ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  4-bis,
comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354  (Norme  sull'ordinamento
penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
della liberta'), promosso dal Tribunale di sorveglianza  di  Perugia,
nel procedimento avviato ad istanza di R. C., con  ordinanza  del  23
settembre 2021, iscritta al n. 194  del  registro  ordinanze  2021  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  50,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Udito nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2023  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2023. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 23 settembre 2021  (r.o.  n.  194
del 2021), il Tribunale di sorveglianza di Perugia ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  27  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge  26
luglio 1975, n. 354 (Norme  sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla
esecuzione delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta'),
«nella parte in cui non prevede che ai detenuti  per  i  delitti  ivi
contemplati, diversi da quelli di cui all'art. 416 bis cod. pen. e da
quelli commessi avvalendosi delle condizioni  previste  dallo  stesso
articolo ovvero al fine di agevolare l'attivita'  delle  associazioni
in esso previste, possa essere concesso  l'affidamento  in  prova  al
servizio sociale, anche in assenza di collaborazione con la giustizia
a norma dell'art. 58 ter [...] ord.  penit.,  allorche'  siano  stati
acquisiti  elementi  tali   da   escludere   sia   l'attualita'   dei
collegamenti  con  la  criminalita'   organizzata,   terroristica   o
eversiva, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti»; 
    che, nel giudizio principale, R.  C.  e'  detenuto  in  forza  di
condanna definitiva alla pena di dieci anni  di  reclusione,  per  la
partecipazione ad una associazione finalizzata al  traffico  illecito
di sostanze stupefacenti (art. 74 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.  309,
recante «Testo unico delle  leggi  in  materia  di  disciplina  degli
stupefacenti   e   sostanze   psicotrope,   prevenzione,    cura    e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza»); 
    che il  detenuto  ha  richiesto  di  poter  fruire  della  misura
alternativa dell'affidamento in  prova  al  servizio  sociale  o,  in
subordine, della detenzione domiciliare, anche per motivi di salute; 
    che l'interessato e' stato condannato  per  un  delitto  compreso
nell'elenco di cui all'art. 4-bis, comma 1,  ordin.  penit.,  sicche'
gli e' preclusa la fruizione del  lavoro  all'esterno,  dei  permessi
premio o delle misure alternative alla detenzione,  in  mancanza  del
requisito della collaborazione  con  la  giustizia  di  cui  all'art.
58-ter  ordin.  penit.  oppure  delle   «sue   ipotesi   surrogatorie
(collaborazione impossibile,  inesigibile  o  inefficace),  descritte
nell'art. 4 bis, co. 1 bis ord. penit.»; 
    che il rimettente ricorda che, con la sentenza n. 253  del  2019,
questa Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
4-bis, comma 1, ordin. penit., nella parte in cui non prevede che, ai
detenuti sia per delitti di contesto mafioso sia per  reati  diversi,
ma ricompresi nel catalogo di quelli cosiddetti ostativi di cui  alla
citata disposizione, possano essere concessi permessi premio anche in
assenza di collaborazione con la giustizia a norma  dell'art.  58-ter
ordin. penit., allorche'  siano  stati  acquisiti  elementi  tali  da
escludere  sia  l'attualita'  di  collegamenti  con  la  criminalita'
organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti; 
    che, di conseguenza, R. C.  ha  potuto  ottenere,  «all'esito  di
ampia  istruttoria»  (di  cui  sono  dettagliatamente  descritte   le
risultanze), la concessione di  diversi  permessi  premio,  essendosi
accertate l'assenza di collegamenti del detenuto con la  criminalita'
organizzata e l'insussistenza del pericolo di un loro ripristino; 
    che, espone ancora il giudice a quo, «l'interessato chiede dunque
di  proseguire  nel  proprio  percorso  risocializzante  mediante  la
concessione di una ampia misura alternativa,  come  l'affidamento  in
prova al servizio sociale» o, in subordine, di  poter  accedere  alla
misura della detenzione domiciliare, eventualmente anche  per  motivi
di salute; 
    che, in punto di  rilevanza,  il  Tribunale  di  sorveglianza  di
Perugia osserva che dovrebbe «oggi dichiarare inammissibile l'istanza
del condannato» di concessione dell'affidamento in prova al  servizio
sociale, «senza poter operare alcun apprezzamento  del  merito  della
sua domanda»; 
    che, quanto all'istanza presentata in subordine, di  differimento
della  pena  nelle  forme  della  detenzione  domiciliare  ai   sensi
dell'art. 47-ter, comma 1-ter, ordin. penit.,  «rispetto  alla  quale
l'ostativita' non e' prevista», ritiene il rimettente  che  essa  non
possa  essere  accolta,  alla  luce  della  documentazione  sanitaria
esibita dall'interessato; 
    che, in punto  di  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni
sollevate, il rimettente  richiama  ampi  stralci  della  motivazione
della citata sentenza n. 253 del 2019, che, a suo  giudizio,  avrebbe
rimodulato «la presunzione assoluta ed invincibile»  di  mantenimento
dei rapporti con i gruppi criminali di  riferimento  da  parte  degli
autori di  reati  ostativi,  in  assenza  di  collaborazione  con  la
giustizia, «in una presunzione sempre negativa, [...]  ma  relativa»,
come tale  superabile  anche  in  forza  di  «allegazioni  di  parte,
suffragate  poi  da  idonea   ed   approfondita   istruttoria   della
magistratura di sorveglianza», in ordine all'assenza di  collegamenti
mantenuti nel tempo e alla insussistenza  del  pericolo  di  un  loro
ripristino; 
    che il rimettente, da un lato, segnala come questa  Corte,  nella
sentenza piu' volte citata e riallacciandosi  ai  propri  precedenti,
abbia evidenziato la «funzione  pedagogico-propulsiva»  del  permesso
premio e,  dall'altro,  osserva  che  i  benefici  premiali  «intanto
mantengono un significato in quanto possano costituire passaggi di un
percorso di progressivo rientro nella societa' mediante benefici piu'
ampi»; 
    che tuttavia, con riferimento ai  detenuti  per  reati  ostativi,
questo percorso, se pure possa iniziare in virtu' della  possibilita'
di concedere permessi  premio,  non  potrebbe  utilmente  progredire,
nonostante  l'accertamento  di  «benefici  premiali   ben   spesi   e
progressive  prudenti  aperture,   ripagate   da   un   atteggiamento
responsabile e dall'assenza di violazioni di prescrizioni»; 
    che, infatti, e' inibita alla  magistratura  di  sorveglianza  la
stessa possibilita' di  valutare  l'istanza  di  concessione  di  una
misura alternativa piu' ampia come l'affidamento in prova al servizio
sociale,  per  il  quale  «l'attuale  assetto  normativo  [...]  vede
replicarsi il meccanismo preclusivo assoluto sulla base del titolo di
reato», anche nei confronti del condannato che  abbia  gia'  ricevuto
una valutazione individualizzata di  insussistenza  di  pericolosita'
sociale, «sufficiente a convincere il magistrato  di  sorveglianza  a
concedergli benefici premiali»; 
    che quello cosi' tratteggiato, a parere del  rimettente,  sarebbe
un assetto incompatibile con gli artt. 3 e 27  Cost.,  nella  lettura
fornitane da questa Corte; 
    che  l'affidamento  in  prova  al  servizio   sociale,   infatti,
valorizzerebbe «elementi gia'  comparsi  in  nuce  al  momento  della
concessione  del  permesso  premio»  e  la  cessazione  dello   stato
detentivo che si determina sarebbe «vincolato al mantenimento per  il
tempo dell'esecuzione della pena di un comportamento rispettoso delle
prescrizioni imposte» e, dunque, ad una prova, i  cui  esiti  vengono
verificati  ex  post  dal  tribunale   di   sorveglianza,   ai   fini
dell'eventuale declaratoria di estinzione della pena e degli  effetti
penali connessi; 
    che, dunque, il tribunale rimettente reputa irragionevole che gli
sia interdetta «la valutazione nel merito dei progressi compiuti  dal
condannato»,  in  particolare   la'   dove   l'istante   abbia   gia'
proficuamente   affrontato   «un   percorso   di   permessi    premio
all'esterno», previo  accertamento  delle  condizioni  fissate  dalla
sentenza  n.  253  del   2019,   «senza   l'emersione   di   elementi
significativi di una qualche pericolosita' sociale residua». 
    Considerato che il Tribunale di sorveglianza di  Perugia  dubita,
in  riferimento  agli  artt.  3  e  27  Cost.,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 4-bis, comma 1, della legge n. 354 del 1975,
nella parte in cui non prevede che ai detenuti per i delitti  diversi
da quelli di contesto mafioso, ma comunque ostativi alla  concessione
dei benefici penitenziari e delle misure alternative alla detenzione,
possa essere concesso l'affidamento in  prova  al  servizio  sociale,
anche in assenza di collaborazione con la giustizia a norma dell'art.
58-ter del medesimo ordin. penit., allorche'  siano  stati  acquisiti
elementi tali da escludere sia l'attualita' dei collegamenti  con  la
criminalita' organizzata, terroristica o eversiva,  sia  il  pericolo
del ripristino di tali collegamenti; 
    che, nelle more del giudizio costituzionale,  e'  intervenuto  il
decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 (Misure urgenti in  materia  di
divieto di concessione dei benefici penitenziari  nei  confronti  dei
detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonche' in
materia di termini di applicazione  delle  disposizioni  del  decreto
legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, e  di  disposizioni  relative  a
controversie  della  giustizia  sportiva,  nonche'  di  obblighi   di
vaccinazione anti  SARS-CoV-2,  di  attuazione  del  Piano  nazionale
contro una pandemia influenzale e  di  prevenzione  e  contrasto  dei
raduni illegali), convertito, con modificazioni, in legge 30 dicembre
2022, n. 199; 
    che, per quanto qui  rileva,  il  d.l.  n.  162  del  2022,  come
convertito, prevede all'art. 1,  comma  1,  lettera  a),  numero  2),
l'integrale sostituzione  del  comma  1-bis  dell'art.  4-bis  ordin.
penit., e  l'aggiunta  di  tre  nuovi  commi  (1-bis.1,  1-bis.1.1  e
1-bis.2); 
    che la nuova disciplina trasforma  da  assoluta  in  relativa  la
presunzione di pericolosita' ostativa alla concessione dei benefici e
delle misure alternative in favore dei detenuti non collaboranti, che
vengono ora ammessi alla possibilita' di farne  istanza,  sebbene  in
presenza di stringenti e  concomitanti  condizioni,  diversificate  a
seconda dei reati che vengono in rilievo; 
    che, quanto ai detenuti e agli internati per delitti di  contesto
mafioso e, in generale,  di  tipo  associativo,  i  benefici  possono
essere  loro  concessi   purche'   dimostrino   l'adempimento   delle
obbligazioni  civili  e  degli  obblighi  di  riparazione  pecuniaria
conseguenti  alla  condanna  o  «l'assoluta  impossibilita'  di  tale
adempimento»,  nonche'  alleghino  elementi  specifici  -  diversi  e
ulteriori  rispetto   alla   regolare   condotta   carceraria,   alla
partecipazione del detenuto  al  percorso  rieducativo  e  alla  mera
dichiarazione  di  dissociazione  dall'organizzazione  criminale   di
eventuale appartenenza - che consentano di escludere l'attualita'  di
collegamenti con la criminalita' organizzata, terroristica o eversiva
e con il contesto nel quale il reato e' stato  commesso,  nonche'  il
pericolo di  ripristino  di  tali  collegamenti,  anche  indiretti  o
tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali,
delle  ragioni  eventualmente  dedotte  a  sostegno   della   mancata
collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di
ogni altra informazione disponibile, nonche', ancora, la  sussistenza
di iniziative dell'interessato a  favore  delle  vittime,  sia  nelle
forme risarcitorie, sia in quelle della giustizia riparativa; 
    che ai detenuti  per  i  restanti  reati  indicati  dal  comma  1
dell'art. 4-bis ordin. penit. si richiede il rispetto delle  medesime
condizioni, depurate, tuttavia, da indicazioni non  coerenti  con  la
natura dei  reati  che  vengono  in  rilievo,  sicche'  la  richiesta
allegazione deve  avere  ad  oggetto  elementi  idonei  ad  escludere
l'attualita' dei collegamenti, anche indiretti o tramite  terzi,  con
il contesto nel quale il  reato  e'  stato  commesso  (non  anche  il
pericolo di ripristino dei collegamenti con tale contesto); 
    che l'art. 1, comma 1, lettera a), numero 3), del d.l. n. 162 del
2022,  come  convertito,  prevede  l'ampliamento   delle   fonti   di
conoscenza a disposizione della magistratura  di  sorveglianza  e  la
modifica del  relativo  procedimento,  nonche'  l'onere  in  capo  al
detenuto di fornire idonei elementi di prova  contraria  in  caso  di
indizi,  emergenti  dall'istruttoria,  dell'attuale  sussistenza   di
collegamenti con la criminalita' organizzata, terroristica o eversiva
o con il contesto nel quale il reato e' stato  commesso,  ovvero  del
pericolo di loro ripristino; 
    che, quindi, si e' in presenza di una modifica complessiva  della
disciplina interessata dalle questioni di legittimita' costituzionale
in esame e, per  quel  che  qui  particolarmente  interessa,  di  una
trasformazione  da  assoluta  in  relativa   della   presunzione   di
pericolosita' del condannato per reati ostativi non collaborante, cui
e'  concessa  -  sia  pur  in  presenza  degli  stringenti  requisiti
ricordati - la possibilita' di domandare, tra l'altro, la concessione
dell'affidamento in prova al servizio sociale  e,  cosi',  di  vedere
vagliata nel merito la propria istanza; 
    che tale modifica incide  immediatamente  sul  nucleo  essenziale
delle questioni sollevate dall'ordinanza di rimessione; 
    che «la  giurisprudenza  costituzionale  -  quando  le  modifiche
apportate incidono cosi' "profondamente sull'ordito  logico  che  sta
alla base delle censure prospettate" (ordinanze n. 97 del 2022  e  n.
60  del  2021),  oppure  intaccano  il  meccanismo   contestato   dal
rimettente (ordinanza n. 55 del 2020) - e' costante nel ricavarne  la
necessita' di restituire gli atti  al  giudice  a  quo,  spettando  a
quest'ultimo, sia verificare l'influenza della normativa sopravvenuta
sulla rilevanza delle  questioni  sollevate  (ordinanza  n.  243  del
2021), sia procedere alla  rivalutazione  della  loro  non  manifesta
infondatezza, tenendo conto  delle  intervenute  modifiche  normative
(ordinanze n. 97 del 2022, n.  60  del  2021  e  n.  185  del  2020)»
(ordinanza n. 227 del 2022); 
    che, pertanto, si rende necessaria la restituzione degli atti  al
giudice a quo. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale, applicabili ratione temporis.