ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 1,
del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia
di federalismo Fiscale  Municipale),  come  sostituito  dall'art.  1,
comma  715,  della  legge  27  dicembre   2013,   n.   147,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (Legge di stabilita'  2014)»,  promossi  dalla  Corte  di
giustizia tributaria di primo grado di Como, sezione 3,  dalla  Corte
di giustizia tributaria di primo grado di Genova, sezione 2, e  dalla
Corte di giustizia tributaria di primo grado di  Torino,  sezione  1,
con ordinanze del 17 gennaio 2023, del  7  dicembre  2022  e  del  15
settembre 2023, iscritte, rispettivamente, ai numeri 34, 38 e 154 del
registro ordinanze 2023 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica numeri 13, 14 e 46, prima serie speciale, dell'anno 2023. 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  Coop   Liguria   societa'
cooperativa di consumo, Societa' Reale Mutua di assicurazioni,  Reale
Immobili spa e Compagnia  Italiana  di  Previdenza,  Assicurazioni  e
Riassicurazioni spa, nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente
del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  9  gennaio  2024  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi gli  avvocati  Livia  Salvini  per  Coop  Liguria  societa'
cooperativa di consumo, Gianluca  Zandano  e  Lorenzo  Trinchera  per
Societa' Reale Mutua di assicurazioni, Reale Immobili spa e Compagnia
Italiana  di  Previdenza,  Assicurazioni  e  Riassicurazioni  spa,  e
l'avvocato dello Stato  Alessandro  Maddalo  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 gennaio 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 7 dicembre 2022 (iscritta  al  n.  38  reg.
ord. 2023), la Corte  di  giustizia  tributaria  di  primo  grado  di
Genova, sezione 2, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41 e 53
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 14, comma 1, del decreto legislativo 14 marzo 2011,  n.  23
(Disposizioni in materia di  federalismo  Fiscale  Municipale),  come
sostituito dall'art. 1, comma 715, della legge 27 dicembre  2013,  n.
147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», nella  parte  in
cui  prevede  che  «[l]'imposta  municipale  propria  relativa   agli
immobili strumentali e' deducibile ai fini della  determinazione  del
reddito di impresa e del reddito derivante dall'esercizio di  arti  e
professioni nella misura del 20 per cento». 
    1.1.- Il rimettente riferisce che la questione e' sorta nel corso
di un giudizio promosso dalla Coop Liguria  societa'  cooperativa  di
consumo,  in  conseguenza  del  silenzio-rifiuto  dell'Agenzia  delle
entrate sulla istanza di rimborso  da  essa  presentata,  per  l'anno
2016, della maggiore imposta sui redditi delle societa'  versata,  «a
causa della parziale indeducibilita' dell'[imposta municipale propria
(IMU)]  relativa  agli   immobili   strumentali».   A   seguito   del
silenzio-rifiuto dell'amministrazione finanziaria, la societa'  aveva
quindi proposto ricorso per vedere riconosciuto il proprio diritto al
rimborso,  stante  la  ritenuta  integrale  deducibilita'   ai   fini
dell'imposta sui redditi delle societa' (IRES) dell'IMU  versata  per
gli immobili strumentali, essendo questa un costo inerente e un onere
fiscale deducibile, ai sensi degli  artt.  75  e  79  del  d.P.R.  22
dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui
redditi); in via subordinata, aveva inoltre prospettato il  contrasto
dell'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23  del  2011,  come  sostituito
dall'art. 1, comma 715, della legge n. 147 del 2013, con gli artt. 3,
41 e 53 Cost. 
    1.2.- In punto di rilevanza, il  rimettente  ritiene  provata  la
natura strumentale dei beni immobili per i  quali  e'  stata  versata
l'IMU. Precisa, a tal proposito, che «e'  sufficiente  richiamare  la
documentazione in atti, tramite la quale e' data  piena  prova  della
relazione strumentale esistente tra gli immobili a disposizione della
societa'  e  l'attivita'  concretamente  svolta  dalla  medesima.  La
ricorrente svolge attivita' di grande distribuzione commerciale e gli
immobili costituiscono le sedi dei punti vendita». 
    Evidenzia, quindi, che la decisione non potrebbe prescindere  dal
vaglio di legittimita' costituzionale della norma censurata. 
    1.3.- In punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
ritiene che il censurato art. 14, comma 1, come sostituito  dall'art.
1, comma 715, della legge n. 147 del 2013, violerebbe gli artt. 3, 41
e 53 Cost. 
    1.4.- Evidenzia, in particolare, che tale norma, nel prevedere la
parziale deducibilita'  dell'IMU  sui  beni  strumentali  dalla  base
imponibile IRES, sarebbe in contrasto, in primo luogo, con l'art.  53
Cost. per violazione del principio della capacita' contributiva. 
    Il rimettente muove dal presupposto che  «la  tassazione  diretta
che grava sulle societa' deve essere  commisurata  al  reddito  netto
effettivo, calcolato al netto delle spese  inerenti  alla  produzione
del reddito stesso. E dunque i  costi  e  gli  oneri  sostenuti,  ove
presentino  i  requisiti  di  inerenza,  certezza  e   di   oggettiva
indeterminabilita', devono necessariamente poter essere dedotti dalle
entrate lorde». 
    Osserva, quindi, che «[l]'indeducibilita' totale o parziale [...]
e' ammissibile soltanto con riguardo a costi che presentano  elementi
di incertezza nell'inerenza o nella determinazione, o ancora  qualora
sia fondato il pericolo che la deduzione  di  tali  costi  rischi  di
coprire l'elusione o l'evasione  fiscale»,  sicche'  «"non  puo'  mai
essere, quindi, dichiarato  indeducibile,  neanche  parzialmente,  il
costo di un fattore ordinario, certo ed essenziale per la  produzione
del reddito"». 
    Sotto tale profilo, argomenta che «[p]er le  societa',  la  spesa
per il pagamento dell'IMU deve essere considerata un  costo  inerente
alla produzione  del  reddito.  Tale  esborso,  infatti,  deriva  dal
possesso degli immobili strumentali della societa'; inoltre, esso  e'
un costo certo, la cui misura e' determinata d'imperio  dalla  legge,
senza alcuno spazio discrezionale lasciato all'imprenditore». 
    Sulla base delle  suddette  considerazioni,  ritiene  che  «[p]er
effetto della norma impugnata, pertanto, l'IRES non colpisce piu'  il
reddito netto prodotto dall'impresa, ma [...] una grandezza  diversa,
cioe' il reddito al lordo delle imposte  indeducibili:  tale  reddito
almeno in parte non rappresenta e tantomeno  non  esprime  una  forza
economica concreta. E dunque la  tassazione  ai  fini  delle  imposte
dirette va a gravare su un reddito d'impresa in  parte  fittizio,  in
contrasto con il principio di capacita' contributiva». 
    1.5.- Inoltre, il rimettente ravvisa la violazione  dell'art.  53
Cost. anche sotto il profilo del divieto  della  doppia  imposizione,
atteso che la societa', in ragione della proprieta'  degli  immobili,
«sarebbe costretta a pagare, di fatto,  due  volte  un'imposta  sulla
base del medesimo presupposto», il che potrebbe, peraltro,  «condurre
all'esaurimento  della  capacita'  contributiva,  o   comunque   puo'
costituire  un  carico  eccessivo  che  supera  il   limite   massimo
tollerabile per il prelievo tributario». 
    1.6.- Il rimettente prospetta anche la violazione degli artt. 3 e
53 Cost. con riferimento al principio di ragionevolezza,  poiche'  il
censurato  regime  di  indeducibilita',  in  assenza  di  una  valida
giustificazione,  «non  e'  coerente  con  la  struttura  stessa  del
presupposto  dell'imposta  (che  e',  come  ricordato,  il   "reddito
complessivo netto"». 
    Secondo il rimettente, e' vero che  il  legislatore,  in  materia
tributaria,  gode  di  una  discrezionalita'  ampia  nel  fissare  il
presupposto d'imposta:  «tuttavia,  nell'individuazione  dei  singoli
elementi che concorrono alla formazione della  base  imponibile  tale
discrezionalita' si  restringe  in  modo  considerevole,  perche'  e'
tenuto a configurare  una  base  imponibile  che  sia  ragionevole  e
coerente rispetto al presupposto prescelto». 
    La norma censurata,  che  «limita  a  una  percentuale  fissa  la
deducibilita' di un costo, qual e'  il  pagamento  dell'IMU»,  invece
derogherebbe,  «in  assenza  di  una  valida  giustificazione»,   «al
presupposto di imposta» cosi' come individuato dal legislatore. 
    1.7.- Infine, vi sarebbe contrasto sia con l'art. 3 Cost.,  sotto
il profilo del rispetto del principio di  uguaglianza  formale  e  di
liberta' di iniziativa  economica  privata,  atteso  che  la  mancata
deducibilita'  avrebbe   un   impatto   sulla   cosiddetta   "equita'
orizzontale",  in  quanto  sottoporrebbe  irragionevolmente   a   una
maggiore tassazione la societa' che si serve di immobili  strumentali
di  proprieta'  rispetto  a  quella  che  invece  utilizza   immobili
strumentali che non sono di sua proprieta'; sia con l'art. 41  Cost.,
poiche' la norma censurata  penalizzerebbe  indebitamente  la  scelta
dell'impresa «di investire parte del proprio capitale  o  dei  propri
utili  nell'acquisto  degli  immobili  strumentali   cosi'   rendendo
migliori da un punto di vista fiscale altre  scelte  di  investimento
degli utili e senza che vi sia un motivo ragionevole». 
    2.- Con atto depositato il 21 aprile 2023, si  e'  costituita  la
Coop Liguria societa'  cooperativa  di  consumo  che,  aderendo  alle
ragioni  esposte  nell'ordinanza  di  rimessione,   ha   chiesto   di
dichiarare l'illegittimita' costituzionale della norma censurata. 
    2.1.- La parte evidenzia, in  particolare,  che  la  sentenza  di
questa Corte n. 262 del  2020,  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma 1, del  d.lgs.  n.  23  del  2011,
nella parte in cui prevedeva l'indeducibilita' integrale dell'IMU sui
beni strumentali  dalla  base  imponibile  IRES,  pur  non  essendosi
pronunciata sulla questione della indeducibilita'  parziale,  rimasta
impregiudicata, avrebbe dettato principi «perfettamente trasponibili»
anche per i periodi di imposta successivi per i quali il  legislatore
ha  introdotto  un  regime  di  parziale  deducibilita',  posto   che
«l'incoerenza  del  prelievo  impositivo  rispetto   al   presupposto
dell'IRES non puo' di  certo  venir  meno  in  forza  della  limitata
percentuale di deducibilita' dell'IMU riconosciuta dal  legislatore»,
trattandosi, anche in questo caso, di un costo certo e inerente. 
    2.2.- Dopo aver ricostruito i passaggi fondamentali della  citata
pronuncia,  la  difesa  della  parte  si  sofferma,  dedicandovi  una
specifica  e  diffusa  attenzione,  sul  passaggio  finale  in   essa
contenuto, in cui,  dopo  la  precisazione  che  non  sussistevano  i
presupposti per l'estensione  d'ufficio  in  via  conseguenziale,  ai
sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo  1953,  n.  87  (Norme  sulla
costituzione e sul funzionamento della Corte  costituzionale),  della
dichiarazione di illegittimita' costituzionale della norma  censurata
anche a quelle successivamente introdotte, e' stato  evidenziato  che
«il  legislatore  [...]  si  e'  gradualmente  corretto  [...]fino  a
giungere   alla   virtuosa   previsione,    certamente    non    piu'
procrastinabile, della totale deducibilita' a partire dal 2022». 
    Evidenzia, a tal proposito, che i  presupposti,  la  cui  carenza
avrebbe impedito a questa Corte di estendere la decisione alle  altre
disposizioni che  limitano  parzialmente  la  deducibilita'  dell'IMU
dall'IRES, «non sono quelli di carattere  sostanziale  perche'  possa
accertarsi il contrasto  tra  queste  e  la  Costituzione  bensi',  e
inevitabilmente, solo quelli di carattere  processuale  -  attinenti,
cioe', alle modalita' con cui si snoda il processo di legittimita' in
via incidentale - indispensabili  affinche'  sussista  il  potere  di
valutare e sindacare tale contrasto con  riferimento  a  disposizioni
diverse da quelle che hanno formato oggetto della remissione da parte
del giudice a quo». 
    In  tal  caso,   infatti,   «la   diversa   articolazione   delle
disposizioni   esaminate»   avrebbe   richiesto   a   questa    Corte
«un'analitica motivazione», non essendo sufficiente  che  i  vizi  di
legittimita' «siano i medesimi». 
    Pertanto,  secondo  la  parte,  la  necessita'  di   valutare   i
correttivi  all'indeducibilita'  introdotti  dal  legislatore  per  i
periodi di imposta successivi al 2012, «ostava inevitabilmente ad una
declaratoria  d'ufficio,  nell'ambito  della  sentenza  n.  262  [del
2020]»,   posto   che   la   stessa   «avrebbe   difatti    richiesto
l'effettuazione  di  un  nuovo  giudizio  di  bilanciamento  fra   la
necessita'   di   garantire   la   coerenza   del   sistema   sotteso
all'imposizione IRES - da un lato - e l'esigenza  di  bilancio  dello
Stato, dall'altro; giudizio da effettuare alla luce dei citati canoni
di ragionevolezza e proporzionalita', questa volta da  applicare  con
riferimento a una fattispecie di  indeducibilita'  (non  piu'  totale
bensi') parziale». 
    3.- Con atto depositato il 26  aprile  2023  e'  intervenuto  nel
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che  ha  chiesto  di
dichiarare la manifesta infondatezza della questione. 
    3.1.- In particolare, la difesa statale osserva  che  i  principi
affermati con la sentenza  di  questa  Corte  n.  262  del  2020  non
potrebbero essere estesi alla successiva disciplina con la  quale  il
legislatore ha previsto una parziale deducibilita'. 
    Evidenzia, a tal proposito, che  «le  fattispecie  esaminate  non
possono essere equiparate, in quanto, in un caso (quello  deciso  con
la invocata sentenza n.  262/2020),  la  deducibilita'  dell'IMU  era
preclusa integralmente con  riferimento  all'anno  di  imposta  2012,
mentre la norma oggetto del presente  giudizio  di  costituzionalita'
prevedeva, per gli anni 2014-2016, una deducibilita'  parziale,  pari
al 20% dell'imposta versata. Il legislatore, infatti, nel corso degli
anni e' intervenuto apportando progressive modifiche alla percentuale
di IMU relativa agli immobili strumentali deducibile  ai  fini  della
determinazione  del  reddito  di  impresa,  fino  a   giungere   alla
previsione di totale deducibilita' a partire dai periodi  di  imposta
successivi a quello in corso al 31 dicembre 2021». 
    Pertanto, sarebbe  «evidente  che,  con  tale  modulazione  delle
percentuali di deducibilita', il legislatore abbia inteso introdurre,
da un lato,  il  principio  di  deducibilita'  dell'IMU,  garantendo,
dall'altro - attraverso un graduale aumento delle quote deducibili  -
il rispetto dei vincoli di bilancio dello Stato. E infatti la  Corte,
nella citata sentenza n. 262 del 2020, non ha ritenuto  di  estendere
le determinazioni di illegittimita' cui era giunta con riferimento al
periodo di imposta 2012 alle annualita'  successive,  affermando  che
non ne sussistevano le condizioni». 
    3.2.- La difesa statale pone, quindi, in rilievo il contenuto del
passaggio finale della citata sentenza e valorizza, a tal  proposito,
il fatto che piu' volte questa Corte ha ribadito il compito  ad  essa
spettante di «modulare le proprie decisioni, anche sotto  il  profilo
temporale, in modo da scongiurare che l'affermazione di un  principio
costituzionale determini il sacrificio di un altro» e la  necessita',
sotto tale profilo, di garantire sempre «l'esigenza di un continuo  e
ragionevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali,  senza
pretese di assolutezza per nessuno di essi». 
    Osserva, di conseguenza, che proprio seguendo questa  prospettiva
il legislatore avrebbe previsto «un progressivo aumento  delle  quote
di  deducibilita'  dell'imposta,  bilanciando  differenti   interessi
tutelati nella  stessa  misura  dalla  Costituzione  ed  evitando  il
rischio di una grave violazione dell'equilibrio di bilancio ai  sensi
dell'art. 81 della Costituzione. Ed, inoltre, la prevista progressiva
integrale deducibilita' svuota di contenuto le  censure  relative  al
presunto contrasto con gli artt. 3 e 41 della Costituzione». 
    4.- Con memoria depositata il 18 dicembre 2023  la  Coop  Liguria
societa' cooperativa di  consumo  ha  replicato  alle  argomentazioni
contenute nell'atto di intervento del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
    In  particolare,  ritiene  opportuno  precisare  che  «nel   caso
dell'IMU, in presenza di un presupposto impositivo unitario (come  il
possesso di immobili) e di una base imponibile altrettanto  unitaria,
non e' dato ravvisare ragioni obiettive, o quantomeno non  del  tutto
arbitrarie, per  cui  solo  una  quota-parte  del  tributo  sia  resa
deducibile». 
    All'argomento difensivo della  difesa  statale,  secondo  cui  il
legislatore avrebbe previsto un progressivo aumento  delle  quote  di
deducibilita' bilanciando differenti interessi ed evitando il rischio
di una  grave  violazione  dell'equilibrio  di  bilancio,  la  difesa
privata risponde  evidenziando  che  «se  la  transitorieta'  di  una
determinata disposizione  lesiva  di  un  diritto  costituzionalmente
garantito [...] puo' eccezionalmente legittimare un bilanciamento  di
interessi rispetto alle esigenze finanziarie dello Stato,  una  norma
di  carattere  strutturale  che  provochi  la  medesima  lesione  non
consente parimenti di invocare il medesimo bilanciamento». 
    Sotto tale profilo, la normativa che ha  introdotto  la  parziale
deducibilita'  dell'IMU  dall'IRES  si  sarebbe   tradotta   in   una
«strutturale e perdurante limitazione del diritto alla  deduzione  di
un costo inerente alla produzione del reddito (dal 20 al 50%), che  a
fortiori non trova copertura costituzionale nella misura  in  cui  ha
assunto carattere stabile», e non sarebbe,  pertanto,  giustificabile
in quanto la sentenza  di  questa  Corte  n.  262  del  2020  avrebbe
«sancito che, pur potendosi in generale "ipotizzare" delle  possibili
deroghe al principio generale di tassazione del reddito di impresa al
netto dei  costi  inerenti,  esse  non  possono  essere  "banalmente"
giustificate in ragione delle mere esigenze di  gettito,  poiche'  ad
esse "il legislatore e' tenuto  a  rispondere  in  modo  trasparente,
aumentando l'aliquota  dell'imposta  principale"  e  non  "attraverso
incoerenti  manovre  sulla  deducibilita',  che   si   risolvono   in
discriminatori, sommersi e rilevanti incrementi della base imponibile
a danno solo di alcuni contribuenti"». 
    5.- Nel giudizio e' stata depositata l'opinione scritta a  titolo
di amicus curiae della Fondazione Telos, Centro studi dell'Ordine dei
dottori commercialisti e degli esperti  contabili  di  Roma,  che  e'
stata ammessa con decreto presidenziale del 28 novembre 2023. 
    5.1.- La Fondazione evidenzia che il  passaggio  contenuto  nella
parte finale della motivazione della sentenza di questa Corte n.  262
del 2020 conterrebbe «mere affermazioni incidenter  tantum  prive  di
valenza decisoria e non suscettibili in alcun modo di fare stato». 
    Pone all'attenzione la circostanza che una giustificazione  a  un
diverso  trattamento  per  le  differenti  annualita'  non   potrebbe
rinvenirsi  nel  riferimento  operato  dalla   citata   sentenza   al
«"virtuoso percorso"» intrapreso dal  legislatore,  che  avrebbe  nel
tempo graduato la misura della deducibilita' fino  a  pervenire  alla
totale  deducibilita'  dell'IMU  dal  2022,  cio'  in   quanto   tale
«"ravvedimento"» non potrebbe legittimare il prelievo per  i  periodi
di imposta ad esso precedenti in cui  era  prevista  una  «pressoche'
integrale indeducibilita' dell'IMU». 
    Inoltre, a sostegno della ritenuta illegittimita'  costituzionale
delle norme  che  hanno  previsto  la  deducibilita'  solo  parziale,
evidenzia il passaggio della citata sentenza dove si precisa  che  la
norma dichiarata costituzionalmente illegittima  non  poteva  nemmeno
trovare giustificazione in nome della temporaneita' dell'imposizione,
perche' ad essa tale carattere non era propriamente  riferibile  dato
che  nella  sua  «struttura  l'integrale  indeducibilita'  e'   stata
prevista come permanente  e  solo  accidentalmente,  per  effetto  di
discrezionali e successivi interventi del legislatore,  e'  risultata
limitata all'anno 2012». 
    5.2.- L'amicus curiae osserva, inoltre, che non potrebbe assumere
rilievo  giustificativo  l'esigenza  di  rispettare  l'equilibrio  di
bilancio, perche' la richiamata sentenza  n.  262  del  2020  avrebbe
espressamente precisato che ad essa il legislatore deve rispondere in
modo trasparente, aumentando l'aliquota dell'imposta principale e non
«attraverso incoerenti manovre sulla deducibilita', che si  risolvono
in  discriminatori,  sommersi  e  rilevanti  incrementi  della   base
imponibile a danno solo di alcuni contribuenti». 
    Evidenzia, infine,  che  «anche  a  livello  pratico  l'efficacia
retroattiva di un'eventuale pronuncia di incostituzionalita'  avrebbe
comunque degli effetti marginali sull'equilibrio di  bilancio,  posto
che per il 2016 sono decorsi i termini per  eventuali  rimborsi  e/o,
comunque,  se  ne  potrebbe  al  piu'  limitare  l'efficacia  a  quei
contribuenti che dovessero aver gia' presentato istanze di rimborso». 
    6.- Con ordinanza del 15 settembre 2023 (iscritta al n. 154  reg.
ord. 2023), la Corte  di  giustizia  tributaria  di  primo  grado  di
Torino, sezione 1, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41 e 53
Cost., questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  14,  comma
1, del d.lgs. n. 23 del 2011, come sostituito dall'art. 1, comma 715,
della legge  n.  147  del  2013,  nella  parte  in  cui  prevede  che
«[l]'imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali e'
deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e  del
reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni  nella  misura
del 20 per  cento.  La  medesima  imposta  e'  indeducibile  ai  fini
dell'imposta regionale sulle attivita' produttive». 
    6.1.- Il rimettente riferisce che le  questioni  sono  sorte  nel
corso di un giudizio promosso da Italiana Assicurazioni spa, Societa'
Reale Mutua di Assicurazioni e Reale Immobili spa in conseguenza  del
silenzio-rifiuto dell'Agenzia delle entrate sulle istanze di rimborso
presentate per gli anni di imposta dal 2014 al 2018 e  relative  alle
maggiori IRES e imposta regionale sulle attivita'  produttive  (IRAP)
versate a causa del regime di parziale indeducibilita'  dell'IMU  sui
beni strumentali dall'IRES e di totale indeducibilita' dall'IRAP. 
    Evidenzia, in particolare, che il caso esaminato con la pronuncia
di questa Corte n. 262 del 2020 «appare speculare  a  quello  oggetto
della presente ordinanza di rimessione  e  la  ratio  della  ritenuta
illegittimita' costituzionale applicabile anche agli  anni  d'imposta
successivi a quello oggetto della pronuncia  esaminata,  e  cioe'  al
quinquennio 2014/2018», in quanto  la  parziale  deducibilita',  «non
fondandosi su alcun  collegamento  aritmetico  o  logico,  diretto  o
indiretto,  sia  pur  vago,  fra  deduzione  forfetaria  e  deduzione
analitica»,  non  varrebbe  a  dissipare  i  dubbi  di   legittimita'
costituzionale, atteso che «il forfait operato dal legislatore  "pare
arbitrario, mancando qualsiasi collegamento con  la  realta'  che  si
vuole forfettizzare"». 
    6.2.- In punto di rilevanza,  il  rimettente  accerta  la  natura
strumentale degli immobili  per  i  quali  e'  stata  versata  l'IMU,
evidenziando, a tal proposito, che le  societa'  «hanno  prodotto  le
visure catastali degli immobili (con riferimento all'IMU dei quali e'
stata formulata l'istanza di  rimborso)  da  cui  si  evince  sia  la
strumentalita' per natura degli immobili  de  quibus  (desumibile  ex
lege dalla categoria catastale di appartenenza) che l'inerenza  degli
stessi (stante l'insuscettibilita' ad utilizzi estranei all'attivita'
dell'impresa,  in  assenza  di  radicali  trasformazioni)».  Pone  in
rilievo, inoltre, il fatto che «tali immobili strumentali per  natura
hanno trovato un utilizzo diretto anche nell'ambito dell'attivita' di
impresa, costituendo  sede  principale  o  secondaria  dell'attivita'
[...] o venendo locati a terzi [...] a fronte del pagamento di canoni
di locazione regolarmente assoggettati ad imposizione». 
    Proprio in considerazione dell'accertata natura strumentale degli
immobili, osserva che la decisione sulla sussistenza del  diritto  al
rimborso non potrebbe prescindere dall'applicazione della  previsione
normativa censurata. 
    Evidenzia  quindi  che  non   sarebbe   possibile   procedere   a
un'interpretazione costituzionalmente orientata, attesi: a) l'univoco
tenore letterale della previsione normativa di riferimento; b) la non
applicabilita' della citata sentenza  di  questa  Corte  (essendo  la
stessa limitata all'anno di imposta 2012); c) la  non  applicabilita'
estensiva o analogica della previsione, introdotta solo a partire dal
2022, della deducibilita' integrale dell'IMU ai fini IRES. 
    6.3.- In punto di non manifesta infondatezza della questione,  il
rimettente ritiene che il censurato art. 14, comma 1, come sostituito
dall'art. 1, comma 715, della legge n. 147 del 2013,  violerebbe  gli
artt. 3, 41 e 53 Cost. 
    6.4.-  Con  riferimento,  in  particolare,  alle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  relative  alla  parziale  deducibilita'
dell'IMU per gli immobili strumentali  dalla  base  imponibile  IRES,
richiama i principi espressi da questa Corte con la sentenza  n.  262
del 2020. 
    Evidenzia, a tal proposito, che «la Corte ha invero statuito  che
la deducibilita' di una spesa inerente alla produzione del reddito di
un'impresa non sia sussumibile all'interno delle agevolazioni fiscali
propriamente dette  -  nelle  quali  il  legislatore  gode  di  ampia
discrezionalita'  -  bensi',   essendo   il   presupposto   dell'IRES
espressamente individuato nel possesso  di  un  "reddito  complessivo
netto" (art. 75, comma 1, TUIR), la  deducibilita'  in  esame  assume
natura strutturale, "dal momento che la  sottrazione  all'imposizione
(o la sua riduzione) e' resa necessaria dall'applicazione coerente  e
sistematica del presupposto del tributo"». 
    Inoltre, pone in rilievo il fatto che, con la medesima pronuncia,
«[s]i e' ribadito come costituisca  principio  imprescindibile  della
determinazione del reddito di impresa quello dell'inerenza del  costo
da portare in deduzione, da cui deriva l'esclusione dei costi che  si
collocano in una sfera estranea all'esercizio dell'impresa;  da  tale
principio,  il  legislatore  non  puo'  prescindere  in  quanto  esso
costituisce "il presidio della verifica  della  ragionevolezza  delle
deroghe rispetto all'individuazione di quel reddito netto complessivo
che il legislatore stesso ha assunto a presupposto dell'IRES"». 
    Il  rimettente  conclude  quindi  prospettando  le   ragioni   di
contrasto della norma censurata con gli artt. 3, 41 e 53 Cost. 
    Piu' precisamente, l'art. 53 Cost. sarebbe violato, innanzitutto,
«sotto il profilo dell'effettivita'  della  capacita'  contributiva»,
atteso che per  le  societa'  la  spesa  per  il  pagamento  dell'IMU
dovrebbe essere considerata un costo certo e inerente alla produzione
del reddito, mentre la norma censurata farebbe gravare la  tassazione
su di un reddito d'impresa in parte fittizio; in secondo luogo, sotto
il profilo del  divieto  della  doppia  imposizione,  atteso  che  la
societa',  in  ragione  della  proprieta'  degli  immobili,   sarebbe
costretta «a pagare, di fatto, due volte un'imposta  sulla  base  del
medesimo presupposto». 
    Gli artt. 3 e 53 Cost.  sarebbero  violati,  con  riferimento  al
principio  di  ragionevolezza,  poiche'  il   censurato   regime   di
indeducibilita',  in  assenza  di  una  valida  giustificazione,  non
sarebbe coerente con la struttura stessa del presupposto dell'IRES. 
    La norma sospettata sarebbe, infine, in contrasto con gli artt. 3
e  41  Cost.,  con  riferimento,  rispettivamente,  al  principio  di
uguaglianza formale per l'impatto sulla  equita'  orizzontale,  e  al
principio di liberta' di iniziativa economica privata perche' sarebbe
penalizzata  la  scelta   dell'impresa   di   investire   gli   utili
nell'acquisto degli immobili strumentali. 
    6.5.-  Quanto  alle  questioni  di  legittimita'   costituzionale
relative alla totale  indeducibilita'  dall'IRAP  dell'IMU  sui  beni
strumentali,  il  rimettente  evidenzia  che,  «[s]ebbene  la  citata
sentenza della Corte costituzionale n. 262/2020 non affronti il  tema
della deducibilita' IMU ai fini IRAP ne' per l'anno 2012, ne' per gli
anni successivi, oggetto della presente questione (ossia gli anni  di
imposta  2014,  2015,  2016,  2017  e  2018)  non   essendo   oggetto
dell'ordinanza di rimessione, il Collegio ritiene  che,  anche  sotto
questo profilo, la questione di legittimita' non  sia  manifestamente
infondata». 
    Osserva, a tal  proposito,  che  «l'IRAP  e'  un'imposta  che  si
applica sul "valore della produzione netta" (art. 4, comma 1,  D.Lgs.
n. 446/1997) e che  colpisce  l'attivita'  produttiva,  distintamente
considerata,  senza  fare  riferimento  alle  condizioni   economiche
complessive del soggetto tassato. Colpire l'attivita' produttiva vuol
dire riconoscere alla stessa una capacita' contributiva, impersonale,
di natura reale,  completamente  staccata  da  quella  personale  dei
singoli percettori di reddito,  fondata  sulla  capacita'  produttiva
originata dalla combinazione dei fattori della produzione». 
    Sulla base delle suddette considerazioni, ritiene che  le  stesse
motivazioni poste a base della sentenza  n.  262  del  2020,  sebbene
limitate alla questione della deducibilita'  dall'IRES  dell'IMU  sui
beni strumentali, potrebbero essere applicate  anche  ai  fini  IRAP,
posto che «l'IMU sugli immobili strumentali  e'  un  onere  certo  ed
inerente. E' un costo necessitato che si atteggia alla stregua di  un
ordinario fattore di produzione,  dal  quale  la  societa'  non  puo'
sottrarsi. E come tale, anche le imposte indirette e le tasse  devono
essere ordinariamente deducibili dalla base imponibile  dell'IRAP  in
quanto classificabili tra gli "oneri diversi di gestione" ed imputati
alla voce B14 del conto economico, in quanto inerenti». 
    Sostiene,  quindi,  che  la  disciplina  in  materia  di   totale
indeducibilita' dell'IMU dalla base imponibile IRAP  si  porrebbe  in
contrasto: con l'art. 53 Cost., perche' «prevedere  l'indeducibilita'
dell'IMU ai fini IRAP, significherebbe  assoggettare  a  imposta  una
ricchezza non realmente prodotta ma imputata al contribuente per mera
fictio iuris e cio' ricorre nel caso di  negata  deduzione  di  costi
inerenti all'esercizio dell'attivita' di impresa»; nonche' con l'art.
3 Cost., «poiche' l'indeducibilita' dell'IMU  ai  fini  IRAP  produce
un'ingiustificata disparita' di trattamento tra contribuenti  che,  a
parita'  di  valore  della  produzione,  sono  assoggettati   ad   un
differente e piu' gravoso onere impositivo esclusivamente sulla  base
dei diversi fattori della produzione utilizzati». 
    7.- Con atto depositato il 4  dicembre  2023  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  che  ha  chiesto  di
dichiarare la questione manifestamente inammissibile o, in subordine,
manifestamente infondata nella parte in cui investe la  deducibilita'
solo parziale dall'IRES dell'IMU sugli immobili strumentali,  nonche'
manifestamente infondata nella parte in cui investe l'indeducibilita'
della medesima IMU dall'IRAP. 
    7.1.- Con riferimento alla  questione  della  deducibilita'  solo
parziale dall'IRES dell'IMU sugli immobili strumentali, evidenzia, in
primo luogo, che la stessa sarebbe  inammissibile  per  insufficiente
motivazione sulla non manifesta infondatezza, in quanto «[i]l giudice
rimettente, [...], pur citando ampiamente  la  sentenza  n.  262/2020
della Corte, omette di confrontarsi con un fondamentale passaggio  di
tale sentenza». 
    A tal  proposito,  osserva  che  «[l]a  Corte,  infatti,  non  ha
ritenuto di estendere le determinazioni  di  illegittimita'  cui  era
giunta con riferimento al periodo di  imposta  2012  alle  annualita'
successive»,  avendo  espressamente  escluso  che   sussistessero   i
presupposti per estenderne in via conseguenziale  gli  effetti  anche
per gli anni di imposta successivi al 2012 e per i quali, invero,  il
legislatore era intervenuto  prevedendo  una  parziale  deducibilita'
dell'IMU sugli  immobili  strumentali  con  riguardo  ai  redditi  di
impresa. 
    In  secondo  luogo,  ritiene   che   la   questione   sia   anche
manifestamente infondata, in quanto il legislatore, con la  normativa
successivamente introdotta, ha previsto «un progressivo aumento delle
quote di deducibilita' dell'imposta, bilanciando differenti interessi
tutelati nella  stessa  misura  dalla  Costituzione  ed  evitando  il
rischio di una grave violazione dell'equilibrio di bilancio ai  sensi
dell'articolo 81 della Costituzione». 
    7.2.- Quanto, poi, alla questione relativa  alla  indeducibilita'
dall'IRAP dell'IMU sui beni strumentali, la  difesa  statale  attinge
all'argomentazione di fondo della sentenza di questa Corte n. 262 del
2020 per evidenziarne la non estensibilita' all'IRAP, atteso  che  la
stessa «non e' un'imposta sui redditi, ma un'imposta  reale,  che  fa
riferimento  a  una  logica  diversa,  rispondente  al  valore  della
produzione, grandezza di derivazione statistica  con  caratteristiche
diverse dalla nozione di reddito». 
    7.3.- Osserva, sotto tale profilo, che «il presupposto  dell'IRAP
e' l'esercizio abituale  di  un'attivita'  autonomamente  organizzata
diretta  alla  produzione  e  allo  scambio  di  beni   ovvero   alla
prestazione di  servizi;  l'imposta  si  applica,  con  carattere  di
realita', sul valore della produzione netta derivante  dall'attivita'
esercitata nel territorio  della  regione.  L'imposta  trova  il  suo
fondamento nel  fatto  oggettivo  che  l'attivita'  avente  rilevanza
economica, organizzata attraverso la combinazione  dei  vari  fattori
della produzione, crea di per se' un valore aggiunto di produzione». 
    Pertanto,  secondo  la  difesa   statale,   «la   giustificazione
dell'IRAP consiste [...]  nella  formazione  oggettiva  di  ricchezza
(ripartita in profitti, retribuzione ed interessi),  presso  l'unita'
produttiva, salva possibile traslazione del relativo onere  su  terzi
dipendenti  o  finanziatori»,  sicche',  «coerentemente  il   tributo
colpisce il valore della produzione  netta  (valore  aggiunto)  quale
espresso dalla differenza tra i ricavi ed i costi per beni e servizi,
esclusi tuttavia  gli  interessi  passivi  ed  i  costi  relativi  al
personale». 
    Richiama, quindi, la sentenza di questa Corte  n.  156  del  2001
relativa al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione
dell'imposta regionale sulle attivita'  produttive,  revisione  degli
scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione
di una addizionale regionale a tale imposta, nonche'  riordino  della
disciplina dei tributi locali). 
    Evidenzia, a tal proposito, che con tale pronuncia  questa  Corte
avrebbe precisato che la «idoneita' del soggetto all'obbligazione  di
imposta, puo' essere desunta da qualsiasi indice che  sia  rivelatore
di ricchezza e non solamente dal reddito individuale». 
    Nella stessa sentenza si sarebbe affermato, in primo  luogo,  che
«[n]el  caso  dell'IRAP  il  legislatore,  nell'esercizio   di   tale
discrezionalita', ha individuato  quale  nuovo  indice  di  capacita'
contributiva, diverso da quelli utilizzati  ai  fini  di  ogni  altra
imposta, il valore aggiunto prodotto  dalle  attivita'  autonomamente
organizzate» e, in secondo luogo, che «[l]a scelta di siffatto indice
[...] non puo' dirsi irragionevole, ne' comunque lesiva del principio
di capacita' contributiva, atteso che  il  valore  aggiunto  prodotto
altro non e' che la  nuova  ricchezza  creata  dalla  singola  unita'
produttiva». 
    Da cio' conseguirebbe che  «[l]'imposta  colpisce,  percio',  con
carattere di realita',  un  fatto  economico,  diverso  dal  reddito,
comunque espressivo di capacita' di contribuzione in capo a  chi,  in
quanto organizzatore dell'attivita', e'  autore  delle  scelte  dalle
quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra  i  diversi
soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione». 
    Alla luce di tale quadro sistematico, la difesa statale prospetta
che l'indeducibilita' dell'IMU sugli  immobili  strumentali  ai  fini
IRAP costituirebbe espressione di  ragionevole  discrezionalita'  del
legislatore, posto che, non sussistendo,  ai  fini  della  disciplina
dell'IRAP, una previsione analoga a quella di  cui  all'art.  99  del
d.P.R. n. 917 del 1986, al legislatore sarebbe consentito di regolare
discrezionalmente la materia degli oneri deducibili,  in  particolare
di  natura  fiscale,  con  la  conseguenza   che   «[l]a   previsione
dell'indeducibilita' dell'IMU dall'IRAP non determina  quindi  alcuna
rottura della coerenza interna della struttura  dell'imposta  con  il
suo presupposto economico». 
    8.- Con atto depositato il 4 dicembre 2023 si sono costituite  in
giudizio la Societa' Reale Mutua di Assicurazioni, la Reale  Immobili
spa  e  la  Compagnia  Italiana  di   Previdenza,   Assicurazioni   e
Riassicurazioni spa, che hanno chiesto di dichiarare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 14, comma 1, del  d.lgs.  n.  23  del  2011,
nella versione vigente negli anni di imposta dal 2014 al  2018  e  di
valutare, «sussistendone i presupposti,  l'estensione  dell'eventuale
pronuncia di incostituzionalita' anche  alle  versioni  del  medesimo
articolo 14, comma 1, del  d.lgs.  n.  23/2011  vigenti  nei  diversi
periodi di imposta 2013 e dal 2019 al 2021». 
    8.1.- Le parti, dopo avere evidenziato, in  punto  di  rilevanza,
che il giudice  rimettente  ha  accertato  che  l'IMU  versata  dalle
societa' era relativa  a  immobili  strumentali,  per  natura  e  per
destinazione,  in  quanto  utilizzati,   in   concreto,   nell'ambito
dell'attivita' di impresa, argomentano sulle ragioni per le quali  le
questioni non sarebbero manifestamente infondate. 
    In particolare,  si  soffermano  sul  principio  affermato  dalla
pronuncia di questa Corte n. 262 del 2020, secondo  cui,  poiche'  il
presupposto dell'IRES consiste nel  reddito  complessivo  netto,  non
sarebbe possibile, senza rompere  un  vincolo  di  coerenza,  rendere
indeducibile un costo fiscale chiaramente e interamente inerente. 
    Secondo le parti,  il  suddetto  principio  sarebbe  trasponibile
anche alle modifiche normative intervenute successivamente  a  quella
in vigore per il 2012, poi dichiarata costituzionalmente illegittima,
posto che «[sarebbe] evidente che l'adeguamento "sopravvenuto"  della
norma operato dal legislatore fiscale per renderla  "rispettosa"  dei
predetti principi costituzionali, per  quanto  apprezzabile,  non  e'
suscettibile di porre  rimedio  alla  mancata  deduzione  dalla  base
imponibile IRES di un "costo inerente necessitato", qual e' stato  il
prelievo dell'IMU sugli immobili strumentali, negli  anni  precedenti
alla previsione della  integrale  deducibilita'  (e,  per  quanto  di
interesse, nel periodo 2014-2018)». 
    Sotto tale profilo, il regime di indeducibilita' parziale ai fini
IRES, non essendo coerente con il presupposto  dell'imposta,  sarebbe
irragionevole, in quanto mancherebbe una valida  giustificazione  per
un trattamento fiscale differente  rispetto  alla  generalita'  degli
altri costi del pari inerenti e deducibili. 
    8.2.- Le parti  evidenziano,  inoltre,  che  la  norma  censurata
sarebbe in contrasto con l'art. 53 Cost. per violazione del principio
della capacita' contributiva,  perche'  «prevedere  l'indeducibilita'
dell'80% (i.e. pressoche' integrale) dell'IMU pagata  sugli  immobili
strumentali, ai fini IRES, e  l'integrale  indeducibilita',  ai  fini
IRAP, comporta l'assoggettamento a imposizione di una  ricchezza  non
realmente realizzata, ma imputata al  contribuente  per  mera  fictio
iuris, per effetto della mancata considerazione  -  nelle  rispettive
basi imponibili - di un costo inerente  all'esercizio  dell'attivita'
di impresa (rappresentato dall'IMU pagata sugli immobili strumentali,
appunto)». 
    8.3.- L'art. 53 Cost. sarebbe altresi'  violato  sia  poiche'  il
censurato  regime  di  parziale  indeducibilita'  ai  fini  IRES  non
risulterebbe coerente con  il  presupposto  della  suddetta  imposta,
consistente nel «"reddito  complessivo  netto"»,  sia  in  quanto  vi
sarebbe una violazione del divieto di doppia imposizione, posto  che,
in ragione della proprieta' degli immobili da parte delle  esponenti,
le stesse verrebbero assoggettate due volte a imposta sulla base  del
medesimo indice di capacita' contributiva. 
    8.4.- Sussisterebbe anche la violazione dell'art. 3  Cost.  sotto
il profilo del principio di ragionevolezza e di uguaglianza,  perche'
si realizzerebbe un'ingiustificata disparita' di  trattamento  tra  i
contribuenti che, a parita' di risultati economici o di valore  della
produzione, «sono assoggettati ad un differente e piu' gravoso  onere
impositivo ai fini IRES e IRAP, esclusivamente sulla base dei diversi
fattori  della  produzione  impiegati  per  raggiungere  il  medesimo
risultato economico». 
    8.5.- Infine,  sarebbe  violato  anche  l'art.  41  Cost.,  avuto
riguardo al principio di liberta' di iniziativa economica privata, in
quanto    la    norma    censurata    finirebbe    per    penalizzare
ingiustificatamente, ai fini IRES e IRAP, la  scelta  imprenditoriale
di sostenere costi per l'acquisto di immobili strumentali, «senza che
siano rinvenibili "differenze qualitative apprezzabili" del costo  in
esame rispetto alla generalita' dei costi deducibili,  in  base  alla
disciplina generale dell'IRES/IRAP». 
    8.6.- Le parti, infine, rimarcano il passaggio della sentenza  n.
262 del 2020  secondo  cui  «la  temporaneita'  dell'imposizione  non
costituisce un argomento  sufficiente  a  fornire  giustificazione  a
un'imposta,  che  potrebbe  comunque  risultare   disarticolata   dai
principi costituzionali». 
    Precisano, altresi', che non potrebbe assumere rilievo l'esigenza
di  rispettare  l'equilibrio  di  bilancio,  sia  perche'  la  citata
sentenza avrebbe chiarito che ad essa il legislatore deve  rispondere
in modo trasparente, aumentando l'aliquota dell'imposta principale  e
non attraverso incoerenti manovre sulla deducibilita', sia in  quanto
la «natura meramente programmatica» del principio dell'equilibrio  di
bilancio impedirebbe  che  a  questo  sia  attribuito  «un  ruolo  di
preminenza» rispetto ad altri principi costituzionali. 
    9.- Con successivo atto, depositato in data 19 dicembre 2023,  la
Societa' Reale Mutua di Assicurazioni, la Reale  Immobili  spa  e  la
Compagnia Italiana di  Previdenza,  Assicurazioni  e  Riassicurazioni
spa,  hanno  depositato  una   memoria   contenente   repliche   alle
argomentazioni  espresse  dalla  difesa  statale  nel  suo  atto   di
intervento. 
    9.1.- In particolare, viene presa in  considerazione  l'eccezione
di inammissibilita' delle questioni  di  legittimita'  costituzionale
per insufficiente motivazione sulla non  manifesta  infondatezza,  in
quanto il giudice rimettente avrebbe omesso di considerare  che,  con
la sentenza n. 262 del 2020, questa Corte «non [avrebbe] ritenuto  di
estendere le determinazioni di  illegittimita'  cui  era  giunta  con
riferimento al periodo di imposta 2012 alle annualita' successive». 
    Si evidenzia, a tal proposito, che, con la  successiva  ordinanza
n. 156 del 2022, relativa alla  medesima  questione  di  legittimita'
costituzionale,  questa  Corte  l'avrebbe   ritenuta   manifestamente
inammissibile per difetto di rilevanza, non essendo  stata  accertata
la natura  strumentale  dei  beni:  tale  decisione  dovrebbe  dunque
sottintendere una presa di posizione da parte della  Corte  circa  la
«portata  meramente  procedimentale»  del   passaggio   motivazionale
contenuto nella sentenza n. 262 del  2020,  posto  che,  diversamente
opinando, avrebbe dovuto essere posto in evidenza  che  la  questione
era gia' coperta da quest'ultima pronuncia. 
    Si  sottolinea,  inoltre,  che  l'affermazione  contenuta   nella
sentenza n. 262 del 2020  non  sottintendeva  «affatto  un  implicito
giudizio  di  rigetto,  nel  merito,  delle  medesime  questioni  con
riguardo alle versioni successive della norma in  questione,  essendo
dettata  da  mere  ragioni  di  rito  e,  segnatamente,   dalla   non
obbligatorieta', sotto il piano procedurale,  di  pronunciarsi  anche
con riferimento alle versioni della norma valevoli per  i  successivi
periodi  d'imposta».   Invero,   la   pronuncia   di   illegittimita'
costituzionale in via consequenziale di  altre  previsioni  normative
presuppone che tale illegittimita' «deriv[i] come  conseguenza  della
decisione adottata», non essendo sufficiente «la mera  identita'  dei
vizi di legittimita', specie laddove  l'estensione  della  decisione,
coinvolgendo  disposizioni   complesse   e   variamente   articolate,
richiederebbe un'analitica motivazione da parte della Corte». 
    Sotto tale profilo, secondo le parti, «il caso in esame non  pare
rispondere ai suddetti requisiti», dal momento che la versione  della
norma «per le annualita' qui in discussione (2014-2018)  non  e'  del
tutto assimilabile a quella precedente,  oggetto  della  Sentenza  n.
262/2020 (i.e. il 2012),  poiche'  la  prima  prevedeva  una  diversa
modulazione quantitativa dell'indeducibilita' dell'IMU,  pari  all'80
per cento, a fronte della integrale indeducibilita' prevista  per  il
2012». 
    D'altro  lato,  aggiungono  le  parti,  una  pronuncia   in   via
"consequenziale"   non   appariva   altresi'   possibile   anche   in
considerazione  dell'esigenza  di   motivare   analiticamente   circa
l'eventuale bilanciamento di concorrenti principi costituzionali. 
    10.- Con ordinanza del 17 gennaio 2023 (iscritta al  n.  34  reg.
ord. 2023) la Corte di giustizia tributaria di primo grado  di  Como,
sezione 3, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 41 e 53  Cost.,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 14, comma  1,  del
d.lgs. n. 23 del 2011, come sostituito dall'art. 1, comma 715,  della
legge n. 147 del 2013, nella parte in cui  prevede  che  «[l]'imposta
municipale propria relativa agli immobili strumentali  e'  deducibile
ai fini della determinazione del reddito di  impresa  e  del  reddito
derivante dall'esercizio di arti e professioni nella  misura  del  20
per cento. La medesima imposta e' indeducibile ai  fini  dell'imposta
regionale sulle attivita' produttive». 
    10.1.- Il rimettente riferisce che le questioni  sono  sorte  nel
corso di un giudizio promosso dalla  societa'  Villa  d'Este  spa  in
conseguenza del silenzio-rifiuto  dell'Agenzia  delle  entrate  sulla
istanza di rimborso della maggiore IRES versata per l'anno di imposta
2017 e della maggiore IRAP versata per gli anni di imposta 2017, 2018
e 2019. 
    In  particolare,  il  diritto  al  rimborso   deriverebbe   dalla
prospettazione della societa' secondo cui la  parziale  deducibilita'
dell'IMU per gli immobili strumentali dalla base  imponibile  IRES  e
l'integrale indeducibilita' dalla base imponibile IRAP si  porrebbero
in contrasto con gli artt. 3, 41 e 53 Cost. 
    10.2.- Il rimettente ripercorre, in primo luogo, il  giudizio  da
cui origina la sentenza n. 262 del 2020 di  questa  Corte,  dove  «la
Tecnogas Srl, operante nel  settore  immobiliare  e  proprietaria  di
diversi immobili, chiedeva il rimborso di quella  parte  dell'importo
dell'IRES, interamente versata per il 2012, corrispondente  a  quanto
pagato   in   conseguenza   dell'indeducibilita'   dell'IMU,    anche
quest'ultima interamente corrisposta nel periodo 2012, in riferimento
ad immobili strumentali alla societa' stessa». 
    Precisa, quindi, che  la  vicenda  «appare  speculare»  a  quella
«oggetto della presente ordinanza di  rimessione  e  la  ratio  della
ritenuta illegittimita' costituzionale applicabile  anche  agli  anni
d'imposta successivi a quello oggetto della  pronuncia  esaminata,  e
cioe' al triennio 2017/2019». 
    10.3.- Ad avviso del rimettente la rilevanza  sarebbe  ricavabile
dall'oggetto del ricorso, posto che la  decisione  sulla  sussistenza
del diritto al rimborso non  potrebbe  prescindere  dall'applicazione
della previsione normativa in riferimento. 
    Non    sarebbe    d'altro    canto    possibile    procedere    a
un'interpretazione costituzionalmente orientata, attesi: a) l'univoco
tenore letterale della previsione normativa di riferimento; b) la non
riferibilita' della citata sentenza di questa Corte  alle  annualita'
successive  all'anno  di  imposta  2012;  c)  la  non  applicabilita'
estensiva o analogica della previsione, introdotta solo a partire dal
2022, della deducibilita' integrale dell'IMU ai fini IRES. 
    10.4.- In punto di  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
ritiene che il censurato art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011,
come sostituito dall'art. 1, comma 715, della legge n. 147 del  2013,
si ponga in contrasto con gli artt. 3, 41 e 53 Cost., sulla  base  di
argomentazioni  analoghe  a  quelle   contenute   nell'ordinanza   di
rimessione di cui al giudizio iscritto al n. 154 reg. ord. 2023. 
    10.5.- Con atto depositato il 17 aprile 2023  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha  chiesto  che  le
questioni siano dichiarate inammissibili o comunque non fondate. 
    10.6.- In primo luogo, la difesa statale ha chiesto di dichiarare
l'inammissibilita'  della  questione  per  insufficiente  motivazione
sulla  rilevanza,  avendo  il  giudice  a  quo  omesso  il   doveroso
accertamento della effettiva strumentalita' degli immobili. 
    In particolare, vengono richiamati i passaggi  dell'ordinanza  di
questa Corte n. 156 del 2022 con la  quale  un'analoga  questione  e'
stata  dichiarata  inammissibile,  essendo  mancata   la   necessaria
valutazione circa il rapporto tra l'oggetto sociale della  ricorrente
nel giudizio  principale,  che  non  era  stato  mai  esplicitato,  e
l'effettiva strumentalita' degli immobili  all'attivita'  esercitata.
Si evidenza, a tal proposito, che «[a]nche nella presente fattispecie
il  giudice   rimettente   ha   omesso   il   doveroso   accertamento
dell'effettiva  strumentalita'  degli  immobili,  e  tale   omissione
determina l'inammissibilita' della questione  anche  con  riferimento
all'indeducibilita'    dell'IMU    dall'IRAP,    sia    alla     luce
dell'intervenuta  esenzione  dall'IMU   degli   immobili   fabbricati
costruiti e destinati  dall'impresa  produttrice  alla  vendita,  sia
perche' in assenza del requisito della  strumentalita'  gli  immobili
non  possono  rientrare  tra  i  fattori   produttivi   autonomamente
organizzati». 
    10.7.-   In   secondo   luogo,   ha   chiesto    di    dichiarare
l'inammissibilita'  delle  questioni  per  insufficiente  motivazione
sulla non manifesta infondatezza ovvero la manifesta infondatezza  in
forza di ragioni analoghe a quelle contenute nell'atto di  intervento
nel giudizio iscritto al n. 154 reg. ord. 2023. 
    10.8.- Nel giudizio e'  stata  depositata  l'opinione  scritta  a
titolo  di  amicus  curiae  della  Fondazione  Telos,  Centro   studi
dell'ODCEC di Roma, che e' stata ammessa  con  decreto  presidenziale
del 28 novembre 2023. 
    La Fondazione sviluppa argomentazioni analoghe a quelle contenute
nell'opinione scritta depositata nel giudizio iscritto al n. 38  reg.
ord. 2023. 
    10.9.- Con decreto presidenziale del 5  dicembre  2023  e'  stata
disposta l'anticipazione alla camera di consiglio del 9 gennaio  2024
della trattazione del giudizio iscritto al n. 34 reg. ord. 2023. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con le ordinanze di rimessione indicate in epigrafe (iscritte
ai numeri 34, 38 e  154  reg.  ord.  2023),  la  Corte  di  giustizia
tributaria di primo grado di Como, sezione 3, la Corte  di  giustizia
tributaria di primo grado  di  Genova,  sezione  2,  e  la  Corte  di
giustizia tributaria di primo  grado  di  Torino,  sezione  1,  hanno
sollevato, in riferimento complessivamente agli  artt.  3,  41  e  53
Cost., questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  14,  comma
1, del d.lgs. n. 23 del 2011, come sostituito dall'art. 1, comma 715,
della legge  n.  147  del  2013,  nella  parte  in  cui  prevede  che
«[l]'imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali e'
deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e  del
reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni  nella  misura
del 20 per cento». 
    1.1.-  Tutte  le  ordinanze  di  rimessione  evidenziano  che  le
questioni sono sorte nel corso dei rispettivi giudizi promossi  dalle
societa' ricorrenti in conseguenza del silenzio-rifiuto  dell'Agenzia
delle entrate sulle  istanze  di  rimborso  da  esse  presentate  per
diversi anni di imposta - rispettivamente: 2016 nel giudizio iscritto
al n. 38 reg. ord. 2023; dal 2014 al 2018 nel giudizio iscritto al n.
154 reg. ord. 2023; 2017 nel giudizio iscritto al  n.  34  reg.  ord.
2023 - relative alla maggiore IRES che sarebbe stata versata a  causa
del regime di deducibilita' solo parziale dall'IRES dell'IMU sui beni
strumentali. 
    1.2.-  Per  tutti  i  rimettenti,  tale  regime  si  porrebbe  in
contrasto con gli artt. 3, 41 e 53 Cost. 
    2.- Unicamente le ordinanze  di  rimessione  di  cui  ai  giudizi
iscritti ai  numeri  34  e  154  reg.  ord.  2023,  prospettano,  con
riferimento alle istanze di rimborso della maggiore  IRAP  versata  -
rispettivamente per gli anni di imposta dal 2017 al 2019 e  dal  2014
al 2018 - a causa del regime di totale indeducibilita'  dell'IMU  sui
beni strumentali, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma
1, del d.lgs. n. 23 del 2011, nella parte in cui  prevede  che  «[l]a
medesima imposta e' indeducibile ai fini dell'imposta regionale sulle
attivita' produttive», per contrasto con gli artt. 3 e 53 Cost. 
    3.- In punto di rilevanza, l'ordinanza iscritta  al  n.  34  reg.
ord. 2023 evidenzia che la stessa sarebbe ricavabile dall'oggetto del
ricorso, posto che la decisione  sulla  sussistenza  del  diritto  al
rimborso non potrebbe prescindere dall'applicazione della  previsione
normativa censurata. 
    Richiama, a tal proposito, la sentenza n. 262 del  2020,  che  ha
dichiarato fondata, in riferimento  agli  artt.  3  e  53  Cost.,  la
questione di legittimita' costituzionale del citato art. 14, comma 1,
nella  sua  formulazione  originaria,   che   prevedeva   l'integrale
indeducibilita' dell'IMU dalle imposte erariali sui redditi. 
    Nel rievocare in fatto la vicenda da cui e' scaturito l'incidente
di costituzionalita' deciso con la citata sentenza n. 262  del  2020,
sottolinea che il caso  li'  esaminato  «appare  speculare  a  quello
oggetto della presente ordinanza  di  rimessione  e  la  ratio  della
ritenuta illegittimita' costituzionale applicabile  anche  agli  anni
d'imposta successivi a quello oggetto della  pronuncia  esaminata,  e
cioe' al triennio 2017/2019». 
    3.1.- Sempre in punto di  rilevanza,  le  ordinanze  iscritte  ai
numeri 38 e 154 reg. ord.  2023  hanno  invece  accertato  la  natura
strumentale degli immobili in questione. 
    In particolare, l'ordinanza di rimessione iscritta al n. 38  reg.
ord. 2023 precisa che dalla documentazione  in  atti  emerge  che  la
ricorrente svolge attivita' di grande distribuzione commerciale e che
gli immobili costituiscono le sedi dei punti vendita. L'ordinanza  di
rimessione iscritta al n. 154 reg. ord. 2023 afferma che, sulla  base
delle risultanze delle visure  catastali  e  dell'utilizzo  di  fatto
degli immobili, risulta provata l'effettiva strumentalita' di  questi
ultimi. 
    3.2.- In punto di non  manifesta  infondatezza,  con  riferimento
alle questioni di legittimita' costituzionale relative al  regime  di
parziale deducibilita' dell'IMU per gli  immobili  strumentali  dalla
base imponibile IRES, le ordinanze di rimessione iscritte  ai  numeri
34 e 154 reg. ord. 2023, con motivazione sostanzialmente analoga,  si
riportano esplicitamente ai principi espressi da questa Corte con  la
sentenza n. 262 del 2020 per ribadire, in particolare, che  la  piena
deducibilita' dell'IMU sugli immobili strumentali,  in  quanto  costo
fiscale inerente, dovrebbe essere resa necessaria dalla coerenza  con
il presupposto del tributo, individuato dal legislatore nel  possesso
di un reddito complessivo netto. 
    3.3.- L'ordinanza di rimessione iscritta al n. 38 reg. ord. 2023,
pur non facendo menzione del citato precedente di  questa  Corte,  ne
segue sostanzialmente, come  rileva  anche  la  difesa  erariale,  il
percorso  argomentativo:  evidenzia,  in  particolare,  che,  poiche'
l'IRES e' stata commisurata al reddito netto effettivo, tutti i costi
che  presentino  il  requisito  della   inerenza   e   dell'oggettiva
indeterminabilita' dovrebbero necessariamente poter essere dedotti. 
    3.4.- I medesimi rimettenti, inoltre, precisano che  l'intervento
normativo di cui all'art. 1, comma 715, della legge n. 147 del  2013,
con il quale e' stata prevista la  parziale  deducibilita'  dell'IMU,
non modificherebbe la prospettiva dell'illegittimita'  costituzionale
, perche': a) limitare «a una percentuale fissa» la «deducibilita' di
un costo, qual e' il pagamento dell'IMU», derogherebbe,  «in  assenza
di una valida giustificazione», «al  presupposto  di  imposta»  cosi'
come individuato dal legislatore (ordinanza iscritta al  n.  38  reg.
ord. 2023) e b) «il forfait operato dal legislatore "pare arbitrario,
mancando  qualsiasi  collegamento  con  la  realta'  che   si   vuole
forfettizzare"» (ordinanze iscritte ai numeri  34  e  154  reg.  ord.
2023). 
    4.-  I  giudici  rimettenti,  con   motivazioni   sostanzialmente
analoghe, evidenziano, quindi, che la norma censurata violerebbe: 
    a)  l'art.  53  Cost.,   sotto   il   profilo   della   capacita'
contributiva, perche' la spesa per il  pagamento  dell'IMU  sui  beni
strumentali dovrebbe essere considerata un  costo  certo  e  inerente
alla produzione del reddito; 
    b) l'art. 53 Cost., sotto il profilo  del  divieto  della  doppia
imposizione   per   la   duplicazione   dell'imposta   sul   medesimo
presupposto; 
    c) gli artt. 3 e  53  Cost.,  con  riferimento  al  principio  di
ragionevolezza, data la mancanza di coerenza  con  la  struttura  del
presupposto dell'IRES; 
    d) l'art. 3 Cost., per l'impatto sulla equita' orizzontale; 
    e) l'art. 41 Cost., perche' risulterebbe  penalizzata  la  scelta
dell'impresa di investire  gli  utili  nell'acquisto  degli  immobili
strumentali. 
    5.- Le ordinanze di rimessione iscritte ai numeri 34 e  154  reg.
ord.  2023  argomentano  sulla  non  manifesta   infondatezza   delle
questioni sollevate sull'art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2011,
nella parte in cui prevede che «[l]a medesima imposta e' indeducibile
ai fini dell'imposta regionale sulle attivita' produttive». 
    5.1.- I rimettenti premettono che le stesse motivazioni  poste  a
base della sentenza n. 262 del 2020, sebbene limitate alla  questione
della  deducibilita'  dell'IMU  sui   beni   strumentali   dall'IRES,
sarebbero da riferire anche all'IRAP. 
    Da questa  prospettiva  rilevano  che  la  norma  censurata,  nel
prevedere  la  totale   indeducibilita'   dell'IMU   sugli   immobili
strumentali dalla base imponibile IRAP, violerebbe: 
    a) l'art 53 Cost., poiche' prevedere  l'indeducibilita'  dell'IMU
ai fini IRAP significherebbe assoggettare a imposta una ricchezza non
realmente prodotta; 
    b) l'art. 3 Cost., poiche'  l'indeducibilita'  dell'IMU  ai  fini
IRAP determinerebbe un'ingiustificata disparita' di  trattamento  tra
contribuenti  sulla  base  dei  diversi  fattori   della   produzione
utilizzati. 
    6.- Le tre ordinanze di rimessione hanno ad oggetto  la  medesima
disposizione, nella parte in cui si riferisce all'IRES e,  quelle  di
cui ai giudizi iscritti ai numeri 34 e 154 reg. ord. 2023,  anche  in
quella in cui si riferisce all'IRAP, risultando comunque  fondate  su
argomentazioni e parametri sostanzialmente coincidenti. Deve pertanto
essere disposta la riunione dei tre giudizi (ex plurimis, sentenze n.
220 e n. 128 del 2023). 
    7.- Nel giudizio iscritto al n. 34 reg. ord. 2023, il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha eccepito l'inammissibilita' delle  questioni
per insufficiente motivazione sulla rilevanza,  evidenziando  che  il
rimettente avrebbe «omesso il  doveroso  accertamento  dell'effettiva
strumentalita'   degli   immobili   e   tale   omissione    determina
l'inammissibilita'   della   questione    anche    con    riferimento
all'indeducibilita' dell'IMU dall'IRAP». 
    7.1 - L'eccezione e' fondata. 
    In punto di rilevanza il rimettente si e' limitato, in  sostanza,
a richiamare la sentenza n. 262 del 2020, evidenziando, da  un  lato,
che in tale giudizio la parte era una societa' operante  nel  settore
immobiliare e, dall'altro, che «il caso  appare  speculare  a  quello
oggetto della presente ordinanza di rimessione». 
    In  questi  termini,  la  motivazione  sulla   rilevanza   sconta
esattamente i  medesimi  limiti  che  hanno  fondato  le  ragioni  di
inammissibilita' espresse da questa Corte con l'ordinanza n. 156  del
2022, non essendo stato  compiuto  alcun  accertamento  sulla  natura
strumentale dei beni per i quali era stata versata l'IMU. 
    In particolare, in tale ordinanza questa Corte ha rilevato  «che,
a ben vedere, l'affermazione del giudice a quo secondo cui  "il  caso
[oggetto dell'odierno incidente] appare speculare" a quello relativo»
alla  sentenza  n.  262  del  2020,  «non  consente  di  superare  le
evidenziate omissioni in ordine alla rilevanza, ma anzi  le  aggrava;
che, infatti,  a  volere  intendere  la  "specularita'"  evocata  dal
rimettente quale implicita motivazione sulla rilevanza,  si  dovrebbe
concludere che anche in questo caso (come in  quello  deciso  con  la
citata sentenza n. 262 del 2020) la societa' ricorrente nel  giudizio
principale operi nel settore immobiliare». 
    Proprio questa evenienza, invece, «avrebbe richiesto al giudice a
quo di accertare, ai fini dell'applicabilita' della norma  censurata,
la effettiva strumentalita' degli immobili in  relazione  all'oggetto
sociale»; tale «precisazione sarebbe stata ancora piu' necessaria» in
considerazione di quanto stabilito dell'art. 2, comma  2,  lett.  a),
del decreto-legge 31 agosto 2013, n.  102  (Disposizioni  urgenti  in
materia di IMU, di altra fiscalita'  immobiliare,  di  sostegno  alle
politiche  abitative  e  di  finanza   locale,   nonche'   di   cassa
integrazione guadagni e di  trattamenti  pensionistici),  convertito,
con modificazioni, nella legge 28 ottobre 2013, n. 124,  introduttivo
di un  regime  di  esenzione  dall'IMU  a  partire  dal  2014  per  i
fabbricati  costruiti  e  destinati  dall'impresa  costruttrice  alla
vendita. 
    Deve, quindi, essere dichiarata l'inammissibilita' per difetto di
motivazione sulla rilevanza delle  questioni,  sia  quelle  attinenti
all'IRES che quelle relative all'IRAP, sollevate in riferimento  agli
immobili strumentali nel giudizio iscritto al n. 34 reg. ord. 2023. 
    8.-  Fondata  e'  anche  l'eccezione  di   inammissibilita'   per
insufficiente   motivazione   sulla   non   manifesta   infondatezza,
sollevata,   con   riferimento   alla   questione   della    parziale
deducibilita'    dell'IMU    sui    beni    strumentali    dall'IRES,
dall'Avvocatura nel giudizio  iscritto  al  n.  154  reg.  ord.  2023
sostenendo che il rimettente,  pur  rifacendosi  alle  argomentazioni
della  sentenza  n.  262  del  2020,  ha  poi  del  tutto  omesso  di
confrontarsi con il passaggio finale della motivazione,  dove  questa
Corte non ha ritenuto  di  estendere,  in  via  consequenziale,  alle
annualita'   successive   le   determinazioni    di    illegittimita'
costituzionale cui era giunta con riferimento al periodo  di  imposta
2012. 
    La medesima ragione  di  inammissibilita'  deve  essere  rilevata
d'ufficio da  questa  Corte  e  conduce  a  identica  conclusione  in
riferimento alle analoghe questioni sollevate nel  giudizio  iscritto
al n. 38 reg. ord. 2023, che risultano affette dalla stessa mancanza. 
    8.1.- Al riguardo, va innanzitutto precisato che, normalmente, il
mancato confronto con pregresse decisioni di questa Corte  non  vizia
in rito le questioni sollevate, ben potendo la  stessa  farsi  carico
del peso della propria giurisprudenza nel corso dell'esame nel merito
delle questioni (da ultimo, ex plurimis, sentenza n. 4 del 2024). 
    Nel caso di cui si tratta, tuttavia, si e'  in  presenza  di  una
situazione del tutto particolare, perche'  la  sentenza  n.  262  del
2020, nella parte che le ordinanze di rimessione hanno  completamente
ignorato, ha fatto un'affermazione non  comune  nella  giurisprudenza
costituzionale, ritenendo opportuno specificare che questa Corte,  da
un lato, «ha valutato se procedere all'estensione  d'ufficio  in  via
consequenziale» della dichiarazione di illegittimita'  costituzionale
alle annualita' successive al 2012, ma,  dall'altro,  e'  poi  giunta
alla  conclusione  che  non  sussistevano  «i  presupposti  di   tale
estensibilita'». 
    La sentenza  si  e'  quindi  limitata  a  chiarire  come  sia  le
disposizioni che hanno fissato il regime di  deducibilita'  parziale,
che dal 2013 si e' protratto sino al 2018, sia quella  che,  partendo
dal 2019 con una deducibilita' del 50 per  cento,  e'  poi  giunta  a
garantirla in modo pieno nel 2022, fossero  ben  diverse  rispetto  a
quella sulla  totale  indeducibilita'  dichiarata  costituzionalmente
illegittima. 
    Veniva pertanto in considerazione quella costante  giurisprudenza
di questa Corte per cui solo una «sostanziale identita' di contenuto»
(sentenza  n.  131  del  2022),  oppure  una  «stretta   connessione»
(sentenza n. 113 del 2023), ovvero l'essere «espressiva della  stessa
logica» (sentenza n. 73 del 2023), nonche' una «identita' dei vizi di
legittimita'» (sentenza n. 232 del 1975), avrebbe  potuto  consentire
l'estensione in via consequenziale. 
    Escluso il ricorrere di tali  presupposti,  va  ribadito  che  le
odierne questioni sono da considerarsi diverse e autonome rispetto  a
quella decisa con la sentenza n. 262 del 2020, per cui  il  passaggio
finale,  di  cui  al  punto  4  di  tale  pronuncia,  avrebbe  dovuto
costituire  un  ineludibile  termine  di   confronto   nel   percorso
argomentativo  dei  rimettenti   in   ordine   alla   non   manifesta
infondatezza delle questioni, cosicche' la sua omissione  ne  inficia
irrimediabilmente la motivazione. 
    Le due ordinanze di rimessione, infatti, hanno motivato  i  dubbi
di legittimita' costituzionale come se le  questioni  attinenti  alle
norme  da  esse  censurate  fossero  esattamente  identiche  -  o  si
differenziassero solo per aspetti  meramente  marginali  -  a  quelle
decise con la sentenza n. 262  del  2020,  alle  cui  motivazioni  si
richiamano   diffusamente,   ora   in    maniera    implicita,    ora
esplicitamente,  pretendendo  poi  di  traslarle  pedissequamente  in
riferimento alla deducibilita' parziale al  20  per  cento,  che  era
l'oggetto dei relativi giudizi. 
    Anziche'  motivare  autonomamente  il  dubbio   di   legittimita'
costituzionale (sentenza n. 186 del 2023), si sono solo limitate,  in
sostanza, ad affermare, nei medesimi  termini  tautologici,  che  «il
forfait operato dal legislatore "pare arbitrario, mancando  qualsiasi
collegamento con la realta' che si vuole forfettizzare"»  (reg.  ord.
n. 154 del 2023) e che la norma che «limita a una  percentuale  fissa
la deducibilita' di un costo, qual e' il pagamento dell'IMU», deroga,
«in  assenza  di  una  valida   giustificazione»,   «al   presupposto
d'imposta» cosi' come individuato dal legislatore (reg.  ord.  n.  38
del 2023). 
    In tal modo, la  motivazione  della  non  manifesta  infondatezza
assume ingiustificatamente come presupposta proprio quella  identita'
di questioni esclusa da  questa  Corte,  in  quanto  diversamente  si
sarebbe dovuta risolvere per l'estensione in via consequenziale. 
    Tale profilo non e' sfuggito alle difese di parte,  le  quali  si
sono ampiamente diffuse nel prendere in considerazione il  menzionato
passaggio finale della sentenza  n.  262  del  2020,  valutandone  la
portata processuale e prospettando i (ritenuti) vizi specifici  delle
norme che prevedono la deducibilita' parziale;  in  modo  analogo  ha
argomentato l'opinione depositata dall'amicus curiae. Tuttavia,  tali
atti non possono valere, per costante giurisprudenza di questa Corte,
a supplire al difetto di motivazione delle  ordinanze  di  rimessione
(ex plurimis, sentenze n. 251 del 2017 e n. 56 del 2015; ordinanza n.
209 del 2015). 
    Dal  momento  che  entrambe  le  ordinanze  non  si   confrontano
sufficientemente con  la  diversita'  tra  le  norme  censurate,  che
prevedono una deducibilita' dell'IMU sui beni  strumentali  dall'IRES
pari  al  20  per  cento,  e  quella  che  prevedeva  un  regime   di
indeducibilita' totale, poi dichiarata costituzionalmente illegittima
con la sentenza n. 262 del 2020,  le  questioni  con  esse  sollevate
devono essere dichiarate inammissibili, in relazione a questo  punto,
per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza. 
    9.- E' inammissibile, da ultimo, anche la questione sulla  totale
indeducibilita' dell'IMU sui beni  strumentali  dall'IRAP  sollevata,
con riferimento all'art. 3 Cost., nel giudizio  iscritto  al  n.  154
reg. ord. 2023. 
    La stessa, infatti, e' stata  motivata  unicamente  asserendo  la
«ingiustificata disparita' di trattamento  tra  contribuenti  che,  a
parita'  di  valore  della  produzione,  sono  assoggettati   ad   un
differente e piu' gravoso onere impositivo esclusivamente sulla  base
dei diversi fattori della produzione utilizzati». 
    In questi termini, l'argomentazione  appare  del  tutto  generica
(ordinanza n. 196 del 2023), poiche' omette di  indicare  in  base  a
quali  elementi  possa   ritenersi   sussistere,   nella   disciplina
dell'IRAP, l'ipotizzata disparita' di  trattamento  «sulla  base  dei
diversi  fattori  della  produzione  utilizzati»,  che  peraltro  non
vengono specificati, e in che misura si  verrebbe  a  determinare  il
«differente e piu' gravoso onere impositivo». 
    La questione deve  quindi  essere  dichiarata  inammissibile  per
insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza. 
    10.- La questione sulla totale indeducibilita' dell'IMU sui  beni
strumentali dall'IRAP, sollevata nel giudizio iscritto al n. 154 reg.
ord. 2023, in riferimento all'art. 53 Cost., non e' fondata. 
    Anche in questo caso, il  rimettente,  dopo  aver  precisato  che
l'IRAP sarebbe un'imposta diretta a colpire «l'attivita'  produttiva»
e quindi «una capacita' contributiva, impersonale, di  natura  reale,
completamente staccata da quella personale dei singoli percettori  di
reddito,  fondata  sulla   capacita'   produttiva   originata   dalla
combinazione  dei  fattori  della  produzione»,   si   riporta   alle
argomentazioni della sentenza n.  262  del  2020,  indicando,  questa
volta, in modo sufficiente i motivi della non manifesta infondatezza. 
    A suo avviso, infatti, «l'IMU sugli immobili  strumentali  e'  un
onere certo ed inerente [...] che si  atteggia  alla  stregua  di  un
ordinario fattore della produzione, al quale  la  societa'  non  puo'
sottrarsi» e come tale, quindi, dovrebbe risultare classificabile tra
gli «"oneri diversi di gestione"» imputati alla voce  B14  del  conto
economico, «in quanto inerenti», per cui l'indeducibilita'  finirebbe
per «assoggettare a imposta una ricchezza non realmente  prodotta  ma
imputata al contribuente per mera fictio iuris». 
    10.1.- In questi termini la questione non e' fondata. 
    Nel caso dell'IRAP, il legislatore «ha  individuato  quale  nuovo
indice di capacita' contributiva, diverso  da  quelli  utilizzati  ai
fini di  ogni  altra  imposta,  il  valore  aggiunto  prodotto  dalle
attivita' autonomamente organizzate» (sentenza n. 156 del 2001). 
    L'imposta, che a suo tempo e' stata  introdotta  nell'ordinamento
per incrementare l'autonomia finanziaria delle  regioni,  sostituendo
cinque preesistenti e diversificate forme di prelievo,  trova  quindi
la  sua  specifica  giustificazione  nella  manifestazione   di   una
capacita'  produttiva  derivante  dal  potere  di  organizzazione   e
coordinamento dei fattori della produzione. 
    Questa grandezza, in quanto tale, prescinde dalla  produzione  di
un reddito, al punto da poter colpire  anche  attivita'  in  perdita,
purche' si sia generato un valore aggiunto riferibile alle  attivita'
autonomamente organizzate. 
    Inserendosi nel moderno filone di quelle imposte che  assumono  a
loro fondamento una nozione di capacita' contributiva che  supera  il
legame con i piu' tradizionali indici come il patrimonio e il reddito
(sentenza n. 288 del 2019), l'IRAP e' stata applicata  su  «un  fatto
economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di  capacita'  di
contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore  dell'attivita',
e' autore delle scelte  dalle  quali  deriva  la  ripartizione  della
ricchezza prodotta tra i  diversi  soggetti  che,  in  varia  misura,
concorrono alla sua creazione» (sentenza n. 156 del 2001). 
    Va precisato, pero',  che,  per  effetto  di  numerose  modifiche
normative, che nel tempo si sono stratificate sul quadro  originario,
la disciplina sulla determinazione della base imponibile dei  singoli
settori di attivita' e  sulla  natura  dei  soggetti  passivi  si  e'
sviluppata  in  modo  assai  articolato   e   complesso,   risultando
caratterizzata da «regimi particolari, specificamente individuati dal
legislatore in ragione delle diverse attivita'» (sentenza n.  12  del
2022). 
    Nell'ordinamento si e' manifestata, poi, una  linea  di  tendenza
rivolta al progressivo svuotamento  di  tale  imposta,  come  risulta
dall'art. 1, comma 8, della legge 30 dicembre 2021, n. 234  (Bilancio
di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2022  e  bilancio
pluriennale per il triennio 2022-2024), il quale ha previsto  che,  a
decorrere dal periodo d'imposta 2021,  l'IRAP  non  e'  dovuta  dalle
persone fisiche esercenti attivita' commerciali ed esercenti  arti  e
professioni e, soprattutto, in termini piu'  generali,  dall'art.  8,
comma 1, lett. a), della legge 9  agosto  2023,  n.  111  (Delega  al
governo per la riforma fiscale), che ha infine demandato  al  Governo
di «procedere al graduale superamento dell'imposta». 
    10.2.- La struttura dell'imposta, in ogni caso, non si  fonda  su
un modello della deducibilita' dei costi assimilabile a  quello  che,
in base al principio di inerenza, e' linearmente riscontrabile  nella
disciplina dell'IRES. 
    In  quest'ultima  imposta,  infatti,  l'elemento  materiale   del
presupposto s'identifica con il reddito  netto  -  in  ragione  degli
artt.  73   (Soggetti   passivi),   75   (Base   imponibile)   e   83
(Determinazione del reddito complessivo) del  TUIR  -,  al  punto  da
consentire di ravvisare  un  carattere  strutturale  nella  deduzione
dell'IMU sugli immobili strumentali (sentenza n. 262 del 2020). 
    L'IRAP, invece, colpisce «con carattere  di  realita',  un  fatto
economico, diverso dal reddito» (sentenza n. 156 del 2001) e la  base
imponibile e' data  dal  «valore  della  produzione  netta  derivante
dall'attivita' esercitata nel  territorio  della  regione»  (art.  4,
comma 1, del d.lgs. n. 446 del 1997). La  determinazione  della  base
imponibile e', poi, differenziata a seconda dei soggetti  passivi  e,
nel caso delle societa' di capitali, quali quelle  in  questione  nel
giudizio a quo, si determina (art. 5 del  d.lgs.  n.  446  del  1997)
principalmente in base alla «differenza tra il valore e i costi della
produzione di cui alle lettere A) e B) dell'articolo 2425 del  codice
civile, con esclusione delle voci di cui ai numeri 9),  10),  lettere
c) e d), 12) e 13)». 
    Secondo  la  logica  propria  dell'imposta,  dal   valore   della
produzione vengono,  quindi,  scorporati  solo  alcuni  costi,  senza
tenere conto, ad esempio, di quello  del  personale  (almeno  secondo
l'impostazione originaria, atteso che il legislatore, nel  corso  del
tempo, ha introdotto, nell'art. 11, comma 1, del d.lgs.  n.  446  del
1997,  ipotesi  specifiche  di  costi  deducibili  sostenuti  per  il
personale e, soprattutto, tra queste, quella del comma  4-octies  del
medesimo articolo, che stabilisce  la  deducibilita'  del  costo  del
personale  dipendente  con  contratto  a  tempo  indeterminato  e,  a
determinate condizioni e con un preciso limite, anche dei  lavoratori
stagionali), con una radicale differenza rispetto  a  quanto  avviene
per la determinazione della base imponibile dell'IRES, dove, in  base
al principio di inerenza, tale esclusione non sarebbe concepibile. 
    In  questi  termini,  nonostante  l'assonanza  terminologica,  il
riferimento al «valore della produzione netta»  assume  un  carattere
marcatamente diverso da quello del «reddito netto», perche' nell'IRAP
la scelta di metodo compiuta dal legislatore al fine  di  individuare
la base  imponibile  e'  stata  operata  attraverso  un  criterio  di
"sottrazione", da cui viene pero' escluso un consistente  insieme  di
voci (in particolare artt. 5, commi 1 e 3, nonche' 11). 
    Tale scelta evidenzia, dunque, una  profonda  differenza  tra  il
criterio di calcolo del valore della produzione netta  e  quello  del
reddito netto, dal momento che alcuni costi necessariamente  inerenti
e  deducibili  per  quest'ultima  grandezza  non   sono   considerati
scorporabili o deducibili per la prima. 
    La particolarita' della tecnica impositiva  che  contraddistingue
l'IRAP  conduce,  pertanto,  a  concludere  che  il  principio  della
necessaria  deducibilita'  dell'IMU   sugli   immobili   strumentali,
affermato da questa Corte in  relazione  all'IRES,  non  puo'  essere
pedissequamente  traslato,  come  invece  pretende  il  rimettente  -
evocando la categoria della  «ricchezza  non  realmente  prodotta»  e
usando la leva di una nozione di inerenza che  si  e'  sviluppata  in
riferimento all'imposta sul reddito -, a una imposta differente  dove
la  considerazione  delle  componenti  negative  segue  un   criterio
diverso. 
    10.3.- Tale conclusione risulta confermata  da  ulteriori  indici
normativi. 
    In effetti, come notato anche dalla difesa  erariale,  manca  una
previsione quale l'art. 99 TUIR, che sancisce un  generale  principio
di deducibilita' delle imposte, a eccezione di quelle sui  redditi  e
di quelle per le quali e' prevista la rivalsa. Piuttosto, si rinviene
solo il generico rinvio,  cui  si  appella  il  rimettente,  compiuto
dall'art. 5 del d.lgs. n. 446 del 1997, alla lettera B), numero  14),
dell'art.  2425,  del  codice  civile,  che  pero'  genericamente  si
riferisce agli «oneri diversi di gestione». 
    Questa voce, interpretata in base ai principi contabili  OIC  12,
sembrerebbe si' avere riguardo, in generale,  a  tutti  i  costi  non
iscrivibili per natura in altre voci della classe  B),  contemplando,
fra  l'altro,  alcune  tipologie  di  imposte,   tra   cui   potrebbe
riconoscersi anche l'IMU (e prima ancora l'ICI). 
    Tuttavia, va considerato che il decreto legislativo  30  dicembre
1999, n. 506  (Disposizioni  integrative  e  correttive  dei  decreti
legislativi 15 dicembre 1997, n. 446, e 18  dicembre  1997,  n.  472,
recanti,  rispettivamente,  disposizioni  in   materia   di   imposta
regionale sulle attivita' produttive e di tributi locali, nonche'  di
sanzioni amministrative tributarie), introducendo l'art.  11-bis  nel
d.lgs. n. 446 del 1997, ha espressamente  previsto  la  deducibilita'
dell'ICI dall'IRAP, il che dovrebbe indurre a ritenere che questa non
era configurabile alla luce del rinvio contenuto  nella  disposizione
di cui all'art. 5 nel suo testo originario. 
    Peraltro, con l'art. 1, comma 50,  lettera  g),  della  legge  24
dicembre 2007, n. 244, recante «Disposizioni per  la  formazione  del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2008)»,
il suddetto articolo e' stato abrogato  e,  contestualmente,  con  il
comma 50, lettera  a),  del  medesimo  articolo  e'  stata  inserita,
proprio nell'art. 5,  comma  3,  del  d.lgs.  n.  446  del  1997,  la
specifica  previsione  di  non  deducibilita'  dell'ICI  dalla   base
imponibile, cui e' poi coerentemente seguito, nel medesimo solco,  il
decreto legislativo n. 23  del  2011,  che  ha  stabilito  la  totale
indeducibilita' dell'IMU dall'IRAP. 
    10.4.- In riferimento all'IRAP mancano, insomma, quelle  evidenze
normative che hanno condotto questa Corte con la richiamata  sentenza
n. 262 del 2020 a riconoscere carattere  strutturale  alla  deduzione
dell'IMU sugli immobili  strumentali  con  riguardo  all'IRES  e,  di
conseguenza, a ritenere vulnerata, in  forza  della  prevista  totale
indeducibilita', la coerenza interna dell'imposta. 
    La diversita' della natura dei due tributi, dei loro presupposti,
delle  specifiche  basi  imponibili  e  delle   precipue   discipline
evidenzia come le medesime argomentazioni della  sentenza  di  questa
Corte n. 262 del 2020 non possano essere estese all'IRAP. 
    Deve quindi essere dichiarata non fondata la questione sollevata,
a questo riguardo, dal rimettente.