ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 656,  comma
9, lettera a), del codice di procedura penale, promosso dal Tribunale
ordinario di Catania, sezione prima penale, nel procedimento penale a
carico di A. N., con ordinanza del 4 agosto 2017, iscritta al n.  132
del registro ordinanze 2023 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica numero 41, prima serie speciale, dell'anno 2023,  la
cui  trattazione  e'  stata  fissata  per  l'adunanza  in  camera  di
consiglio del 23 gennaio 2024. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 24 gennaio  2024  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 4 agosto 2017, pervenuta a questa
Corte solamente il 13  settembre  2023,  il  Tribunale  ordinario  di
Catania, prima sezione penale, ha sollevato  -  in  riferimento  agli
artt. 3  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione  -  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera  a),  del
codice di procedura penale, nella parte  in  cui  stabilisce  che  la
sospensione dell'esecuzione della pena non puo' essere  disposta  nei
confronti dei condannati per il delitto di furto in abitazione di cui
all'art. 624-bis del codice penale; 
    che il  rimettente  espone  di  essere  chiamato  a  pronunciarsi
nell'ambito di un incidente di  esecuzione  promosso  da  A.  N.  per
ottenere la sospensione dell'ordine di esecuzione emesso  nei  propri
confronti il 12 maggio 2017, relativo a  una  sentenza  di  condanna,
all'esito di giudizio abbreviato, alla pena di due anni di reclusione
e trecento euro di multa per il delitto di furto in abitazione di cui
all'art. 624-bis cod. pen., divenuta irrevocabile il 3 aprile 2017; 
    che tale  istanza  dovrebbe  essere  rigettata,  ai  sensi  della
disposizione censurata; 
    che,  tuttavia,  il  giudice  a  quo  dubita  della  legittimita'
costituzionale di tale disposizione, sospettandone il  contrasto  con
il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost.,  nonche'  con
il principio della finalita' rieducativa della pena di  cui  all'art.
27, terzo comma, Cost.; 
    che, secondo il giudice  rimettente,  il  divieto  di  sospendere
l'ordine di esecuzione nei confronti dei condannati per il delitto di
furto in abitazione, previsto dal primo comma dell'art. 624-bis  cod.
pen., produrrebbe una non giustificabile  disparita'  di  trattamento
sanzionatorio - risultante dalle diverse  modalita'  esecutive  della
pena - rispetto al piu' grave delitto  di  rapina,  in  relazione  al
quale tale sospensione e' invece consentita; 
    che, infatti, si riserverebbe in questo modo  al  primo  delitto,
caratterizzato  da  «un'aggressione   puramente   patrimoniale»,   un
trattamento di piu' intenso rigore afflittivo del secondo, nel  quale
vi  e'  altresi'  una  «aggressione  consumata  al  bene  incolumita'
individuale»; 
    che, d'altra parte, il divieto di sospendere  l'esecuzione  della
pena detentiva breve, applicato in modo indiscriminato ai  condannati
per furto in abitazione,  imponendone  l'ingresso  in  carcere  senza
alcuna  considerazione  per  le  specifiche  esigenze   del   singolo
condannato, introdurrebbe, secondo il giudice a quo,  un  automatismo
incompatibile  con  la  necessita'  di   valutazioni   flessibili   e
individualizzate,  dirette  a  perseguire,  con   il   recupero   del
colpevole, la finalita' rieducativa della pena,  cosi'  ponendosi  in
contrasto con l'art. 27, terzo comma, Cost.; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha chiesto che le  questioni  sollevate  siano  dichiarate
manifestamente infondate; 
    che, infatti, ad avviso dell'interveniente, la scelta operata dal
legislatore risulterebbe ponderata e  priva  di  irragionevolezza  e,
quindi, pienamente rispettosa dell'art. 3 Cost., poiche' il furto  in
abitazione, in termini di gravita',  sarebbe  piuttosto  assimilabile
alla rapina aggravata ex art. 628, terzo comma, numero  3-bis),  cod.
pen., delitto per il quale non a caso vige il divieto di  sospensione
dell'ordine di esecuzione; 
    che in particolare  alla  base  di  tale  scelta  legislativa  vi
sarebbe  la   considerazione   che   «la   pericolosita'   soggettiva
manifestata dall'autore» del delitto di furto in  abitazione  «emerga
dalla violazione dell'altrui domicilio»; 
    che, sempre secondo l'interveniente, la disciplina censurata  non
escluderebbe affatto «una valutazione individualizzata del  prevenuto
in relazione alla possibilita' di  concedergli  i  benefici  previsti
dall'ordinamento  penitenziario»,  restando  questa   «demandata   al
Tribunale  di  sorveglianza  in  sede  di   esame   dell'istanza   di
concessione dei benefici, che il condannato puo' comunque  presentare
una volta passata in giudicato la sentenza che  lo  riguarda»,  cosi'
non compromettendo in alcun modo  il  perseguimento  della  finalita'
rieducativa della pena prevista dall'art. 27, terzo comma, Cost. 
    Considerato che questa Corte ha ritenuto identiche questioni  non
fondate con la  sentenza  n.  216  del  2019,  e  poi  manifestamente
infondate con l'ordinanza n. 67 del 2020; 
    che con le predette decisioni si e' anzitutto escluso  l'allegato
vizio di irragionevolezza  della  disposizione  censurata,  la  quale
«trova  [...]  la  propria   ratio   nella   discrezionale,   e   non
irragionevole, presunzione del legislatore relativa alla  particolare
gravita' del  fatto  di  chi,  per  commettere  il  furto,  entri  in
un'abitazione altrui, ovvero in altro luogo di privata dimora o nelle
sue pertinenze, e della speciale pericolosita' soggettiva manifestata
dall'autore di un simile reato»; 
    che la particolare gravita' del fatto e la speciale pericolosita'
soggettiva del suo autore, dimostrate dall'ingresso  non  autorizzato
nei luoghi predetti al fine di commettervi un furto, non vengono meno
per il solo fatto che l'autore non abbia usato violenza nei confronti
di alcuno; 
    che nella sentenza n. 216 del 2019, e poi  nell'ordinanza  n.  67
del 2020, si e' altresi' negato che  la  disposizione  censurata  dia
luogo a un irragionevole automatismo  legislativo:  «il  legislatore,
infatti,  ha,  con  valutazione   immune   da   censure   sul   piano
costituzionale, ritenuto che - indipendentemente dalla gravita' della
condotta posta in essere dal condannato, e  dall'entita'  della  pena
irrogatagli  -  la  pericolosita'   individuale   evidenziata   dalla
violazione dell'altrui domicilio rappresenti ragione sufficiente  per
negare in via generale ai condannati  per  il  delitto  in  esame  il
beneficio della sospensione dell'ordine di  carcerazione,  in  attesa
della  valutazione  caso  per  caso,  da  parte  del   tribunale   di
sorveglianza, della possibilita' di concedere al singolo condannato i
benefici compatibili con il suo titolo di reato e la durata della sua
condanna»; 
    che, infine, in tali decisioni si e'  ritenuto  insussistente  il
lamentato contrasto con  il  principio  della  finalita'  rieducativa
della pena di cui all'art. 27, terzo comma, Cost., dal momento che la
valutazione individualizzata rispetto alla possibile concessione  dei
benefici penitenziari resta pur sempre  «demandata  al  tribunale  di
sorveglianza  in  sede  di  esame  dell'istanza  di  concessione  dei
benefici, che  il  condannato  puo'  comunque  presentare  una  volta
passata in giudicato la sentenza che lo riguarda»; 
    che per tutte  queste  ragioni  le  questioni  sollevate  debbono
essere   ritenute   manifestamente    infondate,    ferma    restando
l'opportunita' - gia' segnalata nella sentenza n. 216 del 2019 (punto
4 del Considerato in diritto) e ribadita  nell'ordinanza  n.  67  del
2020 - che il legislatore intervenga a rimediare  alla  «incongruenza
cui puo' dar luogo il difetto di coordinamento attualmente  esistente
tra la  disciplina  processuale  e  quella  sostanziale  relativa  ai
presupposti per accedere alle misure alternative alla detenzione,  in
relazione alla situazione dei condannati nei  cui  confronti  non  e'
prevista  la  sospensione  dell'ordine  di  carcerazione   ai   sensi
dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen., ai quali  -  tuttavia  -  la
vigente disciplina sostanziale riconosce la possibilita' di  accedere
a talune misure alternative  sin  dall'inizio  dell'esecuzione  della
pena»: con il connesso rischio che la valutazione  del  tribunale  di
sorveglianza sull'istanza di concessione dei benefici intervenga dopo
che il condannato abbia interamente o quasi scontato la propria pena. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 11, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.