ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  79,  comma
2, del decreto del Presidente della Repubblica  30  maggio  2002,  n.
115,  recante  «Testo  unico   delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)»,  promosso
dal Giudice per le indagini preliminari del  Tribunale  ordinario  di
Macerata sull'istanza di A. S., con ordinanza del 30  novembre  2022,
iscritta al n. 31 del registro  ordinanze  2023  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  12,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2023. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udita nella camera di consiglio del 22 novembre 2023  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 novembre 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 novembre 2022, iscritta  al  n.  31  del
registro ordinanze 2023, il Giudice per le indagini  preliminari  del
Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato, in riferimento all'art.
3  della  Costituzione,  questioni  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 79, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio  2002,  n.  115,  recante  «Testo  unico  delle   disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia.  (Testo
A)», nella parte in cui prevede che, per l'accesso  al  patrocinio  a
spese  dello  Stato  del  cittadino  di  un  paese  non  appartenente
all'Unione  europea,  la  certificazione   di   cui   alla   medesima
disposizione   vada   «indistintamente   richiesta   alla   autorita'
consolare, e non alla autorita' competente al rilascio [...]  secondo
il diritto interno del paese di appartenenza dell'istante». 
    2.- Il rimettente premette che A. S., di cittadinanza marocchina,
aveva presentato istanza di accesso al patrocinio a spese dello Stato
e che, dopo aver ottenuto dal  Consolato  del  Marocco  una  risposta
negativa alla richiesta  di  rilascio  della  certificazione  di  cui
all'art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, aveva allegato  una
dichiarazione  sostitutiva  di  certificazione,  con  cui   attestava
l'assenza di redditi e di proprieta' estere. 
    Il giudice a quo riporta la risposta dell'autorita' consolare, la
quale aveva motivato il proprio diniego,  affermando  di  non  essere
competente «a rilasciare certificati», in quanto, nel Paese d'origine
del richiedente, «la situazione  reddituale  viene  rilasciata  dalla
Direzione Regionale delle Imposte in Marocco», mentre «il certificato
che attesta le proprieta' mobiliare ed immobiliare  viene  rilasciato
dalla Agenzia Nazionale della Conservazione Fondiaria, del catasto  e
della Cartografia in Marocco». 
    Il GIP procede con  la  ricostruzione  del  quadro  normativo  di
riferimento, sottolineando che,  secondo  l'art.  94,  comma  2,  del
d.P.R. n. 115 del 2002, «in caso  di  impossibilita'  a  produrre  la
documentazione richiesta ai sensi dell'art. 79, comma 2, il cittadino
di Stati non appartenenti all'Unione europea la sostituisce,  a  pena
di   inammissibilita',   con   una   dichiarazione   sostitutiva   di
certificazione».  Precisa,   inoltre,   che   -   alla   luce   della
giurisprudenza della Corte di cassazione (viene  citata  la  sentenza
della sezione quarta penale, 8-22 febbraio 2018, n.  8617)  -  la  su
evocata impossibilita' sarebbe da intendere come «mera  omissione  di
certificazione da parte  della  richiesta  autorita'  consolare,  per
inerzia o ritardo». 
    3.- Il giudice a quo ritiene, pertanto, che l'art. 79,  comma  2,
del d.P.R. n. 115 del  2002,  nella  parte  in  cui  prevede  che  la
certificazione  vada  «indistintamente   richiesta   alla   autorita'
consolare, e non alla autorita' competente al rilascio [...]  secondo
il diritto interno del paese di appartenenza  dell'istante»,  cagioni
un vulnus all'art. 3 Cost. sotto un duplice profilo. 
    La norma, per un verso, si porrebbe in contrasto con il principio
di  ragionevolezza  e,  per  un  altro  verso,   determinerebbe   una
irragionevole disparita' di trattamento tra cittadini  di  Stati  non
appartenenti all'Unione europea, il cui consolato  sia  competente  a
rilasciare la certificazione, e cittadini di altri Stati  sempre  non
appartenenti all'Unione europea,  nei  quali  il  consolato  non  sia
autorizzato a svolgere simile funzione. 
    3.1.- Quanto alla censura di irragionevolezza, il giudice  a  quo
sostiene che il legislatore italiano non possa  «imporre  allo  Stato
estero di "adattare" le competenze dei propri organi alle aspettative
della legge italiana». Di conseguenza, ove  il  consolato  risultasse
incompetente,  si  dimostrerebbe  «privo  di  possibile   spiegazione
razionale  che  taluno  debba  avanzare  istanza  ad   [un]   ufficio
incompetente». Da cio' discenderebbe un ingiustificato vantaggio  per
lo straniero, che avrebbe accesso a una dichiarazione sostitutiva  di
certificazione, non suscettibile di accertamento effettivo. 
    A tal  proposito,  il  rimettente  richiama  un  passaggio  della
sentenza di questa Corte n. 219 del 1995,  relativa  alla  precedente
normativa sul patrocinio a spese dello Stato. Nella citata  pronuncia
si   sottolineava   che   l'autorita'    consolare,    nel    rendere
l'attestazione, non dovesse limitarsi a raffrontare la  dichiarazione
sostitutiva  di  certificazione  con  i  dati  di  cui  eventualmente
disponesse, ma  avesse  l'onere  di  verificare  nel  merito  il  suo
contenuto, indicando gli accertamenti eseguiti.  Il  giudice  a  quo,
pertanto,  ritiene  che,  nel  caso  in  cui  il  consolato  non  sia
competente a rilasciare  l'autorizzazione,  di  fatto,  lo  straniero
potrebbe accedere alla dichiarazione sostitutiva  di  certificazione,
senza che il consolato sia in grado di operare  alcuna  verifica,  il
che lascerebbe insoddisfatta l'esigenza - sostenuta da  questa  Corte
nella citata sentenza  -  di  «un  controllo  quanto  piu'  possibile
effettivo». 
    Simile risultato andrebbe a detrimento del «denaro pubblico,  che
non [sarebbe] razionale [distogliere]  da  altri  utili  o  necessari
scopi solo in quanto  lo  Stato  estero  ha  individuato  altro  ente
competente». 
    Il rimettente precisa, infine,  che  l'attuale  formulazione  non
sarebbe  razionalmente  giustificata  neppure  dalla  necessita'   di
indicare  allo  straniero  un  riferimento  certo  e   presente   sul
territorio nazionale. Non vi sarebbe, infatti, motivo per «ritenere a
priori che il rilascio di certificazione reddituale  o  fondiaria  da
parte del paese di appartenenza» comporti «particolari  difficolta'»,
fermo restando che,  ove  vi  fossero,  «ben  potrebbe  sovvenire  la
previsione di cui all'art.  94  c.  2  DPR  115/2002  per  come  gia'
latamente interpretata dalla giurisprudenza di legittimita'». 
    3.2.- Venendo poi  alla  censura  concernente  la  disparita'  di
trattamento, il giudice a quo ritiene che non sia giustificabile  che
cittadini di Stati  non  appartenenti  all'Unione  europea,  i  quali
abilitino il  consolato  a  rilasciare  una  certificazione  terza  e
imparziale, siano sottoposti ad adeguate  indagini,  mentre  soggetti
appartenenti  ad  altri  Stati,  i  quali  non  prevedano  una   tale
competenza, possano avvalersi della mera dichiarazione sostitutiva di
certificazione, sottratta a ogni controllo. 
    4.- In punto di rilevanza, il rimettente riporta che l'istante ha
dichiarato un reddito inferiore ai limiti di legge e  che,  pertanto,
ove si ritenesse legittimamente prodotta la dichiarazione sostitutiva
di certificazione, la richiesta avanzata  andrebbe  accolta,  pur  in
presenza delle ritenute criticita'. 
    5.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha insistito per l'inammissibilita' e comunque per la  non
fondatezza delle questioni. 
    5.1.- Quanto al rito, ha eccepito il difetto  di  rilevanza,  non
avendo il rimettente  «percorso  la  strada  di  una  interpretazione
costituzionalmente orientata della normativa che regola  la  materia,
anche alla  luce  dei  principi  di  recente  affermati  [...]  nella
sentenza additiva 20.7.2021, n. 157». 
    Inoltre, secondo la difesa statale, la ricostruzione  del  quadro
normativo fornita dall'ordinanza di  rimessione  sarebbe  manchevole,
non avendo il giudice valutato la previsione del successivo  comma  3
dell'art. 79, ai sensi del quale «[g]li interessati,  se  il  giudice
procedente o il consiglio dell'ordine  degli  avvocati  competente  a
provvedere in via anticipata lo richiedono, sono tenuti,  a  pena  di
inammissibilita'   dell'istanza,   a   produrre   la   documentazione
necessaria ad accertare la veridicita' di quanto in essa indicato». 
    Tale  norma,  a  parere  dell'Avvocatura  dello  Stato,   avrebbe
consentito  di  richiedere  il  deposito  delle  attestazioni   delle
autorita' competenti, al fine  di  verificare  la  veridicita'  delle
informazioni   inserite   nella    dichiarazione    sostitutiva    di
certificazione. 
    5.2.- Nel merito, la difesa dello  Stato  ribadisce  la  pacifica
riconducibilita' dell'istituto  alla  disciplina  processuale,  nella
quale il legislatore gode di  ampia  discrezionalita',  con  il  solo
limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarieta'. 
    Secondo l'Avvocatura, tale limite  non  sarebbe  stato  superato,
tanto piu' che,  da  un  lato,  nel  processo  penale,  l'accesso  al
patrocinio a spese  dello  Stato  gode  di  regole  meno  rigide,  in
considerazione del carattere  preminente  della  liberta'  personale,
implicata in tale procedimento, e, da un altro lato, la  sentenza  di
questa Corte n. 157 del 2021 ha reso la disciplina generale  conforme
al principio  di  autoresponsabilita',  ammettendo  la  dichiarazione
sostitutiva di  certificazione  in  tutti  i  casi  in  cui  non  sia
possibile ottenere l'attestazione da parte dell'autorita' consolare. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 novembre 2022, il GIP del  Tribunale  di
Macerata ha sollevato, in riferimento all'art. 3 Cost., questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 79, comma 2, del d.P.R. n.  115
del 2002, nella parte in cui prevede che, per l'accesso al patrocinio
a spese dello Stato  del  cittadino  di  un  paese  non  appartenente
all'Unione  europea,  la  certificazione   di   cui   alla   medesima
disposizione   vada   «indistintamente   richiesta   alla   autorita'
consolare, e non alla autorita' competente al rilascio [...]  secondo
il diritto interno del paese di appartenenza dell'istante». 
    2.- A parere del giudice a quo,  la  norma  censurata  violerebbe
l'art. 3 Cost. sotto un duplice profilo. 
    2.1.- In primo luogo, l'art. 79, comma 2, del d.P.R. n.  115  del
2002 risulterebbe irragionevole, poiche' sarebbe «privo di  possibile
spiegazione razionale che  taluno  debba  avanzare  istanza  ad  [un]
ufficio incompetente», il quale, oltre  a  non  poter  rilasciare  la
certificazione, neppure potrebbe effettuare un  controllo  su  quanto
dedotto nella dichiarazione sostitutiva di  certificazione.  Sarebbe,
dunque, irragionevolmente consentito a taluni stranieri  accedere  al
patrocinio a spese dello Stato, senza che sia possibile verificare la
sussistenza del presupposto concernente la condizione reddituale. 
    2.2.- In secondo luogo, la  norma  censurata  determinerebbe  una
disparita' di trattamento tra cittadini  di  Stati  non  appartenenti
all'Unione europea, il cui consolato sia competente a  rilasciare  la
certificazione, e cittadini di altri Stati  sempre  non  appartenenti
all'Unione europea, nei quali il  consolato  non  sia  autorizzato  a
svolgere simile funzione. Questi ultimi, infatti,  potrebbero  sempre
avvalersi della dichiarazione sostitutiva  di  certificazione  e  non
sarebbero soggetti a un effettivo controllo in  merito  al  requisito
della non abbienza. 
    3.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio e ha sollevato due eccezioni di rito. 
    3.1.-  Anzitutto,   ha   prospettato   l'inammissibilita'   delle
questioni per difetto di rilevanza, poiche' il rimettente non avrebbe
percorso  «la  strada  di  una   interpretazione   costituzionalmente
orientata della normativa che regola la materia, anche alla luce  dei
principi  di  recente  affermati  [...]   nella   sentenza   additiva
20.7.2021, n. 157». 
    3.1.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il rimettente non deve
motivare la  non  praticabilita'  di  un'interpretazione  conforme  a
Costituzione,  ove  la  formulazione  letterale  della   disposizione
censurata sia inequivocabile (tra le altre, sentenze n. 231 del 2020,
n. 221 e n. 174 del 2019 e n. 36 del 2016). 
    Pertanto, poiche' il tenore letterale dell'art. 79, comma 2,  del
d.P.R. n. 115 del 2002 stabilisce, in maniera chiara e  univoca,  che
tutti i  cittadini  di  Stati  non  appartenenti  all'Unione  europea
corredano l'istanza «con una certificazione dell'autorita'  consolare
competente che attesta la veridicita' di quanto  in  essa  indicato»,
l'eccezione va rigettata. 
    3.2.- Sempre  in  rito,  la  difesa  statale  ha,  poi,  eccepito
l'inammissibilita' delle questioni per inadeguata  ricostruzione  del
quadro normativo. 
    A detta dell'Avvocatura dello Stato, l'ordinanza  avrebbe  omesso
di considerare l'art. 79, comma 3, del d.P.R. n.  115  del  2002,  ai
sensi del quale «[g]li interessati, se il  giudice  procedente  o  il
consiglio dell'ordine degli avvocati competente a provvedere  in  via
anticipata lo richiedono, sono tenuti,  a  pena  di  inammissibilita'
dell'istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la
veridicita' di quanto in essa indicato». 
    Tale norma, secondo la  difesa  statale,  avrebbe  consentito  di
richiedere   il   deposito   delle   attestazioni    fornite    dalle
amministrazioni  nazionali  competenti,  al  fine  di  verificare  la
veridicita'   delle   informazioni   inserite   nella   dichiarazione
sostitutiva di certificazione. 
    3.2.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    La giurisprudenza  di  questa  Corte  esclude  l'inammissibilita'
delle questioni sollevate, qualora le censure, oltre a individuare le
norme impugnate e i parametri costituzionali di cui  si  denuncia  la
violazione,  risultino  sufficientemente  chiare   e   motivate   con
argomentazioni adeguatamente articolate (da ultimo, sentenze n. 125 e
n. 112 del 2023, n. 168 e n. 23 del 2022, n. 174 del 2020, n.  290  e
n. 198 del 2019,  n.  245  del  2018).  In  particolare,  l'eventuale
carente   ricostruzione   del   quadro   normativo    non    comporta
l'inammissibilita', la' dove  non  inficia  la  chiarezza  dell'«iter
logico argomentativo» (sentenze n. 42 del 2023, n. 114 e  n.  61  del
2021, n. 18 del 2015; ordinanze n. 229 del 2020, n. 59 del 2019 e  n.
33 del 2016). 
    Nel   caso   in   esame,   le   censure   del   rimettente   sono
sufficientemente chiare nella loro prospettazione e, dunque, in linea
con   la   giurisprudenza   di   questa   Corte,    l'eccezione    di
inammissibilita' va rigettata. 
    4.- Passando ora all'esame  del  merito,  e'  opportuno,  in  via
preliminare, richiamare il quadro normativo. 
    4.1.- La disposizione censurata si colloca nella  Parte  III  del
d.P.R. n. 115 del 2002, dedicata al «Patrocinio a spese dello Stato». 
    La funzione dell'istituto e' rimuovere, in armonia con l'art.  3,
secondo comma, Cost., «le difficolta' di ordine economico che possono
opporsi  [...]  al  concreto  esercizio  del  diritto  [di   difesa]»
(sentenza n. 46 del 1957, di seguito citata dalla sentenza n. 149 del
1983; in senso analogo, sentenze n. 10 del 2022, n. 157 del 2021,  n.
35 del 2019, n.  175  del  1996  e  n.  127  del  1979),  assicurando
l'effettivita' del diritto ad agire e a difendersi in  giudizio,  che
l'art. 24, secondo comma, Cost. espressamente qualifica come  diritto
inviolabile (sentenze n. 80 del 2020, n. 178 del  2017,  n.  101  del
2012 e n. 139 del 2010; ordinanza n. 458 del 2002). 
    La natura inviolabile del diritto non lo sottrae,  nondimeno,  al
bilanciamento che, «per effetto della  scarsita'  delle  risorse,  si
rende  necessario  rispetto  alla  molteplicita'  dei   diritti   che
ambiscono alla medesima tutela» (sentenza  n.  157  del  2021;  cosi'
anche sentenze n. 47 del 2020, n. 16 del 2018 e  n.  178  del  2017),
fermo restando che, ove risulti implicato il «"nucleo intangibile del
diritto alla tutela giurisdizionale"  (sentenza  n.  157  del  2021)»
(sentenza n. 10 del 2022), non si puo' impedire, a chi versa  in  una
condizione  di  non  abbienza,   l'effettivita'   dell'accesso   alla
giustizia. 
    Fuori di questa ultima ipotesi, i termini del bilanciamento  sono
rimessi al legislatore che, nella materia processuale, gode di  ampia
discrezionalita'  nella  conformazione  degli  istituti  (da  ultimo,
sentenze n. 223 del 2022, n. 157 e n. 1 del 2021). 
    Limita    tale    discrezionalita'    soltanto    la    manifesta
irragionevolezza delle scelte adottate (ex plurimis, sentenze n. 203,
n. 143 e n. 13 del 2022, n. 213, n. 148 e n. 87 del 2021 e n. 80  del
2020). 
    4.2.- Nel regolare l'accesso al patrocinio a spese  dello  Stato,
l'art. 74  e  seguenti  del  d.P.R.  n.  115  del  2002  prendono  in
considerazione il tipo di giudizio per cui si procede, la  condizione
giuridica dell'interessato - cittadino italiano o straniero  -  e  la
situazione economica in cui versa. 
    4.2.1.-  Nel  processo  penale,  il  beneficio  puo'  operare   a
vantaggio sia del cittadino italiano «indagato, imputato, condannato,
persona offesa da reato, danneggiato che  intenda  costituirsi  parte
civile, responsabile civile ovvero civilmente obbligato per  la  pena
pecuniaria» (art. 74, comma 1, del citato  testo  unico),  sia  dello
straniero, anche irregolarmente soggiornante  (sentenza  n.  198  del
2000), nonche'  dell'apolide  residente  nello  Stato  (art.  90  del
medesimo testo unico). 
    Nei processi «civile,  amministrativo,  contabile,  tributario  e
negli affari di volontaria giurisdizione», l'istituto puo'  andare  a
beneficio del  cittadino  italiano  o  dello  straniero  regolarmente
soggiornante  sul  territorio  nazionale  (art.  119  del  d.P.R.  su
menzionato),  se  le  ragioni  di  chi  lo  invoca   «risultino   non
manifestamente infondate» (art. 74, comma 2, dello stesso d.P.R.). 
    4.2.2.- In tutte le  citate  ipotesi,  requisito  essenziale  per
l'ammissione all'istituto e' che l'interessato versi nella situazione
reddituale  stabilita  dall'art.  76  del  d.P.R.  n.  115  del  2002
(soggetta a un adeguamento biennale, ex art. 77 del medesimo d.P.R.). 
    Per comprovare tale presupposto, i cittadini italiani e di  Stati
appartenenti  all'Unione  europea  devono  produrre,   «a   pena   di
inammissibilita'», una «dichiarazione sostitutiva  di  certificazione
[...] ai sensi dell'articolo 46, comma 1, del decreto del  Presidente
della  Repubblica  28  dicembre  2000,  n.  445»,  che  attesti   «la
sussistenza delle condizioni di reddito  previste  per  l'ammissione,
con specifica determinazione del  reddito  complessivo  valutabile  a
tali fini, determinato secondo le  modalita'  indicate  nell'articolo
76» (art. 79, comma 1, lettera c, del d.P.R. n.  115  del  2002).  La
citata disciplina trova applicazione sia per i  redditi  prodotti  in
Italia sia per quelli prodotti all'estero. 
    Nel  caso,  invece,  dei  cittadini  di  Stati  non  appartenenti
all'Unione europea, l'art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002  -
la disposizione censurata - prevede  che,  per  «i  redditi  prodotti
all'estero»,  l'istanza  e'   corredata   «con   una   certificazione
dell'autorita' consolare competente, che attesta  la  veridicita'  di
quanto in essa indicato». 
    La presentazione di detta certificazione non e' prescritta  sotto
pena di automatica inammissibilita'  (Corte  di  cassazione,  sezione
quarta  penale,  sentenza  4  giugno-28  luglio  2022,   n.   29978).
L'interessato, infatti, puo' dimostrare l'impossibilita' di  produrre
la documentazione richiesta ai sensi dell'articolo 79, comma  2,  nel
qual caso ha l'onere di sostituirla «a pena di inammissibilita',  con
una dichiarazione sostitutiva di certificazione». E'  quanto  dispone
testualmente l'art. 94, comma 2, del d.P.R. n. 115 del  2002  per  il
processo penale, ed e' quanto questa Corte ha previsto anche per  gli
altri procedimenti  giurisdizionali,  intervenendo  in  via  additiva
proprio con riferimento all'art.  79,  comma  2,  del  citato  d.P.R.
(sentenza n. 157 del 2021). 
    5.- Tanto premesso, con la prima questione, il giudice rimettente
sostiene che l'art. 79, comma 2, del d.P.R. n. 115  del  2002,  nella
parte in cui stabilisce che la «certificazione  vada  indistintamente
richiesta alla autorita' consolare, e non alla  autorita'  competente
al  rilascio  [...]  secondo  il  diritto  interno   del   paese   di
appartenenza dell'istante», sia intrinsecamente irragionevole. 
    Il giudice a quo ritiene, infatti, che  il  legislatore  italiano
non possa «imporre allo Stato estero di "adattare" le competenze  dei
propri organi alle aspettative della legge italiana» e che, pertanto,
ove il  consolato  risulti  incompetente,  sia  «privo  di  possibile
spiegazione razionale che  taluno  debba  avanzare  istanza  ad  [un]
ufficio  incompetente».   Cio'   comporterebbe,   di   riflesso,   un
ingiustificato vantaggio per lo straniero, che avrebbe accesso a  una
dichiarazione  sostitutiva  di  certificazione  non  suscettibile  di
accertamento effettivo, a scapito di una corretta  allocazione  delle
risorse statali. 
    6.- La questione non e' fondata. 
    6.1.- La norma censurata non assegna al consolato - come sostiene
il rimettente - il compito di certificare la consistenza patrimoniale
del cittadino di uno Stato non  appartenente  all'Unione  europea  e,
dunque, non pone  un  problema  di  possibile  incompetenza  di  tale
autorita' sulla base della disciplina del relativo ordinamento. 
    Viceversa, l'art. 79, comma 2, del d.P.R.  n.  115  del  2002  si
fonda  sul  principio   di   leale   collaborazione   tra   autorita'
appartenenti a diversi Stati e, su tale presupposto, prevede  che  il
consolato rilasci una certificazione che asseveri «la veridicita'  di
quanto [...] indicato» nell'istanza; il che implica  un'attivita'  di
verifica e controllo da parte dell'autorita' consolare, eventualmente
svolta con il coinvolgimento delle amministrazioni competenti. 
    Giova, a tal riguardo, rammentare che la  disposizione  e'  stata
prevista dal d.P.R. n. 115 del 2002, il  quale,  introducendo  l'art.
79, comma 2, ha recepito il contenuto del precedente art. 5, comma 3,
della legge 30 luglio 1990, n.  217  (Istituzione  del  patrocinio  a
spese dello Stato per i non abbienti), come emendato  dalla  sentenza
n. 219 del 1995. 
    In particolare, questa Corte, nel rimuovere l'inciso «per  quanto
a conoscenza della [...] autorita'» consolare, ha precisato  -  nella
citata  pronuncia  -  che,  se  il  consolato  «vuole   rendere   una
attestazione  utile  in  favore  dell'interessato,  non   puo'   piu'
limitarsi a raffrontare l'autocertificazione con i  dati  conoscitivi
di  cui  eventualmente  disponga,  ma   (nello   spirito   di   leale
collaborazione tra autorita' appartenenti a Stati  diversi)  ha  (non
certo l'obbligo, ma) l'onere (implicito nella riferibilita'  ad  essa
di un atto di asseveramento  di  una  dichiarazione  di  scienza)  di
verificare nel merito il contenuto dell'autocertificazione  indicando
gli accertamenti eseguiti». 
    6.2.- Cosi' individuata la portata normativa della  disposizione,
non  si  palesa  affatto  la  manifesta  irragionevolezza,   da   cui
discenderebbe il  rischio  di  una  non  corretta  allocazione  delle
risorse statali, ravvisata dal giudice rimettente. 
    Al  contrario,  e'  proprio  per  rafforzare  l'interesse  a   un
accertamento del requisito reddituale che la norma censurata  non  si
limita a richiedere ai cittadini di Stati non appartenenti all'Unione
europea  dichiarazioni  sostitutive  di  certificazione  dei  redditi
prodotti all'estero,  diversamente  da  quanto  dispone  il  comma  1
dell'art. 79 del d.P.R. n. 115 del 2002 per i  cittadini  italiani  e
per quelli di paesi appartenenti all'Unione europea. 
    E', infatti, a tutela della effettivita'  del  controllo  che  il
legislatore, facendo perno sul principio di leale collaborazione  fra
autorita'  appartenenti  a  diversi  Stati,  affida  il  compito   di
asseverare la veridicita' di  quanto  dichiarato  dall'istante  a  un
ufficio, qual e' quello consolare, per  il  quale  e'  ben  possibile
svolgere congrui accertamenti, non solo sulla base dei  dati  di  cui
dispone, ma anche nel dialogo con le amministrazioni dello  Stato  di
appartenenza. 
    La   soluzione   legislativa,   dunque,   potenzia   la    tutela
dell'interesse a una verifica concreta  delle  condizioni  reddituali
dei cittadini di Stati non  appartenenti  all'Unione  europea  e,  al
contempo, consente a tali soggetti di rivolgersi  ad  amministrazioni
che si trovano nel territorio italiano. 
    In tal modo,  l'interessato  non  deve  corredare  l'istanza  con
plurime certificazioni, eventualmente  di  contenuto  solo  negativo,
rilasciate da differenti amministrazioni dello  Stato  competente,  e
previo assolvimento degli oneri  prescritti  a  garanzia  della  loro
autenticita'. 
    6.3.- Per le motivazioni esposte, l'art. 79, comma 2, del  d.P.R.
n. 115 del 2002 non e' manifestamente irragionevole e  non  determina
una irragionevole compressione dell'interesse al «contenimento  della
spesa pubblica in materia di giustizia (sentenza  n.  16  del  2018)»
(sentenze n. 47 del 2020 e n. 157 del  2021),  laddove,  all'opposto,
tende a rafforzare tale interesse nel bilanciamento con il diritto di
difesa dei cittadini di Stati non  appartenenti  all'Unione  europea,
che chiedono l'accesso al patrocinio a spese dello Stato. 
    6.4.- Parimenti, non sussiste alcuna manifesta  sproporzione  del
mezzo  rispetto  al  fine  perseguito,  in  ragione  della   facolta'
spettante al cittadino  di  uno  Stato  non  appartenente  all'Unione
europea   di   avvalersi   della   dichiarazione    sostitutiva    di
certificazione,  ove  risulti  impossibile  -  secondo   un'accezione
relativa del termine (Corte di cassazione,  sezione  seconda  civile,
ordinanza 6 febbraio 2023, n.  3473;  Corte  di  cassazione,  sezione
quarta penale, sentenze 10  maggio-6  giugno  2023,  n.  24210  e  14
giugno-28  luglio  2022,  n.  29978)  -  produrre  la  certificazione
consolare. 
    6.4.1.- Va,  anzitutto,  sottolineato  che  la  legittimazione  a
produrre la dichiarazione  sostitutiva  di  certificazione  non  puo'
discendere  -  come  ritiene  il  rimettente  -   da   una   presunta
incompetenza del consolato, il quale, viceversa, e' sempre competente
a  ottemperare  a   un   onere   di   collaborazione   di   carattere
internazionale. 
    L'impossibilita' che permette di  avvalersi  della  dichiarazione
sostitutiva di certificazione puo', invece,  derivare  dalla  mancata
collaborazione dell'autorita' consolare. 
    A tal riguardo, questa Corte, intervenendo proprio sull'art.  79,
comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, ha, di recente, ribadito che  e'
irragionevole  far  gravare  sull'interessato  conseguenze   negative
derivanti dal «fatto del terzo (ossia l'autorita' consolare), la  cui
eventuale inerzia o  inadeguata  collaborazione  rendano  impossibile
produrre  tempestivamente  la  corretta   certificazione   richiesta»
(ancora  sentenza  n.  157  del  2021).   Dall'inerzia   altrui   non
dovrebbero, infatti, discendere effetti discriminatori (sentenza n. 9
del 2021), tanto piu' se ne consegue un indebolimento di strumenti  -
qual e' l'istituto del patrocinio a spese dello Stato - che, in  nome
del principio di eguaglianza sostanziale,  preservano  l'effettivita'
del diritto di difesa (sentenza n. 10 del 2022). 
    Per  tale  ragione,  se  e'   impossibilitato   a   produrre   la
certificazione consolare, l'interessato deve potersi avvalere di  una
dichiarazione sostitutiva di certificazione (art. 94,  comma  2,  del
d.P.R. n. 115 del 2002 e sentenza n. 157 del 2021). 
    Ma tale facolta' non si traduce - come assume il giudice a quo  -
in una mancanza di controlli sulla effettiva spettanza del beneficio.
Soccorrono, infatti, varie disposizioni del d.P.R. n. 115  del  2002,
che approntano un complesso di rimedi volti a prevenire il rischio di
una impropria allocazione delle risorse pubbliche. 
    Anzitutto, va richiamato l'art. 79, comma  3,  del  citato  testo
unico, ai sensi del quale, «se il giudice procedente o  il  consiglio
dell'ordine degli avvocati competente a provvedere in via  anticipata
lo  richiedono»,  gli   interessati   «sono   tenuti,   a   pena   di
inammissibilita'   dell'istanza,   a   produrre   la   documentazione
necessaria ad accertare la veridicita' di quanto in essa indicato». 
    Di conseguenza, a fronte di una autorita' consolare che non abbia
ottemperato al suo onere di collaborazione, il giudice o il consiglio
dell'ordine degli avvocati ben possono richiedere all'interessato  di
produrre la documentazione  che  attesti  la  veridicita'  di  quanto
indicato nell'istanza; e, dunque, possono  in  tal  caso  esigere  la
produzione dei certificati rilasciati dalle amministrazioni nazionali
competenti ad attestare la sussistenza o insussistenza di redditi. 
    Inoltre,  se,  in  conseguenza  dell'eventuale  impossibilita'  a
presentare anche la documentazione richiesta dall'art. 79,  comma  3,
del d.P.R. n. 115 del 2002, l'interessato produce, ai sensi dell'art.
94, comma 1,  del  citato  d.P.R.  (norma  dettata  per  il  processo
penale), una dichiarazione sostitutiva di certificazione, l'interesse
generale a una corretta allocazione delle  risorse  dello  Stato  e',
comunque, ulteriormente garantito dal successivo art. 96, comma 2. 
    Tale disposizione, infatti, prevede - sempre per il  procedimento
penale - che il «magistrato respinge l'istanza  se  vi  sono  fondati
motivi per ritenere che l'interessato non versa nelle  condizioni  di
cui agli  articoli  76  e  92,  tenuto  conto  delle  risultanze  del
casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali
e familiari, e delle attivita' economiche eventualmente svolte». 
    Infine, e' doveroso evidenziare che - con riguardo a procedimenti
giurisdizionali diversi da quello penale  -  opera,  quale  norma  di
chiusura della disciplina, l'art. 127, comma 4, del d.P.R. n. 115 del
2002, secondo cui la «effettivita' e la permanenza  delle  condizioni
previste per l'ammissione al  patrocinio  e'  in  ogni  tempo,  anche
successivo all'ammissione,  verificata  su  richiesta  dell'autorita'
giudiziaria, ovvero su iniziativa dell'ufficio  finanziario  o  della
Guardia di finanza». 
    6.4.2.- In sostanza, l'art. 79, comma 2, del d.P.R.  n.  115  del
2002 si coordina con un complesso di previsioni normative che se,  da
un lato, proteggono l'istante,  evitando  che  gravi  su  di  lui  il
rischio di condotte imputabili a terzi, da un  altro  lato,  lasciano
sempre aperta la possibilita' di accertare in concreto - anche in via
presuntiva - la  mancanza  del  presupposto  legato  alle  condizioni
reddituali. 
    6.5.- Conclusivamente, la norma censurata non  e'  manifestamente
irragionevole e non  comporta  una  ingiustificata  sproporzione  del
mezzo rispetto al fine di assicurare «ai non abbienti [...]  i  mezzi
per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione» (art. 24, terzo
comma, Cost.). 
    7.- Quanto alla seconda questione di legittimita'  costituzionale
sollevata dal GIP del Tribunale  di  Macerata,  essa  attiene  a  una
presunta  irragionevole  disparita'  di   trattamento   tra   diversi
stranieri, a seconda che le autorita' consolari dei rispettivi  Stati
non  appartenenti  all'Unione  europea  abbiano  o  meno/non  abbiano
competenza a «rilasciare certificazione terza e imparziale»  circa  i
redditi posseduti in quei paesi. 
    8.- La questione non e' fondata. 
    8.1.- La norma censurata non richiede che  l'autorita'  consolare
rilasci  la  certificazione  sui  redditi  prodotti  all'estero   dal
cittadino di uno Stato non appartenente all'Unione europea. 
    Viceversa, l'art. 79,  comma  2,  del  d.P.R.  n.  115  del  2002
riferisce a tutti i consolati degli Stati non appartenenti all'Unione
europea un onere di  collaborazione,  consistente  nell'asseveramento
della  veridicita'  di  quanto  indicato  dall'istante,  sicche'   le
autorita'  consolari  sono  sempre  competenti  -  come  gia'   sopra
evidenziato (punti 6.1. e 6.4.1.) - a ottemperare  a  un  tale  onere
radicato nel principio di leale collaborazione internazionale. 
    Il precetto, dunque, riguarda in maniera paritaria i cittadini di
tutti gli Stati non appartenenti all'Unione europea, prescindendo dal
problema di quali siano le  amministrazioni  nazionali  competenti  a
rilasciare le certificazioni sui redditi, amministrazioni alle  quali
l'ufficio consolare puo' semplicemente rivolgersi nell'ottemperare al
suo onere di collaborazione. 
    Quanto alla circostanza per  cui  -  nella  vicenda  relativa  al
giudizio  a  quo  -  il  Consolato  marocchino   si   e'   dichiarato
incompetente ad asseverare quanto  previsto  dalla  norma  censurata,
essa deriva o - come sembrerebbe - da un errore  in  cui  e'  incorsa
tale autorita' in merito al tipo  di  certificazione  che  le  veniva
richiesto o dalla scelta di non collaborare. 
    Si tratta, pertanto, di un mero inconveniente di fatto, come tale
inidoneo di per se' a incidere sulla lamentata lesione del  parametro
costituzionale evocato (sentenze n. 117 del 2012 e n. 362  del  2008;
ordinanza n. 158 del 2014), poiche' non direttamente riferibile  alla
previsione  normativa,  ma  ricollegabile,  invece,  «a   circostanze
contingenti attinenti alla sua concreta  applicazione  (ordinanza  n.
270  del  2012),  non  involgenti,   per   cio',   un   problema   di
costituzionalita'» (sentenze n. 114 del 2017 e n. 295 del 1995). 
    8.2.- Per le ragioni esposte, anche  la  questione  sollevata  in
riferimento all'art. 3 Cost. sotto  il  profilo  della  irragionevole
disparita' di trattamento non e' fondata.