ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 291,  primo
comma,  del  codice  civile,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Firenze, sezione prima civile, nel procedimento vertente tra G. S.  e
A. M., con ordinanza del 17 gennaio  2023,  iscritta  al  n.  62  del
registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 20,  prima  serie  speciale,  dell'anno  2023,  la  cui
trattazione e' stata fissata per l'adunanza in  camera  di  consiglio
del 22 novembre 2023. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udita nella camera di consiglio del 23 novembre 2023  la  Giudice
relatrice Maria Rosaria San Giorgio; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 novembre 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 gennaio 2023,  iscritta  al  n.  62  del
registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di  Firenze,  sezione
prima civile, ha sollevato - in riferimento  agli  artt.  2,  3,  10,
primo comma (in relazione agli artt. 8 della Convenzione europea  dei
diritti dell'uomo, 7 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea e  16  della  Dichiarazione  universale  dei  diritti  umani,
adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il  10  dicembre
1948),  e  30  della  Costituzione  -   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 291, primo comma, del codice civile,  «nella
parte in cui non consente al  giudice  di  dichiarare  l'adozione  di
maggiorenne derogando al limite del divario di eta' tra adottante  ed
adottando imposto in 18 anni nei casi di esigua differenza di eta'». 
    2.- Il rimettente riferisce che G. S., nata nel 1946, ha  chiesto
al Tribunale di Firenze di procedere alla dichiarazione  di  adozione
del maggiorenne A. M., rappresentando  che  questi,  nato  nel  1963,
orfano di madre e il cui padre, G. M., aveva contratto matrimonio con
l'istante nel 1968, era sempre vissuto con il padre e, dall'eta' di 5
anni, anche con la  stessa  richiedente,  che  lo  aveva  accudito  e
cresciuto come un figlio senza differenza alcuna rispetto alla figlia
biologica, nata dal matrimonio con G. M. 
    Nel farsi carico della circostanza  che  la  differenza  di  eta'
rispetto al figlio del coniuge e' pari a 17 anni e  3  mesi,  sicche'
non risulta nella specie  pienamente  sussistente  il  requisito  del
divario minimo di eta' di  18  anni,  imposto  dall'art.  291,  primo
comma, cod. civ., l'istante ha evidenziato che  il  legame  affettivo
che esiste tra lei e A. M. merita  tutela  in  ossequio  ai  principi
costituzionali, tra cui quello dell'unita' familiare (art. 30  Cost.)
e del rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU). 
    3.- Sull'indicata premessa, il Tribunale  rimettente,  dato  atto
delle dichiarazioni di  consenso  all'adozione  espresse  all'udienza
camerale  innanzi   al   giudice   relatore   dalla   richiedente   e
dall'adottando, dell'assenso del padre di quest'ultimo e della figlia
nata dal matrimonio tra G. M. e G. S., nonche' della moglie di A. M.,
rileva che, nella specie, essendo G. S. nata nel 1946  e  A.  M.  nel
1963, risulta oggettivamente non rispettato il differenziale di  eta'
fra la richiedente l'adozione  e  l'adottando,  prescritto  dall'art.
291, primo comma, cod. civ. Tuttavia, e' pacifica l'esistenza  di  un
lungo e positivo legame di affetto e solidarieta' tra  gli  aspiranti
all'adozione, tipico del  rapporto  genitoriale.  Risulta,  altresi',
evidente, secondo il giudice a quo, il  requisito  della  convenienza
all'adozione, ai sensi dell'art. 312, numero 2), cod. civ.,  trovando
l'interesse del figlio del coniuge dell'adottante effettiva  e  reale
rispondenza nella comunione  di  intenti  di  tutti  i  membri  della
famiglia (si cita la sentenza  della  Corte  di  cassazione,  sezione
prima civile, 3 febbraio 2006, n. 2426). 
    Cio'  posto,   il   Collegio   rimettente   rileva   la   «mutata
configurazione   sociologica»   dell'istituto    dell'adozione    dei
maggiorenni nella conseguita funzione «di riconoscimento giuridico di
una relazione sociale,  affettiva  ed  identitaria,  nonche'  di  una
storia personale, di adottante e adottato» e di  strumento  «volto  a
consentire  la  formazione  di  famiglie  tra  soggetti  che,  seppur
maggiorenni, sono tra loro legati da solidi vincoli personali, morali
e  civili,  in  ossequio  ai  principi   costituzionali   dell'unita'
familiare (art. 30  Cost.)  e  del  rispetto  della  vita  privata  e
familiare (art. 8 Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo)». 
    Alla stregua di tali  considerazioni,  il  Tribunale  di  Firenze
ritiene che l'art. 291, primo comma, cod. civ., nella  parte  in  cui
non consente al  giudice  alcuna  discrezionalita'  nel  derogare  al
limite del divario di eta', e, di conseguenza, «non permette  di  dar
luogo  ad  adozione  del  maggiorenne  anche  se  il  difetto   della
differenza di eta' richiesta tra adottante  e  adottando  sia  minimo
(come nel caso di specie, pari a 9 mesi)», presenti possibili profili
di illegittimita' costituzionale per violazione: 
    1) degli artt. 2 e 30 Cost., per la lesione sia  della  capacita'
dell'individuo di autodeterminarsi, come singolo e  nelle  formazioni
sociali in cui si svolge la sua personalita', tra  le  quali  rientra
anche la famiglia, sia del diritto-dovere di  mantenere,  educare  ed
istruire i figli, «atteso che nel caso in esame  appare  evidente  il
profondo legame tra l'adottante ed il figlio del coniuge che la prima
ha allevato ed educato sin da quando questi aveva 5 anni (avendone ad
oggi 59), del tutto parificabile ad un rapporto di filiazione»; 
    2) dell'art. 3  Cost.,  sotto  il  profilo  della  disparita'  di
trattamento rispetto all'adozione del minore in casi particolari,  di
cui all'art. 44, commi 1, lettera b), e 5, della legge 4 maggio 1983,
n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), in relazione alla  quale
il legislatore ha previsto che il giudice possa ridurre il divario di
eta' in presenza di validi motivi attinenti all'unita' familiare, con
conseguente irragionevole discriminazione tra maggiorenne e minorenne
«a fronte della affinita' assiologica dei due istituti»; 
    3) dell'art. 10  Cost.,  per  mancato  rispetto  della  normativa
europea ed internazionale cui  l'ordinamento  giuridico  italiano  e'
tenuto a conformarsi (sono evocati l'art. 8 CEDU e  l'art.  7  CDFUE,
nel rimarcato diritto dell'individuo al rispetto della  propria  vita
privata e familiare, che ha quale corollario il divieto di "ingerenza
di una autorita' pubblica", nonche'  l'art.  16  della  Dichiarazione
universale dei diritti umani, nel diritto di uomini e donne, in  eta'
adatta, di fondare una famiglia, definita quale  «nucleo  naturale  e
fondamentale della societa'» che «ha diritto ad essere protetta dalla
societa' e dallo Stato». 
    4.- Il rimettente fa menzione quindi della sentenza  della  Corte
di cassazione, sezione prima civile, 3 aprile  2020,  n.  7667,  che,
attraverso una rivisitazione  storico-sistematica  dell'istituto,  ha
fornito  una  interpretazione  costituzionalmente   orientata   della
disposizione  censurata,  coincidente   con   l'intervento   additivo
auspicato; non ritiene, tuttavia,  tale  interpretazione  praticabile
nella chiarezza ed univocita' dell'enunciato normativo. 
    L'assenza di una specifica previsione derogatoria, che superi sul
punto la rigidita' del sistema, non si tradurrebbe neppure in  lacuna
legislativa,  sicche'  sarebbe  precluso   al   giudice   comune   di
affrancarsi per via meramente esegetica dalla disciplina positiva. 
    5.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  in
giudizio con atto depositato il  6  giugno  2023,  con  il  quale  ha
chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque  non
fondata. 
    5.1.- L'interveniente richiama le sentenze n. 500 del 2000  e  n.
89 del 1993, con le  quali  questa  Corte  ha  giudicato  conforme  a
Costituzione la disposizione censurata, esaminando la questione sotto
profili identici a quelli in scrutinio,  che  non  potrebbero  essere
nuovamente posti in discussione. 
    La difesa erariale ricorda che questa Corte ha escluso che  possa
essere un valido parametro di  comparazione,  ai  sensi  dell'art.  3
Cost., il diverso regime dettato in materia di adozione del minore in
casi particolari (art. 44, commi 1, lettera b, e 5,  della  legge  n.
184 del 1983). 
    Nel riportare un ampio stralcio della sentenza n. 89 del  1993  -
nella parte in cui ha ritenuto che  l'adozione  dei  maggiorenni  non
implichi  «necessariamente  l'instaurarsi  o   il   permanere   della
convivenza familiare» e «non determin[i] la soggezione alla  potesta'
dei genitori  adottivi,  ne'  impon[ga]  all'adottante  l'obbligo  di
mantenere, istruire ed educare l'adottato» -, l'interveniente osserva
che il controllo sui requisiti che legittimano l'adozione di  persone
maggiori di eta', all'interno del ristretto potere rimesso al giudice
di valutare «se l'adozione "conviene"  all'adottando  (art.  312  del
codice civile)», non comprenderebbe alcun apprezzamento discrezionale
dell'"interesse"  dell'adottando,  ne'  prevederebbe  quei  controlli
"incisivi", stabiliti invece per l'adozione del minorenne. 
    Risulterebbe,   pertanto,   giustificata   una   diversita'    di
disciplina, anche in punto di superamento del limite del  divario  di
eta', tra il  trattamento  del  minore  -  che,  ai  fini  della  sua
educazione e del  suo  mantenimento,  deve  essere  collocato  in  un
contesto  familiare,  esigenza  che   permane   anche   nell'istituto
dell'adozione in casi particolari - e il trattamento del maggiore  di
eta', che ben puo' conservare il legame con la  propria  famiglia  di
origine senza che vengano in valutazione i doveri dei genitori  verso
la prole ed i diritti di quest'ultima. 
    5.2.- Rileva poi l'interveniente che la  violazione  dell'art.  8
CEDU  viene  denunciata  tramite  il  richiamo  a  un  parametro  non
pertinente, l'art. 10, primo comma, Cost., riferibile,  invece,  alle
norme  del  diritto  internazionale  generale,   mentre   l'incidenza
indiretta  del  diritto  internazionale   pattizio   avrebbe   dovuto
impegnare gli artt. 11 e 117, primo comma,  Cost.,  non  evocati  dal
rimettente. 
    5.3.-  Espone  ancora  la  difesa   erariale   che   la   visione
convenzionale della famiglia di  cui  agli  artt.  8  e  12  CEDU  e'
incentrata sulla protezione dei singoli componenti  piu'  che  «della
cellula familiare in quanto  tale»,  che  riceverebbe  invece  tutela
nella sua dimensione «comunitarista» in  altre  carte  internazionali
(si citano: la Dichiarazione universale dei diritti umani  del  1948,
agli artt. 12 e 16; il Patto  internazionale  sui  diritti  civili  e
politici del 1966; la Convenzione americana  sui  diritti  dell'uomo,
agli artt. 11 e 17; la Carta araba dei diritti dell'uomo, agli  artt.
21 e 33; la Carta africana dei diritti dell'uomo  e  dei  popoli  del
1981; la Dichiarazione del Cairo sui  diritti  umani  nell'Islam  del
1990; il  Patto  internazionale  sui  diritti  economici,  sociali  e
culturali del 1966, all'art. 10). 
    L'interveniente  ricorda  la  natura  non  assoluta  dei  diritti
sanciti dagli artt. 8 e 12 CEDU, nonche' il sindacato esercitato,  al
riguardo, dalla Corte europea dei diritti dell'uomo sulla conformita'
ai principi di legalita', necessita' e proporzionalita' delle  misure
statali di  «ingerenza»  in  tali  diritti,  e  l'elaborazione  degli
«obblighi positivi» a carico degli Stati, a promozione  e  protezione
della vita privata e familiare. 
    La difesa erariale espone come, in applicazione del criterio  del
«margine  di  apprezzamento»  e   in   esecuzione   degli   «standard
convenzionali»,  l'operato  dei   singoli   Stati   debba   coniugare
l'esigenza di tenuta dei contesti nazionali e il perseguimento  degli
obiettivi di  interesse  generale  in  maniera  adeguata  al  fine  e
rispettosa delle prerogative dei singoli, restando il riconoscimento,
in via giurisprudenziale, dei nuovi diritti subordinato  al  consenso
europeo in materia. 
    Osserva ancora l'Avvocatura generale dello Stato  che  la  teoria
«dei diritti addizionali» - elaborata al fine di obbligare gli  Stati
che  in  via  autonoma  scelgono  di  riconoscerli  a  garantirne  il
godimento senza restrizioni  irragionevoli  o  discriminatorie  -  e'
stata  utilizzata  dalla  Corte  EDU  a  proposito  del  «diritto  di
adottare», seppur quest'ultimo non sia ricavabile  dalla  Convenzione
neppure tramite una sua lettura evolutiva. La tutela sarebbe tuttavia
assicurata attraverso l'estensione  del  divieto  di  discriminazione
(art. 14 CEDU) ad ogni settore ricadente nell'«ambito  di  influenza»
(«tombent sous l'empire») delle disposizioni convenzionali. 
    Nella  descritta  prospettiva,  la  previsione  sulla  necessaria
differenza di eta' prevista  dall'art.  291  cod.  civ.  non  sarebbe
discriminatoria avendo ad oggetto una situazione, l'adozione civile o
dei maggiori di eta', del tutto eterogenea rispetto all'altra posta a
raffronto  (l'adozione  del  minorenne),  e  rientrerebbe,  in   modo
giustificato e proporzionato,  nel  margine  di  apprezzamento  degli
Stati in materia. 
    5.4.- Secondo l'Avvocatura,  l'adozione  dei  maggiori  di  eta',
esito della riforma di cui alla  legge  n.  184  del  1983,  riveste,
rispetto  all'adozione   dei   minori   nelle   forme   legittimanti,
caratteristiche peculiari, che si lasciano apprezzare sia quanto alla
collocazione  della  disciplina,  interamente  contenuta  nel  codice
civile, anziche'  in  leggi  speciali,  sia  sul  piano  sostanziale.
Laddove le altre forme di adozione mirano ad offrire  al  minore  una
famiglia alternativa a quella  di  origine,  lo  scopo  dell'adozione
civile e' invece quello di  conferire  all'adottato  maggiorenne  uno
status filiale che si aggiunge al  precedente  senza  intaccarlo  (si
menzionano l'anteposizione  del  cognome  dell'adottante;  l'acquisto
unilaterale  dei  diritti  successori  in   capo   all'adottato;   il
mantenimento da parte dell'adottato dei diritti ed obblighi verso  la
famiglia di origine, ai sensi dell'art. 300 cod. civ.). 
    5.5.- L'esistenza di una differenza minima di eta' sarebbe quindi
coerente con l'istituto  dell'adozione  del  maggiorenne,  avente  la
natura   giuridica   di    una    concessione    giudiziale,    nella
indisponibilita' negoziale degli stati  familiari,  che  risulterebbe
intaccata dall'introduzione di indefiniti criteri di flessibilita' in
materia di divario di eta'. 
    5.6.- L'intervento additivo, richiesto dal  rimettente  a  questa
Corte, non sarebbe, comunque,  l'unica  soluzione  costituzionalmente
conforme.  La  stessa  nozione  di  "esigua   differenza   di   eta'"
richiederebbe «di essere accompagnata da specifici criteri  ai  quali
il giudice dovrebbe ispirarsi per valutare i casi in cui nei quali il
divario [di eta'] di 18 anni potrebbe essere disapplicato». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale di Firenze, sezione prima civile,  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 291,  primo  comma,  cod.  civ.
«nella parte in cui non consente al giudice di dichiarare  l'adozione
di maggiorenne derogando al limite del divario di eta' tra  adottante
ed adottando imposto in 18 anni nei  casi  di  esigua  differenza  di
eta'», in riferimento agli artt. 2, 3, 10, primo comma (in  relazione
agli artt. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, 7 della
Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  e  16  della
Dichiarazione universale dei diritti umani,  adottata  dall'Assemblea
generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948), e 30 Cost. 
    In punto di fatto, il rimettente riferisce che G.  S.,  nata  nel
1946, si era rivolta al Tribunale di Firenze per la dichiarazione  di
adozione del maggiorenne A. M., nato nel 1963, che, orfano di madre e
il cui padre, G. M., aveva contratto  matrimonio  con  l'istante  nel
1968, era sempre vissuto con il padre e, dall'eta'  di  cinque  anni,
con la stessa istante. Ad avviso del  rimettente  l'esistenza  di  un
legame  di  affetto  e  solidarieta'  tra  le  parti   durato   oltre
cinquant'anni, e paragonabile  a  quello  esistente  tra  genitori  e
figli, aveva trovato riconoscimento nelle dichiarazioni  di  consenso
incondizionato  rese  in  giudizio  da  adottante  ed   adottando   e
nell'assenso pieno espresso dagli  altri  interessati,  nella  comune
loro  volonta'  di  avvalersi  dell'adozione  per   formalizzare   il
rapporto. 
    Ravvisata   nella   specie   la   ulteriore   condizione    della
"convenienza" all'adozione (art. 312, numero 2,  cod.  civ.),  intesa
quale rispondenza effettiva  e  reale  dell'interesse  dell'adottando
alla comunione di intenti di tutti i membri della famiglia  (si  cita
Cassazione, sentenza n. 2426 del 2006),  il  rimettente  rileva  come
l'istituto  dell'adozione  di  maggiorenni,  anche  alla  luce  della
«mutata configurazione sociologica intervenuta negli ultimi  decenni,
abbia da ultimo assunto la funzione di  riconoscimento  giuridico  di
una relazione sociale,  affettiva  ed  identitaria,  nonche'  di  una
storia personale, di adottante e adottato in quanto strumento volto a
consentire  la  formazione  di  famiglie  tra  soggetti  che,  seppur
maggiorenni, sono tra loro legati da solidi vincoli personali, morali
e  civili,  in  ossequio  ai  principi   costituzionali   dell'unita'
familiare (art. 30  Cost.)  e  del  rispetto  della  vita  privata  e
familiare (art. 8 Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo)». 
    2.- Alla stregua delle predette considerazioni, il Collegio a quo
censura la disciplina codicistica  che,  nel  caso  dell'adozione  di
maggiorenne, non ammette  deroga  alcuna  al  requisito  del  divario
minimo di eta' di 18 anni tra adottante ed adottando, neppure  quando
tale divario si discosti in misura esigua dal predetto  limite,  come
nel caso di specie, in cui la differenza di eta'  tra  richiedente  e
adottando e' pari a 17 anni e 3 mesi. 
    2.1.- Il rimettente sospetta il contrasto della  disposizione  di
cui si tratta con gli artt. 2 e 30 Cost., per la lesione, conseguente
alla rigidita' del limite del divario minimo di eta', della capacita'
dell'individuo di autodeterminarsi come singolo  e  nella  formazione
sociale familiare, e del diritto-dovere dell'adottante di  mantenere,
educare ed istruire i figli in presenza di una situazione «del  tutto
parificabile» alla filiazione biologica. 
    2.2.- Ravvisa, poi, un vulnus all'art. 3 Cost. nell'irragionevole
disparita' di trattamento tra l'adozione del maggiorenne e quella del
minore in casi particolari, rispetto alla quale  «il  Legislatore  ha
previsto che  il  giudice  possa  ridurre  il  divario  di  eta'  tra
adottante ed adottando in presenza di validi motivi che  garantiscano
l'unita' familiare» (art. 44, commi 1, lettera b, e 5, della legge n.
184 del 1983), nonostante l'«affinita' assiologica dei due istituti». 
    2.3.- Il rimettente deduce, ancora, la  violazione  dell'art.  10
Cost. - recte, artt. 11 e 117, primo comma, Cost. - sotto il  profilo
del mancato rispetto, da parte della  disposizione  censurata,  della
normativa  europea  ed  internazionale  cui  l'ordinamento  giuridico
italiano  e'  tenuto  a  conformarsi,   evocando,   quali   parametri
interposti, l'art. 8 CEDU e l'art. 7 CDFUE, in relazione  al  diritto
dell'individuo al rispetto della propria vita  privata  e  familiare,
che ha quale corollario il divieto di  "ingerenza  di  una  autorita'
pubblica", nonche'  l'art.  16  della  Dichiarazione  universale  dei
diritti umani, con riguardo al diritto di uomini  e  donne,  in  eta'
adatta, di fondare una famiglia, definita quale  «nucleo  naturale  e
fondamentale della societa'» che «ha diritto ad essere protetta dalla
societa' e dallo Stato». 
    2.4.-  Esclusa   la   praticabilita'   di   una   interpretazione
costituzionalmente orientata, contrariamente a quanto ritenuto  dalla
Cassazione con  la  sentenza  n.  7667  del  2020,  come  il  ricorso
all'analogia legis o iuris, di cui all'art. 12, secondo comma,  delle
Preleggi,  il  Tribunale  di  Firenze  reputa  necessario  promuovere
l'incidente di legittimita' costituzionale nei termini indicati. 
    3.-  Deve,  al   riguardo,   preliminarmente   darsi   atto   che
correttamente  il  giudice  a  quo  ha  escluso  la  possibilita'  di
un'interpretazione costituzionalmente  orientata  della  disposizione
censurata, cosi' sottoponendo  allo  scrutinio  di  questa  Corte  il
proprio dubbio. Secondo la  costante  giurisprudenza  costituzionale,
infatti, «l'onere di interpretazione conforme viene  meno,  lasciando
il passo all'incidente di  costituzionalita',  allorche'  il  giudice
rimettente sostenga, come nel caso di specie, che il tenore letterale
della disposizione non consenta tale  interpretazione»  (sentenza  n.
104 del 2023; nello stesso senso, sentenze n. 102 del  2021,  n.  253
del 2020 e n. 232 del 2013). 
    Nella specie, la formula perentoria del primo comma dell'art. 291
cod. civ., nella parte in cui legittima l'adozione dei maggiorenni ai
richiedenti che «superano di almeno diciotto anni  l'eta'  di  coloro
che essi  intendono  adottare»,  integra  all'evidenza  detto  limite
all'onere di interpretazione conforme. 
    4.- Ancora in via preliminare deve essere  esaminata  l'eccezione
della difesa erariale, con cui si fa valere l'inammissibilita'  della
dedotta questione di legittimita' costituzionale, in  tesi  derivante
dal sostanziale carattere manipolativo del petitum stante la mancanza
di una «unica soluzione costituzionalmente conforme». 
    4.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Questa Corte  ha  ripetutamente  affermato  che  l'ammissibilita'
delle questioni di legittimita' costituzionale  risulta  condizionata
non tanto dall'esistenza  di  un'unica  soluzione  costituzionalmente
obbligata, quanto dalla  presenza  nell'ordinamento  di  una  o  piu'
soluzioni costituzionalmente adeguate, che si inseriscano nel tessuto
normativo coerentemente con la logica perseguita dal legislatore  (ex
plurimis, sentenze n. 221 del 2023, n. 252 e n. 224 del  2020).  Solo
«se  manca  una  soluzione  costituzionalmente  adeguata  o  se   "il
superamento dei  prospettati  dubbi  di  legittimita'  costituzionale
esige un intervento di sistema del legislatore" (sentenza n.  47  del
2023), allora la questione e' inammissibile»  (sentenza  n.  221  del
2023, che cita, in termini, le sentenze n. 202, n. 143, n. 100 e n. 1
del 2022, n. 151, n. 59, n. 33 e n. 32 del 2021, n. 80 e  n.  47  del
2020). 
    Nella specie, dalla esposizione che segue emerge la esistenza  di
soluzioni  costituzionalmente  adeguate  al  dubbio  di  legittimita'
costituzionale sollevato dal rimettente. 
    5.- Venendo al merito delle questioni poste, prima  di  procedere
alla valutazione delle singole censure, appare opportuno  ricostruire
la cornice storico-normativa e  giurisprudenziale  all'interno  della
quale  si  inseriscono  le  questioni   sollevate   di   legittimita'
costituzionale. 
    5.1.- Fino ai primi  anni  del  '900  l'adozione  ha  conservato,
mutuandola  dal  diritto  romano,  la  natura  di   strumento   della
tradizione aristocratica e dell'alta borghesia, utilizzato da  coloro
che non avessero discendenti ai quali trasmettere il proprio  cognome
e il  proprio  patrimonio,  ed  avessero  raggiunto  un'eta'  in  cui
presumibilmente non avrebbero potuto piu' averne, e si e' fondata sul
consenso scambiato tra persone adulte. 
    Fu solo attraverso la legislazione speciale (in  particolare,  il
regio decreto-legge 31 luglio  1919,  n.  1357,  recante  «Norme  per
l'adozione degli orfani di guerra e dei nati fuori di matrimonio  nel
periodo della guerra», convertito, con modificazioni, nella  legge  6
dicembre 1925, n. 2137), con norme di favore intervenute in aiuto dei
minori rimasti senza famiglia e senza soccorso, in seguito ai  grandi
rivolgimenti causati dal primo conflitto mondiale, che si comincio' a
prendere in considerazione la esigenza  di  allevare  ed  educare  il
figlio adottivo in seno alla nuova famiglia, esigenza corrispondente,
oltre che  a  finalita'  filantropico-assistenziali,  all'intento  di
supplire e meglio imitare la natura. 
    Si consenti' in tal modo «l'adozione degli orfani di guerra e dei
trovatelli nati in quel periodo che non avessero raggiunto il  limite
di eta' (e quindi senza il loro consenso)» (sentenza n. 11 del  1981,
punto 4 del Considerato in diritto), in deroga  alla  disciplina  del
codice civile del 1865, che fissava per gli adottandi il  limite  dei
diciotto anni. 
    5.2.- Solo con la promulgazione del codice  civile  del  1942  si
introdusse  in  via  generale  la  possibilita'  di  adottare  minori
attraverso una disciplina che, unificata,  era  riferibile  anche  ai
fanciulli a partire dagli otto anni di eta'. Si  trattava,  peraltro,
pur sempre, di un contratto tra il genitore del bambino da adottare e
l'adottante,  che  non  doveva  necessariamente   essere   coniugato:
l'obiettivo continuava ad essere essenzialmente quello  di  garantire
la successione a chi non avesse discendenti. 
    Il divario minimo di eta' di diciotto anni  tra  l'adottante,  di
eta' non inferiore  ai  cinquant'anni,  e  l'adottando,  fissato  dal
richiamato art. 291 cod. civ., incontrava una possibilita' di  deroga
laddove si stabiliva che in caso di «eccezionali circostanze [...] la
Corte d'appello  puo'  autorizzare  la  adozione  se  l'adottante  ha
raggiunto almeno l'eta' di anni quaranta e se la differenza  di  eta'
tra l'adottante e l'adottando e' di almeno sedici anni». 
    Si era dinanzi ad una previsione che, non contenuta nel  Progetto
ed inserita nel testo definitivo, venne motivata nella relazione  del
Guardasigilli con riferimento sia  alla  facolta'  riconosciuta  alla
Corte d'appello di «valutare le circostanze del caso» (sentenza n. 44
del 1990, punto 3 del Considerato in diritto), sia  alla  circostanza
che «la differenza minima di sedici anni» valeva pur sempre a salvare
il tradizionale principio dell'adoptio imitatur naturam. 
    5.3.- Con la legge 5 giugno 1967, n.  431  (Modifiche  al  titolo
VIII del libro I del Codice civile "Dell'adozione" ed inserimento del
nuovo  capo  III  con  il  titolo   "Dell'adozione   speciale"),   in
accoglimento di istanze che avevano evidenziato la necessita' di  una
disciplina specifica  per  l'adozione  di  minori,  da  diversificare
rispetto a quella dettata  per  i  maggiorenni,  fu  introdotto,  nel
codice  civile,  l'istituto  dell'adozione  speciale  con   efficacia
legittimante. 
    Si trattava di un «complesso normativo,  chiaramente  indirizzato
alla tutela  dell'interesse  del  minore  infraottenne  in  stato  di
abbandono» (sentenza n. 11 del  1981,  punto  4  del  Considerato  in
diritto) che, derivato dalla Convenzione  europea  sull'adozione  dei
minori, firmata a Strasburgo il 24 aprile  1967,  ratificata  e  resa
esecutiva con  legge  22  maggio  1974,  n.  357,  spostava  in  modo
definitivo la disciplina dell'adozione sugli interessi dell'adottando
e, attribuendo  centralita'  alla  figura  del  minore,  giungeva  ad
equipararne la regolamentazione alla filiazione naturale. 
    L'adozione ordinaria continuava ad applicarsi ai maggiorenni e ai
minorenni a partire  dagli  otto  anni,  con  il  mantenimento  della
differenza minima d'eta' tra adottante ed adottando in diciotto  anni
e con la fissazione dell'eta'  minima  per  adottare  a  trentacinque
anni, limite riducibile, in casi eccezionali, a trenta anni. 
    5.4.- Il successivo e fondamentale snodo  lungo  il  percorso  di
progressivo  affrancamento  dell'adozione  dei  minorenni  da  quella
ordinaria si ebbe quindi con la legge n. 184 del 1983, con  la  quale
la  disciplina  dell'adozione  dei  soggetti  minori  di  eta'  venne
interamente trasferita al di fuori del codice civile. 
    5.4.1.- Con tale  intervento  normativo  l'adozione  del  minore,
quale nuova figura generale, diviene funzionale alla creazione di una
famiglia per il fanciullo che ne sia privo. L'adozione  determina  la
cessazione dei rapporti dell'adottato con  la  famiglia  d'origine  e
l'acquisizione, in capo a lui,  del  nuovo  status  di  figlio  degli
adottanti, i quali debbono essere tra loro coniugati  da  almeno  tre
anni, fermo il rispetto del divario di eta' con l'adottando di almeno
diciotto anni e di non oltre quaranta. Si realizza cosi'  un  duplice
effetto sullo status dell'adottato, costitutivo ed estintivo, che «si
collega al presupposto  stesso  dell'adozione:  la  dichiarazione  di
adottabilita' fondata sullo stato di abbandono [...] (art.  8,  comma
1, della legge n. 184 del 1983)» (sentenza n.  183  del  2023,  punto
8.1. del Considerato in diritto). 
    I  predetti  limiti  di  eta'  sono  stati  incisi  da   ripetuti
interventi di questa Corte (sentenze n. 283  del  1999,  n.  349  del
1998, n. 303 del 1996 e n. 148 del 1992), che ne hanno in vario  modo
temperato la rigidita', al fine  di  scongiurare  che  dalla  mancata
adozione potesse derivare un danno grave e non  altrimenti  evitabile
per il minore, fermo restando  che  la  differenza  di  eta'  dovesse
restare compresa in quella che di solito intercorre  tra  genitori  e
figli.  Il  divario  massimo  di  eta'  e'  poi  stato  innalzato   a
quarantacinque anni dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla
legge 4 maggio 1983, n.  184,  recante  «Disciplina  dell'adozione  e
dell'affidamento dei minori», nonche' al titolo VIII del libro  primo
del codice civile), che ha previsto  la  generale  derogabilita'  dei
limiti di eta', qualora il tribunale per i minorenni accerti  appunto
che dalla mancata adozione derivi un danno  grave  e  non  altrimenti
evitabile per il minore. 
    La legge  n.  184  del  1983  ha  regolato,  all'art.  44,  "casi
particolari" di adozione di minori,  che  non  versino  in  stato  di
abbandono e che non siano stati previamente dichiarati  in  stato  di
adottabilita'. In tutti questi  casi  e'  stabilito  che  l'adottante
superi di almeno diciotto anni l'eta' di colui che intenda  adottare.
Quest'ultima  previsione,   relativamente   al   caso   dell'adozione
pronunciata rispetto a minore che sia gia'  figlio,  anche  adottivo,
del coniuge dell'adottante (art. 44, comma 1, lettera  b),  e'  stata
dichiarata costituzionalmente illegittima con la sentenza  di  questa
Corte n. 44 del 1990, nella parte in cui non  consentiva  al  giudice
competente  di  ridurre,  quando  sussistano  validi  motivi  per  la
realizzazione dell'unita' familiare, l'intervallo di eta' di diciotto
anni.  Il  legislatore  si  e'  conformato  alla  indicata  pronuncia
all'atto della riforma attuata con la legge n. 149 del 2001. 
    5.4.2.- L'adozione dei maggiorenni resta invece regolata, dopo la
riforma del 1983, dal codice civile e, riservata al rapporto tra  gli
adulti (nelle modifiche introdotte dagli articoli da 58  a  60  della
legge n. 184 citata), non crea, a differenza dell'adozione del minore
di eta', una relazione di parentela con i discendenti  dell'adottante
(artt. 74, 300, secondo comma, e 567, secondo comma, cod. civ.) ed e'
revocabile (articoli da 305 a 309 cod. civ.). 
    5.5.- L'istituto, pur avendo perso  l'antica  centralita',  resta
sotto l'attenzione della giurisprudenza, impegnandola in una  lettura
coerente con il rinnovato contesto di riferimento. 
    5.5.1.- Con  la  sentenza  n.  557  del  1988,  questa  Corte  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 291  cod.  civ.,
nella parte  in  cui  non  consentiva  l'adozione  a  persone  aventi
discendenti   maggiorenni,   legittimi   o   «legittimati»   (figura,
quest'ultima, poi soppressa  dall'art.  105,  comma  4,  del  decreto
legislativo 28  dicembre  2013,  n.  154,  recante  «Revisione  delle
disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma  dell'articolo
2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219»), purche' questi esprimano il
loro  assenso  all'adozione,  gia'  richiesto  rispetto  al   coniuge
dell'adottante. A  sostegno  della  decisione  si  pone  la  rilevata
necessita' che la norma scrutinata «non  comporti  delle  limitazioni
eccessive - e come tali irrazionali - rispetto allo scopo perseguito,
si' da violare l'art. 3 Cost.» (punto 2 del Considerato in diritto). 
    La necessita' del consenso del figlio maggiorenne  dell'adottante
per l'adozione del maggiorenne e' stata ribadita con la  sentenza  n.
245 del 2004 con riferimento anche  ai  figli  naturali  riconosciuti
dall'adottante. 
    Con la sentenza n. 345 del 1992, questa Corte ha  dichiarato  non
fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 291  cod.  civ.,  sollevata  in
riferimento all'art. 3  Cost.,  sul  presupposto  che  la  norma  non
permettesse a chi avesse figli legittimi o legittimati,  maggiorenni,
incapaci di esprimere il proprio assenso, di adottare  altra  persona
maggiore di  eta'.  Il  carattere  generale  della  disciplina  sulla
derogabilita' degli assensi, contenuta nell'art. 297, secondo  comma,
ultima parte, cod. civ., che  attribuisce  al  giudice  ordinario  il
potere di intervenire in via surrogatoria, ne consente infatti  -  ha
rilevato la Corte - l'applicazione anche ai  discendenti  maggiorenni
dell'adottante  di  cui  sia  impossibile  ottenere   l'assenso   per
incapacita'. La valutazione  giudiziale  «si  riferisce  a  tutte  le
persone chiamate ad  esprimere  il  proprio  assenso  alla  adozione»
(punto 3 del Considerato in  diritto),  nell'intervenuto  ampliamento
della platea degli interessati all'adozione. 
    Attraverso una deviazione «dalla logica  dell'istituto»,  attuata
con il «temperamento» dei divieti e dei  limiti  preesistenti  e  con
l'estensione del «potere di valutazione comparativa  degli  interessi
in gioco attribuito dalla norma al tribunale» (sentenza  n.  252  del
1996, punto 2 del Considerato in diritto), l'istituto si e' aperto  a
funzioni diverse da quella primaria di procurare un figlio a chi  non
l'ha avuto in natura e nel matrimonio (adoptio in hereditatem). 
    5.5.2.- Ne' smentisce  tale  linea  evolutiva  la  riaffermazione
della  piu'   antica   funzione   dell'istituto   dell'adozione   del
maggiorenne contenuta nella  ordinanza  n.  170  del  2003,  che,  in
presenza di figli  minori,  incapaci  di  prestare  idoneo  consenso,
reputa costituzionalmente adeguata la  previsione  di  un  intervento
giudiziale. In questo caso, infatti, la decisione e'  motivata  dalla
considerazione che l'intervento richiesto dal giudice rimettente  era
diretto ad escludere l'assenso dei figli, anziche', come nel caso che
ha dato luogo alla richiamata sentenza n. 345 del 1992, a far  fronte
alla incapacita' degli stessi di esprimere la propria volonta'. 
    5.5.3.- Se sul  fronte  dei  limiti  soggettivi  all'applicazione
dell'istituto  la  giurisprudenza  costituzionale  si   e'   mostrata
favorevole ad una ragionevole riduzione  degli  stessi,  superando  i
tradizionali  confini  dell'adozione  del  maggiorenne,   quanto   al
requisito della differenza di eta' di «almeno»  diciotto  anni  (art.
291, primo comma, cod. civ.) che deve intercorrere tra  adottante  ed
adottando questa Corte ha confermato la  legittimita'  costituzionale
della rigidita' della formula, eco del criterio dell'adoptio imitatur
naturam, ovvero del suo storico significato  di  strumento  idoneo  a
replicare il rapporto esistente tra genitore e  figlio  (sentenze  n.
500 del 2000 e n. 89 del 1993; ordinanza n. 82 del 2001). 
    L'indirizzo si e' affermato in  risposta  ad  una  pluralita'  di
sollecitazioni con le quali i giudici rimettenti - ora  deducendo  il
diverso trattamento riservato all'adozione "in casi particolari"  del
minore, laddove figlio del coniuge dell'adottante (art. 44, comma  1,
lettera  b,  della  legge  n.  184   del   1983),   ora   denunciando
l'irragionevolezza  intrinseca  del  meccanismo  -  facevano   valere
l'illegittimita' costituzionale di una disciplina che, in materia  di
adozione del maggiore di eta', non consentiva al  giudice  competente
di derogare alla differenza minima di diciotto anni tra  adottante  e
adottando pur in presenza  di  validi  motivi  per  la  realizzazione
dell'unita' familiare. 
    In tale contesto,  questa  Corte  ha  sottolineato,  quanto  alla
lamentata disparita' di trattamento tra l'adozione del maggiorenne  e
quella del minore in casi particolari,  che  la  prima  «non  implica
necessariamente  l'instaurarsi  o  il  permanere   della   convivenza
familiare, non determina la soggezione  alla  potesta'  dei  genitori
adottivi, ne' impone all'adottante l'obbligo di  mantenere,  istruire
ed educare  l'adottato»  (sentenza  n.  89  del  1993,  punto  3  del
Considerato in diritto e, negli stessi termini, sentenza n.  500  del
2000). 
    Essa  e'  inoltre  «essenzialmente   determinata   dal   consenso
dell'adottante e dell'adottando, giacche' il controllo del  Tribunale
verte sui requisiti che legittimano l'adozione,  essendo  rimesso  al
giudice il ristretto potere  di  valutare  se  l'adozione  "conviene"
all'adottando (art. 312 del codice civile)» (sentenza n.  89  citata,
punto  3  del  Considerato  in  diritto).  Nell'adozione  di  persone
maggiori di eta' al giudice non  e'  attribuito  alcun  discrezionale
apprezzamento  dell'interesse  della  persona   dell'adottando,   ne'
possono essere effettuati  quegli  incisivi  controlli  previsti  per
l'adozione  di  minori,  che   significativamente   rispecchiano   la
diversita' di presupposti e di finalita' dei due  istituti.  Risulta,
quindi,  secondo  questa  Corte,  «razionalmente   giustificata   una
diversita' di disciplina anche nel superamento - consentito solo  per
l'adozione di minori, in casi eccezionali che esigono  una  specifica
indagine e la rigorosa valutazione del giudice - del limite posto dal
divario di eta' ordinariamente richiesto tra adottante  e  adottando,
superamento che si giustifica in ragione del  raccordo  tra  l'unita'
familiare ed il momento ineliminabilmente formativo ed educativo, che
caratterizza lo sviluppo del minore in  una  famiglia  ed  esige  una
particolare protezione che  solo  quella  famiglia  puo'  assicurare»
(ancora sentenza n. 89 del 1993). 
    Rispetto  alla  denunciata  irragionevolezza   intrinseca   della
disposizione censurata, questa Corte ha rilevato che tale tesi poggia
sul presupposto interpretativo secondo il quale l'adozione  ordinaria
consentirebbe la costituzione di un "legame giuridico  familiare"  in
particolare tra il maggiorenne adottato e i  figli  degli  adottanti,
presupposto  palesemente  erroneo  poiche'  essa  non  induce   alcun
rapporto civile tra l'adottato e i parenti dell'adottante  (ordinanza
n. 82 del 2001). 
    5.5.4.- Con una sentenza di poco successiva alla meta' degli anni
Duemila (Cassazione,  sentenza  n.  2426  del  2006),  i  giudici  di
legittimita', confrontandosi anche con nuove realta' familiari in cui
convivono figli maggiorenni e minorenni nati in  differenti  contesti
matrimoniali, hanno valorizzato l'istituto dell'adozione ordinaria al
fine di dare veste formale a tali nuove situazioni e  al  sottostante
rapporto affettivo-familiare di fatto, consolidatosi nel  tempo,  che
anticipa, anziche' seguire, la costruzione del rapporto giuridico. 
    In tale prospettiva, la  Corte  di  legittimita'  (sezione  prima
civile, sentenza  14  gennaio  1999,  n.  354)  aveva  gia'  ritenuto
possibile l'applicazione, in via  analogica,  al  figlio  maggiorenne
della disciplina dell'istituto dell'adozione in casi particolari  del
minore figlio del coniuge dell'adottante (art. 44, comma, 1,  lettera
b, della legge n. 184 del 1983): l'avvertita esigenza era  quella  di
rinsaldare la formazione di nuove famiglie, dotate di figli  nati  da
un precedente matrimonio. 
    Piu' recentemente i giudici di legittimita' (Cassazione, sentenza
n. 7667 del 2020), nel dare riconoscimento  ai  legami  familiari  di
fatto  stabili  nel  tempo,  hanno  individuato   nell'adozione   del
maggiorenne una espressione del diritto all'identita'  della  persona
(art. 2 Cost.). 
    6.- E' in siffatto contesto che si inseriscono i sollevati  dubbi
di legittimita' costituzionale. 
    6.1.- La censura relativa alla violazione dell'art.  2  Cost.  e'
fondata. 
    Induce  alla  rimeditazione  dell'illustrato  orientamento  della
giurisprudenza costituzionale - peraltro sviluppatosi  essenzialmente
sul solo tema delle differenze di struttura, funzione ed effetti  tra
l'adozione del maggiorenne e quella del minore in casi particolari  -
la   descritta   linea   evolutiva   della   stessa    giurisprudenza
costituzionale e di quella di legittimita' in  relazione  anche  alla
mutata  configurazione  sociologica  dell'adozione  del  maggiorenne,
sottolineata dal giudice a quo. In siffatto  quadro  complessivo,  in
cui  l'istituto  ha  da  ultimo  assunto   anche   la   funzione   di
riconoscimento giuridico di nuove formazioni sociali  in  cui  vivano
relazioni  identitarie  ed  affettive,  il  giudice  a  quo  -  senza
contestare il significato sotteso  alla  generale  previsione  di  un
tendenziale divario di eta' tra adottante e adottato -  correttamente
si duole dell'automatismo del meccanismo che, nella sua fissita', che
prescinde  completamente  dall'apprezzamento  della  esiguita'  dello
scostamento rispetto  alla  differenza  minima  di  eta'  prescritta,
sacrifica aprioristicamente il diritto alla identita' della persona. 
    6.2.- L'adozione di persone maggiori di eta' non persegue piu', e
soltanto, per come vive  attualmente  nell'ordinamento,  la  funzione
tradizionale di  trasmissione  del  cognome  e  del  patrimonio,  con
conseguenze destinate a riverberarsi sul  mero  piano  di  disciplina
relativa agli  alimenti  e  alle  successioni,  ma  e'  divenuto  uno
strumento duttile e sensibile alle sollecitazioni della societa',  in
cui assumono crescente rilevanza i profili personalistici, accanto  a
quelli patrimoniali. 
    L'istituto  -  suggellando  sovente  l'effettiva   e   definitiva
coincidenza tra situazione di fatto  e  status  -  formalizza  legami
affettivo-solidaristici che, consolidatisi nel tempo  e  preesistenti
al  riconoscimento  giuridico,  sono  rappresentativi  dell'identita'
dell'individuo. 
    Il perimetro di riferimento e' innanzitutto segnato dal  fenomeno
delle cosi' dette famiglie ricomposte  -  in  cui  alle  preesistenti
relazioni di  parentela  si  aggiungono  nuovi  legami,  che  trovano
fondamento e consistenza in quella misura di affetti  e  solidarieta'
che e' propria della comunita'  familiare  -  per  poi  spingersi  ad
assecondare altre istanze,  in  cui  l'esigenza  solidaristica  resta
variamente declinata. 
    6.3.-  Nelle  nuove  riconosciute  fattispecie  rientrano,   come
rilevato da questa Corte con la sentenza n. 135 del  2023,  «il  caso
dell'adottando maggiorenne, che gia' viveva nel nucleo  familiare  di
chi lo adotta, in ragione di un affidamento non temporaneo deciso nel
momento in cui era minorenne, o ancora quello del figlio  maggiorenne
del coniuge (o del convivente) dell'adottante che vive in quel nucleo
familiare», ma ancora «situazioni in  cui  persone,  spesso  anziane,
confidano in un rafforzamento - grazie  all'adozione  -  del  vincolo
solidaristico che si e' di fatto  gia'  instaurato  con  l'adottando,
oppure che vogliono semplicemente dare continuita' al proprio cognome
e al proprio patrimonio, creando un legame giuridico con l'adottando,
con cui, di norma, hanno consolidato un  rapporto  affettivo»  (punto
7.2. del Considerato in diritto). 
    6.4.- Le abitudini di vita acquisite  e  le  relazioni  affettive
instaurate tra persone maggiori  di  eta',  stabilizzate  nel  tempo,
ricevono  riconoscimento  giuridico  in  quanto   descrivono   storie
personali di crescita e integrazione, come gia'  ritenuto  da  questa
Corte nella sentenza n. 79 del 2022, che ha riconosciuto  l'incidenza
dei rapporti affettivi sull'identita' personale. La valorizzazione di
una storia affettiva, per la parte in  cui  ha  gia'  trovato  solida
espressione sociale, riflette l'esistenza di un maturato percorso  di
identita'  personale,  che  non  puo'  essere  privato   del   dovuto
riconoscimento giuridico, pena la violazione dell'art. 2 Cost. 
    La  disposizione  censurata,  non  consentendo  al   giudice   di
intervenire, derogando, se del caso, al limite minimo nel divario  di
eta' tra adottante e adottando,  si  rivela  in  radice  incapace  di
tutelare situazioni affettive largamente affermatesi, senza che  tale
assoluto sacrificio trovi coerente giustificazione compensativa. 
    L'attuale conformazione  dell'istituto  rende,  anche  in  questo
caso, «palese l'irragionevolezza di una regola priva di un margine di
flessibilita'» (sentenza n. 135 del 2023, punto 7.2. del  Considerato
in  diritto),  in  quanto   destinata   ad   entrare   in   frizione,
nell'assolutezza della  previsione,  con  il  diritto  costituzionale
inviolabile all'identita' personale. 
    7.- L'esigenza della temperata derogabilita' dei limiti  di  eta'
nell'adozione   ha   gia'   trovato   ripetuta   affermazione   nella
giurisprudenza  di  questa  Corte   (vedi   supra,   punto   5.4.1.).
L'ordinario  divario  di  eta'  tra  adottante  e  adottato  mantiene
intatta, del resto, la sua valenza. E' la assoluta inderogabilita' di
esso che entra in frizione con i richiamati principi  costituzionali.
Il punto di equilibrio e' nell'accertamento rimesso al giudice  (come
previsto, in tema di assensi,  dall'art.  297,  secondo  comma,  cod.
civ.), che,  caso  per  caso  e  nel  bilanciamento  degli  interessi
coinvolti,  individuati  in   ragione   della   nuova   funzionalita'
dell'istituto,  provvedera'  ad   apprezzare   se   esistano   motivi
meritevoli che consentano di derogarvi nel caso in cui  la  riduzione
di quel divario risulti esigua. 
    Non e' necessario che la nozione di esiguita'  sia  ulteriormente
definita tramite l'indicazione di criteri piu' specifici, ai quali il
giudice dovrebbe ispirarsi nel valutare i  singoli  casi  in  cui  il
limite  minimo  dei  diciotto  anni  possa  essere   derogato.   Essa
rappresenta una clausola generale,  che  richiama  la  necessita'  di
conservare una ragionevole imitazione del divario esistente in natura
tra genitore e figlio, la cui impellenza e' destinata ad affievolirsi
via via che aumenta l'eta' dell'adottato. 
    8.- L'art. 291, primo  comma,  cod.  civ.  deve  essere  pertanto
dichiarato costituzionalmente illegittimo nella  parte  in  cui,  per
l'adozione del maggiorenne, non consente al giudice di  ridurre,  nei
casi di esigua differenza e sempre che sussistano motivi  meritevoli,
l'intervallo di eta' di diciotto anni fra adottante e adottando. 
    Restano assorbite le ulteriori censure formulate dal rimettente.