
    che, pertanto, in questa situazione «il  perimetro  del  giudizio
del   giudice   dell'abbreviato»   sarebbe   «predeterminato    dalla
valutazione operata nella precedente fase processuale», essendogli in
particolare preclusa, nel  caso  concreto,  la  riqualificazione  del
fatto oggetto di imputazione in quello di omicidio volontario; 
    che, d'altra parte, non sarebbe qui possibile proporre  conflitto
ai sensi dell'art. 28, comma 2, cod. proc. pen.; 
    che, prosegue il rimettente, l'art. 521, comma 2, cod. proc. pen.
impone al giudice di disporre la restituzione degli atti al  pubblico
ministero, ove accerti che il fatto e' diverso da come descritto  nel
decreto che dispone il giudizio; 
    che tale disposizione, pur se in via generale  applicabile  anche
nel  giudizio  abbreviato,  non  lo  sarebbe  nell'ipotesi   speciale
prevista dal combinato disposto degli artt. 429, comma 2-bis,  e  458
cod. proc. pen., ove al giudice  sarebbe  precluso  «determinarsi  in
maniera autonoma rispetto  all'imputazione  come  cristallizzata  dal
giudice  dell'udienza  preliminare»,  non  essendo   in   particolare
ammissibile «un'indebita regressione  avendo  il  Pubblico  ministero
correttamente gia' esercitato  l'azione  penale  per  il  piu'  grave
reato», anche perche' «un nuovo esercizio dell'azione  penale  e  una
nuova celebrazione dell'udienza preliminare, con la  reiterazione  di
una medesima scansione  procedimentale,  gia'  svolta,  che  potrebbe
ripetersi senza soluzione di  continuita',  potrebbe  determinare  il
verificarsi di una stasi processuale non altrimenti superabile»; 
    che da tale situazione discenderebbe una lesione  dell'art.  111,
secondo e sesto comma, Cost., e - per il tramite dell'art. 117, primo
comma, Cost. - dell'art. 6, paragrafo 1, CEDU, i quali  sanciscono  i
principi di terzieta' e imparzialita' del giudice; 
    che  le  garanzie  in  parola  -  le  quali  trovano  attuazione,
nell'ordinamento  italiano,  nella  disciplina  dell'incompatibilita'
determinata da atti compiuti nel procedimento di cui all'art. 34 cod.
proc. pen. - sarebbero  qui  vulnerate,  in  quanto  il  giudice  che
celebra il giudizio abbreviato a seguito della  riqualificazione  del
fatto in sede di udienza preliminare «"eredita" un vincolo  o  limite
funzionale della decisione assunta dal giudice che l'ha preceduto» in
ordine alla definizione giuridica del fatto, che non potrebbe  essere
mutata, ostandovi il disposto dell'art. 438, comma 1-bis, cod.  proc.
pen., il quale preclude la celebrazione del  rito  abbreviato  per  i
reati puniti con l'ergastolo; 
    che   si   produrrebbe   conseguentemente   una   situazione   di
incompatibilita' a giudicare, per «mancanza "funzionale" di terzieta'
e indipendenza», in quanto «l'individuazione del giudice del giudizio
abbreviato, in conseguenza dell'applicazione dell'art. 458 c.p.p., il
potere di partecipare al giudizio  (come  fonte  della  capacita'  di
definire  il  giudizio  di  merito)  e  il  perimetro  del   giudizio
abbreviato (come facolta'/poteri esercitabili  a  fronte  del  limite
posto dall'art. 438, comma 1-bis c.p.p.)»  deriverebbero  qui  «dalla
valutazione di merito operata dal giudice  dell'udienza  preliminare,
ex art. 429, comma 2-bis c.p.p. e dal disposto normativo che  prevede
che "si applicano le disposizioni di cui all'art. 458 c.p.p."»; 
    che il giudice del giudizio abbreviato instaurato a  norma  degli
artt. 429, comma 2-bis, e 458 cod. pen.  verserebbe  «nella  medesima
situazione   "astratta"    di    "incompatibilita'",    pacificamente
sussistente in capo al G.U.P. che ha disposto il rinvio  a  giudizio,
riqualificato  il  fatto  oggetto  di  contestazione   e   consentito
l'accesso al rito»; 
    che, invero, se a norma dell'art. 34, comma 2, cod.  proc.  pen.,
«non puo' partecipare  al  giudizio  il  giudice  che  ha  emesso  il
provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare o  ha  disposto  il
giudizio  immediato»,  non  potrebbe  essere  considerato   terzo   e
imparziale «un giudice che [...] e' funzionalmente  vincolato,  cioe'
sottoposto alla valutazione fatta da chi l'ha preceduto»; 
    che, nel caso di  specie,  il  giudice  del  giudizio  abbreviato
sarebbe condizionato dalla  «forza  della  prevenzione»  -  ossia  la
«naturale  tendenza  a  confermare  una  decisione  gia'  presa  o  a
mantenere un atteggiamento gia' assunto» (e' citata  la  sentenza  n.
224 del 2001 di questa Corte)  -  derivante  dalle  valutazioni  gia'
compiute dal giudice dell'udienza preliminare; 
    che, secondo la giurisprudenza della Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, il principio di imparzialita'  risulterebbe  violato  ogni
qualvolta le attivita' poste in  essere  anteriormente  dal  giudice,
nella stessa o in altra fase processuale, siano  tali  da  comportare
una sostanziale anticipazione del giudizio, sia per l'estensione  dei
poteri affidatigli, sia per l'approfondita conoscenza degli  elementi
di prova su cui poi sara' chiamato a rendere la decisione  di  merito
(sono richiamate  le  sentenze  della  Corte  EDU  15  gennaio  2015,
Dragojević  contro  Croazia;  11  luglio  2013,  Rudnichenko   contro
Ucraina; 25 luglio 2000, Tierce e altri contro San Marino; 26 ottobre
1984, De Cubber contro Belgio); 
    che tali principi dovrebbero applicarsi «anche nel caso in cui il
giudizio si incardini avanti a  un  giudice  che,  derivando  il  suo
potere dalle valutazioni di merito eseguite dal giudicante  che  l'ha
preceduto, subisca, per effetto di quelle e della previsione  di  cui
all'art.  438,  comma  1-bis  c.p.p.,  una  limitazione  dei   poteri
esercitabili»; 
    che l'art. 429, comma 2-bis, cod. proc. pen, nella parte  in  cui
dichiara applicabile l'art. 458 cod. proc. pen.,  «tenuto  conto  del
disposto» dell'art. 438,  comma  1-bis,  cod.  proc.  pen.,  «produce
l'individuazione  di  un  giudice   naturale   che   versa   in   una
"incompatibilita'" funzionale e, come tale, non puo'/deve partecipare
al giudizio», pena la violazione dell'art. 6, paragrafo 1, CEDU; 
    che, infine, sarebbe  violato  il  principio  di  soggezione  del
giudice soltanto alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.), poiche'
«attraverso l'esercizio del potere di  riqualificazione  attuato  dal
giudice dell'udienza preliminare ai sensi dell'art. 429  comma  2-bis
c.p.p. si determina in capo al giudice del rito abbreviato un vincolo
che non deriva  (o  quantomeno  non  soltanto)  dalla  legge,  bensi'
dall'esercizio stesso di tale potere», con conseguente, inammissibile
compressione del libero convincimento; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
non fondate; 
    che l'interveniente evidenzia l'improprieta'  del  richiamo  alla
sentenza n. 224 del 2001 di questa Corte -  la  quale  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34,  comma  1,  cod.  proc.
pen., nella  parte  in  cui  non  prevedeva  l'incompatibilita'  alla
funzione di giudice dell'udienza preliminare del  giudice  che  abbia
pronunciato o concorso a pronunciare  sentenza,  poi  annullata,  nei
confronti del medesimo imputato e per lo stesso fatto -,  atteso  che
tale   pronuncia   riguarderebbe   la   situazione    del    medesimo
giudice-persona fisica che, trovandosi a conoscere  nuovamente  degli
stessi fatti in precedenza scrutinati, «non e' portat[ore] di  quella
serenita', imparzialita' e terzieta' postulata  dall'art.  111  della
Costituzione e dall'art. 6, paragrafo 1 della CEDU poiche' indott[o],
naturalmente,  ad   un   approccio   conservativo   della   decisione
precedentemente assunta da se medesim[o]»; 
    che  tale  «forza  di  prevenzione»  non  potrebbe   all'evidenza
sussistere ove la decisione da adottare sia affidata,  come  avvenuto
nel caso in  esame,  ad  altro  giudice-persona  fisica,  sicche'  il
richiamo alla giurisprudenza costituzionale relativa all'art. 34 cod.
proc. pen. sarebbe inconferente; 
    che d'altra parte, ove l'assunto del giudice a quo fosse fondato,
«non  vi  sarebbe  alcun  giudice  avanti  al  quale  incardinare  il
procedimento», dal momento che la «mancanza di serenita', terzieta' e
imparzialita' paventata dal giudice bolognese, ben  potrebbe  essere,
allo stesso modo, percepita dalla totalita' della magistratura»; 
    che,  contrariamente  a  quanto  sostenuto  dal  rimettente,  non
sarebbe a questi preclusa ne' la  possibilita'  di  applicare  l'art.
521, comma 2, cod. proc. pen. - ordinando la restituzione degli  atti
al pubblico ministero in caso di accertamento  della  diversita'  del
fatto per cui si procede da quello descritto nel decreto che  dispone
il  giudizio  -  ne'  quella  di  attribuire  al  fatto  una  diversa
qualificazione   giuridica;   attivita',   quest'ultima,    che    si
risolverebbe semplicemente nella corretta applicazione  della  legge,
consentita e doverosa (e' citata Corte di cassazione,  sezioni  unite
penali, sentenza 20 dicembre 2007-1° febbraio 2008, n. 5307). 
    Considerato  che  il  rimettente  ha   sollevato   questioni   di
legittimita' costituzionale del combinato disposto degli  artt.  429,
comma 2-bis, e 458 cod. proc. pen., e dunque della disciplina che  lo
individua quale giudice  competente  per  il  giudizio  abbreviato  a
carico dell'imputato, ritenendo che essa  confligga  con  i  principi
della terzieta' e imparzialita' del giudice, di cui agli  artt.  111,
secondo e sesto comma, e 117, primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, nonche' con il principio  di
soggezione del giudice soltanto  alla  legge  di  cui  all'art.  101,
secondo comma, Cost. «nella parte in cui consente che a celebrare  il
giudizio abbreviato sia un giudice che, per  limiti  funzionali,  non
puo' ritenersi  "terzo  e  imparziale"  e  in  quanto  "non  soggetto
soltanto alla legge"»; 
    che lo stesso rimettente  ha  sollevato,  inoltre,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  34  cod.  proc.  pen.,   per
contrasto con il medesimo principio di terzieta' e imparzialita'  del
giudice,  «nella  parte  in  cui  non  prevede  l'incompatibilita'  a
partecipare al giudizio abbreviato del giudice  individuato  a  norma
della disposizione di cui all'art. 458 c.p.p., che per le limitazioni
derivanti dall'art. 438, co. 1 bis c.p.p. e per  l'impossibilita'  di
fare applicazione dell'art. 521 c.p.p., non puo'  essere  considerato
"terzo e imparziale"»; 
    che, in sostanza, il giudice  a  quo  -  investito  del  giudizio
abbreviato a carico di un imputato  rinviato  a  giudizio,  in  esito
all'udienza preliminare, per il delitto di  omicidio  stradale  -  si
duole di non potere diversamente qualificare il fatto  rispetto  alla
configurazione ad esso attribuita dal GUP nel decreto che dispone  il
giudizio, e in particolare di non poter riqualificarlo nel delitto di
omicidio  volontario,   stante   l'affermata   vincolativita'   della
statuizione del GUP sul punto; 
    che,  d'altra  parte,  secondo  il   rimettente,   nel   giudizio
abbreviato richiesto dall'imputato ai sensi  del  combinato  disposto
degli artt. 429, comma 2-bis, e  458  cod.  proc.  pen.  non  sarebbe
applicabile l'art. 521, comma 2, cod. proc. pen., dal momento che  la
regressione  degli  atti  alla  fase   delle   indagini   preliminari
comporterebbe una mera reiterazione  di  scansioni  processuali  gia'
svolte,  con  conseguente  rischio  che  si   verifichi   una   stasi
processuale insuperabile; 
    che tale situazione determinerebbe  un  vulnus  al  principio  di
terzieta' e  imparzialita'  del  giudice,  nonche'  al  principio  di
soggezione del giudice soltanto alla legge; 
    che, preliminarmente, occorre rilevare che una delle disposizioni
censurate, l'art. 429, comma 2-bis, cod. proc. pen. e' stata abrogata
dall'art. 98, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 10 ottobre
2022, n. 150 (Attuazione della  legge  27  settembre  2021,  n.  134,
recante delega al  Governo  per  l'efficienza  del  processo  penale,
nonche' in materia di giustizia  riparativa  e  disposizioni  per  la
celere definizione dei procedimenti giudiziari), entrato in vigore il
30 dicembre 2022; 
    che tale abrogazione, come chiarito dalla relazione  illustrativa
al decreto legislativo, e' correlata all'introduzione del nuovo comma
1-bis dell'art. 423 cod. proc. pen., che prevede il potere del GUP di
invitare il pubblico ministero a operare le necessarie  modificazioni
dell'originaria imputazione alla luce delle  risultanze  dell'udienza
preliminare, dovendo  poi  lo  stesso  GUP  restituire  gli  atti  al
pubblico  ministero  ove  quest'ultimo  non  vi  provveda:  cio'  che
esclude, per il futuro, la possibilita' che  il  GUP  possa  disporre
direttamente il giudizio sulla  base  di  un'imputazione  diversa  da
quella originariamente formulata dal pubblico ministero; 
    che, tuttavia, non e' necessario restituire gli atti al giudice a
quo perche' valuti  la  persistente  rilevanza  e  la  non  manifesta
infondatezza delle questioni alla luce del citato  ius  superveniens,
dal momento che - in forza del principio generale tempus regit actum,
vigente in materia processuale - il giudizio  a  quo  e'  gia'  stato
incardinato avanti al rimettente in base alla disposizione censurata,
che era in vigore al momento di emissione del decreto del GUP che  ha
disposto il giudizio, sicche' la modifica normativa  intervenuta  non
puo' spiegare alcun effetto nel giudizio medesimo; 
    che  le  questioni  sollevate  sono,  nondimeno,   manifestamente
inammissibili, per un duplice ordine di ragioni; 
    che, in primo luogo,  risulta  del  tutto  oscuro  quale  sia  il
risultato cui il rimettente  aspira,  in  conseguenza  dell'auspicata
dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni
oggetto del dubbio di legittimita' costituzionale; 
    che, infatti, tali disposizioni sono censurate nella parte in cui
consentono  che  il  giudizio  abbreviato  introdotto  in  forza  del
combinato disposto degli artt. 429, comma 2-bis,  e  458  cod.  proc.
pen. sia celebrato da un giudice  che  non  potrebbe  dirsi  terzo  e
imparziale, ne' soggetto soltanto alla legge -  in  quanto  vincolato
alla decisione del precedente  GUP  cristallizzata  nel  decreto  che
dispone il giudizio -, e che non potrebbe,  allo  stato,  dichiararsi
incompatibile ai sensi dell'art. 34 cod. proc. pen.; 
    che, tuttavia, il rimettente non illustra  in  alcun  modo  quale
altro giudice, non soggetto a tale vincolo  (e  naturalmente  diverso
dal GUP che ha disposto il rinvio a giudizio dell'imputato, il  quale
dal canto suo sarebbe certamente incompatibile ai sensi dell'art. 34,
comma 2, cod. proc. pen.), dovrebbe essere competente a giudicare  in
suo luogo; 
    che, d'altra parte, il rimettente neppure aspira a una  pronuncia
di questa Corte che gli consenta di sottrarsi al preteso vincolo alla
propria potestas iudicandi determinato dal  decreto  che  dispone  il
giudizio, e di giudicare  cosi'  egli  stesso  della  responsabilita'
dell'imputato qualificando  il  fatto  in  maniera  diversa  da  come
risulta dal decreto che dispone  il  giudizio,  dal  momento  che  il
secondo petitum mira, invece, inequivocabilmente a una pronuncia  che
gli  consenta  di  dichiararsi  incompatibile   a   giudicare   della
responsabilita' penale dell'imputato; 
    che, in conseguenza, le questioni sollevate - esaminate nel  loro
complesso - sfociano in petita oscuri e contraddittori,  e  gia'  per
tale motivo debbono essere considerate  manifestamente  inammissibili
(ex multis, sentenze n. 20 del  2022  e  n.  168  del  2021,  nonche'
ordinanza n. 107 del 2022); 
    che,  anche  a  prescindere  da   tale   rilievo,   i   parametri
costituzionali e convenzionali evocati a sostegno delle censure  sono
ictu oculi inconferenti  rispetto  ai  pretesi  vulnera,  cosi'  come
argomentati nella motivazione dell'ordinanza di rimessione; 
    che, infatti, il  principio  di  terzieta'  e  imparzialita'  del
giudice, sancito  nell'ordinamento  interno  dall'art.  111,  secondo
comma, Cost. e nel diritto internazionale, tra l'altro, dall'art.  6,
paragrafo 1, CEDU, esclude che possa giudicare di una controversia un
giudice che abbia un interesse proprio nella causa (sentenza  n.  155
del 1996), ovvero che  abbia  gia'  precedentemente  svolto  funzioni
decisorie nella stessa causa: preclusione, quest'ultima,  finalizzata
a «evitare che la decisione sul merito della  causa  possa  essere  o
apparire condizionata dalla forza della  prevenzione  -  ossia  dalla
naturale tendenza a confermare una decisione gia' presa o a mantenere
un atteggiamento gia' assunto -  scaturente  da  valutazioni  cui  il
giudice sia stato precedentemente chiamato in  ordine  alla  medesima
res iudicanda» (sentenza n. 64 del 2022  e  numerosi  precedenti  ivi
richiamati); 
    che tale principio non e', per contro, mai stato  evocato  -  ne'
dalla giurisprudenza di questa Corte, ne' da quella della Corte EDU -
in relazione ad allegati vincoli alla  potestas  decidendi  derivanti
dalle decisioni di altri giudici intervenuti nella medesima causa; 
    che - anche a supporre che tali ipotizzati vincoli effettivamente
sussistano nel processo a quo - nemmeno il principio della soggezione
soltanto alla legge, sancito dall'art.  101,  secondo  comma,  Cost.,
appare congruo rispetto alla sostanza del vulnus lamentato; 
    che, in effetti, tale disposizione - unitamente al  complesso  di
quelle collocate nella Sezione I del Titolo IV della Parte  II  della
Costituzione - e'  posta,  tra  l'altro,  a  presidio  del  principio
dell'indipendenza (cosiddetta "esterna") del giudice  da  ogni  altro
potere dello Stato, cosi' come  della  sua  indipendenza  (cosiddetta
"interna") da  tutti  gli  altri  giudici,  dai  quali  si  distingue
soltanto per diversita' di funzioni ma rispetto ai quali non si trova
in vincolo di soggezione gerarchica; 
    che mai, pero', si e' ritenuto che il principio dell'indipendenza
"interna" del giudice osti  a  che  la  sua  potestas  iudicandi  sia
delimitata,  in  conformita'  alla  legge  processuale  vigente,   da
provvedimenti di altri giudici, ovvero da atti di altri soggetti; 
    che, anzi, e' del tutto fisiologico - e non contrasta con  l'art.
101, secondo comma, Cost. - che il thema decidendum in ogni  processo
sia determinato e  circoscritto  da  atti  di  soggetti  diversi  dal
giudice (come le domande e le  eccezioni  delle  parti  nel  processo
civile,  i   motivi   di   ricorso   nel   processo   amministrativo,
l'imputazione  formulata  dal  pubblico  ministero  ed  eventualmente
modificata dal decreto del GUP che dispone il giudizio  nel  processo
penale), e che unicamente su tale thema  decidendum  il  giudice  sia
chiamato ad esprimersi; 
    che neppure puo' ritenersi violato  l'art.  101,  secondo  comma,
Cost. nel caso in cui il giudice  sia  vincolato  alla  decisione  di
altro  giudice,  come  accade  al  giudice  del  rinvio  rispetto  al
principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione (sentenza n.
50 del 1970), ovvero al giudice contabile rispetto alla questione  di
massima decisa dalle sezioni riunite della Corte dei conti  (sentenza
n. 375 del 1996); 
    che, piu' in generale, si deve escludere che  possa  prodursi  un
vulnus all'art. 101, secondo comma, Cost. in presenza di vincoli alla
potestas  iudicandi  del  singolo  giudice  stabiliti   dalla   legge
processuale, che e' anch'essa parte integrante di  quella  "legge"  a
cui il giudice e' soggetto in forza della  previsione  costituzionale
in parola; 
    che tale palese inconferenza dei parametri evocati si traduce  in
una ulteriore ragione di manifesta inammissibilita'  delle  questioni
prospettate  (cosi',  nell'ambito  di  giudizi  in  via   principale,
sentenze n. 259 e n. 23 del  2022;  nell'ambito  di  giudizi  in  via
incidentale, sentenza n. 172 del 2021 e ordinanza n. 69 del 2021). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 11, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.