ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli  artt.  1  e  2
della legge della Regione Puglia 18 aprile  2023,  n.  6  (Misure  di
salvaguardia  per  la  tutela  del  riccio  di  mare),  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il  19
giugno 2023, depositato in cancelleria il 20 giugno 2023, iscritto al
n. 18 del registro ricorsi 2023 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 2023. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Puglia; 
    udita  nell'udienza  pubblica  del  9  gennaio  2024  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    uditi l'avvocato dello Stato Giancarlo Caselli per il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocata Carmela  Patrizia  Capobianco
per la Regione Puglia; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 gennaio 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al n. 18 reg. ric. 2023,  depositato  il
20  giugno  2023,  il  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1  e  2
della legge della Regione Puglia 18 aprile  2023,  n.  6  (Misure  di
salvaguardia per la  tutela  del  riccio  di  mare),  per  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera  s),  della  Costituzione,  con
riguardo alla materia «tutela dell'ambiente [e] dell'ecosistema»,  in
relazione all'art. 32 della legge 14 luglio 1965, n. 963  (Disciplina
della pesca marittima), all'art. 24 del decreto legislativo 9 gennaio
2012, n. 4 (Misure per il riassetto della  normativa  in  materia  di
pesca e acquacoltura, a norma dell'articolo 28 della legge  4  giugno
2010, n. 96), nonche' all'art.  4  del  decreto  del  Ministro  delle
risorse  agricole,  alimentari  e  forestali  del  12  gennaio   1995
(Disciplina della  pesca  del  riccio  di  mare);  e  per  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera a), Cost.,  con  riguardo  alle
materie «politica estera e rapporti  internazionali  dello  Stato»  e
«rapporti dello Stato con l'Unione europea», in relazione all'art.  2
del regio decreto 30 marzo  1942,  n.  327  (Approvazione  del  testo
definitivo del Codice della navigazione). 
    2.- L'art. 1 della legge reg. Puglia n. 6 del  2023  dispone  che
«la Regione Puglia intende favorire il ripopolamento  del  riccio  di
mare nei mari  regionali,  garantendo  un  periodo  di  riposo  della
specie, preservando la risorsa ittica e scongiurando  il  rischio  di
estinzione dovuto ai massicci prelievi». 
    L'art. 2 della medesima legge regionale prevede, al comma 1,  che
«[n]el mare territoriale della Puglia,  a  decorrere  dalla  data  di
entrata in vigore della presente legge e'  vietato  il  prelievo,  la
raccolta,   la   detenzione,   il   trasporto,   lo   sbarco   e   la
commercializzazione degli esemplari di riccio di mare  (Paracentrotus
lividus) e dei relativi prodotti derivati freschi, per un periodo  di
tre anni»; e, al comma 2, che «[l]a commercializzazione del riccio di
mare non e' vietata per gli esemplari provenienti (con certificazioni
e  tracciabilita'  secondo  legge)  da  mari   territorialmente   non
appartenenti alla Regione Puglia». 
    3.- Con il primo motivo di ricorso, l'Avvocatura  generale  dello
Stato impugna le disposizioni richiamate, in quanto si porrebbero  in
contrasto con la competenza legislativa esclusiva statale in  materia
di «tutela dell'ambiente [e] dell'ecosistema», che -  secondo  quanto
argomenta il ricorso - deve ritenersi «"trasversale" e "prevalente"». 
    Spetterebbe, pertanto, esclusivamente allo Stato «fissare livelli
di tutela ambientale uniformi sull'intero territorio nazionale». 
    Se il carattere trasversale della competenza in materia di tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema rende inevitabile l'intersezione  con
«"campi di esperienza" - le cosiddette "materie" in senso  proprio  -
attribuiti alla competenza  legislativa  regionale»,  nondimeno  -  a
parere  del  ricorrente  -  la  normativa  statale  comporterebbe  un
«preciso limite alla disciplina  che  le  Regioni,  anche  a  statuto
speciale, e le Province autonome» possono «adottare  nei  settori  di
loro competenza, non essendo ad esse consentito  [...]  compromettere
il  punto  di  equilibrio  fra  esigenze   contrapposte,   per   come
individuato dalla norma statale» (viene  richiamata  la  sentenza  di
questa Corte n. 197 del 2014). 
    3.1.- Sulla base  di  tale  presupposto,  il  ricorrente  rileva,
anzitutto, che la finalita' perseguita  dalla  disciplina  regionale,
quale emerge dall'art. 1 della legge  reg.  Puglia  n.  6  del  2023,
sarebbe indiscutibilmente orientata al  perseguimento  dell'obiettivo
di preservare la specie del riccio di mare. 
    A tal fine, il legislatore regionale avrebbe vietato per tre anni
«il  prelievo,  la  raccolta,  la  detenzione,  il  trasporto  e   la
commercializzazione di esemplari di riccio di  mare  e  dei  relativi
prodotti derivati freschi  "nel  mare  territoriale  della  Puglia"»,
senza escludere la commercializzazione del prodotto  ove  proveniente
da altri territori (art. 2). 
    3.2.- Sennonche' una tale finalita' attrarrebbe  le  disposizioni
impugnate (i citati artt. 1 e 2 della legge  reg.  Puglia  n.  6  del
2023)  nell'ambito  di  competenza  legislativa  spettante   in   via
esclusiva allo Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
s), Cost. 
    Nell'esercizio  della  richiamata  competenza  lo  Stato  avrebbe
regolato la materia con il gia' citato d.m. 12 gennaio 1995. 
    Tale fonte troverebbe la sua legittimazione  nell'art.  32  della
legge n. 963 del 1965 e sarebbe - a detta del ricorrente  -  «tuttora
vigente», in virtu' di quanto disposto dal d.lgs. n. 4 del 2012, che,
all'art. 27, commi 1, lettera a) e 2, ha «abrogato e  sostituito»  la
precedente legge n. 963 del 1965. 
    In particolare, - aggiunge la difesa  statale  -  l'art.  24  del
d.lgs. n. 4 del 2012, in continuita' con quanto previsto  dal  citato
art. 32 dell'abrogata legge n. 963 del 1965, «prevede da un lato  che
"il Ministro delle politiche agricole alimentari  e  forestali  [oggi
Ministro  dell'agricoltura,  della  sovranita'  alimentare  e   delle
foreste] puo', con proprio decreto, sentita la Commissione consultiva
centrale per la pesca  marittima,  disciplinare  la  pesca  anche  in
deroga alle discipline regolamentari nazionali, in  conformita'  alle
norme comunitarie, al fine di adeguarla al progresso delle conoscenze
scientifiche  e  delle  applicazioni  tecnologiche,  e  favorirne  lo
sviluppo in determinate zone o per determinate classi di essa" (comma
1), e dall'altro che lo stesso Ministro "puo', con  proprio  decreto,
sospendere l'attivita' di pesca o disporne limitazioni in conformita'
alle disposizioni del regolamento  (CE)  n.  2371/2002,  al  fine  di
conservare e gestire le risorse della pesca" (comma 2)». 
    Sulla base di tale elementi, l'Avvocatura  generale  dello  Stato
ritiene  che  «l'apposizione  di   sospensioni   o   limitazioni   in
conformita' con quanto previsto  a  livello  europeo,  in  chiave  di
protezione ambientale delle risorse ittiche»  sarebbe  «assegnata  in
maniera esclusiva dalla legge statale alla competenza  del  Ministero
dell'agricoltura e della  sovranita'  alimentare,  e  per  esso  allo
Stato» e che, pertanto, le norme impugnate  violerebbero  «l'articolo
117, secondo comma, lett. s), Cost., che attribuisce  allo  Stato  la
competenza  esclusiva  in   materia   di   tutela   dell'ambiente   e
dell'ecosistema, materia nella quale ricade la disciplina  del  fermo
di pesca». 
    3.3.- Da ultimo, il ricorrente sottolinea che «la definizione  di
pesca accolta nell'ordinamento nazionale  italiano  ripropone  quella
offerta dal legislatore unionale nel  Regolamento  UE  n.  1380/2013,
relativo alla politica comune della pesca» e  che,  in  generale,  il
settore  della  pesca  sarebbe  stato  profondamente   inciso   dalla
disciplina recata da  norme  di  diritto  dell'Unione  europea,  «con
conseguente aumento d'attenzione per gli aspetti di tutela ambientale
ad essa connessi e [con] un forte ridimensionamento del  ruolo  delle
normative nazionali». Simile impostazione avrebbe avuto ripercussioni
anche sul piano costituzionale, determinando «una  lettura  espansiva
della materia di competenza statale esclusiva "tutela dell'ambiente",
tale da comprendere anche la  regolamentazione  di  aspetti  relativi
all'attivita' di pesca» (viene richiamata la sentenza n. 9 del 2013). 
    4.- Con il secondo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio
dei ministri impugna le medesime disposizioni  regionali,  in  quanto
invasive della competenza legislativa esclusiva dello Stato  prevista
dall'art. 117, secondo comma, lettera a),  Cost.,  con  riguardo  sia
alla materia «politica estera e rapporti internazionali dello  Stato»
sia a quella «rapporti dello Stato con l'Unione europea», e individua
come norma interposta l'art. 2 cod. nav. 
    Ad  avviso  del  ricorrente,  il  contrasto  con  la   richiamata
competenza legislativa statale esclusiva si determinerebbe  la'  dove
le  disposizioni  regionali  impugnate  fanno  riferimento  al  «mare
territoriale  della  Puglia»  e   ai   «mari   territorialmente   non
appartenenti alla Regione Puglia» (cosi' l'art. 2). 
    4.1.-  Il  presupposto  delle  disposizioni   impugnate   sarebbe
costituito «dalla astratta configurabilita' di un "mare  territoriale
regionale", ipoteticamente appartenente  o  riferibile  alla  Regione
Puglia, quale  ambito  entro  il  quale  la  stessa  Regione  sarebbe
abilitata ad esercitare la propria potesta' normativa». 
    Sennonche', secondo l'Avvocatura dello Stato, «la individuazione,
delimitazione e classificazione  dello  "spazio  marino"  [sarebbero]
precluse alla competenza  regionale,  in  quanto  soggette  anche  ad
interessi  internazionali  e  a  discipline   dettate   dal   diritto
dell'Unione Europea». 
    Ad avviso del  ricorrente,  una  nozione  di  «mare  territoriale
regionale»   sarebbe   sconosciuta    all'ordinamento    interno    e
internazionale. Non sarebbe dunque possibile «equiparare o assimilare
al territorio regionale (per come delimitato dai relativi confini) la
fascia marina antistante alle singole coste regionali  (di  larghezza
di 12 miglia, corrispondente all'estensione del mare territoriale  ex
articolo 2 cod. nav.), che per l'appunto il Codice della  navigazione
qualifica  come  "mare  territoriale"  assoggettato  alla  sovranita'
statale». 
    4.2.-  A  tal  riguardo,  l'Avvocatura   generale   dello   Stato
ricostruisce  la  giurisprudenza   costituzionale   in   materia   di
competenze delle regioni e degli enti locali sulle acque costiere. 
    Riconosce in effetti che, a partire dalle sentenze n. 23 del 1957
e n. 49 del 1958 e fino alla piu' recente sentenza n. 102 del 2008  -
pronunciate su controversie tra Stato e regioni sorte in ordine  alla
possibilita'  di  queste  ultime  di  legiferare  in  relazione  allo
sfruttamento, a vario titolo, delle acque  costiere  -  questa  Corte
avrebbe ammesso una «forma di competenza  legislativa  delle  Regioni
sul mare territoriale». 
    Tuttavia,  segnala  pronunce   che   avrebbero   una   differente
impostazione, in cui questa Corte avrebbe  affermato  che,  «[q]uello
dell'esistenza di un mare territoriale regionale altro non e' se  non
problema di  esistenza,  fra  le  competenze  regionali,  di  singole
materie aventi un oggetto che implica l'utilizzazione di  quel  mare»
(cosi' sentenza  n.  21  del  1968).  In  quell'occasione  la  Corte,
«[r]ichiamando la sentenza n. 27 del 1953 [recte: n. 23  del  1957]»,
avrebbe «precisato che l'attribuzione di una competenza in materia di
pesca marittima non implica il riconoscimento  dell'esistenza  di  un
mare territoriale regionale o la possibilita' di esercitare poteri su
quel mare, sia pure limitatamente alla pesca». 
    In particolare, il ricorrente evoca la distinzione operata  dalla
citata sentenza n. 21 del 1968 tra «mare territoriale»  e  «fondo»  o
«sottofondo sottostante al mare territoriale», sulla cui base  questa
Corte avrebbe ritenuto «che la disciplina del fondo e del  sottofondo
non potrebbe che essere rimessa alla potesta'  legislativa  statale».
Ad  avviso  del  ricorrente,  la  giurisprudenza  costituzionale  non
avrebbe mutato indirizzo sul punto dopo la riforma costituzionale del
2001. In particolare, con la sentenza n. 39 del 2017,  questa  Corte,
ad  avviso  del  ricorrente,  avrebbe   «sostanzialmente   confermato
l'orientamento espresso nel 1968, ribadendo  che  "sul  fondo  e  sul
sottofondo marino si esplicano poteri di contenuto  e  di  intensita'
uguali per tutta la fascia che va dalla linea della bassa marea  fino
al limite esterno della piattaforma, circostanza che non consente  di
riconoscere alle Regioni una competenza  neppure  con  riguardo  alle
attivita' che possono  esercitarsi  sulla  porzione  di  fondo  e  di
sottofondo sottostante al mare territoriale"». 
    Per cio' che concerne la specifica perimetrazione ai  fini  della
pesca, il ricorrente ritiene che eventuali  ripartizioni  delle  aree
marine non potrebbero che essere correlate  «all'aspetto  morfologico
ed ecologico del mare, con riferimento alla varieta' di habitat, alle
condizioni ambientali  e  alle  comunita'  biologiche  presenti,  che
debbono essere valutate unitariamente, in una ottica  necessariamente
sovraregionale,  anche  perche'  in  relazione   ad   ambiti   marini
prospicienti le coste di piu' Regioni». 
    4.3.- In conclusione, l'Avvocatura generale dello  Stato  censura
l'impugnata normativa  in  quanto  pretenderebbe  di  esercitare  una
potesta' legislativa regionale che si giustificherebbe  per  il  mero
riferimento «ad un "ambito marittimo  regionale"»,  che  non  sarebbe
pero' in alcun modo «predefinito o legittimato a  livello  statale  o
internazionale». 
    Le regioni, ad avviso del ricorrente, non  potrebbero  introdurre
una inedita nozione giuridica di "mare territoriale regionale":  «non
[essendo] la Regione un ente sovrano, i  limiti  di  esistenza  della
potesta'  regionale  non  potrebbero  che  essere  posti   da   fonti
sovraordinate, che - allo stato -  non  operano  alcuna  ripartizione
regionale del mare territoriale». 
    Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri,  riconoscere
un "mare territoriale regionale", da un lato, confliggerebbe «con  la
competenza esclusiva dell'Unione europea in materia di  pesca,  sulle
acque unionali che ricomprendono, come noto,  le  acque  territoriali
dei Paesi membri». 
    Da un altro lato, si porrebbe in contrasto con la  giurisprudenza
di questa Corte, che riferisce  «i  "rapporti  internazionali"  e  la
"politica estera" (art. 117, secondo comma, lettera a,  Cost.)  [...]
"a singole relazioni, dotate di elementi di estraneita'  rispetto  al
nostro ordinamento" ed alla  "attivita'  internazionale  dello  Stato
unitariamente considerata in rapporto alle sue finalita'  ed  al  suo
indirizzo" (sentenze n. 258 e n. 131 del 2008, n. 211 del 2006)»  (e'
citata la sentenza n. 299 del 2010). 
    Tali situazioni - secondo il ricorrente  -  ricorrerebbero  nella
fattispecie all'esame, allorche' «la nomenclatura giuridica del "mare
territoriale" deriva da principi di diritto internazionale  acquisiti
nella normativa nazionale (e segnatamente nell'articolo 2 del  Codice
della navigazione, che al diritto internazionale fa  espresso  rinvio
al terzo comma), rispetto ai quali le norme regionali qui denunciate,
con il loro riferimento alla definizione  di  un  "mare  territoriale
regionale"», si porrebbero in manifesto contrasto. 
    5.- Si e' costituita in  giudizio,  con  atto  depositato  il  28
luglio  2023,  la  Regione  Puglia,  chiedendo  che  il  ricorso  sia
dichiarato non fondato. 
    5.1.- Con riferimento al primo motivo di ricorso, la difesa della
Regione richiama l'art. 1 della legge reg.  Puglia  n.  6  del  2023,
evidenziando che il suo scopo e' testualmente  quello  di  preservare
«la risorsa ittica» e di introdurre un rimedio a fronte dei  massicci
prelievi «provocati dal turismo di massa». 
    A tal fine, la legge regionale  impugnata  avrebbe  previsto  una
restrizione limitata alla fascia costiera  pugliese  e  per  il  solo
periodo di tempo di tre anni, sulla base della  potesta'  legislativa
in materia di pesca, spettante alle  regioni,  in  quanto  competenza
legislativa residuale, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    La difesa della  Regione  precisa,  invero,  che  la  pesca,  pur
essendo oggetto della potesta' legislativa residuale  delle  regioni,
possa, «per la complessita' e la polivalenza delle attivita'  in  cui
si estrinseca», interferire con «piu'  interessi  eterogenei,  taluni
statali,  altri  regionali»,  con   «indiscutibili   riflessi   sulla
ripartizione delle competenze legislative ed amministrative», il  che
rende necessario fare riferimento ai  principi  di  prevalenza  e  di
leale collaborazione. 
    Di riflesso, avendo riguardo alla materia  «tutela  dell'ambiente
[e] dell'ecosistema», la resistente evidenzia come allo Stato  spetti
fissare «livelli "adeguati e non riducibili di tutela"  (sentenza  n.
61 del 2009)», mentre alle regioni sia consentito, «nel rispetto  dei
livelli di tutela fissati dalla disciplina statale (sentenze n. 214 e
n.  62  del  2008),  esercitare  le   proprie   competenze,   dirette
essenzialmente a  regolare  la  fruizione  dell'ambiente,  evitandone
compromissioni o alterazioni». 
    In sostanza, «la "trasversalita'" dell'ambiente  legittim[erebbe]
interventi normativi delle Regioni  le  quali,  nell'esercizio  delle
loro  competenze,  curino  interessi   che   risultino   all'ambiente
funzionalmente collegati  -  ancorche'  si  tratti  di  un  esercizio
regionale "condizionato", ossia tenuto  a  non  diminuire  la  tutela
ambientale stabilita dallo Stato». 
    A sostegno di tale impostazione, la difesa della Regione  insiste
diffusamente sulla giurisprudenza di questa Corte  che  consentirebbe
alle regioni  «di  prescrivere  livelli  di  tutela  ambientale  piu'
elevati di quelli previsti dallo Stato» (sono richiamate in proposito
le sentenze n. 88 e n. 63 del 2020, n. 61, n. 30 e n. 12 del 2009, n.
104 del 2008). 
    La resistente,  inoltre,  sottolinea  che  anche  il  legislatore
statale avrebbe consentito  alle  regioni,  con  l'art.  3-quinquies,
comma 2, del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152  (Norme  in
materia  ambientale),  di  adottare   forme   di   tutela   giuridica
dell'ambiente piu'  restrittive,  qualora  lo  richiedano  situazioni
particolari del loro territorio (e' richiamata a  riguardo  anche  la
sentenza n. 58 del 2013). 
    La legge regionale in esame non si porrebbe, dunque, in contrasto
con gli standard  di  tutela  fissati  dal  legislatore  statale  (e'
menzionato il d.m. 12 gennaio 1995), e anzi  adotterebbe  una  misura
analoga a quella statale, ispirata al principio  di  precauzione,  di
cui  all'art.  3-ter  dello  stesso  d.lgs.  n.  152  del  2006,  non
discriminatoria  nella  sua  applicazione  e  che  realizzerebbe   un
«ragionevole equilibrio tra le attivita' produttive utili all'attuale
fabbisogno collettivo e le buone regole del rispetto dell'ambiente». 
    Conclusivamente, quanto al primo motivo  di  ricorso,  ad  avviso
della difesa della parte resistente, le censure non sarebbero fondate
in quanto: a) la disciplina avrebbe a oggetto una specifica attivita'
di pesca, materia che la stessa Costituzione,  all'art.  117,  quarto
comma, ricondurrebbe a quelle residuali che sarebbero «di  competenza
esclusiva della Regione» (e' richiamata la sentenza di  questa  Corte
n. 213 del 2006); b) non ridurrebbe  il  livello  di  tutela  fissato
dallo Stato in quanto agirebbe «in  melius  rispetto  alla  normativa
statale»; c) non altererebbe «l'equilibrio tra gli interessi in gioco
di cui al Regolamento UE 1380/2013 in tema di  sviluppo  sostenibile,
avendo  ragionevolmente  contemperato  le   ragioni   della   filiera
economica con la necessita' di preservare l'ecosistema  a  fronte  di
una particolare situazione di emergenza». 
    5.2.- Non fondato, a parere della difesa regionale, sarebbe anche
il secondo motivo di ricorso, concernente l'asserita violazione della
competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di  «politica
estera e rapporti internazionali dello Stato» e  di  «rapporti  dello
Stato con l'Unione Europea», di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera a), Cost. 
    In particolare, non sarebbe giustificata la censura che  contesta
l'utilizzo, nelle disposizioni impugnate, del  riferimento  al  «mare
territoriale  della  Puglia»  ed  ai   «mari   territorialmente   non
appartenenti alla Regione Puglia» per delimitare l'ambito applicativo
della disciplina. 
    Secondo  la  stessa  difesa,  il  richiamo  ai   mari   regionali
opererebbe   quale   mero   criterio   funzionale   di    prossimita'
(«sostanziale-fattuale e  non  formale»),  che  limiterebbe  l'ambito
operativo delle restrizioni introdotte, senza «la pretesa di  vantare
o esercitare una competenza legislativa generalizzata». 
    La difesa della Regione Puglia ricorda, inoltre, le  pronunce  di
questa Corte (sentenza n. 102 del 2008 che richiama la sentenza n. 23
del 1957), secondo cui «non  importa  se  il  mare  territoriale  sia
demanio marittimo o meno (...), in quanto occorre solo  verificare  i
limiti della potesta' normativa della Regione, con la conseguenza che
(...) anche se il mare territoriale non facesse parte del  territorio
della  Regione  (...),  l'attribuzione  alla   Regione   dei   poteri
legislativi ed amministrativi in una determinata materia importa  che
la disciplina regionale debba estendere  la  propria  efficacia  fino
all'estremo  margine  dello  spazio   marittimo   che   circonda   il
territorio». 
    Dalla giurisprudenza costituzionale si desumerebbe, pertanto, che
il  «concetto  di  "territorio"  non  si  risolverebbe   nella   mera
"terraferma" ma andrebbe inteso nella piu' ampia accezione di  ambito
in cui si esplica  il  legittimo  potere  normativo  della  Regione»,
eventualmente anche con riferimento al mare territoriale, purche'  la
regione eserciti tale potere  normativo  per  tutelare  interessi  di
rilevanza regionale. 
    Questo sarebbe, ad avviso della resistente, il caso di specie, in
cui il riferimento a un "mare  territoriale  regionale"  verrebbe  in
rilievo come «problema di esistenza, fra le competenze regionali,  di
singole materie aventi un oggetto che implica l'utilizzazione di quel
mare» (cosi' la sentenza n. 21 del 1968). 
    6.- Con memoria integrativa depositata il 18  dicembre  2023,  la
Regione Puglia ha insistito sulle tesi gia'  illustrate  in  sede  di
costituzione in giudizio. 
    A sostegno di tali ragioni, la difesa regionale ha allegato  alla
memoria integrativa un  documento,  recante  una  «Valutazione  dello
stato di salute delle popolazioni  del  riccio  edule,  Paracentrotus
Lividus (Lamarck 1816) lungo  le  coste  del  Salento»,  nonche'  una
consulenza tecnico-scientifica, nella quale e'  riportato  un  parere
giuridico le cui argomentazioni sono  state  trasfuse  nella  memoria
integrativa. 
    6.1.-   In   tale   memoria,   la   resistente   sottolinea    la
eccezionalita',  temporaneita'   e   territorialita'   delle   misure
introdotte dalla normativa impugnata, che sarebbe stata prevista  per
far fronte alla «grave condizione di sovrasfruttamento del riccio  di
mare» in Puglia. 
    Secondo la resistente, la delimitazione territoriale e  temporale
del divieto recato dalla disciplina impugnata  sarebbe  indice  della
«volonta' del Legislatore pugliese di esercitare la propria  potesta'
legislativa in materia di "pesca",  non  sostituendo  il  legislatore
nazionale nella disciplina della materia ambientale, ma  integrandone
in melius i livelli di tutela». 
    Nella memoria integrativa, la resistente  insiste  sulle  ragioni
gia' esposte in sede di costituzione, ricostruendo il quadro  teorico
concernente   la   ripartizione   costituzionale   delle   competenze
legislative e  concludendo  che  «la  mera  "disciplina  d'uso  della
risorsa ambientale-faunistica"» non  rientrerebbe,  in  quanto  tale,
«nella materia di cui all'art. 117, secondo comma,  lett.  s)  Cost.»
(vengono richiamate le sentenze n. 21 del 2022, n. 171  e  n.  7  del
2019, n. 212 e n. 74 del 2017, n. 267 del 2016 e  n.  30  del  2009).
Viene,  dunque,  rimarcata  la  «elasticita'   del   criterio   della
competenza  dal  punto  di  vista  della  tutela  dell'ambiente»  nel
contesto della pesca, che  si  ribadisce  essere  qualificabile  alla
stregua di materia residuale regionale, cui  andrebbero  ascritte  le
disposizioni regionali impugnate. 
    Quanto alla contestata violazione del «punto di  equilibrio»  fra
esigenze contrapposte, individuato dalle norme  statali,  la  memoria
evidenzia il carattere assertivo della censura e ritiene inconferente
la giurisprudenza  richiamata,  che  si  riferirebbe  a  pronunce  di
illegittimita' costituzionale relative  a  interventi  regionali  non
migliorativi,  ma  peggiorativi  rispetto  al  punto  di   equilibrio
individuato nella tutela dell'ambiente (la resistente fa  riferimento
alla sentenza n. 197 del 2014), nonche' a  pronunce  non  riferite  a
norme regionali, bensi' a previsioni statali (cosi' le sentenze n.  9
del 2013 e n. 249 del 2009). 
    Da ultimo, la difesa della resistente segnala come «una normativa
di analogo tenore» rispetto alle impugnate disposizioni  della  legge
regionale pugliese sarebbe  stata  prevista  dalla  Regione  autonoma
della Sardegna, senza essere «oggetto di impugnativa da  parte  dello
Stato», cosi' come  «un  analogo  disegno  di  legge»  sarebbe  stato
«presentato  lo  scorso  25  ottobre  (DDL  n.  624)»  nella  Regione
Siciliana. 
    6.2.-  Proseguendo,  la  memoria  integrativa  ribadisce  la  non
fondatezza anche del secondo motivo di ricorso, con cui il ricorrente
evoca la violazione della competenza legislativa  esclusiva  statale,
di cui all'art. 117, secondo comma, lettera a), Cost. 
    Ad  avviso  della  difesa  regionale  i   riferimenti   al   mare
territoriale regionale andrebbero intesi in «un senso  descrittivo  e
funzionale al perseguimento dello scopo della legge,  limitandone  il
significato alla considerazione di quel tratto di mare prospicente la
costa e interessato  alla  riproduzione  dei  ricci»,  che  sarebbero
presenti  soltanto  a  breve  distanza  dalla  linea  di  costa,   in
profondita' non superiori ai 20 metri. In tale senso deporrebbero sia
il criterio ermeneutico letterale sia il criterio dell'intenzione del
legislatore, che farebbe  emergere  l'uso  atecnico  del  riferimento
lessicale.  La  resistente  ritiene  dunque  che,  attesa  l'asserita
riconducibilita' della legge alla materia della pesca, i  riferimenti
alle pronunce di questa Corte n.  39  del  2017  e  n.  21  del  1968
sarebbero inconferenti, perche' quei precedenti - nei quali  pure  si
e' affermato che «il fondale  marittimo  e'  oggetto  della  potesta'
statale a  prescindere  dalle  materie  di  competenza  regionale»  -
avrebbero riguardato «tutt'altra  materia,  quella  energetica  delle
attivita'  di  prospezione,   ricerca   e   di   coltivazione   degli
idrocarburi». A parere della resistente, a opporsi all'applicabilita'
di quella giurisprudenza al caso di specie vi sarebbe la «elementare»
constatazione per cui «i ricci di mare, sia pure posati sul  fondale,
non  [sarebbero]  parificabili   agli   idrocarburi».   A   cio'   si
aggiungerebbe,  ad  avviso  della   difesa   della   resistente,   la
impossibilita' di «negare  qualsivoglia  competenza  [regionale]  che
abbia a che vedere con il mare territoriale», posto che cio'  sarebbe
contraddetto dalla vigente formulazione dell'art.  117  Cost.,  nella
parte in cui «ha  superato  la  distinzione  fra  pesca  nelle  acque
interne e pesca marittima». 
    Infine, secondo la difesa regionale,  ove  venisse  condiviso  il
percorso  ermeneutico  sostenuto  nel   ricorso,   sarebbe   comunque
sufficiente accedere a «una sentenza interpretativa di  rigetto»  per
superare il dubbio di legittimita' costituzionale concernente  l'art.
117, secondo comma, lettera a), Cost. 
    7.- All'udienza pubblica del  9  gennaio  2024  la  difesa  della
Regione Puglia e l'Avvocatura generale dello  Stato  hanno  insistito
per  l'accoglimento  delle  conclusioni  rassegnate   negli   scritti
difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso iscritto al n. 18 reg. ric. 2023,  depositato  il
20  giugno  2023,  il  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 1  e  2
della legge reg. Puglia n. 6 del 2023, per violazione dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., con riguardo alla  materia  «tutela
dell'ambiente [e] dell'ecosistema», in relazione  all'art.  32  della
legge n. 963 del 1965, all'art. 24 del d.lgs. n. 4 del 2012,  nonche'
all'art. 4 del d.m. 12 gennaio 1995; e per violazione dell'art.  117,
secondo comma, lettera a), Cost., con riguardo alle materie «politica
estera e rapporti internazionali dello Stato» e «rapporti dello Stato
con l'Unione europea», in relazione all'art. 2 cod. nav. 
    2.- La prima disposizione impugnata - l'art. 1 - prevede che  «la
Regione Puglia intende favorire il ripopolamento del riccio  di  mare
nei mari regionali, garantendo un periodo  di  riposo  della  specie,
preservando la risorsa ittica e scongiurando il rischio di estinzione
dovuto ai massicci prelievi». 
    L'altra previsione impugnata - l'art. 2 - dispone:  al  comma  1,
che «[n]el mare territoriale della Puglia, a decorrere dalla data  di
entrata in vigore della presente legge e'  vietato  il  prelievo,  la
raccolta,   la   detenzione,   il   trasporto,   lo   sbarco   e   la
commercializzazione degli esemplari di riccio di mare  (Paracentrotus
lividus) e dei relativi prodotti derivati freschi, per un periodo  di
tre anni»; e, al comma 2, che «[l]a commercializzazione del riccio di
mare non e' vietata per gli esemplari provenienti (con certificazioni
e  tracciabilita'  secondo  legge)  da  mari   territorialmente   non
appartenenti alla Regione Puglia». 
    3.- Due sono i motivi di ricorso. 
    3.1.- Anzitutto, l'Avvocatura generale dello Stato ritiene che le
citate norme si porrebbero in contrasto con la competenza legislativa
esclusiva   statale   nella   materia   «tutela   dell'ambiente   [e]
dell'ecosistema», che - secondo quanto argomenta il  ricorso  -  deve
ritenersi «"trasversale" e "prevalente"». 
    Spetterebbe, pertanto, esclusivamente allo Stato «fissare livelli
di tutela ambientale uniformi sull'intero territorio  nazionale».  Di
riflesso, benche' la  tutela  ambientale  non  potrebbe  che  toccare
«"campi di esperienza" - le cosiddette "materie" in senso  proprio  -
attribuiti alla competenza legislativa regionale», nondimeno le norme
statali  adottate  nell'esercizio  di   tale   competenza   esclusiva
fungerebbero «da preciso limite alla disciplina che le Regioni, anche
a statuto speciale, e le  Province  autonome,  possono  adottare  nei
settori di  loro  competenza,  non  essendo  ad  esse  consentito  di
compromettere il punto di equilibrio fra esigenze  contrapposte,  per
come individuato dalla norma statale» (e' richiamata la  sentenza  di
questa Corte n. 197 del 2014). 
    3.2.- Di seguito, il ricorrente impugna le medesime  disposizioni
regionali, in quanto invasive della competenza legislativa  esclusiva
dello Stato nelle materie «politica estera e rapporti  internazionali
dello Stato» e «rapporti dello Stato con l'Unione  europea»,  di  cui
all'art. 117, secondo comma, lettera a), Cost. 
    In particolare, l'asserita invasione della competenza legislativa
statale  esclusiva  si  determinerebbe  la'  dove   le   disposizioni
regionali impugnate - per delimitare il proprio ambito applicativo  -
fanno riferimento ai «mari regionali» (art. 1), al «mare territoriale
della Puglia» e  ai  «mari  territorialmente  non  appartenenti  alla
Regione Puglia» (art. 2). 
    In sostanza, il presupposto delle disposizioni impugnate  sarebbe
costituito «dalla astratta configurabilita' di un "mare  territoriale
regionale", ipoteticamente appartenente  o  riferibile  alla  Regione
Puglia, quale  ambito  entro  il  quale  la  stessa  Regione  sarebbe
abilitata ad esercitare la propria potesta' normativa». 
    Cio'  si  porrebbe  in  aperto  contrasto  con  quanto   disposto
dall'art.  2  cod.  nav.,  invocato  quale  norma   interposta,   che
assoggetta alla sovranita' dello Stato - nei  limiti  indicati  dalla
medesima previsione - i golfi,  i  seni,  le  baie  e  le  coste  che
circondano le «coste continentali ed insulari della Repubblica». 
    Secondo   l'Avvocatura   dello   Stato,    «la    individuazione,
delimitazione e classificazione  dello  "spazio  marino"  [sarebbero]
precluse alla competenza  regionale,  in  quanto  soggette  anche  ad
interessi  internazionali  e  a  discipline   dettate   dal   diritto
dell'Unione Europea». 
    4.- Venendo a esaminare  il  primo  motivo  di  ricorso,  occorre
sottolineare che, secondo il Presidente del Consiglio  dei  ministri,
le disposizioni regionali impugnate avrebbero alterato l'esigenza  di
«livelli  di  tutela  ambientale  uniformi   sull'intero   territorio
nazionale» e  avrebbero  compromesso  «il  punto  di  equilibrio  fra
esigenze contrapposte, per come individuato dalla norma statale». 
    In particolare, il ricorrente richiama varie norme interposte che
conducono,  attraverso  collegamenti  sistematici,  alla   disciplina
dettata dall'art. 4 del d.m. 12 gennaio 1995, che stabilisce i limiti
temporali volti a regolare la  pesca  professionale  e  sportiva  del
riccio di mare. 
    Il richiamato  decreto  e'  stato,  infatti,  adottato  ai  sensi
dell'art. 32 della legge n. 963 del 1965, in base al  quale  l'allora
Ministro della marina mercantile (le cui competenze in  materia  sono
state poi trasferite al Ministro delle risorse agricole, alimentari e
forestali, e  successivamente  al  Ministro  dell'agricoltura,  della
sovranita' alimentare e  delle  foreste)  poteva  «con  suo  decreto,
sentita la Commissione consultiva centrale per  la  pesca  marittima,
emanare norme per la disciplina della  pesca  anche  in  deroga  alle
discipline regolamentari, al fine di  adeguarla  al  progresso  delle
conoscenze  scientifiche  e  delle   applicazioni   tecnologiche,   e
favorirne lo sviluppo in determinate zone o per determinate classi di
essa». 
    Di seguito, il d.lgs. n. 4 del 2012 ha, da un  lato,  abrogato  e
sostituito la precedente legge n. 963 del 1965  (art.  27,  commi  1,
lettera a, e 2), e, da un altro lato,  ha  ribadito  che  compete  al
Ministro delle  politiche  agricole  alimentari  e  forestali  (oggi:
Ministro  dell'agricoltura,  della  sovranita'  alimentare  e   delle
foreste)  regolare,  con  proprio  decreto,  sentita  la  Commissione
consultiva centrale per la pesca marittima, «la pesca anche in deroga
alle discipline regolamentari nazionali, in  conformita'  alle  norme
comunitarie, al fine  di  adeguarla  al  progresso  delle  conoscenze
scientifiche  e  delle  applicazioni  tecnologiche,  e  favorirne  lo
sviluppo in determinate zone o per determinate classi di essa»  (art.
24, comma 1), nonche' «sospendere l'attivita'  di  pesca  o  disporne
limitazioni in conformita' alle disposizioni del regolamento (CE)  n.
2371/2002, al fine di conservare e gestire le  risorse  della  pesca»
(art. 24, comma 2). 
    Sulla premessa della persistente  vigenza  del  d.m.  12  gennaio
1995, le disposizioni regionali impugnate avrebbero, dunque, alterato
il punto di equilibrio individuato dall'art.  4  del  citato  decreto
ministeriale, secondo cui «[l]a pesca professionale  e  sportiva  del
riccio di mare e' vietata nei mesi di maggio e giugno». 
    5.- La questione non e' fondata. 
    6.- In via preliminare, occorre richiamare i criteri in  base  ai
quali questa Corte individua l'ambito  della  competenza  legislativa
statale   esclusiva   nella   materia   «tutela   dell'ambiente   [e]
dell'ecosistema»,  nonche'  l'ambito  della  competenza   legislativa
regionale residuale nella materia della pesca. 
    6.1.- Sin dalle prime pronunce rese dopo la riforma del Titolo  V
della Parte seconda della Costituzione, questa Corte ha  riconosciuto
alla materia «tutela  dell'ambiente  [e]  dell'ecosistema»  i  tratti
propri  di  una   competenza   legislativa   trasversale,   governata
dall'elemento teleologico,  il  cui  dispiegarsi  lascia  agevolmente
prefigurare  possibili   interferenze   rispetto   all'esercizio   di
competenze legislative spettanti alle regioni (ex plurimis,  sentenze
n. 160 del 2023, n. 191, n. 144 e n. 21 del 2022, n. 189, n. 158,  n.
86 e n. 21 del 2021, n. 88 del 2020). 
    Di riflesso, questa  Corte,  da  un  lato,  non  ha  escluso  «la
titolarita' in capo alle Regioni di competenze legislative su materie
(governo del territorio, tutela della  salute,  ecc.)  per  le  quali
[...] assume rilievo (sentenza n. 407 del 2002)» (sentenza n. 536 del
2002) la protezione dell'ambiente. Da un altro lato, ha  chiarito  in
che termini la competenza legislativa statale esclusiva in materia di
tutela   dell'ambiente   e   dell'ecosistema   opera   quale   limite
all'esercizio delle competenze legislative regionali e in che  misura
queste ultime possono invece dispiegarsi, andando a lambire la tutela
ambientale. 
    In particolare, questa Corte ha  affermato  che  le  disposizioni
legislative statali  «"fungono  da  limite  alla  disciplina  che  le
Regioni, anche a  statuto  speciale,  dettano  nei  settori  di  loro
competenza,  [nel  senso  che]  ad  esse  [e']  consentito   soltanto
eventualmente di incrementare  i  livelli  della  tutela  ambientale,
senza  pero'  compromettere  il  punto  di  equilibrio  tra  esigenze
contrapposte  espressamente  individuato  dalla  norma  dello   Stato
(sentenze n. 145 e n. 58 del 2013, n. 66 del 2012, n. 225 del  2009)"
(sentenza n. 300 del 2013)» (sentenza n. 197 del 2014). 
    L'esigenza  di  non  compromettere   il   punto   di   equilibrio
individuato dalla norma dello Stato ha diverse implicazioni. 
    6.1.1.- Anzitutto, quando il legislatore ha bilanciato l'ambiente
con interessi rispetto ai quali non si  possono  concepire  soluzioni
disarticolate  sul  piano  territoriale,  questa  Corte  ha  ritenuto
l'intervento statale imprescindibile e tale da non lasciare spazio  a
interventi regionali, che incidano, sia pure in melius, rispetto alla
protezione dell'ambiente. Infatti, quando la logica  di  fondo  della
disciplina statale non si risolve nella mera tutela dell'ambiente, ma
serve a fissare punti di equilibrio che rispondono «ad una ratio piu'
complessa e articolata», gli stessi «debbono  ritenersi  inderogabili
dalle Regioni anche in melius» (sentenza n. 307 del 2003). 
    Su tali basi, questa Corte e'  intervenuta  in  ambiti  oltremodo
eterogenei,  considerando  inderogabili:  la   «organica   disciplina
statale di  principio»  sulla  collocazione  delle  linee  elettriche
(sentenza n. 331 del 2003)  e  sull'individuazione  delle  soglie  di
emissione elettromagnetica (sentenza n. 307 del 2003); il termine  di
durata dei titoli abilitativi edilizi, «nella cui  determinazione  si
ravvisa un punto di equilibrio fra [la] realizzazione  di  interventi
di trasformazione  del  territorio  [e]  la  tutela  dell'ambiente  e
dell'ordinato sviluppo urbanistico» (sentenza n. 245 del 2021  e,  in
senso analogo, sentenza n. 147 del 2023); la disciplina che regola la
coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali, che
richiede, parimenti, una sintesi unitaria  fra  divergenti  interessi
(sentenza n. 116 del 2006). 
    6.1.2.-  Inoltre,  questa  Corte  ha  precisato  che  la   stessa
«valutazione intorno alla "previsione  di  standard  ambientali  piu'
elevati non puo' essere realizzata nei termini di un mero automatismo
o di una semplice sommatoria - quasi che fosse  possibile  frazionare
la  tutela  ambientale  dagli  altri   interessi   costituzionalmente
rilevanti - ma deve essere valutata alla  luce  della  ratio  sottesa
all'intervento normativo e dell'assetto di interessi che lo Stato  ha
delineato nell'esercizio della sua competenza esclusiva" (sentenza n.
147 del 2019)» (sentenza n. 178 del 2019). Se, dunque, nel  garantire
la tutela dell'ambiente e dell'ecosistema il legislatore  statale  ha
concepito  un  disegno  unitario,  eventualmente   anche   attraverso
soluzioni modulate fra i vari ambiti territoriali, simile  ratio  non
ammette interventi legislativi regionali suscettibili di  determinare
interferenze, anche se in melius rispetto alla  tutela  dell'ambiente
(sentenze n. 258 e n. 88 del 2020). 
    In particolare, simili interferenze sono state escluse  a  fronte
di  interventi  legislativi  statali  che  sono   stati   considerati
espressione di un unico disegno  inscindibile  (sentenza  n.  93  del
2013, relativa alla previsione dell'unitaria  disciplina  della  VIA,
quale  procedura  che  valuta  in  concreto  e   preventivamente   la
sostenibilita' ambientale; sentenza n. 235 del 2011,  riguardante  la
previsione  di  una  unitaria  procedura  di  tutela   paesaggistica;
sentenza  n.  246  del  2018,  concernente  l'individuazione  di   un
parametro  uniforme  dei   livelli   essenziali   delle   prestazioni
nell'ambito della disciplina del procedimento amministrativo e  della
conferenza di servizi). 
    6.1.3.- Al di fuori delle citate ipotesi, ove, dunque,  la  ratio
dell'intervento  legislativo  statale  in   materia   di   protezione
dell'ambiente sia riconducibile alla previsione di  uno  standard  di
tutela minimo, puo'  invece  dispiegarsi  l'esercizio  di  competenze
legislative regionali,  che  intervengano  indirettamente  a  elevare
quello standard. Il limite che pone allora la competenza  legislativa
statale al bilanciamento di  interessi  individuato  dal  legislatore
regionale e' che esso non violi lo standard di tutela minimo  fissato
dalla previsione statale (sentenze n. 148 del 2023, n. 69  del  2022,
n. 44 e n. 7 del 2019, n. 218, n. 174, n. 139 e n. 74  del  2017,  n.
303 del 2013 e n. 278 del 2012). 
    In tal caso, le regioni e le province autonome possono, pertanto,
«adottare norme  di  tutela  ambientale  piu'  elevata»,  pur  sempre
«nell'esercizio di [loro] competenze,  previste  dalla  Costituzione,
che concorrano con quella dell'ambiente» (sentenze n. 198 e n. 66 del
2018, n. 199 del 2014; nello stesso senso, inoltre, sentenze n. 246 e
n. 145 del 2013, n. 67 del 2010, n. 104 del 2008 e n. 378 del  2007).
Cosi', nella sentenza n. 7 del  2019,  si  e'  riconosciuto  che  «la
normativa regionale in tema  di  specie  cacciabili  e'  abilitata  a
derogare alla disciplina statale in materia di tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema, purche', ove quest'ultima esprima  regole  minime  e
uniformi di tutela, innalzi tale livello di protezione». 
    6.2.- Individuati gli  spazi  entro  i  quali  puo'  operare  una
competenza  legislativa   regionale,   che   intersechi   la   tutela
ambientale, occorre, di seguito, rievocare  quanto  questa  Corte  ha
precisato proprio in merito alla materia della pesca, nel cui  ambito
la Regione Puglia assume di aver legiferato. 
    Dopo  la  riforma  del  Titolo  V  della  Parte   seconda   della
Costituzione,  questa  Corte  ha  ritenuto  superata   la   pregressa
distinzione fra la pesca nelle acque interne,  in  passato  assegnata
alla competenza legislativa concorrente delle regioni, e la pesca  in
mare, e ha ritenuto che trovasse «conferma  la  progressiva  generale
attribuzione della  "pesca"  alle  Regioni  ordinarie,  senza  alcuna
distinzione basata sulla natura  delle  acque.  La  pesca,  pertanto,
costituisce materia  oggetto  della  potesta'  legislativa  residuale
delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost.» (sentenza
n. 213 del 2006; nonche', in senso analogo, sentenza n. 81 del 2007). 
    Nondimeno, sin dalle citate pronunce, questa  Corte  ha  rilevato
che, pur dovendosi ribadire  la  riconducibilita'  della  pesca  alla
«potesta' legislativa residuale delle  Regioni,  ai  sensi  dell'art.
117, quarto comma,  Cost.»,  «tuttavia,  per  la  complessita'  e  la
polivalenza delle  attivita'  in  cui  essa  si  estrinseca,  possono
interferire  piu'  interessi  eterogenei,   tanto   statali,   quanto
regionali.  [...]  La  Corte  ha  cosi'  ritenuto  che  assume  [...]
peculiare rilievo, nell'esame delle concrete  fattispecie  sottoposte
al suo giudizio, l'applicazione del principio di  prevalenza  tra  le
materie   interessate   e   di   quello,   fondamentale,   di   leale
collaborazione, che "si deve  sostanziare  in  momenti  di  reciproco
coinvolgimento  istituzionale  e  di  necessario  coordinamento   dei
livelli di governo statale e regionale" (sentenza n. 213  del  2006)»
(sentenza n. 81 del 2007 e, analogamente, sentenze n. 9 del 2013 e n.
30 del 2009). 
    7.-  Tanto  premesso,  occorre  verificare  se  le   disposizioni
regionali impugnate possano ascriversi all'esercizio della competenza
legislativa residuale  regionale  nella  materia  della  pesca  e  se
ricorrano  le  condizioni  che  consentono  il  dispiegarsi  di  tale
competenza legislativa regionale, con  contenuti  che  lambiscono  la
tutela dell'ambiente. 
    7.1.- Sul piano contenutistico  e  teleologico,  le  disposizioni
impugnate regolamentano  un  profilo  particolare  dell'attivita'  di
pesca del riccio di mare - un fermo  pesca  straordinario  -  il  cui
obiettivo, enunciato dalla prima disposizione impugnata  (l'art.  1),
e' quello di preservare tale  risorsa  ittica,  ai  fini  del  futuro
svolgimento dell'attivita' di pesca lungo  le  coste  del  territorio
regionale. 
    Nello specifico, la risorsa ittica, di cui viene  temporaneamente
sospesa l'attivita' di pesca, si trova nei fondali a  breve  distanza
dalla linea di costa e il suo sfruttamento economico e'  strettamente
correlato alle tradizioni locali. 
    In particolare, dall'art. 1  si  inferisce  che  l'intervento  e'
motivato dai «massicci prelievi» effettuati nelle  aree  prospicienti
la costa pugliese, il che si collega al  rilievo  di  simile  risorsa
nell'ambito delle tradizioni locali, rilievo  che  viene  amplificato
dal suo impiego ai fini del turismo. 
    Dunque, per contrastare il sovra-sfruttamento a livello locale di
tale risorsa ittica, l'art. 2, a sua  volta  impugnato,  prevede  una
sospensione per tre anni dell'attivita' di pesca, che si svolge nelle
aree marine prospicienti  la  costa  regionale,  con  una  temporanea
compressione di contrapposti interessi (economici e non). 
    La disciplina attiene, pertanto, alla materia  della  pesca,  pur
andando senza dubbio a intersecare un profilo di tutela ambientale. 
    7.2.- Proseguendo nella prospettiva del  possibile  inquadramento
delle disposizioni regionali nella competenza  legislativa  residuale
in materia di pesca, occorre poi considerare il piano degli interessi
implicati. 
    A tal riguardo, non sfugge  a  questa  Corte  che  la  disciplina
regionale impugnata rientra nel  cono  d'ombra  di  quella  che,  nei
rapporti fra  Unione  europea  e  Stati  membri,  e'  una  competenza
legislativa che l'art. 3, comma 1, lettera d), TFUE  assegna  in  via
esclusiva all'Unione europea: vale a  dire,  la  conservazione  delle
risorse biologiche del mare nel quadro della  politica  comune  della
pesca. 
    Nondimeno, nell'esercizio di tale competenza esclusiva,  l'Unione
europea - con  il  regolamento  (UE)  n.  1380/2013,  del  Parlamento
europeo  e  del  Consiglio,  dell'11  dicembre  2013,  relativo  alla
politica comune della pesca,  che  modifica  i  regolamenti  (CE)  n.
1954/2003  e  (CE)  n.  1224/2009  del  Consiglio  e  che  abroga   i
regolamenti (CE) n. 2371/2002  e  (CE)  n.  639/2004  del  Consiglio,
nonche' la decisione 2004/585/CE  del  Consiglio  -  ha  adottato  un
approccio che non esclude spazi di possibile autonomo  intervento  da
parte degli Stati membri, in mancanza  di  misure  analoghe  adottate
dall'Unione per la medesima zona o per il medesimo problema. 
    Di conseguenza, fermo restando che, con il ricorso in esame,  non
viene contestata la violazione di alcuna specifica previsione dettata
dall'Unione europea, si deve rilevare che, la' dove l'Unione preserva
ambiti  di  disciplina  agli  Stati  membri,  non  possono  a  priori
escludersi misure nazionali che lascino spazio a limitati  interventi
regionali. 
    7.3.- Tornando, dunque, a considerare, nella prospettiva interna,
il  possibile  inquadramento  delle  disposizioni   impugnate   nella
competenza legislativa regionale residuale in materia di pesca  e  il
loro rapporto con la  competenza  legislativa  statale  esclusiva  in
materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, va  osservato  che
l'incidenza della disciplina impugnata e' limitata  sul  piano  degli
interessi implicati. 
    Gli  artt.  1  e  2  della  legge  reg.  Puglia  n.  6  del  2023
introducono, infatti, una  misura  specifica,  concernente  un  fermo
pesca disposto  una  tantum,  che  si  riverbera  temporaneamente  su
un'attivita' che si svolge sui fondali posti a breve  distanza  dalle
coste pugliesi e che riguarda una risorsa ittica, il cui  consumo  e'
strettamente  correlato  al  territorio  e  alle  tradizioni  locali,
tant'e'  che  la  misura  e'   la   conseguenza   di   un   massiccio
sovra-sfruttamento. 
    Il   carattere   specifico,   temporaneo    e    territorialmente
circoscritto  delle  disposizioni  impugnate   rende,   dunque,   non
imprescindibile un bilanciamento operato sul piano statale. 
    Quanto alle modalita' con cui lo Stato,  nel  concreto  esercizio
della sua competenza legislativa esclusiva  a  «tutela  dell'ambiente
[e] dell'ecosistema», e' intervenuto nel  regolare  la  conservazione
della specie riccio di  mare,  si  deve  ritenere  che  la  soluzione
adottata, con riguardo al fermo pesca, non sia incompatibile con  una
possibile modulazione di interventi legislativi regionali,  mirati  a
risolvere specifiche criticita' locali. 
    La disciplina dettata dal d.m.  12  gennaio  1995  -  alla  quale
conducono i rimandi sistematici operati  dalle  disposizioni  evocate
quali parametri interposti - ha, infatti, previsto,  con  riferimento
al fermo pesca, una soluzione generale (la sospensione  nei  mesi  di
maggio e  di  giugno),  non  modulata  in  funzione  delle  peculiari
criticita'  di  alcune  zone  costiere,  nelle  quali  le  condizioni
ambientali si sono particolarmente aggravate. 
    Pertanto, sul piano ermeneutico, tale  profilo  della  disciplina
statale non puo' che interpretarsi quale previsione di  uno  standard
di tutela minimo. 
    Di conseguenza, in linea con la costante giurisprudenza di questa
Corte (sentenze n. 148 del 2023, n. 44 e n. 7 del 2019,  n.  218,  n.
174, n. 139 e n. 74 del 2017, n. 303 del 2013  e  n.  278  del  2012,
nonche'  le  altre  pronunce  richiamate  al   punto   6.1.3.),   non
contrastano con la competenza  legislativa  statale  esclusiva  dello
Stato le disposizioni regionali impugnate che,  nell'esercizio  della
competenza legislativa  regionale  residuale  in  materia  di  pesca,
producono l'effetto di elevare, in relazione  a  specifiche  esigenze
del territorio, il livello di tutela ambientale. 
    In particolare, non si puo' dubitare che incidano in melius sulla
tutela ambientale, e nello specifico sulla protezione del  riccio  di
mare, che e' parte dell'ecosistema marino, norme  che  indirettamente
agevolano la riproduzione di tale specie animale. 
    L'intervento operato a livello regionale si pone, del resto,  nel
solco  dell'esigenza  di  disciplinare  la  pesca  in  conformita'  a
obiettivi  che  la  stessa  Unione  europea  enuncia  con  il  citato
regolamento n. 1380/2013/UE: l'esigenza di una regolamentazione delle
attivita' di pesca che garantisca il  loro  essere  «sostenibili  dal
punto di vista ambientale nel lungo termine» (art. 2,  paragrafo  1),
nonche' il rispetto dell'«approccio precauzionale», il quale assicuri
che  «lo  sfruttamento   delle   risorse   biologiche   marine   vive
ricostituisca e mantenga le popolazioni delle specie  pescate  al  di
sopra  di  livelli  in  grado  di  produrre  il  rendimento   massimo
sostenibile» (art. 2, paragrafo 2). 
    8.- Per le ragioni esposte, gli artt. 1  e  2  della  legge  reg.
Puglia n. 6 del 2023 non violano la  competenza  legislativa  statale
esclusiva nella materia «tutela dell'ambiente [e] dell'ecosistema». 
    9.- Passando ora a considerare il secondo motivo di ricorso, esso
prospetta la violazione dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  a),
Cost. nelle materie «politica estera e rapporti internazionali  dello
Stato» e «rapporti dello Stato con l'Unione  europea»,  in  relazione
all'art. 2 cod. nav., nella parte in cui gli artt. 1 e 2 della  legge
reg. Puglia n. 6 del 2023 introducono le nozioni di «mari regionali»,
di «mare territoriale della Puglia» e di «mari  territorialmente  non
appartenenti alla Regione Puglia». 
    10.- La questione e' fondata, nei termini di seguito precisati. 
    11.-   Con   riferimento    alla    delimitazione    territoriale
dell'efficacia delle  norme  regionali  anche  rispetto  allo  spazio
marino, questa Corte, sin dalla sentenza n. 23 del 1957 - concernente
una legge della Regione  autonoma  della  Sardegna,  cui  lo  statuto
attribuiva  (e  tutt'ora  attribuisce)  una  competenza   legislativa
primaria in materia di  pesca  -  ha  affermato  che,  «[p]oiche'  la
potesta' normativa in materia di pesca e' statutariamente  attribuita
alla Regione autonoma della Sardegna senza limitazione alcuna,  salvo
le limitazioni delle norme  costituzionali,  la  legge  regionale  in
materia contiene una disciplina che estende legittimamente la propria
efficacia anche alle acque del mare territoriale». 
    A quella  originaria  giurisprudenza  si  ricollegano  interventi
successivi di questa Corte (sentenze n. 49 del  1958  e  n.  102  del
2008),  nei  quali,  riprendendo  testualmente  passaggi  del  citato
precedente, ha affermato che non interessa «se il  mare  territoriale
sia demanio marittimo o meno e neppure se si tratti di acque del mare
territoriale o di acque del demanio marittimo» (sentenza n.  102  del
2008), in quanto occorre solo  verificare  i  limiti  della  potesta'
normativa della regione, poiche' «l'attribuzione [a quest'ultima] dei
poteri legislativi  ed  amministrativi  in  una  determinata  materia
"importa che la disciplina regionale [...] debba estendere la propria
efficacia  fino  all'estremo  margine  dello  spazio  marittimo   che
circonda il territorio e sul quale, sia pure a titolo accessorio,  si
esercita il potere dello Stato" (sentenza n. 23 del 1957, in tema  di
competenza della Regione  Sardegna  in  materia  di  pesca  nel  mare
territoriale)» (sempre sentenza n. 102 del 2008). 
    Di conseguenza, questa Corte non ha mai consentito  alle  regioni
di fare riferimento a «un mare territoriale» regionale  (sentenza  n.
21 del 1968, ripresa dalla sentenza n.  39  del  2017),  ma  ha  solo
riconosciuto loro la facolta' di esercitare sulle acque costiere, nei
limiti di precise competenze regionali, «un complesso di poteri [...]
che coesistono con quelli spettanti  allo  Stato:  poteri  [...]  che
prescindono da  ogni  problema  relativo  all'appartenenza  del  mare
territoriale e che sono suscettibili di essere regolati  anche  dalla
legge regionale (come rilevato dalla [...] sentenza n. 23 del  1957)»
(ancora, sentenza n. 102 del 2008). 
    12.- Sulla base  di  tali  precisazioni,  e'  possibile,  dunque,
esaminare   le   censure   del   ricorrente    che    si    appuntano
sull'introduzione nelle disposizioni impugnate delle nozioni di «mari
regionali»,  di  «mare  territoriale  della  Puglia»   e   di   «mari
territorialmente non appartenenti alla Regione Puglia». 
    12.1.-  Anzitutto,  e'  doveroso  rimarcare  l'infelice   tecnica
normativa adottata dal legislatore pugliese,  che  si  e'  avvalso  -
nelle  disposizioni  impugnate   -   di   espressioni   lessicalmente
eterogenee per esprimere il medesimo concetto. 
    Ma soprattutto, occorre rilevare che  i  tre  sintagmi  lessicali
adoperati  interferiscono  direttamente  con  la  nozione   di   mare
territoriale, quale enucleata dall'art. 2 cod. nav. -  che  definisce
un  elemento  costitutivo  della  sovranita'   -,   ed   evocano   un
frazionamento di tale paradigma su base regionale, che e'  del  tutto
sconosciuto all'ordinamento giuridico. 
    Viceversa, come si evince dalla giurisprudenza  di  questa  Corte
(punto  11),  gli  effetti  spaziali  di  un  intervento  legislativo
regionale, che ha riverberi sullo spazio marino, non sono  altro  che
una proiezione  funzionale  della  competenza  legislativa  regionale
esercitata e della natura degli interessi coinvolti e non  consentono
di evocare una supposta delimitazione del mare  territoriale,  inteso
come elemento costitutivo della sovranita' dello Stato. 
    12.2.- Pertanto, la seconda questione  avente  a  oggetto  quanto
prevedono gli artt. 1 e 2 della legge reg. Puglia n. 6  del  2023  e'
fondata, nella parte in cui le citate disposizioni  stabiliscono  che
la Regione Puglia favorisce il ripopolamento del riccio di mare  «nei
mari regionali», anziche' «nello  spazio  marittimo  prospiciente  il
territorio regionale» (art. 1); nella  parte  in  cui  dispongono  il
fermo biologico dei  ricci  di  mare  «Nel  mare  territoriale  della
Puglia», anziche' «Nello spazio marittimo prospiciente il  territorio
regionale»  (art.  2,  comma  1);  nella  parte  in   cui   escludono
dall'applicazione del divieto di commercializzazione  del  riccio  di
mare  gli  esemplari  provenienti  «da  mari   territorialmente   non
appartenenti alla Regione Puglia», anziche' «dallo  spazio  marittimo
non prospiciente il territorio regionale» (art. 2, comma 2).