ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  83  della
legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005,  n.  12  (Legge  per  il
governo  del  territorio),  promosso  dal  Tribunale   amministrativo
regionale per la Lombardia,  sezione  staccata  di  Brescia,  sezione
prima, nel procedimento vertente tra Cartiere Villa Lagarina spa e il
Comune di Mantova, con ordinanza del 28 giugno 2023, iscritta  al  n.
105 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 2023. 
    Visti l'atto di costituzione  di  Cartiere  Villa  Lagarina  spa,
nonche' l'atto di intervento della Regione Lombardia; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  10  gennaio  2024  il  Giudice
relatore Marco D'Alberti; 
    uditi gli avvocati Vincenzo Pellegrini  e  Alberto  Mascotto  per
Cartiere Villa Lagarina spa e  Alessandra  Zimmitti  per  la  Regione
Lombardia; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 gennaio 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 28 giugno 2023 (reg. ord. n. 105 del 2023),
il Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Lombardia,  sezione
staccata  di  Brescia,  sezione  prima,  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 83 della  legge  della  Regione
Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio),
in  riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  della
Costituzione, in relazione agli artt. 146 e 167, comma 5, del decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del
paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6  luglio  2002,  n.
137). 
    1.1.- Il rimettente descrive la fattispecie oggetto del  giudizio
a quo nei seguenti termini. 
    Cartiere Villa Lagarina spa (di seguito, anche: la  societa')  e'
proprietaria di un  complesso  industriale  noto  come  «Cartiera  ex
Burgo», ubicato  nel  Comune  di  Mantova,  in  un'area  parzialmente
assoggettata a vincolo paesaggistico. 
    Dopo l'acquisto, la societa' ha eseguito una serie di  interventi
di ristrutturazione edilizia e industriale per riavviare  l'attivita'
produttiva, versando lo stabilimento in stato di abbandono. 
    Il Comune e la Provincia di Mantova hanno adottato  provvedimenti
sanzionatori in relazione  ad  alcuni  di  tali  interventi,  perche'
realizzati senza autorizzazione paesaggistica  o  in  difformita'  da
essa. 
    La  societa'  ha  impugnato  i  provvedimenti  sanzionatori   con
distinti ricorsi davanti al TAR. 
    Il ricorso  introduttivo  del  giudizio  a  quo  ha  per  oggetto
l'ordinanza n. 74/2020 del 18 maggio 2020, con la quale il Comune  di
Mantova ha intimato alla societa' di pagare la  somma  di  709.204,16
euro a titolo di sanzione pecuniaria, relativamente ad opere eseguite
negli impianti di  ventilazione  dello  stabilimento  in  assenza  di
autorizzazione paesaggistica (oltre che di permesso di costruire). 
    Per queste opere, di cui il Comune di Mantova aveva gia' ordinato
la rimessione in pristino, la societa' aveva  presentato  istanza  di
sanatoria ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. 6  giugno  2001,  n.  380,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in  materia  edilizia  (Testo  A)»,  e  domanda  di  accertamento  di
compatibilita'  paesaggistica  ai  sensi  dell'art.  167  cod.   beni
culturali. 
    Accertata tale compatibilita', lo  stesso  Comune  ha  emesso  il
provvedimento impugnato nel giudizio a quo,  applicando  la  sanzione
pecuniaria prevista al comma 5, terzo e quarto  periodo,  del  citato
art. 167, secondo cui «[q]ualora venga  accertata  la  compatibilita'
paesaggistica, il trasgressore e' tenuto al pagamento  di  una  somma
equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e  il  profitto
conseguito  mediante  la  trasgressione.  L'importo  della   sanzione
pecuniaria e' determinato previa perizia di stima». 
    L'importo della sanzione e' stato determinato ai sensi  dell'art.
83 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005,  nel  testo  introdotto
dall'art. 27 della legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2018,  n.
17 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2018),  secondo
cui   «[l]'applicazione   della   sanzione    pecuniaria,    prevista
dall'articolo  167  del  D.Lgs.  n.  42/2004,  in  alternativa   alla
rimessione in pristino, e' obbligatoria anche nell'ipotesi di assenza
di danno ambientale e, in  tal  caso,  deve  essere  quantificata  in
relazione al profitto conseguito e, comunque, in misura non inferiore
all'ottanta per cento del costo teorico di realizzazione delle  opere
e/o lavori abusivi desumibile dal relativo computo metrico estimativo
e  dai  prezzi  unitari  risultanti  dai  listini  della  Camera   di
commercio, industria, artigianato e agricoltura della  provincia,  in
ogni caso, con la sanzione minima di cinquecento euro». 
    In assenza di un danno ambientale, la perizia disposta dal Comune
di Mantova ha quantificato il costo teorico  di  realizzazione  delle
opere abusive in euro 886.505,20, pervenendo  alla  somma  finale  di
euro 709.204,16, pari all'ottanta per cento di tale costo, di cui  e'
stato ingiunto il pagamento. 
    1.2.- Cartiere  Villa  Lagarina  spa  ha  chiesto  l'annullamento
dell'atto impugnato e la rideterminazione della sanzione nella misura
minima di cinquecento euro per  ogni  singola  trasgressione,  dunque
nella  misura  complessiva  di  duemila  euro  o  in   subordine   di
quattromila euro. 
    Con il terzo motivo di ricorso, che viene in  rilievo  in  questa
sede,  la  societa'  ha   dedotto   l'illegittimita'   derivata   del
provvedimento  impugnato,  conseguente  all'eccepita   illegittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 23, 25, 117, secondo comma,
lettere l), m) e  s),  e  118  Cost.,  della  disposizione  regionale
applicata dal Comune per determinare l'importo della sanzione. 
    1.2.1.- Nel corso del giudizio a quo Cartiere Villa Lagarina  spa
ha presentato motivi aggiunti, impugnando per le stesse ragioni sopra
esposte la cartella esattoriale con cui l'Agenzia delle  entrate,  su
incarico  del  Comune  di  Mantova,  ha  medio  tempore  preteso   la
riscossione  degli  importi  determinati   nei   vari   provvedimenti
sanzionatori relativi agli  interventi  eseguiti  nello  stabilimento
«Cartiera ex Burgo», tra i quali  anche  l'importo  dovuto  in  forza
dell'ordinanza comunale n. 74/2020 del 18 maggio 2020. 
    1.2.2.- Il rimettente riferisce altresi' che in fase cautelare e'
stata accolta la domanda di sospensione dell'efficacia della cartella
esattoriale impugnata con i motivi aggiunti e che  l'udienza  per  il
merito e' stata rinviata,  su  istanza  di  parte,  in  attesa  della
definizione della questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
83 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 sollevata  dallo  stesso
TAR in una controversia analoga tra le medesime parti. 
    Definito l'incidente di costituzionalita' relativo alla  predetta
analoga  controversia  con  l'ordinanza  n.  22  del  2023,  che   ha
dichiarato la questione inammissibile, il TAR ha fissato la  pubblica
udienza di discussione nel merito, al cui esito  la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    1.3.- Il TAR, quanto al terzo motivo, che come si e' detto  viene
qui  in  rilievo,  ritiene   che   la   questione   di   legittimita'
costituzionale  ivi  eccepita  sia  rilevante  e  non  manifestamente
infondata, in termini analoghi a quelli gia'  esposti  nel  sollevare
l'analoga questione decisa da questa Corte  con  la  declaratoria  di
inammissibilita' di cui alla citata ordinanza n. 22 del 2023. 
    Tale pronuncia,  secondo  il  rimettente,  non  precluderebbe  la
riproposizione della questione. 
    Questa Corte, infatti, ha  ritenuto  insussistente  il  requisito
della rilevanza, avendo il TAR deciso i due unici motivi  di  ricorso
dedotti nel precedente giudizio a quo, respingendoli entrambi, con la
conseguenza che, all'atto della rimessione della  questione,  la  sua
potestas iudicandi si era gia' esaurita. 
    Diversamente,  nel  presente  giudizio   a   quo   la   questione
costituirebbe  il   presupposto   di   una   specifica   censura   di
illegittimita' derivata del  provvedimento  sanzionatorio  impugnato,
dedotta con il terzo motivo di ricorso, non ancora deciso dal TAR. 
    Quest'ultimo  conserverebbe  integra,   pertanto,   la   potestas
iudicandi e,  con  essa,  il  potere  di  promuovere  l'incidente  di
legittimita'  costituzionale,  la  cui  definizione  avrebbe   natura
pregiudiziale rispetto al processo principale. 
    1.4.-  Cio'  premesso,  il  rimettente  osserva,  in   punto   di
rilevanza, che nella specie la sanzione pecuniaria prevista dall'art.
167 cod. beni culturali e'  stata  determinata  facendo  applicazione
dell'art. 83 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005. 
    In particolare, la sanzione e' stata quantificata sulla  base  di
una  perizia  di  stima  che  ha  determinato  il  costo  teorico  di
realizzazione delle opere e  dei  lavori  abusivi,  alla  stregua  di
quanto prevede la norma regionale censurata. 
    Tuttavia, mentre l'art. 167, comma 5, terzo  periodo,  cod.  beni
culturali  utilizza  quali  parametri  per  la  determinazione  della
sanzione «il danno arrecato» e «il profitto  conseguito  mediante  la
trasgressione», l'art. 83 della legge reg. Lombardia n. 12  del  2005
fa riferimento anche al «costo teorico di realizzazione  delle  opere
e/o lavori abusivi». 
    Di  conseguenza,  l'eventuale  declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale del citato art.  83  «determinerebbe  l'illegittimita'
del provvedimento sanzionatorio che ne ha fatto applicazione e dunque
l'accoglimento del ricorso con riferimento a  questo  unico  profilo,
dedotto dalla parte ricorrente  con  il  terzo  motivo  di  ricorso».
L'annullamento della sanzione nella  misura  irrogata  costituirebbe,
inoltre,   il   necessario   presupposto    della    sua    eventuale
rideterminazione nei minori importi indicati dalla societa'. 
    1.5.- Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
ritiene che la disciplina delle sanzioni amministrative previste  per
il caso di inosservanza  delle  disposizioni  contenute  nella  Parte
terza del codice dei beni culturali e del paesaggio sia da  ascrivere
alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost.,  in  quanto  rientrante  nella
materia «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali». 
    Non sarebbe condivisibile, dunque, la tesi del Comune di  Mantova
secondo cui  la  disciplina  in  esame  ricadrebbe  nella  competenza
legislativa  residuale  delle  regioni  ai  sensi  del  quarto  comma
dell'art.  117  Cost.  o  in  quella  concorrente   in   materia   di
«valorizzazione dei  beni  culturali  e  ambientali  e  promozione  e
organizzazione di attivita' culturali», di cui  al  terzo  comma  del
medesimo art. 117. 
    Il rimettente osserva sul punto  che,  da  un  lato,  «l'apparato
sanzionatorio previsto per un determinato  settore  dell'ordinamento,
lungi dal costituire una materia a se' stante, accede piuttosto  alla
disciplina sostanziale il cui rispetto intende  assicurare»,  con  la
conseguenza che la definizione del  regime  sanzionatorio  spetta  al
medesimo  soggetto  «nella  cui  sfera  di  competenza   rientra   la
disciplina la cui inosservanza costituisce l'atto  sanzionabile»  (e'
citata la sentenza n. 148 del 2018;  sono,  altresi',  richiamate  le
precedenti sentenze n. 90 del 2013, n. 240 del 2007, n. 384 del  2005
e n. 12 del 2004). Non trattandosi di materia autonoma,  tale  regime
non  potrebbe   «ricadere   nella   previsione   del   comma   quarto
dell'articolo 117 Cost. e dunque essere attribuit[o] in via residuale
alla potesta' legislativa delle Regioni». 
    D'altro lato, la tutela dell'ambiente e del paesaggio e  la  loro
valorizzazione sarebbero «due funzioni, certamente intersecantesi, ma
diversificate l'una dall'altra», mirando la prima alla  conservazione
di un bene complesso  e  unitario  e  la  seconda  a  migliorarne  la
funzione e la conoscenza. 
    Secondo il rimettente, le norme  di  cui  alla  Parte  terza  del
codice dei beni culturali e del paesaggio perseguirebbero  «scopi  di
conservazione   dei   beni   paesaggistici,   in   quanto   vieta[no]
espressamente  qualsivoglia  intervento  che  li   distrugga   o   li
pregiudichi», e al medesimo scopo di tutela sarebbero preordinate  le
sanzioni  (sia  ripristinatorie,  sia  pecuniarie)  previste  per  la
violazione delle  stesse  norme,  in  quanto  dirette  a  scoraggiare
interventi su aree paesaggisticamente tutelate prima che  l'autorita'
amministrativa si sia pronunciata sui relativi progetti. 
    Pertanto,  rientrando  la  disciplina  delle  sanzioni   per   la
violazione  dell'art.  146  cod.  beni   culturali   nella   potesta'
legislativa esclusiva dello Stato, sarebbe precluso alle  regioni  di
introdurre sanzioni ulteriori o diverse rispetto a  quelle  contenute
nella legge statale, sicche' l'art. 83 della legge reg. Lombardia  n.
12 del 2005, il quale contiene previsioni sanzionatorie  difformi  in
un ambito  riservato  alla  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato, violerebbe l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    2.- Cartiere Villa Lagarina spa si e' costituita in  giudizio  il
18 settembre 2023, chiedendo  l'accoglimento  della  questione  sulla
base delle stesse ragioni esposte dal rimettente. 
    Ad avviso della parte privata, inoltre, la quantificazione  della
sanzione introdotta dalla  norma  regionale  censurata  sarebbe  «del
tutto  estranea»  ai  principi  contenuti  nella  norma   statale   e
«soprattutto del  tutto  svincolata  da  qualsivoglia  relazione  con
l'interesse leso e con la finalita' perseguita dagli artt. 146 e  167
D.Lgs. 42/2004». Essa violerebbe dunque  la  disciplina  statale,  in
quanto,  prescindendo  da  una  perizia  di   stima   del   profitto,
introdurrebbe   «una   quantificazione    forfettaria    del    tutto
sproporzionata e priva di qualsivoglia relazione con il  concetto  di
"profitto"». 
    3.-  La  Regione  Lombardia  e'  intervenuta  in  giudizio  il  7
settembre  2023,  chiedendo   che   la   questione   sia   dichiarata
inammissibile o non fondata. 
    3.1.- Preliminarmente, la questione sarebbe inammissibile per  la
sua irrilevanza nella definizione del giudizio a quo, che  verterebbe
solo sulla quantificazione della sanzione amministrativa, e «che  ben
p[otrebbe]  trovare  soluzione  indipendentemente   dall'applicazione
della normativa regionale». 
    In particolare, secondo la difesa regionale,  il  rimettente  non
avrebbe fornito elementi idonei a  ricostruire  ne'  il  procedimento
amministrativo avviato dal Comune di Mantova per calcolare il quantum
dovuto dalla societa' ricorrente per gli interventi  abusivi  oggetto
di accertamento postumo, ne' la  valutazione  tecnica  posta  a  base
della perizia  di  stima  eseguita  dal  consulente  della  societa',
limitandosi a «indicare  i  diversi  criteri  adottati  e  gli  esiti
dell'applicazione  di  tali  criteri   raggiunti   nelle   rispettive
valutazioni» e non rendendo noti gli  elementi  posti  a  base  delle
differenti quantificazioni. 
    Il rimettente, inoltre, non  avrebbe  tentato  un'interpretazione
costituzionalmente   orientata    della    disposizione    censurata.
L'affermazione secondo cui  il  profitto  conseguito  e'  «di  regola
inferiore all'80% del costo di costruzione» lascerebbe «un margine di
indeterminatezza, che mostra come la  verifica  della  rilevanza  sia
avvenuta  in  astratto  e  senza  considerazione  della   fattispecie
concreta e della possibilita' di interpretare  la  norma  in  maniera
costituzionalmente orientata». 
    3.2.- Nel merito, la Regione richiama il contenuto del  comma  5,
terzo periodo, dell'art. 167 cod. beni  culturali  e  sottolinea  che
l'art. 83 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 - nella  versione
originaria, che non conteneva le  previsioni  oggetto  di  censura  -
sarebbe stato adottato per superare le difficolta' applicative  sorte
in relazione a opere abusive che non arrecano  alcun  danno  e  dalle
quali non deriva alcun profitto  per  il  trasgressore  (viene  fatto
l'esempio  dello  «spostamento  di  una  finestra  gia'  prevista,  e
autorizzata, in altra posizione»). 
    Pertanto, la norma regionale non si sarebbe sovrapposta a  quella
statale,  ma  ne  avrebbe  colmato  una  lacuna  che  ne   vanificava
l'applicazione, completandola. 
    Successivamente, come visto, l'art. 27 della legge reg. Lombardia
n. 17 del 2018  ha  ridefinito  i  parametri  per  il  calcolo  della
sanzione paesaggistica, introducendo nell'art.  83  una  «innovazione
legata alla sola quantificazione». 
    A colmare l'asserita lacuna normativa sopra rilevata non varrebbe
neppure il decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali  26
settembre 1997 (citato dal giudice a  quo),  recante  «Determinazione
dei  parametri  e  delle  modalita'  per  la   qualificazione   della
indennita' risarcitoria per le opere abusive  realizzate  nelle  aree
sottoposte a vincolo», poiche', a prescindere  dai  dubbi  sulla  sua
vigenza, esso indica criteri legati al  valore  d'estimo,  senza  «un
riferimento applicabile in ogni caso». 
    Tali considerazioni dimostrerebbero che l'ordinanza di rimessione
muove da «un errore di  fondo»,  ritenendo  integrata  la  violazione
dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.  da  «qualunque
disposizione che  non  risulti  identica,  nel  proprio  testo,  alla
normativa statale». 
    La Regione Lombardia riferisce poi che anche altre  regioni  sono
intervenute per colmare la stessa lacuna della disciplina statale,  e
richiama la legge della Regione Piemonte 3 aprile 1989, n. 20  (Norme
in materia di tutela di beni culturali, ambientali e paesistici),  la
quale prevede, all'art. 16, il pagamento  di  una  sanzione  pari  al
cento per cento del valore delle opere  abusive  e  comunque  di  una
sanzione pari a un predeterminato minimo legale, oltre alla riduzione
in pristino. 
    3.2.1.- Quanto all'ascrivibilita'  della  disciplina  del  potere
sanzionatorio a tutela  del  paesaggio  alla  competenza  legislativa
esclusiva statale di cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),
Cost.,  la  giurisprudenza  di  questa  Corte  non  escluderebbe   la
possibilita' per il legislatore regionale di assumere  tra  i  propri
scopi anche finalita'  di  tutela  del  bene  paesaggistico,  qualora
siffatte  prescrizioni  elevino  il  livello  di  tutela   ambientale
previsto dal legislatore statale. 
    Questa  ipotesi  si  verificherebbe  nel  presente  giudizio,  in
quanto, ad avviso della Regione, il censurato art. 83 non si porrebbe
«in contraddizione»  con  la  potesta'  legislativa  esclusiva  dello
Stato, ne' ridurrebbe i livelli di tutela dell'ambiente. 
    La Regione sostiene inoltre che lo stesso art. 83, nel  prevedere
il criterio di determinazione della  sanzione  in  assenza  di  danno
ambientale, potrebbe  essere  ascritto  alla  competenza  legislativa
concorrente in  materia  di  «valorizzazione  dei  beni  culturali  e
ambientali», di cui all'art. 117, terzo comma, Cost., in  quanto  non
contrasterebbe con la funzione statale di  tutela  paesaggistica,  ma
intenderebbe «sanzionare  quelle  ipotesi  in  cui  il  bene  non  e'
compromesso, ma vi e' stata comunque una alterazione». 
    Tali ipotesi ricadrebbero nell'ambito  della  gestione  dei  beni
culturali e ambientali, da tenere distinta dalla funzione  di  tutela
riservata allo Stato e da ascrivere a quella di valorizzazione  degli
stessi beni: in definitiva, «[u]na volta  assicurato  il  livello  di
tutela previsto dalla legislazione statale»,  la  sanzione  in  esame
costituirebbe  «un  limite  alla  fruizione,  attraverso   una   piu'
stringente tutela del bene». 
    Le stesse considerazioni  riferite  alla  mancanza  di  un  danno
ambientale varrebbero a ricondurre  la  norma  censurata  anche  alla
potesta'  legislativa  concorrente  in  materia   di   «governo   del
territorio», attribuita alle regioni dal  medesimo  art.  117,  terzo
comma, Cost. 
    Tale potesta' comprenderebbe «tutto cio' che attiene all'uso  del
territorio  e  alla  localizzazione  di  impianti  o  attivita'»   e,
collegandosi «trasversalmente» alla materia della tutela  ambientale,
potrebbe essere esercitata senza violare  la  competenza  legislativa
esclusiva dello Stato. Quest'ultima andrebbe  limitata  agli  aspetti
della normativa di tutela ambientale che, per loro natura, richiedono
una  disciplina  unitaria:  di  conseguenza,   la   norma   regionale
censurata, non interferendo con l'individuazione dei beni  tutelabili
e  operando  in  funzione  «aggiuntiva»  alla  legislazione  statale,
avrebbe quantificato la sanzione per l'ipotesi di abusi paesaggistici
non produttivi di danno ambientale, prevedendo un  «parametro-limite»
volto a rendere  piu'  completa  la  disciplina,  «nell'ottica  della
difesa del territorio». 
    4.- Cartiere Villa Lagarina spa ha depositato il 20 dicembre 2023
una memoria illustrativa. 
    Quanto all'eccezione di inammissibilita' sollevata  dalla  difesa
regionale,  la  societa'  osserva  che  il  giudice  a  quo   avrebbe
puntualmente motivato  sulla  rilevanza  della  questione,  la'  dove
afferma che la sanzione e' stata irrogata considerando esclusivamente
il criterio del costo teorico delle opere abusive, previsto dall'art.
83 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005,  e  che  l'accoglimento
della questione  determinerebbe  l'illegittimita'  del  provvedimento
impugnato nel processo principale. 
    Quanto  al  merito,  la  parte  privata  osserva  che  il  quadro
normativo statale di riferimento, costituito dagli artt.  146  e  167
cod. beni culturali, disciplina una fattispecie caratterizzata  dalla
violazione di un obbligo (consistente nella mancanza della preventiva
autorizzazione   paesaggistica)    e    dalla    connessa    sanzione
amministrativa pecuniaria. Quest'ultima, inoltre,  appare  «correlata
intimamente» all'istituto dell'accertamento postumo di compatibilita'
paesaggistica, che produce un  effetto  "sanante"  dell'abuso  e,  al
contempo, svolge  una  funzione  diretta  a  semplificare  e  rendere
efficiente l'azione amministrativa. 
    In questo quadro, risulterebbe  chiara  la  potesta'  legislativa
esclusiva  dello  Stato  a  determinare  la  sanzione  amministrativa
pecuniaria di cui all'art. 167, comma 5, cod.  beni  culturali,  alla
luce della giurisprudenza  costituzionale,  richiamata  dallo  stesso
rimettente,  sulla  spettanza  della  disciplina   sanzionatoria   al
medesimo soggetto nella cui sfera di competenza rientra la disciplina
la cui inosservanza costituisce l'atto sanzionabile. Di  conseguenza,
trattandosi di sanzione irrogata per l'inosservanza di norme poste  a
protezione  del  paesaggio,  come  quelle   attinenti   al   rilascio
dell'autorizzazione   paesaggistica,   la   competenza    legislativa
esclusiva spetterebbe allo Stato  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. 
    L'art. 83 della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005  avrebbe  una
portata innovativa rispetto alla disciplina statale, introducendo  un
criterio  del  tutto  svincolato  dalla  nozione  di  «profitto»  del
trasgressore. Lungi dal costituire una legittima  integrazione  della
disciplina statale, come sostiene  la  Regione,  la  norma  censurata
sarebbe «potenzialmente dirompente rispetto all'omogenea ed  unitaria
applicazione» dei precetti di cui all'art. 167 cod.  beni  culturali.
Essa comporterebbe, infatti, un evidente  rischio  di  sperequazioni,
considerando che nelle altre regioni sarebbe generalmente adottato il
(ben  piu'  favorevole)  criterio  di  quantificazione  del  profitto
previsto dal d.m. 26 settembre 1997, «pari, in via ordinaria, al  tre
per cento del valore d'estimo». Da tale  diversita'  di  trattamento,
inoltre,  risulterebbe   disincentivato   il   ricorso   all'istituto
dell'accertamento di compatibilita' paesaggistica e, di  conseguenza,
pregiudicata anche la  sua  funzione  deflattiva,  determinando  tale
accertamento l'estinzione del reato previsto dall'art. 181 cod.  beni
culturali. 
    Ne' la  norma  regionale  censurata  sarebbe  riconducibile  alle
materie della valorizzazione dei beni culturali  e  del  governo  del
territorio, per i motivi esposti nell'ordinanza di rimessione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il TAR Lombardia, sezione staccata di Brescia, sezione prima,
dubita della legittimita' costituzionale  dell'art.  83  della  legge
reg. Lombardia n. 12 del 2005, in riferimento all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 146 e 167, comma 5,
cod. beni culturali. 
    La disposizione censurata stabilisce che «[l]'applicazione  della
sanzione  pecuniaria,  prevista  dall'articolo  167  del  D.Lgs.   n.
42/2004, in alternativa alla rimessione in pristino, e'  obbligatoria
anche nell'ipotesi di assenza di danno ambientale  e,  in  tal  caso,
deve essere quantificata  in  relazione  al  profitto  conseguito  e,
comunque, in misura non inferiore all'ottanta  per  cento  del  costo
teorico di realizzazione delle opere e/o  lavori  abusivi  desumibile
dal  relativo  computo  metrico  estimativo  e  dai  prezzi   unitari
risultanti  dai  listini  della  Camera  di   commercio,   industria,
artigianato e agricoltura della  provincia,  in  ogni  caso,  con  la
sanzione minima di cinquecento euro». 
    Nel giudizio a quo e'  impugnato  il  provvedimento  con  cui  il
Comune  di  Mantova,   dopo   avere   accertato   la   compatibilita'
paesaggistica  di  opere  realizzate  senza  autorizzazione   in   un
complesso industriale sito in  un'area  parzialmente  assoggettata  a
vincolo paesaggistico, ha irrogato al  trasgressore  (Cartiere  Villa
Lagarina spa) la sanzione pecuniaria prevista all'art. 167, comma  5,
cod. beni culturali. L'importo della sanzione, in assenza di un danno
ambientale, e' stato commisurato  all'ottanta  per  cento  del  costo
teorico di costruzione delle opere abusive, previa perizia di  stima,
in applicazione del criterio introdotto dall'art. 83 della legge reg.
Lombardia n. 12 del 2005. 
    La questione di  legittimita'  costituzionale  investe  la  parte
della disposizione regionale che stabilisce la misura della sanzione,
secondo  le  modalita'  indicate  dalla  stessa   disposizione,   con
previsione di un minimo inderogabile di cinquecento euro. 
    Il giudice a quo ritiene che il legislatore regionale,  adottando
una disposizione difforme da quella stabilita dall'art. 167 cod. beni
culturali, abbia invaso  la  competenza  legislativa  in  materia  di
«tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei   beni   culturali»,
attribuita in via esclusiva allo Stato dall'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Cost. 
    A suo avviso, le norme di cui alla Parte  terza  del  codice  dei
beni culturali e del  paesaggio,  nel  cui  ambito  e'  contenuta  la
disciplina dell'autorizzazione  paesaggistica  di  cui  all'art.  146
dello stesso codice,  perseguono  scopi  di  conservazione  dei  beni
paesaggistici, alla realizzazione  dei  quali  sarebbero  preordinate
anche le sanzioni - sia ripristinatorie, sia  pecuniarie  -  previste
dall'art. 167 cod. beni culturali, in quanto  dirette  a  scoraggiare
interventi eseguiti su aree  paesaggisticamente  tutelate  prima  che
l'autorita' amministrativa si sia pronunciata sui relativi progetti. 
    Pertanto,  rientrando  la  disciplina  delle  sanzioni   per   la
violazione del citato art. 146 cod.  beni  culturali  nella  potesta'
legislativa esclusiva dello Stato, sarebbe precluso alle  regioni  di
introdurre sanzioni ulteriori o  diverse,  anche  solo  nel  quantum,
rispetto a quelle fissate dalla legge statale. 
    2.- In via preliminare,  si  deve  innanzi  tutto  escludere  che
influisca sull'ammissibilita' della questione  il  fatto  che  questa
Corte, con l'ordinanza  n.  22  del  2023,  abbia  definito  con  una
pronuncia  di  inammissibilita'  un'identica  questione  incidentale,
sollevata  dallo  stesso  giudice  rimettente  nel   corso   di   una
controversia analoga, vertente tra le stesse parti. 
    2.1.-  L'inammissibilita'  e'   stata   dichiarata,   in   quella
pronuncia, per avere «il giudice a quo [...] gia' deciso i due  unici
motivi di ricorso, respingendoli entrambi, con  la  conseguenza  che,
all'atto della rimessione della questione, la sua potestas  iudicandi
si  era  gia'  esaurita»:  da  qui  il  difetto  di  rilevanza,  «non
residuando in capo al rimettente alcuno spazio di decisione, nel  cui
ambito soltanto potrebbe trovare  applicazione  la  norma  della  cui
legittimita' costituzionale il giudice stesso dubita». 
    Una tale pronuncia, di carattere  processuale,  non  preclude  la
riproposizione della questione in un diverso giudizio, in quanto  non
comporta  alcun  effetto  impeditivo  nei  confronti  di   successive
censure, pure analoghe, relative alla stessa norma  (sentenza  n.  99
del 2017). 
    Nell'odierno giudizio  a  quo,  infatti,  il  rimettente  non  ha
esaurito la potestas  iudicandi,  in  quanto,  dopo  avere  accertato
l'infondatezza dei primi due motivi di ricorso, deve ancora  decidere
in ordine al terzo, con il quale l'illegittimita'  del  provvedimento
impugnato  e'  fatta   derivare   dalla   (eccepita)   illegittimita'
costituzionale della sua base normativa. 
    Sotto questo profilo, dunque, la questione e' ammissibile. 
    2.2.- La Regione Lombardia ha eccepito il  difetto  di  rilevanza
sotto plurimi profili. In primo luogo, perche' nel giudizio a quo  si
controverte della quantificazione della sanzione amministrativa, tema
che   «ben    p[otrebbe]    trovare    soluzione    indipendentemente
dall'applicazione della normativa regionale». 
    L'eccezione non  e'  fondata.  Tale  assertiva  affermazione  non
considera  che,  come  riferisce  il  rimettente,  il   provvedimento
impugnato nel giudizio a quo ha determinato l'entita' della  sanzione
esclusivamente sulla base del criterio previsto  dall'art.  83  della
legge reg. Lombardia n. 12 del 2005 (id est, «in misura non inferiore
all'ottanta per cento del costo teorico di realizzazione delle  opere
e/o lavori  abusivi»),  sul  presupposto  dell'assenza  di  un  danno
ambientale. Di conseguenza, non si vede  come  la  definizione  della
controversia sul quantum potrebbe prescindere dall'applicazione della
norma regionale censurata. 
    In secondo luogo, ad avviso della difesa regionale, il rimettente
non avrebbe fornito elementi idonei a ricostruire ne' il procedimento
amministrativo  avviato  dal  Comune  di  Mantova  per  calcolare  la
sanzione, ne' la valutazione tecnica posta a base  della  perizia  di
stima «effettuata  dal  consulente  della  societa'»,  limitandosi  a
«indicare i diversi criteri adottati e gli esiti dell'applicazione di
tali criteri raggiunti nelle rispettive valutazioni»,  senza  rendere
noti gli elementi posti a base delle «differenti quantificazioni». Il
rimettente, inoltre, avrebbe verificato  la  rilevanza  in  astratto,
limitandosi ad affermare che il profitto  conseguito  e'  «di  regola
inferiore  all'80%  del  costo   di   costruzione»,   senza   neppure
considerare  la  possibilita'  di  interpretare  la  norma  in  senso
costituzionalmente orientato. 
    Va premesso che con queste argomentazioni  la  Regione  contesta,
piuttosto,  un  difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza,  che  non
sussiste. 
    Le lacune lamentate, peraltro non tutte di  agevole  comprensione
(specie dove l'interveniente allude a una perizia di parte  e  a  non
meglio precisate «differenti  quantificazioni»),  non  sono  comunque
idonee  a  dimostrare   la   mancanza   dei   requisiti   minimi   di
ammissibilita' della questione. 
    Il   TAR,   infatti,   motiva   in    modo    non    implausibile
sull'applicabilita'  della  norma  censurata  nel  giudizio  a   quo.
L'ordinanza    di    rimessione    contiene    chiari     riferimenti
all'accertamento di compatibilita'  paesaggistica  e  al  conseguente
provvedimento sanzionatorio adottato ai sensi dell'art. 167 cod. beni
culturali, precisando che la sanzione e' stata determinata sulla base
del criterio introdotto dall'art. 83 della legge reg. Lombardia n. 12
del 2005, alla cui stregua, in assenza di  un  danno  ambientale,  la
sanzione e' comunque quantificata nella  misura  minima  dell'ottanta
per cento del costo teorico di  realizzazione  delle  opere  abusive,
previa perizia di stima. 
    E' dunque illustrato in modo esaustivo il nesso esistente tra  la
norma censurata e il provvedimento  sottoposto  alla  cognizione  del
rimettente, il quale,  lungi  dall'aver  esaminato  la  rilevanza  in
astratto, ha verificato come, in concreto,  solo  la  caducazione  di
tale norma (e, con essa, il venir meno del rigido criterio legale  di
quantificazione minima dell'importo dovuto dal trasgressore) potrebbe
condurre all'annullamento della  sanzione  e  consentire  l'eventuale
rideterminazione di quest'ultima nel  minor  importo  indicato  dalla
ricorrente nel processo principale. 
    Quanto  al  rilievo   concernente   il   mancato   tentativo   di
interpretazione conforme a Costituzione, e' sufficiente osservare che
il giudice a quo ha accolto non implausibilmente  una  piana  lettura
della norma regionale, secondo cui  essa  introduce  un  criterio  di
calcolo non  previsto  dalla  norma  statale  interposta,  mentre  la
Regione ipotizza che tale  difformita'  non  leda  effettivamente  la
competenza legislativa esclusiva dello Stato in  materia  ambientale:
cio' che attiene al merito della questione. 
    3.- Prima di  esaminare  il  merito,  va  ricostruito  il  quadro
normativo e giurisprudenziale di riferimento. 
    3.1.- L'art. 167 cod. beni culturali, sotto la rubrica «Ordine di
rimessione in pristino o di versamento di indennita' pecuniaria»,  al
comma 1 prevede che, «[i]n caso di violazione degli obblighi e  degli
ordini previsti dal Titolo I della Parte terza,  il  trasgressore  e'
sempre tenuto alla rimessione in  pristino  a  proprie  spese,  fatto
salvo quanto previsto al comma 4». 
    Per  regola  generale,  dunque,   le   opere   realizzate   senza
autorizzazione paesaggistica, in violazione dell'art. 146  cod.  beni
culturali (disposizione contenuta nel Titolo I della Parte terza  del
codice), non sono suscettibili di "sanatoria", tramite  il  pagamento
di una somma di denaro, ma comportano l'applicazione  della  sanzione
di carattere reale della riduzione in pristino. 
    Le  uniche  deroghe  alla  sanzione  ripristinatoria  reale  sono
contemplate al comma 4 dello stesso art. 167, secondo cui l'autorita'
amministrativa competente  accerta  la  compatibilita'  paesaggistica
dopo la realizzazione  delle  opere  (onde  tale  accertamento  viene
comunemente definito "postumo") nei seguenti casi tassativi: 
    a)  per  i  lavori,   realizzati   in   assenza   o   difformita'
dall'autorizzazione  paesaggistica,  che  non   abbiano   determinato
creazione di superfici  utili  o  volumi  ovvero  aumento  di  quelli
legittimamente realizzati; 
    b) per l'impiego di materiali in difformita'  dall'autorizzazione
paesaggistica; 
    c) per  i  lavori  comunque  configurabili  quali  interventi  di
manutenzione ordinaria o straordinaria  ai  sensi  dell'art.  3  t.u.
edilizia. 
    In queste ipotesi, il  proprietario,  possessore  o  detentore  a
qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area e'  ammesso  a  presentare
domanda di  accertamento  della  compatibilita'  paesaggistica  degli
interventi (comma 5, primo periodo). 
    L'autorita'  competente  si  pronuncia  sulla  domanda  entro  il
termine perentorio di centottanta giorni,  previo  parere  vincolante
della soprintendenza da  rendersi  entro  il  termine  perentorio  di
novanta giorni (comma 5, secondo periodo). 
    Qualora  venga  accertata  la  compatibilita'  paesaggistica,  il
trasgressore e' tenuto al  pagamento  di  una  somma  equivalente  al
maggiore importo tra il  danno  arrecato  e  il  profitto  conseguito
mediante la trasgressione (comma 5, terzo periodo). 
    L'importo  della  «sanzione  pecuniaria»  e'  determinato  previa
perizia di stima (comma 5, quarto periodo). 
    In  caso  di  rigetto  della  domanda  si  applica  la   sanzione
demolitoria di cui al comma 1 (comma 5, quinto periodo). 
    A tale disciplina si raccorda l'art.  146  cod.  beni  culturali,
alla cui stregua, «[f]uori dai casi di cui all'articolo 167, commi  4
e  5,  l'autorizzazione  non  puo'  essere  rilasciata  in  sanatoria
successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi»
(comma 4, secondo periodo). 
    Questo  assetto  normativo  e'  il   risultato   della   modifica
introdotta dall'art. 27, comma 1, del decreto  legislativo  24  marzo
2006, n. 157  (Disposizioni  correttive  ed  integrative  al  decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in relazione al  paesaggio),  che
ha integralmente sostituito l'art. 167 cod. beni culturali. 
    Il previgente comma 1  di  tale  ultima  disposizione  prevedeva,
infatti, che «[i]n caso di violazione degli obblighi e  degli  ordini
previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore  e'  tenuto,
secondo  che  l'autorita'   amministrativa   preposta   alla   tutela
paesaggistica ritenga piu' opportuno nell'interesse della  protezione
dei beni indicati nell'articolo 134, alla rimessione  in  pristino  a
proprie spese o al pagamento di una  somma  equivalente  al  maggiore
importo tra il danno arrecato e il profitto  conseguito  mediante  la
trasgressione. La somma e' determinata previa perizia di stima». 
    Il trattamento delle violazioni degli obblighi e degli  ordini  a
tutela del paesaggio era dunque caratterizzato, prima  della  novella
del 2006, dalla titolarita' in capo all'amministrazione del potere di
scegliere in ogni  caso  fra  ripristino  dello  status  quo  ante  e
pagamento  di  una  somma  di  denaro.  Cio',  in  linea  con  quanto
precedentemente disposto, in termini sostanzialmente identici,  prima
dall'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n.  1497  (Protezione  delle
bellezze naturali), poi dall'art.  164  del  decreto  legislativo  29
ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle disposizioni  legislative  in
materia di beni culturali e ambientali, a norma dell'articolo 1 della
legge 8 ottobre 1997, n. 352). 
    La  modifica  del  2006  ha  dunque  significativamente  innovato
rispetto al nucleo essenziale di una disciplina risalente nel  tempo,
prevedendo  che  l'amministrazione  non  abbia  piu'   la   descritta
possibilita'  di  scegliere  fra  riduzione  in  pristino  e   misura
pecuniaria, nonche'  relegando  quest'ultima  ad  alcune  fattispecie
abusive  minori,  previo  accertamento  della   loro   compatibilita'
paesaggistica. 
    Cio' premesso, a venire qui in rilievo  sono,  nel  caso  in  cui
sopravvenga l'accertamento "postumo" di compatibilita' paesaggistica,
i criteri di calcolo della somma  dovuta  dal  trasgressore,  che  il
legislatore statale ha individuato nel «maggiore importo tra il danno
arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione». 
    3.1.1.- La rubrica dell'art. 167 cod.  beni  culturali  parla  di
«indennita' pecuniaria» in relazione all'importo che il  trasgressore
e'  tenuto  a  pagare,  una   volta   accertata   la   compatibilita'
paesaggistica degli interventi. 
    Il medesimo art. 167 e' peraltro inserito nel Capo II del  Titolo
I della Parte quarta del codice dei beni culturali e  del  paesaggio,
dedicato alle «Sanzioni  relative  alla  Parte  terza»  dello  stesso
codice. 
    Inoltre, il comma 5 dell'art. 167 prevede, come gia'  detto,  che
l'importo della «sanzione pecuniaria» sia determinato previa  perizia
di stima. 
    Secondo   il   costante   orientamento    della    giurisprudenza
amministrativa, non si tratta di una forma di risarcimento del danno,
ma di una sanzione amministrativa  applicabile  a  prescindere  dalla
concreta  produzione  di  un  danno  ambientale.   Nella   previsione
normativa, il danno viene in considerazione  solo  come  criterio  di
commisurazione della sanzione - in alternativa al profitto conseguito
- e non come parametro che ne condiziona l'an. L'assenza di un  danno
ambientale non ostacola, dunque, il potere sanzionatorio,  ma  assume
rilievo sotto il profilo della quantificazione  dell'importo  dovuto,
che sara' ragguagliata al solo profitto  conseguito  (tra  le  molte,
Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza  30  ottobre  2020,  n.
6678, sentenza 25 luglio 2020, n. 4755, sentenza 4  maggio  2020,  n.
2840; sezione sesta, sentenza 8 gennaio 2020, n. 130). 
    Lo stesso costante orientamento  giurisprudenziale  qualifica  la
misura in esame come sanzione riparatoria alternativa  al  ripristino
dello status quo ante. A tal riguardo, il Consiglio di Stato  osserva
che,  «proprio  in   funzione   della   sua   natura   di   carattere
ripristinatori[o] alternativa alla demolizione», la  sanzione  «viene
ragguagliata "al pagamento  di  una  somma  equivalente  al  maggiore
importo tra il danno arrecato e il profitto  conseguito  mediante  la
trasgressione" e, in base all'art. 167 del d.lgs.  42  del  2004,  le
somme "sono utilizzate per finalita' di salvaguardia,  interventi  di
recupero dei valori  ambientali  e  di  riqualificazione  delle  aree
degradate"» (Consiglio di Stato, sezione sesta,  sentenze  30  giugno
2023, n. 6380 e n. 6381; nello stesso senso, tra le molte,  Consiglio
Stato, sezione prima, parere  definitivo  18  maggio  2022,  n.  877;
sezione seconda, sentenza 30 ottobre 2020, n. 6678). 
    3.1.2.- Come si e' visto, l'art. 83 della legge reg. Lombardia n.
12 del 2005 e' censurato dal giudice a quo nel testo, attualmente  in
vigore, introdotto dall'art. 27, comma 1, della legge reg.  Lombardia
n. 17 del 2018. 
    Il  testo  anteriore  alla  modifica   era   il   seguente:   «1.
L'applicazione della sanzione pecuniaria, prevista dall'articolo  167
del D.Lgs. 42/2004, in alternativa alla rimessione  in  pristino,  e'
obbligatoria anche nell'ipotesi di assenza di danno ambientale e,  in
tal  caso,  deve  essere  quantificata  in  relazione   al   profitto
conseguito e, comunque, in misura non inferiore a cinquecento euro». 
    Nella  versione  originaria,  l'art.  83  si  limitava  dunque  a
prevedere, nella sostanza, che la sanzione si dovesse applicare anche
in assenza di danno e fosse in tal  caso  determinata  esclusivamente
sulla base del profitto conseguito dal trasgressore.  Previsione  che
era   gia'   desumibile   dall'art.   167   cod.    beni    culturali
nell'interpretazione   accolta   dalla   richiamata    giurisprudenza
amministrativa, secondo cui l'assenza  di  un  danno  ambientale  non
ostacola il potere sanzionatorio, ma assume rilievo sotto il  profilo
della commisurazione della sanzione, che sara' ragguagliata  al  solo
profitto conseguito. Si aggiungeva, peraltro, una misura  minima  non
inferiore «comunque» a cinquecento euro. 
    Con la modifica introdotta dal citato art.  27,  comma  1,  della
legge reg. Lombardia n. 17 del 2018  e'  stato  mantenuto  il  minimo
inderogabile di cinquecento euro, ma,  per  determinare  la  sanzione
pecuniaria in caso di assenza di danno  ambientale,  si  e'  aggiunto
l'ulteriore criterio parametrato al costo  teorico  di  realizzazione
degli  interventi  abusivi,  da  desumere  nei  modi  indicati  dalla
medesima  disposizione.  In  quest'ultima  versione,  l'art.  83   e'
interpretabile  nel  senso  che  la  nuova  misura  percentuale  pari
all'ottanta per cento di detto costo (che non  puo'  «in  ogni  caso»
scendere al di sotto di cinquecento euro, in forza  della  previsione
di chiusura)  si  applichera'  sia  nel  caso  in  cui  il  «profitto
conseguito» dal trasgressore risulti inferiore ad essa o  di  incerta
quantificazione, sia nel caso in cui anche il profitto, come il danno
ambientale, non sussista. 
    4.- Cio' premesso, la questione e' fondata. 
    4.1.- Da un lato, la misura prevista dall'art. 167, comma 5, cod.
beni  culturali  costituisce,  come  si  e'   detto,   una   sanzione
amministrativa pecuniaria di natura riparatoria. 
    D'altro lato, non e' dubitabile che la norma regionale  censurata
incida sulla determinazione del quantum di tale sanzione. 
    Per costante giurisprudenza di questa  Corte,  «la  competenza  a
prevedere sanzioni  amministrative  non  costituisce  materia  a  se'
stante, ma "accede alle materie  sostanziali"  [...]  alle  quali  le
sanzioni si riferiscono, spettando dunque la loro previsione all'ente
"nella  cui  sfera  di  competenza  rientra  la  disciplina  la   cui
inosservanza costituisce l'atto sanzionabile [...]» (sentenza n.  121
del 2023; nello stesso senso, sentenze n. 201 del  2021,  n.  84  del
2019, n. 148 e n. 121 del 2018, n. 90 del 2013 e n. 271 del 2012). 
    Si tratta quindi di verificare quale sia  la  materia  a  cui  si
riferisce la sanzione e se in tale materia la competenza  legislativa
spetti allo Stato o alle regioni. 
    Sulla base del quadro normativo  ricostruito  in  precedenza,  la
sanzione consegue alla realizzazione di lavori  rientranti  nei  casi
tassativi indicati al comma 4 dell'art. 167 cod. beni culturali,  per
i quali sia intervenuto l'accertamento  "postumo"  di  compatibilita'
paesaggistica di cui al successivo comma 5. 
    L'atto  sanzionabile  e'  costituito,  dunque,  dall'inosservanza
della    disciplina    relativa    alla    tutela     del     vincolo
paesaggistico-ambientale,  e  segnatamente  dall'inosservanza   delle
norme che regolano l'autorizzazione paesaggistica, la quale,  secondo
la costante giurisprudenza costituzionale, deve essere annoverata tra
gli istituti di protezione ambientale uniformi, validi  in  tutto  il
territorio nazionale (tra le molte, sentenze n. 201 del 2021, n.  246
del 2017, n. 238 del 2013 e n. 101 del 2010). 
    In ragione di cio', la disciplina sostanziale cui si riferisce la
sanzione pecuniaria in esame  deve  necessariamente  ascriversi  alla
competenza legislativa esclusiva dello Stato in  materia  di  «tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali», di cui all'art.
117, secondo comma, lettera  s),  Cost.,  stante  l'esistenza  di  un
evidente interesse unitario alla tutela del paesaggio e a  un  eguale
trattamento in tutto il territorio nazionale della tipologia di abusi
paesaggistici suscettibili di accertamento di compatibilita'. 
    Si e' gia' chiarito che la  quantificazione  della  sanzione,  in
caso di assenza di  danno  ambientale,  nella  misura  non  inferiore
all'ottanta per cento del costo teorico di costruzione  «delle  opere
e/o lavori abusivi», con il minimo inderogabile di cinquecento  euro,
non e' prevista dalla disciplina adottata dallo Stato  nell'esercizio
della sua competenza legislativa esclusiva; in  particolare,  non  e'
prevista dall'art. 167 cod. beni culturali. 
    Le ineludibili esigenze  di  uniformita'  di  trattamento  appena
evidenziate impediscono al legislatore regionale di  intervenire  con
norme difformi dalle previsioni statali di  tutela  paesaggistica  in
senso  stretto  (sentenza  n.  201  del  2021),   come   quelle   che
disciplinano l'inosservanza del regime autorizzatorio. 
    4.2.-  La  Regione  si  difende  sostenendo   che   la   potesta'
legislativa statale non sarebbe violata, in quanto il censurato  art.
83 non si porrebbe «in contraddizione» con  essa,  ne'  ridurrebbe  i
livelli di tutela dell'ambiente, limitandosi  a  colmare  una  lacuna
della norma statale, che ne vanificherebbe l'applicazione nei casi di
opere abusive non recanti alcun danno e dalle quali non deriva  alcun
profitto per il trasgressore.  Il  legislatore  regionale,  in  altri
termini, avrebbe completato «l'apparato di tutela di cui al  D.  Lgs.
n. 42/2004». 
    L'argomento non e' condivisibile. 
    La norma regionale non e' censurata perche' avrebbe  arrecato  un
vulnus alla tutela del paesaggio, ma per violazione della  competenza
legislativa statale di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera  s),
Cost.  Pertanto,  la  tesi  difensiva  volta  ad  escludere  che   il
legislatore regionale abbia ridotto i livelli  di  tutela  ambientale
non e' conferente. 
    Quanto al dedotto completamento «[del]l'apparato di tutela di cui
al D. Lgs.  n.  42/2004»,  e'  sufficiente  osservare  che  anche  la
potesta' di colmare per via  legislativa  asserite  lacune  di  norme
sanzionatorie spetta al soggetto  dotato  di  competenza  nell'ambito
materiale cui  le  sanzioni  stesse  si  riferiscono  (quindi,  nella
specie, allo Stato). 
    Ne' si puo' ritenere - aderendo a un assunto che  traspare  dalle
difese della Regione - che la  norma  sanzionatoria  in  oggetto  non
violi la competenza legislativa esclusiva dello Stato perche' avrebbe
elevato la tutela dell'ambiente, com'e' consentito fare alle regioni,
a certe condizioni, nell'esercizio  di  competenze  interferenti  con
quella ambientale (ampiamente sul punto, sentenza n. 16 del 2024;  in
precedenza, sentenze n. 163 del 2023, n. 66  del  2018,  n.  212  del
2017, n. 210 del 2016, n. 171 del 2012 e n. 407 del 2002). La Regione
non puo' interferire con la disciplina dettata dal  codice  dei  beni
culturali e del paesaggio. 
    In ogni caso, non e' corretto affermare che, sempre  al  fine  di
elevare la  tutela  ambientale,  l'intervento  legislativo  regionale
abbia effettivamente colmato una lacuna dell'art. 167, comma 5,  cod.
beni culturali, completandone il dettato per l'ipotesi di assenza sia
di danno ambientale sia di profitto. La norma statale,  infatti,  ben
puo' essere interpretata nel  senso  che  in  tale  ipotesi  non  sia
irrogabile alcuna sanzione, non senza considerare  che  la  sfera  di
efficacia della norma censurata e' piu' ampia di  quella  prospettata
dalla  Regione,  poiche'  introduce  «comunque»  la   sanzione   pari
all'ottanta per cento del costo teorico di realizzazione,  anche  nel
caso in cui un profitto  esista,  ma  sia  quantificabile  in  misura
inferiore. 
    4.3.- La Regione sostiene inoltre  che  l'art.  83,  nella  parte
censurata, potrebbe essere ricondotto  alle  materie  «valorizzazione
dei  beni  culturali  e  ambientali»  e  «governo  del   territorio»,
attribuite alla  competenza  legislativa  concorrente  delle  regioni
dall'art. 117, terzo comma, Cost. 
    A suo avviso,  la  sanzione,  ove  manchi  un  danno  ambientale,
riguarderebbe «quelle ipotesi in cui il bene non e'  compromesso,  ma
vi e' stata comunque una alterazione». In tal caso, la  sanzione  non
potrebbe  riferirsi  alla  tutela   paesaggistica,   riservata   alla
competenza  legislativa  esclusiva   dello   Stato,   ma   ricadrebbe
nell'ambito della «gestione» dei beni  ambientali,  rientrante  nella
materia  «valorizzazione  dei  beni  culturali   e   ambientali»,   o
nell'ambito della difesa del territorio, riconducibile  alla  materia
«governo del territorio». 
    Anche questa tesi non e' condivisibile. 
    E' chiaro, infatti, che la tutela dell'ambiente e  del  paesaggio
prescinde dalla sussistenza di un danno ambientale. Essa si sostanzia
nel predisporre strumenti di protezione di tali beni comuni,  come  i
piani paesaggistici, o le  autorizzazioni,  o  i  divieti,  strumenti
questi tutti previsti dal codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    Nella prospettiva  indicata,  l'eventuale  assenza  di  un  danno
ambientale  non  costituisce  una  ragione  idonea  a   scindere   il
collegamento tra la sanzione e la disciplina di tutela paesaggistica. 
    L'atto  sanzionabile,   come   si   e'   detto,   e'   costituito
dall'inosservanza delle norme che disciplinano uno  dei  fondamentali
istituti   di   protezione   ambientale,    quale    l'autorizzazione
paesaggistica. La conseguente sanzione riparatoria, alternativa  alla
riduzione in pristino nei casi tassativi  di  abusi  suscettibili  di
accertamento  di  compatibilita'   paesaggistica,   partecipa   della
medesima natura di ricomposizione  della  legalita'  violata  propria
della  misura  di  carattere  reale,  a  prescindere   dall'effettiva
produzione di un danno ambientale. In ragione di cio',  il  danno  si
configura come un mero criterio di commisurazione  della  sanzione  e
non ne condiziona l'applicabilita'. 
    Anche  da  questo  angolo  visuale,  dunque,   e'   indubbia   la
riconducibilita' della norma censurata  alla  sfera  degli  interessi
pubblici concernenti la tutela ambientale e  paesaggistica,  la  cura
dei quali spetta in via esclusiva allo Stato. 
    4.4.- Accertata la violazione del riparto di competenze tra Stato
e regioni, si osserva che il rimettente non  circoscrive  il  petitum
alle parti dell'art. 83 aggiunte dalla legge reg. Lombardia n. 17 del
2018. Le sue censure si appuntano sull'introduzione della misura  non
inferiore all'ottanta per cento del costo teorico di  costruzione  e,
implicitamente,  anche  sulla  previsione   della   sanzione   minima
inderogabile di cinquecento euro (presente sia nel  testo  originario
della  norma  che  in  quello  novellato,   con   alcune   variazioni
lessicali),  anch'essa  difforme  rispetto  alla  disciplina  di  cui
all'art. 167, comma 5, cod. beni culturali. 
    Va dunque dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 83
della legge reg. Lombardia n. 12 del 2005, limitatamente alle  parole
«e, comunque, in misura non inferiore all'ottanta per cento del costo
teorico di realizzazione delle opere e/o  lavori  abusivi  desumibile
dal  relativo  computo  metrico  estimativo  e  dai  prezzi   unitari
risultanti  dai  listini  della  Camera  di   commercio,   industria,
artigianato e agricoltura della  provincia,  in  ogni  caso,  con  la
sanzione minima di cinquecento euro».