ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 103,  comma
10, lettera c), del decreto-legge  19  maggio  2020,  n.  34  (Misure
urgenti in materia di salute,  sostegno  al  lavoro  e  all'economia,
nonche' di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da
COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020,
n.  77,  promosso  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  per  il
Piemonte, sezione prima, nel procedimento vertente tra S. B. S. e  il
Ministero dell'interno, con ordinanza del 14 febbraio 2023,  iscritta
al n. 65 del registro ordinanze  2023  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 20,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2023. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udita nella camera di consiglio del 6 febbraio  2024  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    deliberato nella camera di consiglio del 6 febbraio 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 14 febbraio 2023, iscritta  al  n.  65  del
registro ordinanze 2023, il Tribunale amministrativo regionale per il
Piemonte, sezione prima, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3  e
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 103, comma 10,  lettera  c),
del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di
salute, sostegno al  lavoro  e  all'economia,  nonche'  di  politiche
sociali   connesse   all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 17  luglio  2020,  n.  77,
nella parte in cui fa derivare il rigetto automatico della istanza di
regolarizzazione del lavoratore straniero dalla  pronuncia  nei  suoi
confronti di una sentenza di condanna, anche non definitiva, compresa
quella adottata a seguito di applicazione della pena su richiesta  ai
sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale, per il  reato
previsto dall'art. 73, comma 5,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia
di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), senza
prevedere  che  la  pubblica  amministrazione  debba  accertare   che
l'istante  rappresenti  una  minaccia  per  l'ordine  pubblico  o  la
sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali  l'Italia  abbia
sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere
interne e la libera circolazione delle persone. 
    1.1.- Il rimettente riferisce che, in data 12 agosto 2020, A.  R.
K., in qualita'  di  datore  di  lavoro,  presentava  telematicamente
un'istanza di emersione del lavoro  irregolare,  ai  sensi  dell'art.
103, comma 1, del d.l. n. 34 del 2020, come  convertito,  concernente
S. B. S., cittadino indiano entrato in Italia nel 2003. A seguito  di
detta istanza, in data  30  novembre  2021,  i  due  sottoscrivevano,
presso  lo  sportello  unico  per  l'immigrazione,  un  contratto  di
soggiorno per lavoro subordinato domestico. 
    La Prefettura di Novara, verificato che S. B. S. aveva riportato,
nel 2008 e nel 2009, due condanne per il reato di  cui  all'art.  73,
comma 5, del d.P.R. n. 309  del  1990,  comunicava  agli  interessati
l'avvio del procedimento di cui all'art. 103, comma 10,  lettera  c),
del d.l. n. 34 del 2020, come convertito, che si  concludeva,  il  1°
agosto  2022,  con  un  provvedimento  dello  sportello   unico   per
l'immigrazione di annullamento del citato contratto di  lavoro  e  di
rigetto dell'istanza di emersione del lavoro irregolare. 
    1.2.- Il rimettente riporta che, in data 26 ottobre 2022,  S.  B.
S. ha proposto, avverso tale provvedimento, ricorso  dinanzi  al  TAR
Piemonte. 
    A sostegno dell'impugnativa, il ricorrente ha articolato un unico
motivo di censura, con il quale ha contestato la mancata  valutazione
in  concreto  da  parte  della  Prefettura  della  sua  pericolosita'
sociale, sulla base di quanto gia' affermato da questa Corte  con  la
sentenza n. 172 del 2012. In particolare, nel ricorso viene segnalato
- secondo quanto riporta il rimettente - come tale pronuncia, pur con
riferimento  a  una  diversa  fattispecie  di  emersione  del  lavoro
irregolare, abbia gia' ritenuto costituzionalmente  illegittimo  «far
derivare automaticamente il rigetto dell'istanza di  regolarizzazione
del lavoratore extracomunitario dalla pronuncia [...] di condanna per
uno dei reati [di cui al]l'art. 381 c.p.p. [...], senza prevedere che
la Pubblica Amministrazione provveda ad  accertare  che  il  medesimo
rappresenti una minaccia per l'ordine pubblico o la  sicurezza  dello
Stato». 
    Il giudice a quo riferisce, di seguito, che si e'  costituito  in
giudizio il Ministero dell'interno, il quale ha  chiesto  il  rigetto
del ricorso, rilevando come l'art. 103, comma  10,  lettera  c),  del
d.l. n. 34 del 2020, come convertito, contempli in maniera  espressa,
tra le condizioni automaticamente ostative alla regolarizzazione,  la
condanna per i reati in materia di  stupefacenti.  Pertanto,  sarebbe
stata impropriamente richiamata - secondo il Ministero  -  la  citata
sentenza. 
    2.- Il TAR Piemonte ha, dunque, sollevato dinanzi a questa Corte,
nei  termini  enunciati  in  apertura,  questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 103, comma 10, lettera c), del  d.l.  n.  34
del 2020, come convertito, per violazione degli artt. 3 e 117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU. 
    2.1.- Ad avviso del rimettente, le questioni sarebbero  anzitutto
rilevanti. 
    Risulterebbe incontestato sia che  lo  straniero  richiedente  ha
riportato condanne per il reato di cui  all'art.  73,  comma  5,  del
d.P.R. n. 309 del 1990, sia che tale fattispecie rientra tra «i reati
inerenti   agli   stupefacenti»,   espressamente   menzionati   dalla
disposizione  censurata  fra  le   cause   automaticamente   ostative
all'ammissione dei cittadini stranieri alle procedure di cui ai commi
1 e 2 del citato art. 103. 
    In mancanza  della  decisione  sulle  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate, il giudice a quo dovrebbe dunque  rigettare
il ricorso, non essendo percorribile una interpretazione  adeguatrice
a Costituzione che «colliderebbe frontalmente con il dato letterale e
sistematico» della disposizione censurata. 
    2.2.- In ordine alla non manifesta  infondatezza,  il  rimettente
ripercorre, anzitutto,  l'evoluzione  normativa  e  giurisprudenziale
riguardante la fattispecie di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n.
309 del 1990, che sarebbe  andata  progressivamente  acquisendo,  per
effetto  di  ripetuti  interventi  legislativi  e   dei   conseguenti
adeguamenti giurisprudenziali, la  natura  di  fattispecie  di  reato
autonoma «espressiva di una carica di disvalore  vieppiu'  contenuto»
rispetto alla fattispecie-base di cui al comma 1  dello  stesso  art.
73. 
    Inoltre, il rimettente ricorda l'evoluzione giurisprudenziale  di
questa Corte «in ordine al meccanismo degli automatismi legali e alla
logica presuntiva insita  in  essi».  A  tal  riguardo,  rammenta  la
sentenza  n.  172  del  2012,  che  ha  dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale di un'altra  disciplina  concernente  l'emersione  del
lavoro irregolare - contenuta nell'art. 1-ter  del  decreto-legge  1°
luglio 2009, n.  78  (Provvedimenti  anticrisi,  nonche'  proroga  di
termini e della partecipazione italiana a  missioni  internazionali),
convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009,  n.  102  -
censurando l'automatismo che essa, al comma 13, prevedeva in caso  di
condanne  riportate  dallo  straniero  per  uno  dei  reati  previsti
dall'art. 381 cod. proc. pen. 
    Muovendo  dai  citati  passaggi  motivazionali,   il   rimettente
argomenta le due censure di illegittimita' costituzionale. 
    2.2.1.- In primo luogo, ritiene che la previsione censurata,  nel
far derivare  in  via  di  automatismo  il  rigetto  dell'istanza  di
regolarizzazione e del permesso di soggiorno per  ragioni  di  lavoro
dalla previa condanna per il reato di cui all'art. 73, comma  5,  del
d.P.R.  n.  309  del  1990,  sarebbe  contraria   ai   canoni   della
ragionevolezza e della proporzionalita', di cui all'art. 3 Cost. 
    Tra la fattispecie del cosiddetto piccolo  spaccio  e  gli  altri
reati inerenti agli stupefacenti vi sarebbe, infatti, un  ampio  iato
sanzionatorio, che si rifletterebbe,  sul  piano  processuale,  nella
espressa esclusione, rispetto ai delitti in materia di  stupefacenti,
del solo reato di cui all'art. 73, comma 5, del  d.P.R.  n.  309  del
1990 dalle ipotesi di arresto  obbligatorio  in  flagranza  di  reato
(art. 380, comma 2, lettera h, cod. proc. pen.). 
    Ne  deriverebbe  la  palese  irragionevolezza  della  persistente
omologazione, nell'art. 103, comma 10, lettera c), del d.l. n. 34 del
2020, come convertito, di un reato di ridotta  offensivita'  a  reati
gravi, con l'effetto di generalizzare «una  presunzione  assoluta  di
pericolosita'   sociale   che   non   necessariamente    trov[erebbe]
corrispondenza nell'id quod plerumque accidit». 
    A causa delle precedenti condanne per un reato che  l'ordinamento
reputa di ridotta offensivita', il richiedente vedrebbe proiettato  a
proprio danno «un cono di effetti inibitori illimitato e perpetuo,  a
nulla rilevando la risalenza nel tempo e [...]  la  storia  personale
dello  straniero  successivamente  alla  regolare  espiazione   della
propria pena». 
    In tal modo, sarebbe violato anche il canone di proporzionalita',
avendo il legislatore  previsto  una  misura  che,  «pur  perseguendo
efficacemente la salvaguardia degli interessi pubblici alla sicurezza
dello Stato e all'ordine pubblico», rifiuta un approccio  ispirato  a
maggior  gradualita',  «in  guisa   di   affidare   all'apprezzamento
discrezionale della pubblica amministrazione titolare del  potere  la
valutazione della pericolosita' concreta del soggetto richiedente». 
    2.2.2.- In secondo luogo, il TAR Piemonte argomenta il  contrasto
della disciplina  censurata  con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,
relativamente all'art. 8 CEDU. 
    Il rimettente richiama, in  proposito,  la  giurisprudenza  della
Corte di Strasburgo che, al fine di garantire il rispetto della  vita
privata e familiare degli stranieri soggiornanti nei  Paesi  aderenti
alla CEDU, censura le misure nazionali  che  fanno  derivare  in  via
automatica dalla commissione di  reati  il  diniego  di  soggiorno  e
l'espulsione   dello   straniero,   senza   consentire    un'adeguata
ponderazione del  carattere  necessario  di  simili  misure  rispetto
all'obiettivo  di  perseguire  pubblici  interessi  in  una  societa'
democratica. 
    2.3.- In conclusione, il giudice a quo ritiene che la fattispecie
di reato di cui all'art. 73, comma 5, del  d.P.R.  n.  309  del  1990
debba essere espunta dal novero dei reati ostativi all'emersione  del
lavoro irregolare espressamente elencati dalla lettera c), del  comma
10, dell'art. 103 del d.l. n. 34 del 2020, come convertito. 
    Da cio' deriverebbe una attrazione della condanna per tale  reato
nell'alveo della lettera d), del medesimo comma dell'articolo citato,
che  consentirebbe  di  valutare  in  concreto  se  la  richiesta  di
emersione comporti una attuale minaccia per l'ordine  pubblico  o  la
sicurezza, assumendo «quale indice di pericolosita'  dello  straniero
[...] la sussistenza di eventuali condanne per uno dei reati  di  cui
all'art. 381 c.p.p.»,  ai  quali  si  ascrive  anche  quello  di  cui
all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990. 
    3.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato. 
    3.1.- In rito, la difesa statale ha chiesto  a  questa  Corte  di
valutare la possibilita' di una restituzione degli atti al giudice  a
quo, in quanto, nell'intervallo di tempo trascorso tra l'ordinanza di
rimessione e la trattazione delle odierne questioni,  e'  intervenuta
la  sentenza  n.  88  del  2023,  con   cui   e'   stata   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 4,  comma  3,  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), nella parte in  cui  condizionava  il  rinnovo  del
permesso di  soggiorno  in  favore  dello  straniero  all'assenza  di
condanne per il reato di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n.  309
del  1990.  Secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,   lo   ius
superveniens  rappresentato   dalla   sentenza   n.   88   del   2023
giustificherebbe una restituzione degli atti al giudice a quo, atteso
lo «spiccato parallelismo» tra  la  norma  oggi  censurata  e  quella
dichiarata costituzionalmente illegittima. 
    3.2.- Nel merito, la difesa statale sostiene  la  non  fondatezza
delle questioni sollevate. 
    Da un lato, la disciplina dettata dall'art. 103 del  d.l.  n.  34
del 2020, come convertito,  sarebbe  connotata  da  forti  tratti  di
straordinarieta', che  contribuirebbero  a  escludere  la  fondatezza
delle censure poste in riferimento all'art. 3 Cost. 
    Da un altro lato, la giurisprudenza della Corte EDU sul  rispetto
della vita privata degli stranieri in relazione  a  procedimenti  che
determinino,  in  via  diretta  o  indiretta,  l'allontanamento   dal
territorio nazionale, lascerebbe agli Stati membri  ampi  margini  di
apprezzamento, il che escluderebbe il contrasto con l'art. 117, primo
comma, Cost. 
    3.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha successivamente
depositato, in data 15 gennaio 2024, una memoria integrativa, con  la
quale  ha  reiterato  le  eccezioni  gia'  formulate,  aggiungendo  a
sostegno della propria posizione la sentenza di questa Corte  n.  209
del 2023, anch'essa resa su una questione avente a oggetto l'art. 103
del d.l. n. 34 del 2020, come convertito. 
    Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, tale ultima  pronuncia
avrebbe riconosciuto l'eccezionalita' della disciplina  di  emersione
del lavoro irregolare contenuta nell'art. 103 e avrebbe ribadito  che
ogni  disciplina  di  regolarizzazione   esprimerebbe   una   propria
specificita', rimessa alla discrezionalita' del legislatore. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 14 febbraio 2023, iscritta  al  n.  65  del
registro  ordinanze  2023,  il  TAR  Piemonte,  sezione   prima,   ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3 e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU, questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 103, comma 10, lettera c), del  d.l.  n.  34
del 2020, come convertito, nella parte in cui fa derivare il  rigetto
automatico dell'istanza di regolarizzazione del lavoratore  straniero
dalla pronuncia nei suoi confronti di una sentenza di condanna, anche
non definitiva, compresa quella adottata a  seguito  di  applicazione
della pena su richiesta ai sensi dell'art. 444 cod. proc.  pen.,  per
il reato previsto dall'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del  1990,
senza prevedere che la pubblica amministrazione debba  accertare  che
l'istante  rappresenti  una  minaccia  per  l'ordine  pubblico  o  la
sicurezza dello Stato o di uno dei Paesi con i quali  l'Italia  abbia
sottoscritto accordi per la soppressione dei controlli alle frontiere
interne e la libera circolazione delle persone. 
    1.1.- Il rimettente e' chiamato a  decidere  sul  ricorso  di  un
cittadino straniero avverso il provvedimento di  annullamento  di  un
contratto di soggiorno  per  lavoro  subordinato  domestico  e  della
relativa istanza di emersione del lavoro irregolare, motivato con  la
duplice condanna riportata dal ricorrente nel 2008 e nel 2009 per  il
reato di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309  del  1990  (che
sanziona la produzione, il  traffico  e  la  detenzione  illeciti  di
sostanze stupefacenti  e  psicotrope  di  lieve  entita':  cosiddetto
piccolo spaccio). 
    Il TAR Piemonte, preso atto che l'art. 103, comma 10, lettera c),
del d.l. n. 34 del 2020,  come  convertito,  nel  prevedere  casi  di
esclusione   automatica   dalle   procedure   di    regolarizzazione,
ricomprende anche il piccolo spaccio  attraverso  il  riferimento  ai
«reati inerenti agli stupefacenti», ritiene  di  dover  rigettare  il
ricorso, qualora non  siano  accolte  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale che solleva. 
    1.2.- Motivata la rilevanza delle questioni,  il  giudice  a  quo
argomenta la loro non manifesta infondatezza. 
    Il TAR Piemonte lamenta, in primo luogo, la violazione  dell'art.
3  Cost.  per  contrasto   con   i   canoni   di   ragionevolezza   e
proporzionalita'. La disposizione censurata  si  avvarrebbe,  a  fini
ostativi, di una presunzione assoluta di pericolosita'  sociale  «che
non  necessariamente   trov[erebbe]   corrispondenza   nell'id   quod
plerumque accidit». Inoltre, la previsione violerebbe il principio di
proporzionalita', in quanto non sarebbe ispirata  a  un  criterio  di
gradualita',   che   imporrebbe   di   affidare    «all'apprezzamento
discrezionale della pubblica  amministrazione  [...]  la  valutazione
della pericolosita' concreta del soggetto richiedente». 
    In secondo luogo, a giudizio del rimettente, la  norma  censurata
si porrebbe in contrasto con  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 8 CEDU,  come  interpretato  dalla  giurisprudenza
convenzionale. Quest'ultima, al fine di garantire il  rispetto  della
vita privata e  familiare  degli  stranieri  soggiornanti  nei  Paesi
aderenti alla CEDU, censura le misure nazionali che fanno derivare in
via di automatismo dalla commissione di reati il diniego di soggiorno
e  l'espulsione  dello  straniero,   senza   consentire   un'adeguata
ponderazione del carattere necessario di simili  misure  rispetto  al
fine di perseguire pubblici interessi in una societa' democratica. 
    2.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale, prima ancora di argomentare la non fondatezza  delle
questioni sollevate, ha chiesto di  valutare  la  restituzione  degli
atti al giudice a quo, essendo nel frattempo intervenuta la  sentenza
di questa  Corte  n.  88  del  2023,  con  cui  e'  stata  dichiarata
costituzionalmente  illegittima  una  norma   che   denoterebbe   uno
«spiccato   parallelismo»   rispetto   alla   previsione    censurata
nell'odierno giudizio. 
    3.- Questa Corte esclude di dover restituire gli atti al  giudice
rimettente. 
    La sentenza n.  88  del  2023  ha  dichiarato  costituzionalmente
illegittima una diversa norma, recata da una disposizione  differente
rispetto a quella su cui si appuntano le censure in esame. 
    La  norma  dichiarata  costituzionalmente  illegittima   con   la
sentenza n. 88 del  2023,  pur  stabilendo  una  condizione  ostativa
identica  a  quella  oggetto  delle  questioni  poste  nel   presente
giudizio, nondimeno riguarda il rinnovo del permesso di  soggiorno  e
non l'emersione del lavoro  irregolare  e  la  possibile  stipula  di
contratti  di  lavoro;  inoltre,   si   riferisce   al   procedimento
amministrativo disciplinato dagli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del
d.lgs. n. 286 del 1998 e non a quello  regolato  dal  censurato  art.
103, comma 10, lettera c), del d.l. n. 34 del 2020, come convertito. 
    Tanto appare sufficiente a escludere una incidenza in via diretta
del dictum contenuto nella sentenza n.  88  del  2023  sulle  odierne
censure. 
    4.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. e' fondata. 
    5.- La norma censurata si colloca nell'ambito di  una  disciplina
(recata dal d.l. n. 34 del 2020, come convertito), volta a introdurre
«misure  urgenti  in  materia  di  salute,  sostegno  al   lavoro   e
all'economia, nonche' di  politiche  sociali  connesse  all'emergenza
epidemiologica da COVID-19». 
    Fra le misure previste, l'art. 103 delinea,  per  alcuni  settori
economici (comma 3 dell'articolo citato), tre  procedure  riguardanti
l'emersione del lavoro irregolare e la  possibile  stipula  di  nuovi
contratti di lavoro con cittadini stranieri presenti  sul  territorio
nazionale. 
    Le prime due procedure, regolate al comma 1 del citato art.  103,
operano su impulso del datore di lavoro,  il  quale  puo'  presentare
istanza «per  concludere  un  contratto  di  lavoro  subordinato  con
cittadini stranieri», oppure «per dichiarare  la  sussistenza  di  un
rapporto di  lavoro  irregolare,  tuttora  in  corso,  con  cittadini
italiani  o  cittadini  stranieri».  Tali   previsioni,   ove   fanno
riferimento ai cittadini stranieri, riguardano solo quelli che, oltre
a dover essere presenti nel territorio  nazionale  alla  data  dell'8
marzo 2020 e a dover essere rimasti nel territorio dopo quella  data,
devono essere stati sottoposti, prima dell'8 marzo 2020,  «a  rilievi
fotodattiloscopici ovvero [...] devono  aver  soggiornato  in  Italia
[...], in forza della dichiarazione di presenza, resa ai sensi  della
legge  28  maggio  2007,  n.  68  o  di  attestazioni  costituite  da
documentazione di data certa proveniente da organismi  pubblici».  In
tali  ipotesi,  lo  sportello  unico  per  l'immigrazione  -  se  non
sussistono ragioni ostative - «convoca le parti per  la  stipula  del
contratto  di  soggiorno,  per  la  comunicazione   obbligatoria   di
assunzione  e  la  compilazione  della  richiesta  del  permesso   di
soggiorno per lavoro subordinato» (comma 15). 
    La terza procedura - di cui all'art. 103, comma 2 -  attribuisce,
invece, ai cittadini stranieri un permesso di lavoro temporaneo della
durata di sei mesi, suscettibile di essere convertito in permesso  di
soggiorno per motivi di lavoro se lo straniero,  nel  corso  dei  sei
mesi,  «esibisce  un  contratto  di  lavoro  subordinato  ovvero   la
documentazione retributiva e previdenziale comprovante lo svolgimento
dell'attivita' lavorativa in conformita' alle previsioni di legge nei
settori di cui al comma 3». La citata procedura si  rivolge  solo  ai
cittadini stranieri che, oltre a «risultare presenti  sul  territorio
nazionale alla  data  dell'8  marzo  2020,  senza  che  se  ne  siano
allontanati dalla medesima data», devono  altresi'  essere  stati  in
possesso di un permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, non
rinnovato o convertito in altro titolo di soggiorno, e  «aver  svolto
attivita' di lavoro, nei settori di cui al comma 3,  antecedentemente
al 31 ottobre 2019, comprovata secondo le modalita' di cui  al  comma
16». 
    L'accesso alle procedure di cui ai commi 1 e 2 dell'indicato art.
103 non e', tuttavia, consentito ai «cittadini stranieri»,  aspiranti
al contratto di lavoro o lavoratori irregolari, che si trovino  nelle
situazioni delineate al comma 10 del medesimo art. 103. 
    In particolare, la lettera c) del comma 10 indica, quale  ipotesi
di esclusione automatica dalle procedure appena richiamate, quella in
cui lo straniero abbia riportato una condanna, anche non  definitiva,
compresa quella adottata a seguito  di  applicazione  della  pena  su
richiesta ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen., «per uno dei  reati
previsti dall'articolo 380 del codice  di  procedura  penale»  o  per
talune tipologie di reati,  che  sono  espressamente  menzionati:  «i
delitti contro la liberta' personale ovvero [...]  i  reati  inerenti
agli stupefacenti, il favoreggiamento  dell'immigrazione  clandestina
verso l'Italia e dell'emigrazione clandestina dall'Italia verso altri
Stati o [...] reati diretti al reclutamento di persone  da  destinare
alla prostituzione o  allo  sfruttamento  della  prostituzione  o  di
minori da impiegare in attivita' illecite». 
    Un secondo  gruppo  di  ipotesi  e',  invece,  individuato  dalla
successiva  lettera  d),  che   inibisce   ai   cittadini   stranieri
l'ammissione alle  citate  procedure  solo  se,  in  concreto,  siano
reputati «una minaccia per l'ordine pubblico o  la  sicurezza»  sulla
base di un accertamento «della pericolosita' » che tiene conto «anche
di eventuali condanne [...] per uno dei reati previsti  dall'articolo
381 del codice di procedura penale». 
    Il  giudice  rimettente  lamenta  che,  nel  raggio   applicativo
dell'art. 103, comma 10, lettera c), del d.l. n. 34  del  2020,  come
convertito, sia stato ricompreso il reato  di  piccolo  spaccio,  che
andrebbe invece attratto  nell'alveo  della  lettera  d),  in  quanto
illecito  di  limitata  gravita'  al  quale,   fra   l'altro,   trova
applicazione l'arresto facoltativo in  flagranza  ex  art.  381  cod.
proc. pen. 
    6.- La tecnica normativa  adottata  dal  comma  10,  lettera  c),
dell'art.  103  del  d.l.  n.   34   del   2020,   come   convertito,
nell'affiancare - sulla falsariga di quanto gia'  previsto  dall'art.
4, comma 3, del d.lgs. n. 286  del  1998,  come  modificato  -  a  un
paradigma evocativo della gravita' di  taluni  reati  (quelli  per  i
quali e' previsto  l'arresto  obbligatorio  in  flagranza,  ai  sensi
dell'art.  380  cod.  proc.  pen.)  un  criterio  di  identificazione
tipologica di ulteriori  illeciti  penali,  finisce  in  effetti  per
ricomprendere,  con   la   categoria   dei   «reati   inerenti   agli
stupefacenti», anche una condotta - quella che  integra  gli  estremi
dell'illecito di cui all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990
- che lo stesso legislatore disegna  con  i  tratti  di  una  ridotta
offensivita'. 
    6.1.- Simile reato,  che  un  tempo  costituiva  una  fattispecie
attenuata rispetto al reato-base di produzione, traffico e detenzione
illeciti di sostanze stupefacenti e psicotrope, si delinea oggi quale
illecito autonomo (sentenze n. 88 del 2023 e n. 223  del  2022)  che,
«per i mezzi, la modalita' o le circostanze dell'azione ovvero per la
qualita' e quantita' delle sostanze, e' di lieve entita'»  (art.  73,
comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990, nel testo sostituito, da ultimo,
dall'art. 1, comma 24-ter, lettera  a,  del  decreto-legge  20  marzo
2014, n. 36, recante «Disposizioni urgenti in materia  di  disciplina
degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura   e
riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza,  di  cui  al
decreto del Presidente  della  Repubblica  9  ottobre  1990,  n  309,
nonche' di impiego di  medicinali»,  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 16 maggio 2014, n. 79). 
    In   particolare,   come   sottolinea   la   giurisprudenza    di
legittimita', la  funzione  di  tale  autonomo  reato  e'  quella  di
individuare fatti di «ridotta offensivita', allo scopo  di  sottrarli
al regime sanzionatorio previsto dall'art. 73 DPR 309/90 [...]  nella
prospettiva  di  rendere  il  sistema  repressivo   in   materia   di
stupefacenti maggiormente rispondente ai principi  sanciti  dall'art.
27 Cost.» (Corte di cassazione, sezione  terza  penale,  sentenza  13
maggio 2022-29 agosto 2022, n. 31768; sezioni unite penali,  sentenza
27 settembre-9 novembre 2018, n. 51063). 
    Il legislatore, dunque, ha disegnato il reato di piccolo  spaccio
con tratti di  ridotta  offensivita',  che  segnano  la  sua  marcata
distanza  dalle   altre   fattispecie   di   reato   «inerenti   agli
stupefacenti». 
    6.2.- A tale considerazione deve poi aggiungersi  che  la  stessa
disposizione censurata - l'art. 103, comma 10, lettera c)  -  adotta,
fra gli indici idonei a fondare la presunzione iuris et  de  iure  di
pericolosita', anche quello della condanna per reati  che  comportano
l'obbligo di arresto in flagranza, ai sensi dell'art. 380 cod.  proc.
pen.; previsione che, nel caso del reato di cui all'art. 73, comma 5,
del d.P.R. n. 309 del 1990, non trova applicazione. 
    L'art. 380 cod. proc. pen. - che, a sua volta, individua i  reati
piu' gravi cui riferire l'arresto obbligatorio in flagranza adottando
sia il criterio della gravita' della sanzione sia quello tipologico -
esclude, infatti,  espressamente  (al  comma  2,  lettera  h),  dalla
categoria dei reati concernenti sostanze stupefacenti  e  psicotrope,
la previsione di cui all'art. 73, comma 5,  del  d.P.R.  n.  309  del
1990, per la quale opera l'arresto in flagranza facoltativo, ai sensi
dell'art. 381, comma 1, cod. proc. pen., trattandosi  di  un  delitto
non colposo per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione
superiore nel massimo a tre anni. 
    In sostanza, al reato  di  piccolo  spaccio  si  applica  proprio
quella disciplina dell'art. 381 cod. proc. pen.,  di  cui  si  avvale
l'art. 103, comma 10, lettera d), per attrarre i  reati  rispetto  ai
quali l'avvenuta condanna puo' essere adottata solo  come  indice  di
pericolosita' da  accertare  in  concreto,  e  non  da  presumere  in
astratto. 
    7.- Quanto appena illustrato  evidenzia  come  il  reato  di  cui
all'art. 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 - sia per come viene
concepito dal legislatore nel  sistema,  sia  per  come  si  rapporta
all'indice di  pericolosita'  connesso  all'arresto  in  flagranza  -
denoti una limitata offensivita' che contrasta in  maniera  sensibile
con la presunzione assoluta di pericolosita', tanto  piu'  in  quanto
comporta l'automatica  esclusione  da  procedure  che  consentono  di
addivenire alla  regolarizzazione  del  rapporto  di  lavoro  o  alla
stipula del contratto di lavoro. 
    7.1.- Questa Corte ha gia' in passato chiarito che le presunzioni
assolute «violano il principio di eguaglianza se  sono  arbitrarie  e
irrazionali  ovvero  "se  non  rispondono  a   dati   di   esperienza
generalizzati,  riassunti  nella  formula  dell'id   quod   plerumque
accidit"» (sentenza n. 253  del  2019,  che  richiama  sul  punto  la
sentenza n. 57 del 2013). Si disvela,  dunque,  una  irragionevolezza
della «presunzione assoluta tutte  le  volte  in  cui  sia  "agevole"
formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione
posta a base della presunzione stessa (ex plurimis, sentenza  n.  213
del 2013, nello stesso senso, sentenze n. 202  e  n.  57  del  2013)»
(sentenza n. 88 del 2023). 
    Ebbene,  la  norma  oggetto  dell'odierna  censura  associa  alla
condanna per un reato di lieve entita' una  presunzione  assoluta  di
pericolosita' che inibisce la possibilita' stessa  di  verificare  in
concreto se lo straniero continui o meno a rappresentare una minaccia
per l'ordine pubblico  o  la  sicurezza,  al  momento  in  cui  viene
presentata l'istanza di accesso alle procedure di cui  all'art.  103,
commi 1 e 2, del d.l. n. 34 del 2020, come convertito. 
    Sennonche'  questo  contraddice  l'id  quod  plerumque   accidit,
poiche', con riguardo a un reato di ridotta  offensivita',  ben  puo'
desumersi la non pericolosita' attuale di chi in  passato  ha  subito
per tale reato una condanna da una combinazione di indici che tengano
conto: del tempo trascorso dal momento della condanna,  dell'avvenuta
espiazione  della  pena,  del  percorso   rieducativo   eventualmente
seguito, del comportamento tenuto successivamente alla condanna e  di
ulteriori eventuali fattori ritenuti idonei (sentenze n. 88 del 2023,
n. 202 del 2013 e n. 172 del 2012). 
    L'irragionevolezza  manifesta  sottesa  alla  citata  presunzione
assoluta  si  dimostra  tanto  piu'  evidente,  in  quanto  determina
l'automatica esclusione dalle procedure di cui all'art. 103, commi  1
e 2, di cittadini stranieri che, attraverso  l'emersione  del  lavoro
irregolare e la stipula di contratti  di  lavoro,  possono  acquisire
tutti i diritti riconosciuti al lavoratore dal nostro ordinamento. 
    La scelta di «subordinare la  regolarizzazione  del  rapporto  di
lavoro al fatto che la permanenza nel territorio dello Stato non  sia
di pregiudizio ad alcuno degli interessi coinvolti  dalla  disciplina
dell'immigrazione  [...]  deve  costituire   il   risultato   di   un
ragionevole e proporzionato bilanciamento degli  stessi,  soprattutto
quando  sia  suscettibile  di  incidere  sul  godimento  dei  diritti
fondamentali   dei   quali   e'   titolare   anche    lo    straniero
extracomunitario (sentenze n. 245 del 2011,  n.  299  e  n.  249  del
2010), posto che la condizione giuridica  dello  straniero  non  deve
essere "considerata - per quanto riguarda la tutela di tali diritti -
come causa ammissibile di trattamenti diversificati  o  peggiorativi"
(sentenza n. 245 del 2011)» (sentenza n. 172 del 2012). 
    7.2.- L'automatismo previsto, con riferimento al reato di piccolo
spaccio, dall'art. 103, comma 10, lettera c),  del  d.l.  n.  34  del
2020, come  convertito,  non  solo  viola  in  maniera  manifesta  il
principio di ragionevolezza, ma contrasta altresi' con  quello  della
proporzionalita',  poiche'  inibisce  l'accesso  alle  procedure   di
emersione del lavoro irregolare e di stipula di contratti di  lavoro,
quando in concreto puo' non sussistere alcuna minaccia  per  l'ordine
pubblico e la sicurezza. 
    L'estromissione assoluta di  chi  sia  stato  condannato  per  il
piccolo spaccio dalle procedure di  emersione  e  di  conclusione  di
contratti di lavoro - stante la ridotta gravita' di  tale  reato  che
non  puo'  di  per  se'  escludere  la  dimostrazione  della  cessata
pericolosita' - esorbita dallo scopo di negare  l'accesso  a  chi  si
dimostri una minaccia per l'ordine pubblico o  la  sicurezza.  A  tal
fine, infatti, basta consentire un  accertamento  in  concreto  della
pericolosita', come quello previsto dal medesimo art. 103, comma  10,
lettera d), che considera la condanna per i reati meno gravi,  quelli
di cui all'art. 381 cod. proc. pen., «quale indice  di  pericolosita'
dello straniero» da porre a base di un accertamento da effettuare  in
concreto e non da postulare in astratto. 
    Di conseguenza, l'inquadramento  del  reato  di  piccolo  spaccio
nell'art. 103, comma 10, lettera c), del d.l. n. 34  del  2020,  come
convertito, viola in maniera manifesta i principi di ragionevolezza e
di proporzionalita', tradendo la stessa ratio dell'art. 103, ispirata
all'istanza  di  favorire  l'integrazione  lavorativa  e  sociale  di
persone che con il proprio  lavoro  avevano  contribuito,  spesso  in
condizioni di carenza di tutele,  (o  che  potevano  contribuire)  ad
apportare significativi benefici alla comunita'  dei  consociati  nel
contesto dell'emergenza epidemiologica da COVID-19. 
    7.3.- In definitiva, pur dovendosi riconoscere alla disciplina in
esame una natura speciale, rispetto alla quale «il  legislatore  gode
di ampia discrezionalita'» (sentenza n. 209 del 2023), nondimeno,  la
norma censurata travalica il limite della manifesta  irragionevolezza
e sproporzione (ancora sentenza n. 209 del 2023 e, in senso conforme,
sentenze n. 88 del 2023 e n. 172 del 2012) e, pertanto, la  questione
sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. e' fondata. 
    8.-  Resta  assorbita  la  censura  concernente   la   violazione
dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 8 CEDU. 
    9.-  Per  le  ragioni  esposte,  va  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 103, comma 10, lettera c), del  d.l.  n.  34
del 2020, come convertito, nella parte in cui, nel prevedere i «reati
inerenti agli stupefacenti», non esclude il reato di cui all'art. 73,
comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990. 
    La condanna per tale reato  rimane  nell'ambito  di  applicazione
dell'art. 103, comma 10, lettera d), del d.l. n. 34  del  2020,  come
convertito, in quanto illecito per il quale opera  la  previsione  di
cui all'art. 381 cod. proc. pen.