ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 3,  comma
1, lettere c) e g), e 11, comma 1,  lettera  a),  della  legge  della
Regione Lombardia 20 maggio 2022, n.  8  (Prima  legge  di  revisione
normativa ordinamentale 2022), promosso dal Presidente del  Consiglio
dei ministri con ricorso notificato il 22 luglio 2022, depositato  in
cancelleria il 25 luglio 2022, iscritto al n. 44 del registro ricorsi
2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  35,
prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Lombardia; 
    udito nell'udienza pubblica  del  22  febbraio  2023  il  Giudice
relatore Augusto Antonio Barbera; 
    uditi l'avvocato dello Stato Carmela Pluchino per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Andrea Manzi per  la  Regione
Lombardia; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 febbraio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 22  luglio  2022  e  depositato  il
successivo 25 luglio (reg. ric. n. 44 del 2022),  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettere c) e g), e  11,  comma
1, lettera a) della legge della Regione Lombardia 20 maggio 2022,  n.
8  (Prima  legge  di  revisione  normativa  ordinamentale  2022),  in
riferimento all'art. 117, commi secondo, lettera h), e  sesto,  della
Costituzione. 
    2.- L'art. 3 della legge impugnata apporta modifiche  alla  legge
della Regione Lombardia 1° aprile 2015, n.  6  (Disciplina  regionale
dei servizi di polizia locale e promozione di politiche integrate  di
sicurezza urbana). 
    In  particolare,  l'art.  3,  comma  1,  lettera  c),  impugnato,
aggiungendo la lettera l-bis) all'art. 5 della legge  reg.  Lombardia
n. 6 del 2015, prevede che la Regione «promuove  la  stipulazione  di
intese fra la Regione, i competenti organi  decentrati  dello  Stato,
gli enti locali e  i  gestori  del  servizio  di  trasporto  pubblico
regionale e locale, sentite le  associazioni  dei  passeggeri  e  dei
pendolari, al fine di attivare servizi  di  controllo  finalizzati  a
garantire la sicurezza urbana anche con  il  concorso  della  polizia
locale con particolare riferimento alle aree adiacenti alle  stazioni
ferroviarie ovvero alle aree di interscambio del  trasporto  pubblico
regionale e locale, favorendo anche  il  superamento  della  barriera
funzionale e operativa dei confini territoriali  di  riferimento  del
singolo corpo o servizio di polizia locale [...]». 
    Il ricorrente ritiene che tale previsione  invada  la  competenza
legislativa esclusiva statale nella materia  dell'ordine  pubblico  e
sicurezza, con violazione dell'art. 117, secondo comma,  lettera  h),
Cost., in quanto consente «l'operativita' della polizia locale al  di
la' dei confini territoriali di riferimento», per casi che  non  sono
ammessi   dalla   legge   7   marzo   1986,   n.   65   (Legge-quadro
sull'ordinamento della polizia municipale). 
    Quest'ultima, infatti, in qualita' di legge quadro sulla  polizia
municipale, consente l'esercizio delle funzioni di polizia municipale
esclusivamente «nel territorio di competenza» (art. 3),  permettendo,
secondo il ricorrente «missioni esterne» a tale territorio  nei  casi
tipizzati dall'art. 4, e, comunque,  senza  eccedere  l'ambito  delle
forme associative tra comuni che la legge regionale promuove ai sensi
del successivo art. 6, comma 2, numero 3). 
    3.- L'art. 3, comma 1, lettera g), della legge impugnata aggiunge
un ultimo periodo all'art. 27, comma 1, della legge reg. Lombardia n.
6 del 2015, con il quale si stabilisce  che  «[i]l  patto  locale  di
sicurezza urbana e', altresi', uno degli strumenti per realizzare  le
finalita' previste dall'articolo 5, comma 1, lettera l-bis)», vale  a
dire per consentire alla polizia municipale di operare al di la'  del
territorio di competenza. 
    Il ricorrente reputa anche in tal caso leso l'art.  117,  secondo
comma,  lettera  h),  Cost.,  sia  in  ragione  della  gia'   dedotta
illegittimita' costituzionale di tale sconfinamento, sia perche',  in
ogni caso, il patto locale di sicurezza urbana interferirebbe  con  i
patti per l'attuazione della sicurezza urbana disciplinati  dall'art.
5 del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti  in
materia di sicurezza delle citta'),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 18 aprile 2017, n. 48. 
    Questi ultimi sono sottoscritti tra il prefetto e il sindaco,  in
coerenza con le linee generali  per  la  promozione  della  sicurezza
integrata di cui al precedente art. 2 del d.l. n. 14 del  2017,  come
convertito. 
    La disposizione impugnata opererebbe  «una  confusione  di  piani
[...], atteso che il versante sul quale alla Regione  e'  rimessa  la
stipulazione di intese e' quello  della  sicurezza  integrata»,  come
definita dall'art. 1 del citato decreto-legge, «mentre  la  sicurezza
urbana e' rimessa agli accordi tra prefetti e sindaci». 
    4.- L'art.  11,  comma  1,  lettera  a),  della  legge  regionale
impugnata sostituisce il comma  5  dell'art.  13  della  legge  della
Regione Lombardia 11 dicembre 2006, n. 24 (Norme per la prevenzione e
la riduzione delle emissioni in atmosfera a  tutela  della  salute  e
dell'ambiente), prevedendo  che  «[l]a  Giunta  regionale  puo',  con
apposita  deliberazione,  prevedere  idonei  strumenti   tecnologici,
ulteriori a quanto previsto al secondo periodo del comma  6-bis,  per
agevolare il controllo del rispetto delle limitazioni regionali  alla
circolazione e all'utilizzo dei veicoli». 
    Il citato art. 13, comma 6-bis, al secondo periodo,  prevede  che
«allo scopo di sperimentare  modalita'  piu'  efficaci  di  riduzione
degli  inquinanti  connessi   alla   circolazione,   possono   essere
realizzati  impianti  di  rilevazione  telematica  e,  a   richiesta,
installati dispositivi telematici mobili sui veicoli  che  monitorano
gli stili di guida e i chilometri percorsi dai  veicoli,  consentendo
di condizionare le percorrenze dei veicoli stessi al  loro  effettivo
potenziale inquinante, localizzandone  i  relativi  tratti  stradali,
secondo modalita' definite con deliberazione della Giunta regionale». 
    La disposizione impugnata permette l'introduzione,  con  delibera
della Giunta regionale, di ulteriori «strumenti tecnologici». 
    Il ricorrente denuncia la violazione della competenza legislativa
statale esclusiva in materia di ordine  pubblico  e  sicurezza  (art.
117, secondo comma, lettera h, Cost.), alla  quale  questa  Corte  ha
gia' ricondotto la disciplina della circolazione stradale, fin  dalla
sentenza n. 428 del 2004. 
    In particolare, l'art. 45, comma 6, del  decreto  legislativo  30
aprile 1992,  n.  285  (Nuovo  codice  della  strada)  affida  ad  un
regolamento  statale  la   disciplina   dei   dispositivi   e   delle
apparecchiature di controllo e regolazione del traffico,  nonche'  di
accertamento e rilevamento automatico delle  violazioni  delle  norme
sulla circolazione stradale, mentre il  successivo  art.  201,  comma
1-bis, lettera g), reca analoga  previsione,  quanto  ai  dispositivi
omologati per rilevare gli accessi di veicoli non autorizzati in zone
a transito limitato o vietato. 
    La disposizione impugnata, sovrapponendosi al d.P.R. 16  dicembre
1992, n. 495 (Regolamento di esecuzione e  di  attuazione  del  nuovo
codice della  strada),  recante  tali  previsioni  regolamentari,  si
porrebbe in contrasto anche con l'art. 117, sesto comma,  Cost.,  che
affida allo Stato la potesta' regolamentare nelle  materie  riservate
alla competenza legislativa esclusiva statale. 
    5.- Si e' costituita in giudizio la Regione Lombardia,  chiedendo
che il ricorso sia dichiarato non fondato. 
    La Regione resistente, con riferimento alle  censure  indirizzate
contro l'impugnato art. 3, comma 1, lettere c) e g), della legge reg.
Lombardia n. 8 del 2022, si limita ad osservare che sarebbe  conforme
alla giurisprudenza costituzionale  l'attribuzione  alla  Regione  di
«compiti di mera promozione di intese»  «al  fine  del  perseguimento
della  tutela  della  sicurezza»,  favorendo  «forme  innovative   di
intervento». 
    Del resto, conclude la Regione, accordi con  organi  statali  che
prevedono il superamento  della  «barriera  funzionale»  dei  confini
territoriali della polizia locale sono gia'  stati  stipulati,  prima
dell'entrata in vigore della legge impugnata. 
    6.- Con riguardo all'impugnato art.  11,  comma  1,  lettera  a),
della legge reg.  Lombardia  n.  8  del  2022,  la  difesa  regionale
premette che esso non ha attinenza con il regime  della  circolazione
stradale, posto  che  si  tratta  di  disposizione  volta  a  rendere
effettive le misure che la Regione  adotta  al  fine  di  contrastare
l'inquinamento atmosferico. 
    Siffatte misure sono previste dal decreto legislativo  13  agosto
2010, n. 155 (Attuazione della  direttiva  2008/50/CE  relativa  alla
qualita' dell'aria ambiente e per un'aria  piu'  pulita  in  Europa),
adottato in attuazione  della  direttiva  2008/50/CE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa  alla  qualita'
dell'aria ambiente e per un'aria piu'  pulita  in  Europa,  che,  con
l'art. 9, comma 3, affida alle regioni e alle  province  autonome  di
Trento e Bolzano il ricorso «[alle] misure necessarie a preservare la
migliore qualita' dell'aria ambiente», mentre, con l'art.  11,  comma
1, lettera a), permette loro di fissare a tale scopo i  «criteri  per
limitare la circolazione dei veicoli a motore». 
    I  dispositivi  disciplinati  dalla  norma   impugnata,   quindi,
sarebbero prescrivibili solo per perseguire  le  finalita'  enunciate
dall'art. 13, comma 2, lettere a) e b), della legge reg. Lombardia n.
24  del  2006,  vale  a  dire  per  giustificare   limitazioni   alla
circolazione dei veicoli,  in  ragione  dello  stato  della  qualita'
dell'aria, delle condizioni meteorologiche e del carico di  emissioni
inquinanti per tipologia di veicolo. 
    Essi percio' non si sovrapporrebbero agli apparecchi omologati ai
fini del controllo sulla circolazione  stradale,  per  la  parte  che
concerne la tutela dell'incolumita' personale e della prevenzione dei
reati, ossia quanto all'ambito della competenza legislativa esclusiva
statale  in  tema  di  ordine  pubblico  e  sicurezza,  perche'   non
servirebbero a «monitorare  il  controllo  delle  prescrizioni  delle
norme di circolazione di  cui  al  codice  della  strada,  bensi'  le
limitazioni regionali volte ad una piu' efficace tutela della  salute
e dell'ambiente, nonche'  per  prevenire  infrazioni  comunitarie  in
materia di inquinamento atmosferico». 
    In conclusione,  la  norma  impugnata  costituirebbe  espressione
della possibilita' riconosciuta alle regioni  di  dettare  misure  di
incremento degli standard  di  tutela  dell'ambiente,  nell'esercizio
delle proprie competenze, ivi compresa, nella specie,  la  competenza
in materia di tutela della salute,  anche  con  riguardo  ai  vincoli
derivanti dal diritto dell'Unione. 
    Ove, infatti, le regioni non fossero in condizione di  monitorare
le violazioni dei divieti di  circolazione  dei  veicoli  inquinanti,
esse «sarebbero sostanzialmente private di ogni concreta possibilita'
di agire fattivamente per la tutela della salute dei cittadini»,  con
la conseguenza di incorrere  in  infrazioni  al  diritto  dell'Unione
europea. 
    La  difesa  regionale  aggiunge  che  la  disposizione  impugnata
andrebbe in ogni caso letta congiuntamente con il primo  periodo  del
comma 6-bis dell'art. 13 della legge reg. Lombardia n. 24  del  2006,
che subordina l'impiego di strumenti di rilevazione elettronica delle
violazioni dei divieti di circolazione ad una  previa  intesa  con  i
competenti organi statali ed al rispetto della  disciplina  attinente
alla protezione dei dati personali. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il  ricorso  indicato  in  epigrafe,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  ha  promosso   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 3, comma 1, lettere c) e g), e  11,  comma
1, lettera  a),  della  legge  reg.  Lombardia  n.  8  del  2022,  in
riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., e, quanto
all'ultima delle disposizioni impugnate, anche  all'art.  117,  sesto
comma, Cost. 
    2.- L'art. 3, comma 1, lettera c), impugnato aggiunge la  lettera
l-bis)  all'art.  5  della  legge  reg.  Lombardia  n.  6  del  2015,
demandando alla Regione la promozione di intese tra  Regione,  organi
decentrati dello  Stato,  enti  locali  e  gestori  del  servizio  di
trasporto pubblico regionale e locale, con le  quali  coinvolgere  la
polizia locale nel garantire la sicurezza urbana, «favorendo anche il
superamento  della  barriera  funzionale  e  operativa  dei   confini
territoriali di riferimento del singolo corpo o servizio  di  polizia
locale». 
    Il ricorrente accentra la censura su quest'ultima porzione  della
disposizione, asserendo che essa, in violazione degli artt. 3, 4 e  6
della legge n. 65 del 1986,  permetterebbe  alla  polizia  locale  di
operare oltre i limiti territoriali che  il  legislatore  statale  ha
determinato. 
    Difatti, la legge quadro appena citata consente l'esercizio delle
funzioni di polizia  municipale  esclusivamente  «nel  territorio  di
competenza» (art. 3), permettendo «missioni esterne»  nei  soli  casi
tipizzati dall'art. 4, numero 4),  lettere  a),  b)  e  c),  e  senza
eccedere l'ambito territoriale delle associazioni tra comuni, che  la
legge regionale promuove ai sensi  del  successivo  art.  6,  secondo
comma, numero 3). 
    Il contrasto tra le previsioni della menzionata legge  quadro  n.
65 del 1986 e  le  disposizioni  regionali  impugnate  determinerebbe
l'invasione della sfera di competenza legislativa  esclusiva  statale
in materia di ordine pubblico  e  sicurezza,  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera h), Cost. 
    3.- La questione non e' fondata. 
    La disposizione e' impugnata per la sola  parte  in  cui  assegna
alla polizia locale compiti che eccedono  l'ambito  territoriale  del
comune. La censura richiama il tema della sicurezza, delle funzioni e
delle competenze riconosciute, in relazione ad essa, ai vari  livelli
di governo della Repubblica. In via generale, la sicurezza  racchiude
un complesso di funzioni che  assumono  significato  in  relazione  a
situazioni e luoghi determinati. La giurisprudenza di questa Corte ha
inteso, pertanto, distinguere varie dimensioni  della  sicurezza.  In
primo luogo (facendo riferimento alla sicurezza interna) la sicurezza
in  senso  stretto,  o  "primaria",  collegata  alla   attivita'   di
prevenzione e repressione dei reati o volta alla  tutela  dell'ordine
pubblico, affidata alla competenza legislativa esclusiva dello  Stato
dall'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., che tuttavia esclude
espressamente dal suo ambito la «polizia amministrativa  locale»  (ex
multis, sentenze n. 176 del 2021, n. 177 del 2020, n. 285  e  n.  116
del 2019). 
    In coerenza con il principio  autonomistico  di  cui  all'art.  5
Cost., ha poi  rilevato  che  la  tutela  della  sicurezza  puo'  ben
assumere una possibile dimensione  pluralista.  Ad  essa,  in  quanto
sintesi di una pluralita' di  interessi,  possono  essere  affiancate
funzioni  corrispondenti  a  plurime   e   diversificate   competenze
regionali e locali e alle possibili collaborazioni fra di esse e  fra
esse e i poteri dello  Stato.  Alle  regioni,  in  particolare,  puo'
essere richiesto di realizzare, coordinare o promuovere azioni  volte
a migliorare le condizioni di vivibilita' dei  rispettivi  territori,
nell'ambito di competenze da esse svolte, o in via "residuale"  o  in
via "concorrente", fra cui le politiche sociali e  sanitarie,  taluni
vincoli o interventi a tutela della pubblica incolumita', la  polizia
locale (cosiddetta «sicurezza integrata»). 
    L'art. 118, terzo comma, Cost. ha assegnato alla legge statale la
disciplina del coordinamento fra le funzioni di Stato e  regioni  nel
campo della sicurezza. In attuazione di tale norma costituzionale, il
d.l. n. 14 del 2017, come convertito, ha  dato  base  legislativa  al
menzionato campo della «sicurezza integrata»  che  viene  individuata
nell'«insieme degli interventi assicurati dallo Stato, dalle Regioni,
dalle Province autonome di Trento e  Bolzano  e  dagli  enti  locali,
nonche' da altri  soggetti  istituzionali,  al  fine  di  concorrere,
ciascuno nell'ambito delle proprie competenze e responsabilita', alla
promozione e all'attuazione di un sistema  unitario  e  integrato  di
sicurezza per il benessere delle  comunita'  territoriali»  (art.  1,
comma 2). Ferme le competenze legislative esclusive  dello  Stato  in
materia di ordine pubblico  e  sicurezza,  le  linee  generali  delle
politiche pubbliche per la promozione della sicurezza integrata  sono
adottate dal Governo con accordo sancito  su  proposta  del  Ministro
dell'interno in sede di Conferenza unificata (art. 2,  comma  1).  In
attuazione di dette  linee  generali,  lo  Stato,  le  regioni  e  le
Province autonome di Trento e Bolzano  possono  concludere  specifici
accordi, sulla base dei quali  adottare,  nell'ambito  delle  proprie
competenze e funzioni, iniziative e progetti volti  a  interventi  di
promozione della «sicurezza integrata» (art. 3,  comma  1).  Inoltre,
nel rispetto delle menzionate linee generali, con accordo sancito  in
sede di Conferenza Stato-citta'  e  autonomie  locali  sono  adottate
linee guida, sulla cui base possono  essere  sottoscritti  patti  fra
prefetti e questori,  tramite  cui  individuare,  in  relazione  alla
specificita' dei contesti, interventi per la «sicurezza urbana» (art.
5, comma 1). Quest'ultima viene individuata nel  «bene  pubblico  che
afferisce alla vivibilita' e al decoro delle  citta'»  da  perseguire
attraverso  interventi  di  riqualificazione  o  recupero   di   zone
degradate (art. 4). 
    Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dunque, la  disciplina
di un'attivita', per quanto connessa  al  contrasto  di  fenomeni  di
degenerazione  dell'ordinata  e  pacifica  convivenza,  puo'   venire
esercitata a livello decentrato, se tale da potere essere  collegata,
nel rispetto  della  legge  dello  Stato,  a  funzioni  di  interesse
regionale o locale (sentenza n.  285  del  2019,  con  i  limiti  poi
precisati dalla sentenza n. 236 del 2020). 
    Il ricorrente non postula che  i  compiti  previsti  dalle  norme
impugnate afferiscano alla funzione di prevenire e  reprimere  reati,
con la quale si persegue la menzionata «sicurezza primaria» (sentenza
n. 285 del 2019),  ma  reputa  che  non  spetterebbe  al  legislatore
regionale determinare la sfera di competenza territoriale  del  corpo
di polizia locale, preposto alla  cosiddetta  «sicurezza  secondaria»
(ancora, sentenza n. 285 del 2019), in  deroga  ai  limiti  tracciati
dalla legge statale, che ha formulato i principi  fondamentali  della
materia. 
    Tuttavia, questa Corte ha gia' riconosciuto che, con  la  riforma
del Titolo  V  della  Parte  II  della  Costituzione,  la  competenza
legislativa  in  tema  di  polizia  amministrativa  locale,  che  era
"concorrente", e' divenuta "residuale",  e  appartiene  percio'  alla
regione, come reso chiaro dall'art. 117, secondo comma,  lettera  h),
Cost., che assegna  allo  Stato  la  potesta'  legislativa  esclusiva
quanto a «ordine pubblico e sicurezza, ad  esclusione  della  polizia
amministrativa locale» (ex multis, sentenze n. 129 del 2021,  n.  236
del 2020, n. 116 del 2019, n. 141 del 2012 e n. 167 del 2010). 
    Quanto  premesso  non  comporta  che  l'insieme  degli  interessi
corrispondenti a tale materia sia rimesso al solo  assetto  normativo
che gli conferisca la legge regionale, poiche' le  stesse  competenze
residuali non restano insensibili alle norme poste  in  essere  dallo
Stato nell'ambito delle proprie competenze legislative trasversali. 
    L'art. 118 Cost.  assicura  che  l'esercizio  delle  funzioni  di
polizia locale sia  soggetto  alle  forme  di  coordinamento  con  la
materia  dell'ordine  pubblico  e  della  sicurezza,  che  spetta  al
legislatore statale individuare. 
    Nel caso  di  specie,  pero',  la  definizione  della  competenza
territoriale, all'interno della Regione, propria di ciascun corpo  di
polizia amministrativa locale, non incontra alcun limite  dettato  da
disposizioni statali, posto che tale competenza, sul presupposto  che
le   funzioni   attribuite   siano   circoscritte   alla   «sicurezza
secondaria»,  non  interseca  profili  connessi  alla  repressione  e
prevenzione dei reati. 
    Ne consegue che le disposizioni poste dal legislatore  statale  a
titolo di principi  fondamentali  di  una  materia  in  precedenza  a
riparto "concorrente", con la legge quadro  n.  65  del  1986,  hanno
cessato  per  tale  parte  di  essere  opponibili  alla  sopravvenuta
legislazione regionale che, nell'ambito della competenza "residuale",
abbia ridefinito, per un caso particolare afferente  alla  cosiddetta
«sicurezza secondaria», l'ambito territoriale di azione dei corpi  di
polizia locale. 
    4.-  L'art.  3,  comma  1,  lettera  g),  della  legge  regionale
impugnata aggiunge un ultimo periodo  all'art.  27,  comma  1,  della
legge reg. Lombardia n. 6 del 2015, con il quale  si  stabilisce  che
«[i]l patto locale  di  sicurezza  urbana  e',  altresi',  uno  degli
strumenti per realizzare le finalita' previste dall'articolo 5, comma
1,  lettera  l-bis)»,  vale  a  dire  per  consentire  alla   polizia
municipale  di  operare  al  di  la'  dei  «confini  territoriali  di
riferimento», per quanto appena visto. 
    Il ricorrente sostiene, anzitutto, che  tale  disposizione  violi
l'art. 117, secondo comma, lettera  h),  Cost.,  perche'  assegna  al
menzionato patto locale di  sicurezza  urbana  una  nuova  finalita',
ricavata  da  una   norma   della   quale   deduce   l'illegittimita'
costituzionale,  in  quanto  invasiva  della  competenza  legislativa
esclusiva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza. 
    La questione cosi' posta non e' fondata, perche',  avendo  questa
Corte  appena  escluso   la   sussistenza   di   detto   profilo   di
illegittimita' costituzionale in capo all'art. 5,  comma  1,  lettera
l-bis), della legge reg. Lombardia n. 6  del  2015,  non  e'  percio'
precluso  al  legislatore  regionale  disporre  quanto   di   propria
competenza  per  perseguire  le  finalita'  tratte  da  tale   ultima
disposizione. 
    5.- In secondo luogo, il ricorrente denuncia - con riguardo  alla
medesima disposizione (art.  3,  comma  1,  lettera  g),  legge  reg.
impugnata - la violazione dell'art. 117, secondo comma,  lettera  h),
Cost., perche' il patto locale di  sicurezza  urbana,  gia'  previsto
dalla legislazione lombarda, e arricchito di un  ulteriore  contenuto
dalla disposizione impugnata, non sarebbe  conforme  all'art.  5  del
menzionato d.l. n. 14 del 2017, come convertito, che,  a  sua  volta,
esprimerebbe scelte compiute  dal  legislatore  statale  in  tema  di
ordine pubblico e sicurezza. 
    Con tale disposizione, il legislatore statale avrebbe  attribuito
la  disciplina  della  sicurezza  urbana,  quanto   alle   forme   di
cooperazione  tra  Stato  e  enti   territoriali,   ai   soli   patti
sottoscritti tra il prefetto ed il sindaco. 
    Viceversa, l'art. 27 della legge reg. Lombardia  n.  6  del  2015
prevede che la Regione possa promuovere il patto locale di  sicurezza
urbana, in tal modo attribuendo alla stessa un compito che, a  parere
del ricorrente, non le potrebbe competere, posto che il  citato  d.l.
n. 14 del 2017, come convertito, limiterebbe  l'intervento  regionale
ai soli profili della «sicurezza integrata». 
    Si sarebbe percio' determinata «una confusione di piani», «atteso
che il versante sul quale alla Regione e' rimessa la stipulazione  di
intese e' quello della "sicurezza integrata",  mentre  la  "sicurezza
urbana" e' rimessa agli accordi tra prefetti e sindaci». 
    6.- La questione non e' fondata. 
    Essa si basa, infatti, sull'erroneo presupposto che la  normativa
statale appena richiamata escluda la Regione da ogni  intervento  che
afferisca alla sicurezza urbana, quando, al contrario, l'art.  4  del
d.l. n. 14 del 2017, come convertito, nel  definire  il  concetto  di
sicurezza urbana, e' esplicito nell'affermare che al perseguimento di
essa «concorrono prioritariamente, anche con interventi integrati, lo
Stato, le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano e gli  enti
locali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni». 
    La disposizione regionale impugnata si  limita  ad  attuare  tale
principio, assegnando, in conformita' con esso, alla Regione un ruolo
propulsivo al fine della stipula dei patti di sicurezza urbana. 
    Puo' aggiungersi che il peculiare contenuto  del  patto  definito
dalla disposizione regionale impugnata  supera  l'ambito  della  sola
sicurezza urbana, perche', come si e' visto,  consente  alla  polizia
municipale di operare, a certe condizioni, al di la'  del  territorio
di riferimento, venendo cosi' a  intersecare  profili  di  «sicurezza
integrata», quindi di competenza anche regionale, per «[l']attuazione
di  un  sistema  unitario»  volto  al  «benessere   delle   comunita'
territoriali» (art. 1, comma  2,  del  d.l.  n.  14  del  2017,  come
convertito). 
    7.- Il ricorrente impugna, inoltre, l'art. 11, comma  1,  lettera
a), della legge  regionale  impugnata  che  sostituisce  il  comma  5
dell'art. 13  della  legge  reg.  Lombardia  n.  24  del  2006.  Esso
stabilisce  che   «[l]a   Giunta   regionale   puo',   con   apposita
deliberazione, prevedere idonei strumenti  tecnologici,  ulteriori  a
quanto previsto al secondo periodo del comma 6-bis, per agevolare  il
controllo del rispetto delle limitazioni regionali alla  circolazione
e all'utilizzo dei veicoli». 
    La disposizione regionale impugnata  si  inserisce  nel  contesto
delle misure per la limitazione del traffico veicolare che la Regione
intende adottare, al fine di ridurre l'inquinamento atmosferico. 
    L'art. 13, comma 6-bis, della legge  reg.  Lombardia  n.  24  del
2006, al secondo periodo, prevede che  «allo  scopo  di  sperimentare
modalita' piu' efficaci di riduzione degli inquinanti  connessi  alla
circolazione,  possono  essere  realizzati  impianti  di  rilevazione
telematica e, a richiesta, installati dispositivi  telematici  mobili
sui veicoli  che  monitorano  gli  stili  di  guida  e  i  chilometri
percorsi, consentendo di  condizionare  le  percorrenze  dei  veicoli
stessi al loro  effettivo  potenziale  inquinante,  localizzandone  i
relativi   tratti   stradali,   secondo   modalita'   definite    con
deliberazione della Giunta regionale». A tal  fine,  la  disposizione
impugnata  permette  l'introduzione,  con   delibera   della   Giunta
regionale, di ulteriori «strumenti tecnologici». 
    8.- Il ricorrente denuncia la  violazione  dell'art.  117,  commi
secondo,  lettera  h),  e  sesto,  Cost.,  perche'  il  regime  della
circolazione stradale ricade nella competenza  legislativa  esclusiva
dello Stato in  materia  di  ordine  pubblico  e  sicurezza,  con  la
conseguenza che ogni disciplina, anche regolamentare (art. 117, sesto
comma, Cost.), di  dispositivi,  apparecchiature,  mezzi  tecnici  di
controllo e regolazione del traffico andrebbe  assegnata  alla  fonte
statale, come confermato dagli artt. 45, comma 6, e 201, comma 1-bis,
lettera g), del d.lgs. n. 285 del 1992. 
    9.- La questione non e' fondata. 
    Questa Corte ha gia' ricondotto la disciplina della  circolazione
stradale alla competenza legislativa esclusiva dello Stato in tema di
ordine  pubblico  e  sicurezza,  in  quanto  volta  a  prevenire   la
commissione di reati incidenti sulla incolumita' personale  (sentenza
n. 428 del 2004; ex multis, sentenze n. 129 del 2021, n. 77 del  2013
e n. 223 del 2010). 
    Tale conclusione di ordine generale, tuttavia, va  valutata  alla
luce delle finalita' e degli interessi che sono coinvolti da ciascuna
disposizione normativa che attenga alla circolazione dei veicoli. Con
la sentenza n. 77 del 2013, infatti, questa Corte  ha  gia'  ritenuto
che la disciplina sulla revisione dei  veicoli  non  appartenga  alla
sola  materia  della  sicurezza,  ma  anche  a  quella  della  tutela
dell'ambiente. 
    La  disposizione  regionale  impugnata  introduce   infatti   uno
strumento con il  quale  la  Regione  persegue  l'effettivita'  delle
misure necessarie a  preservare  la  qualita'  dell'aria.  A  propria
volta, tali misure sono rimesse alla Regione dal legislatore  statale
con gli artt. 9 e  11  del  d.lgs.  n.  155  del  2010,  adottato  in
attuazione della direttiva 2008/50/CE. 
    E' percio'  evidente  che  l'adozione  di  strumenti  tecnologici
preposti a controllare il rispetto delle limitazioni  regionali  alla
circolazione dei veicoli inquinanti si  allontani  dal  nucleo  della
prevenzione dei reati per dirigersi verso le  competenze  intrecciate
della  tutela  dell'ambiente  e  della  tutela  della  salute,   che,
peraltro,  il  ricorrente  non  evoca  a   parametri   costituzionali
dell'odierna questione di legittimita' costituzionale. 
    Del resto, la disposizione impugnata, rinviando a quanto previsto
dall'art. 13, comma 6-bis), della legge  reg.  Lombardia  n.  24  del
2006,  impone  che  gli  «ulteriori»  strumenti   tecnologici   siano
introdotti non solo nel rispetto della disciplina vigente in  materia
di protezione dei dati personali,  ma  anche  «previa  intesa  con  i
competenti organi statali», assicurando cosi' che  l'esercizio  della
funzione  amministrativa  da  parte  della  Giunta  regionale   tenga
necessariamente in conto le esigenze funzionali che lo  Stato  potra'
garantire  nell'ambito  della  propria  competenza  in   materia   di
circolazione stradale.