ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 3,
del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in  materia
di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele  crescenti,  in
attuazione della legge  10  dicembre  2014,  n.  183),  promosso  dal
Tribunale  ordinario  di  Lecce,  sezione  lavoro,  nel  procedimento
vertente tra I. A. e P.  spa,  con  ordinanza  del  20  aprile  2023,
iscritta al n. 71 del registro  ordinanze  2023  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  22,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2023, la cui trattazione e' stata fissata per l'adunanza in
camera di consiglio del 6 febbraio 2024. 
    Udito nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 aprile 2023 (reg. ord. n. 71 del  2023),
il  Tribunale  ordinario  di  Lecce,  sezione  lavoro,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento  agli  artt.
76 e 77, primo comma, della Costituzione, dell'art. 1, comma  3,  del
decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in  materia  di
contratto di lavoro a tempo  indeterminato  a  tutele  crescenti,  in
attuazione della legge 10  dicembre  2014,  n.  183),  censurato  per
difformita' rispetto al criterio di delega dettato dall'art. 1, comma
7, lettera c), della legge 10  dicembre  2014,  n.  183  (Deleghe  al
Governo in materia  di  riforma  degli  ammortizzatori  sociali,  dei
servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonche' in materia di
riordino della disciplina dei rapporti  di  lavoro  e  dell'attivita'
ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita
e di lavoro). 
    1.1.- Le questioni sono sollevate  nell'ambito  del  giudizio  di
impugnazione di un licenziamento per  giustificato  motivo  oggettivo
intimato, in data 8 luglio 2022, ad un lavoratore che,  a  far  tempo
dal 2011, era stato  assunto  a  tempo  pieno  e  indeterminato,  con
mansioni di collaboratore amministrativo. 
    Nel giudizio a quo, il ricorrente, premessa la sussistenza di  un
organico superiore alle soglie di cui all'art.  18,  commi  ottavo  e
nono, dello statuto dei lavoratori (legge 20  maggio  1970,  n.  300,
recante «Norme sulla tutela della liberta' e dignita' dei lavoratori,
della liberta' sindacale e dell'attivita' sindacale,  nei  luoghi  di
lavoro  e  norme  sul  collocamento»),  aveva   contestato   l'errore
dell'azienda nell'applicazione dei  criteri  di  scelta,  il  mancato
adempimento dell'onere  di  repêchage,  l'omesso  espletamento  della
procedura prevista dall'art. 7 della legge 15  luglio  1966,  n.  604
(Norme sui licenziamenti individuali).  Il  ricorrente  aveva  quindi
domandato, in via principale, la tutela reintegratoria  attenuata  di
cui  al  quarto  comma  dell'art.  18  statuto  lavoratori,  in   via
subordinata la tutela indennitaria forte di cui  ai  commi  quinto  e
settimo dello stesso articolo, ed in  via  ulteriormente  gradata  la
tutela indennitaria ridotta di cui al comma sesto. 
    1.2.- La parte resistente, invocata l'applicazione  dell'art.  1,
comma  3,  del  d.lgs.  n.  23  del  2015,  aveva  eccepito,  in  via
preliminare, l'inapplicabilita' della disciplina sostanziale  di  cui
all'art. 18 statuto lavoratori, nonche' del rito ex art. 1, commi  47
e seguenti, della legge  28  giugno  2012,  n.  92  (Disposizioni  in
materia di riforma del mercato  del  lavoro  in  una  prospettiva  di
crescita), e, ribadita la  correttezza  del  proprio  operato,  aveva
insistito sulla sussistenza dei presupposti per il licenziamento  per
giustificato motivo oggettivo. 
    1.3.- Il giudice a quo - premesso che all'eventuale errore  nella
scelta   del   rito   non   sarebbe,   in   ogni   caso,   conseguita
l'inammissibilita'  del  ricorso  introduttivo,   ma   al   piu'   la
conversione del rito -  osserva  che  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 3,  del  d.lgs.  n.  23  del  2015,
avrebbero una incidenza diretta, ed  immediatamente  decisiva,  oltre
che  nell'individuazione  del  rito,  sulla  disciplina   sostanziale
dell'intimato licenziamento. 
    1.4.- In termini di rilevanza, il rimettente riferisce che  dalla
documentazione in atti  emergeva  la  conferma  che  al  momento  del
licenziamento sussistessero pienamente i requisiti ex art. 18,  commi
ottavo e nono, statuto lavoratori, ma anche che  la  soglia  numerica
fosse stata superata dopo l'entrata in vigore del d.lgs.  n.  23  del
2015, sicche', risultando presente il prescritto  requisito  numerico
al momento del licenziamento, in caso di accoglimento delle questioni
di  legittimita'  costituzionale,  al  lavoratore  assunto  a   tempo
indeterminato prima del 7 marzo 2015  sarebbe  stato  applicabile  il
sistema  sanzionatorio  previsto  dall'art.  18  statuto  lavoratori,
nonche' il rito di cui all'art. 1, commi 47 e seguenti,  della  legge
n. 92 del 2012; di contro, in caso di  rigetto,  andava  disposto  il
mutamento del rito e lo stesso lavoratore sarebbe stato  soggetto  al
diverso regime di tutela previsto per i contratti cosiddetti a tutele
crescenti. 
    Il Tribunale di Lecce esclude la possibilita'  di  addivenire  ad
una interpretazione  costituzionalmente  orientata,  data  la  chiara
formulazione della disposizione censurata  nella  individuazione  del
presupposto fattuale per la sua applicazione  (ossia  il  superamento
della soglia legale ex art. 18, commi ottavo e nono, citati  in  data
successiva all'entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015),  nonche'
degli effetti da cio' derivanti (l'attrazione nel regime delle tutele
crescenti). 
    1.5.- In punto di non manifesta infondatezza  il  giudice  a  quo
denuncia la violazione degli artt. 76 e 77, primo  comma,  Cost.,  da
parte dell'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 23 del 2015 -  rispetto  al
criterio di delega di cui all'art. 1,  comma  7,  lettera  c),  della
legge delega n. 183 del 2014 che con riguardo alla  nuova  disciplina
sui licenziamenti fa riferimento alle sole «nuove assunzioni» - nella
parte in cui avrebbe esteso la nuova disciplina anche a  coloro  che,
assunti precedentemente, si sono trovati a  operare  in  una  realta'
lavorativa che ha superato determinate soglie numeriche di lavoratori
occupati dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del 2015. 
    Tale circostanza fattuale  -  osserva  il  rimettente  -  non  e'
riconducibile, sotto  il  profilo  dell'interpretazione  letterale  e
sistematica,  al  concetto  di  «nuova   assunzione»   previsto   dal
legislatore  delegante;  il  sopravvenuto  superamento  della  soglia
numerica riferita alla posizione di coloro che erano gia'  dipendenti
non sarebbe, quindi, una circostanza riconducibile  alla  nozione  di
«nuova assunzione», ne' tale eventualita'  sarebbe  stata  altrimenti
presa in considerazione dal legislatore delegante. 
    L'estensione censurata non sarebbe  riportabile  neanche  ad  una
interpretazione teleologica del criterio di delega, individuato nello
scopo di rafforzare le opportunita' di ingresso nel mondo del  lavoro
da parte di coloro che sono in cerca di  occupazione,  in  quanto  la
ratio della disciplina e' focalizzata sui neo assunti,  sull'asserito
presupposto che ad una maggiore flessibilita'  "in  uscita"  consegua
una maggior dinamicita' nell'andamento delle assunzioni, e giammai si
rivolge ai soggetti gia' inseriti nel  mondo  del  lavoro.  Ne',  dal
punto sistematico, l'evidente intento  del  legislatore  delegato  di
impedire - in caso di raggiungimento della soglia ex art.  18  citato
dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 23 del  2015  -  che  rapporti
instaurati allorquando era loro applicabile la legge n. 604 del  1966
venissero a trovarsi assoggettati  all'art.  18  statuto  lavoratori,
troverebbe conferma nella disciplina della legge delega espressamente
limitata alla disciplina dei licenziamenti dei "nuovi assunti". 
    1.6.- In conclusione, il denunciato vizio di  eccesso  di  delega
dell'art. 1, comma 3, del d.lgs. n. 23 del 2015,  per  estraneita'  -
letterale, sistematica  e  teleologica  -  alla  fattispecie  che  il
legislatore delegante ha voluto introdurre con il chiaro limite  alle
nuove   assunzioni,   sarebbe   rinvenibile   nell'estensione   della
disciplina a soggetti,  come  il  ricorrente,  che  risultavano  gia'
occupati alla data di entrata in vigore del decreto stesso. 
    2.- Nessuna delle parti del giudizio principale si e' costituita;
ne' e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 20 aprile 2023 (reg. ord. n. 71 del  2023),
il  Tribunale  ordinario  di  Lecce,  sezione  lavoro,  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento  agli  artt.
76 e 77, primo comma, Cost., dell'art. 1, comma 3, del d.lgs.  n.  23
del 2015, censurato per difformita' rispetto al  criterio  di  delega
dettato dall'art. 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014
(cosiddetto Jobs Act). 
    1.1.-  Nell'ambito  di  un  giudizio  di   impugnazione   di   un
licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato, in  data  8
luglio 2022, ad un lavoratore che, a far data  dal  2011,  era  stato
assunto a tempo pieno e indeterminato, introdotto con il rito di  cui
all'art. 1, commi 47 e seguenti, della legge  n.  92  del  2012,  per
chiedere la tutela di cui all'art. 18 statuto  lavoratori,  la  parte
resistente aveva invocato l'applicazione dell'art. 1,  comma  3,  del
d.lgs. n.  23  del  2015,  eccependo  che,  sebbene  al  momento  del
licenziamento sussistessero i requisiti ex art. 18,  commi  ottavo  e
nono, statuto lavoratori, la soglia  numerica  fosse  stata  superata
dopo l'entrata in vigore del citato d.lgs. n. 23 del 2015. 
    1.2.- Il giudice a quo, dovendo fare  applicazione  dell'art.  1,
comma 3, del d.lgs. n. 23 del 2015, sia ai  fini  dell'individuazione
del rito che della disciplina  sostanziale  applicabile  all'intimato
licenziamento,  dubita  della  legittimita'  costituzionale  di  tale
norma, nella parte in cui, in caso di datore di lavoro che integri il
requisito occupazionale di cui all'art.  18,  commi  ottavo  e  nono,
statuto  lavoratori,   in   conseguenza   di   assunzioni   a   tempo
indeterminato avvenute  successivamente  all'entrata  in  vigore  del
d.lgs. n. 23 del 2015, estende l'applicazione del  regime  di  tutela
del licenziamento illegittimo  previsto  per  i  contratti  a  tutele
crescenti anche ai lavoratori assunti prima  dell'entrata  in  vigore
dello stesso decreto. 
    E' dedotta la violazione degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.,
per contrasto con l'art. 1, comma 7, lettera c), della legge  n.  183
del 2014 che, demandando al Governo la  previsione  del  contratto  a
tempo indeterminato a tutele crescenti, ne limita l'applicazione alle
«nuove assunzioni», senza che tale nozione sia idonea, dal  punto  di
vista letterale, sistematico e teleologico, a  ricomprendere  al  suo
interno la posizione di soggetti gia' assunti a  tempo  indeterminato
prima del 7 marzo 2015. 
    2.-  La  questione,  come  sollevata,  non  presenta  profili  di
inammissibilita'. 
    2.1.- Quanto alla rilevanza, gli elementi descrittivi  in  merito
al  procedimento  principale  e  le  argomentazioni  a  sostegno  del
presupposto interpretativo risultano sufficienti. 
    Si ha, infatti, che il Tribunale rimettente - che  deve  decidere
dell'impugnazione di un licenziamento intimato in data 8 luglio  2022
ad un lavoratore gia' in servizio alla data  del  7  marzo  2015  per
essere stato assunto nel  2011,  risultando  pacifica  tra  le  parti
l'integrazione del requisito occupazionale ex art. 18, ottavo e  nono
comma, statuto lavoratori, al momento del  licenziamento  -  ha  dato
atto che dalla  documentazione  esibita  dalla  societa'  datrice  di
lavoro sarebbe emerso che tale soglia  numerica  era  stata  superata
dopo l'entrata in vigore del citato d.lgs. n. 23 del 2015. 
    Questa  circostanza  di  fatto  (l'integrazione   del   requisito
occupazionale dopo il 7 marzo 2015) comporterebbe l'applicazione, nel
giudizio principale, della disposizione censurata, che prevede che il
licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale
data, sia disciplinato dalle disposizioni del d.lgs. n. 23 del 2015 e
non gia' dall'art. 18 statuto lavoratori. 
    Cio'  avrebbe  conseguenze   sotto   un   duplice   profilo:   a)
processuale, in quanto la controversia, introdotta  con  il  rito  ex
art. 1, commi 47 e seguenti, della legge  n.  92  del  2012,  sarebbe
invece soggetta all'ordinario processo  del  lavoro  ex  art.  414  e
seguenti del codice di procedura civile, rendendo cosi' necessario il
mutamento  di  rito;  b)  sostanziale,  in  riferimento  alla  tutela
applicabile, in quanto il ricorrente, benche'  assunto  prima  del  7
marzo 2015, diverrebbe soggetto alla disciplina sostanziale  prevista
per i lavoratori neoassunti dal d.lgs. n. 23 del 2015,  in  luogo  di
quella dettata dall'art. 18 statuto lavoratori. 
    Pertanto le questioni - in  quanto  incidenti  sul  percorso  che
conduce alla decisione in riferimento sia al  rito  applicabile,  sia
alla disciplina sostanziale dell'intimato licenziamento  -  risultano
rilevanti. 
    2.2.- Inoltre, il  giudice  a  quo  esclude  la  possibilita'  di
addivenire ad una interpretazione costituzionalmente  orientata  alla
luce della chiara formulazione  della  disposizione  censurata  nella
individuazione del presupposto fattuale per la sua  applicazione  (il
superamento della soglia occupazionale ex  art.  18,  ottavo  e  nono
comma, citato in data successiva all'entrata in vigore del d.lgs.  n.
23  del  2015),  nonche'  degli  effetti  da   cio'   derivanti   (in
particolare, l'estensione del regime delle tutele crescenti anche  ai
lavoratori gia' in servizio alla data di entrata in vigore del d.lgs.
n. 23 del 2015, perche' assunti prima). 
    Tale soglia occupazionale riguarda i licenziamenti individuali, e
tale  e'  quello  oggetto  del  giudizio  principale.   Il   testuale
riferimento  del  censurato  art.  1,  comma  3,  al  solo   criterio
dimensionale di  cui  all'art.  18,  commi  ottavo  e  nono,  statuto
lavoratori comporta l'esclusione dal suo ambito di  applicazione  dei
licenziamenti collettivi, per i  quali  opera  il  diverso  requisito
dimensionale di cui all'art. 24 della legge n. 23 luglio 1991, n. 223
(Norme in materia di cassa integrazione,  mobilita',  trattamenti  di
disoccupazione, attuazione  di  direttive  della  Comunita'  europea,
avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato  del
lavoro) ai  fini  della  configurazione  della  fattispecie  e  della
disciplina applicabile. 
    E' costante la giurisprudenza  di  questa  Corte  «per  la  quale
l'univoco tenore della disposizione segna il confine in presenza  del
quale il tentativo di interpretazione conforme deve cedere  il  passo
al sindacato di legittimita'  costituzionale  (sentenze  n.  150  del
2022, n. 118 del 2020, n. 221 del 2019 e n. 83 del  2017)»  (sentenza
n. 203 del 2022). 
    2.3.-  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,   il   giudice
rimettente ha diffusamente argomentato in ordine alle ragioni per  le
quali, a suo giudizio, la disposizione censurata sia suscettibile del
prospettato dubbio di legittimita' costituzionale, incentrato in  via
esclusiva sulla violazione del criterio direttivo di cui all'art.  1,
comma 7, lettera c), della legge n. 183 del  2014  e,  quindi,  degli
artt. 76 e 77, primo comma, Cost. 
    3.-  Preliminarmente,  va  richiamata  in  sintesi  la  normativa
concernente la rilevanza della dimensione dell'impresa, in termini di
numero  di  lavoratori  occupati,  ai  fini  della  selezione   della
disciplina dei licenziamenti. 
    3.1.-  La   distinzione   tra   "piccole"   imprese   e   imprese
"medio/grandi" sulla base del numero di  lavoratori  occupati,  nella
singola unita'  produttiva  oppure  nel  complesso,  costituisce  una
costante  nella   disciplina   dei   licenziamenti,   individuali   e
collettivi. 
    Il requisito occupazionale, presente gia' nella prima  legge  sui
licenziamenti n. 604 del 1966 (all'art. 11), si affianca, pochi  anni
dopo, a quello contemplato dallo statuto dei  lavoratori  (art.  35),
che introduce  (all'art.  18)  la  tutela  della  reintegrazione  del
lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento  illegittimo;
tutela (cosiddetta reale) a fronte di quella indennitaria (cosiddetta
obbligatoria), gia' contemplata dalla precedente  legge  n.  604  del
1966     (all'art.     8),     cosi'     creando     quel     binomio
"reintegrazione/indennita'", che  sara'  destinato  a  perdurare  nel
tempo, seppure con ambiti applicativi diversi che, negli ultimi anni,
a partire dalla legge n. 92 del 2012,  hanno  visto  una  progressiva
riduzione della tutela reintegratoria. 
    Ferma la rilevanza del criterio dimensionale, mutano nel tempo le
soglie occupazionali rilevanti: piu' di trentacinque  dipendenti  per
la legge n. 604 del 1966, ai fini dell'applicazione di una disciplina
limitativa dei licenziamenti individuali ingiustificati (senza giusta
causa o giustificato motivo) rispetto  alla  regola  civilistica  del
recesso datoriale ad nutum ex art. 2118 del codice civile;  non  meno
di quindici dipendenti  nell'unita'  produttiva,  o  in  piu'  unita'
produttive nello stesso comune,  per  l'applicabilita'  della  tutela
reintegratoria  ex  art.  18   statuto   lavoratori;   il   requisito
dimensionale unico di non meno di quindici dipendenti  nelle  singole
unita' produttive o nell'ambito dello stesso comune, o  non  meno  di
sessanta nel complesso dell'azienda, per  l'estensione  della  tutela
reintegratoria all'esito della riforma  del  1990  (legge  11  maggio
1990, n. 108, recante «Disciplina dei licenziamenti individuali»). 
    Diversamente,  la  soglia   di   quindici   dipendenti   occupati
costituisce l'autonomo e distinto criterio dettato dall'art. 24 della
legge n. 223 del 1991 per integrare la fattispecie del  licenziamento
collettivo ed accedere alla tutela  reintegratoria  prevista  per  le
violazioni della specifica disciplina dettata dalla stessa legge. Per
effetto dell'introduzione di tale  nuovo  criterio,  nell'azienda  di
dimensione intermedia (con piu' di quindici dipendenti, ma  non  piu'
di sessanta, occupati nel complesso e non gia' nella  singola  unita'
produttiva o nel comune), la  tutela  reintegratoria  poteva  trovare
applicazione in caso di licenziamento collettivo, per  la  violazione
della previa procedura di confronto sindacale e dei criteri di scelta
dei lavoratori da licenziare, ma non anche in caso di  illegittimita'
di un licenziamento individuale. 
    La successiva legge n. 92 del 2012, novellando l'art. 18  statuto
lavoratori, nel senso di una innovativa differenziazione  in  plurimi
regimi  della  tutela,   reintegratoria   e   indennitaria,   per   i
licenziamenti  individuali  e  collettivi,  ha  lasciato,   tuttavia,
immutato  il  requisito  dimensionale  di  accesso  per   la   tutela
reintegratoria all'una o all'altra fattispecie, modificando  solo  la
sequenza dei commi (attuali ottavo e nono) del suddetto articolo. 
    Il requisito dimensionale  e'  rimasto,  quindi,  immutato  anche
quando «in un contesto riformatore finanche piu' ampio che ha toccato
plurimi aspetti della materia del lavoro  (il  cosiddetto  Jobs  Act:
legge n. 183 del 2014), a questa disciplina, novellata nel  2012,  si
e' affiancata - senza sostituirla -  la  regolamentazione  di  quello
che, nelle intenzioni del legislatore, era un nuovo tipo di contratto
di lavoro subordinato a tempo indeterminato  -  cosiddetto  a  tutele
crescenti  -  che  si  sovrappone  a  quello  ordinario   precedente»
(sentenze n. 22 e n. 7 del 2024). 
    Infatti, il successivo d.lgs. n. 23 del 2015, nello stabilire  un
distinto regime di tutela, nel caso di licenziamento illegittimo, per
i lavoratori assunti con il contratto di lavoro a  tutele  crescenti,
quindi necessariamente in data successiva alla sua entrata in  vigore
(7  marzo  2015),  non  ha  modificato  il  requisito   dimensionale,
limitandosi a richiamare i commi ottavo e nono dell'art.  18  statuto
lavoratori per regolare il licenziamento nelle piccole imprese  (art.
9). 
    3.2.- In definitiva, la disciplina del requisito dimensionale  e'
rimasta  quella  prevista  dalla  legge  n.  108  del  1990   per   i
licenziamenti individuali, richiamata dalla disposizione censurata, e
quella della legge n. 223 del 1991 per i licenziamenti collettivi. 
    4.- Venendo al merito, la questione oggetto di scrutinio  investe
la compatibilita' della scelta compiuta dall'art.  1,  comma  3,  del
d.lgs. n. 23 del 2015, rispetto alla legge delega n. 183 del 2014; il
vulnus denunciato dal giudice a quo, in riferimento agli artt.  76  e
77, primo comma, Cost., riguarda l'oggetto della delega  che  sarebbe
circoscritto alle «nuove assunzioni», ossia ai  lavoratori  "giovani"
assunti a partire dal 7 marzo 2015, quale non e'  il  lavoratore  del
cui licenziamento si controverte nel giudizio principale. 
    Invece,  per  effetto  della  disposizione  censurata,  anche   i
lavoratori dipendenti di imprese di piccole dimensioni, gia'  assunti
alla data del 7 marzo 2015, vengono attratti nel regime delle  tutele
crescenti introdotte dal d.lgs. n. 23 del 2015, in concomitanza e  in
conseguenza  di  assunzioni   aggiuntive   a   tempo   indeterminato,
successive  all'entrata  in  vigore  dello  stesso  decreto,  e   che
comportino il superamento dei limiti dimensionali previsti  dall'art.
18, commi ottavo e nono, statuto lavoratori. 
    Solo per tali prestatori di lavoro  la  decorrenza  temporale  di
applicazione del d.lgs. n. 23 del 2015 dipende non gia' dalla data di
assunzione, che anzi e' antecedente, bensi' dalla decisione datoriale
di incrementare l'organico in epoca successiva al 7 marzo 2015. 
    5.- Le questioni non sono fondate. 
    6.- L'art. 1, comma 7, della legge n. 183 del 2014, nel  contesto
di un ampio intervento in materia di diritto del lavoro e del sistema
di previdenza  e  assistenza  sociale,  ha  delegato  il  Governo  ad
adottare, in  particolare,  un  «testo  organico  semplificato  delle
discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro» e a
tal fine ha indicato  sia  la  finalita'  perseguita,  sia  specifici
principi e criteri direttivi. 
    Per  un  verso,  lo  «scopo»  complessivo,  avuto  di  mira   dal
legislatore,  e'  stato  quello  di  rafforzare  le  opportunita'  di
ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di
occupazione, nonche' di riordinare i contratti di lavoro vigenti  per
renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze  del  contesto
occupazionale e produttivo. Contrastare la disoccupazione giovanile e
superare il precariato  di  varie  forme  contrattuali,  diverse  dal
contratto di lavoro  subordinato  a  tempo  indeterminato,  e'  stato
l'obiettivo strategico perseguito dal legislatore. 
    Per altro verso, sono  stati  declinati  i  «principi  e  criteri
direttivi», tra cui in particolare quello di cui alla lettera c)  del
citato comma 7, del quale e' denunciata la violazione  da  parte  del
giudice  rimettente:  «previsione,  per  le  nuove  assunzioni,   del
contratto a tempo  indeterminato  a  tutele  crescenti  in  relazione
all'anzianita' di servizio, escludendo per i licenziamenti  economici
la possibilita' della reintegrazione  del  lavoratore  nel  posto  di
lavoro, prevedendo un indennizzo  economico  certo  e  crescente  con
l'anzianita' di servizio e limitando il diritto  alla  reintegrazione
ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di
licenziamento disciplinare ingiustificato, nonche' prevedendo termini
certi per l'impugnazione del licenziamento». 
    La  rimodulazione  della  disciplina  dei  licenziamenti   quanto
all'ambito della reintegrazione nel posto  di  lavoro  e  al  calcolo
dell'indennizzo compensativo doveva concorrere -  secondo  le  scelte
del legislatore delegante - a dare maggiori  certezze  ai  datori  di
lavoro,  imprenditori  e  non,  al  fine  di  rimuovere  rigidita'  e
diffidenze  che  frenavano  l'incremento  dell'occupazione   mediante
contratti di  lavoro  a  tempo  indeterminato  e  che  avevano  fatto
preferire forme di lavoro  precario  (a  termine,  di  collaborazione
autonoma, a progetto). 
    7.- A tal fine, secondo la delega legislativa, la disciplina  dei
licenziamenti avrebbe dovuto essere rivista «per le nuove assunzioni»
- con contratto a tempo indeterminato a tutele  crescenti  -  in  due
aspetti fondamentali della tutela del lavoratore in caso  di  recesso
datoriale illegittimo: quella indennitaria  e  quella  reintegratoria
(entrambe previste dall'art. 18 statuto lavoratori nella formulazione
novellata dalla legge n. 92 del 2012). 
    Per la tutela indennitaria era prescritta la  previsione  di  «un
indennizzo economico certo e crescente con l'anzianita' di servizio»;
per quella reintegratoria era prefigurata una  limitazione  dell'area
di applicabilita'. 
    La convergenza di questi due aspetti -  la  calcolabilita'  delle
conseguenze economiche in caso  di  licenziamento  illegittimo  e  il
ridimensionamento dell'area della  tutela  reintegratoria  -  avrebbe
concorso  a  favorire,  nella  visione  di  politica  economica   del
legislatore  delegante,  l'occupazione  nella  misura   in   cui   la
determinazione automatica della misura dell'indennizzo e una maggiore
flessibilita' in uscita sono state ritenute idonee a "rassicurare" il
mondo imprenditoriale, peraltro in un contesto in cui  la  precedente
legge n. 92 del 2012 era gia' intervenuta, al medesimo «scopo» e  con
una disciplina analoga. 
    8.- L'ulteriore ridimensionamento della tutela  reintegratoria  -
che e' l'aspetto rilevante al fine dello  scrutinio  delle  sollevate
questioni di legittimita' costituzionale - e' stato prefigurato sulla
base di un criterio compromissorio, che ha rappresentato il punto  di
equilibrio, raggiunto in Parlamento, nell'approvazione della legge di
delega: esso avrebbe potuto e dovuto riguardare  soltanto  «le  nuove
assunzioni», quelle con contratto  a  tempo  indeterminato  a  tutele
crescenti. 
    Cio' significava che i  lavoratori  gia'  in  servizio,  i  quali
versassero   nelle   condizioni   per   beneficiare   della    tutela
reintegratoria, l'avrebbero conservata inalterata  (pur  nei  termini
comunque ridotti, previsti  dall'art.  18  statuto  lavoratori,  come
novellato dalla  legge  n.  92  del  2012).  Per  questi  lavoratori,
dipendenti  di  datori  di  lavoro  che  integravano   il   requisito
occupazionale di cui all'ottavo e nono comma del  medesimo  art.  18,
non  c'era  quindi  una  modifica  in  peius  quanto  all'ambito   di
applicazione della tutela reintegratoria, nella misura in cui questa,
ad essi gia' applicabile in precedenza, lo sarebbe stata negli stessi
termini anche in seguito. 
    Invece i "nuovi" assunti, a partire dal 7 marzo  2015,  avrebbero
acquisito  la  "nuova"  tutela  reintegratoria  nella  versione,  dal
perimetro ridotto, del d.lgs. n. 23 del 2015 e  non  gia'  in  quello
piu' ampio dell'art. 18 statuto lavoratori. Per costoro, il carattere
piu' contenuto della tutela reintegratoria  non  avrebbe  significato
una modifica in peius, perche' il rapporto di lavoro  subordinato  si
sarebbe instaurato ab initio con questo  regime  di  tutela,  la  cui
componente   reintegratoria   e   indennitaria   e'   rimessa    alla
discrezionalita' del legislatore (da ultimo, sentenza n. 7 del 2024). 
    Ed infatti, in attuazione di questo criterio direttivo, l'art.  1
del d.lgs. n. 23 del  2015  esordisce,  al  comma  1,  stabilendo  in
generale che «[p]er  i  lavoratori  che  rivestono  la  qualifica  di
operai,  impiegati  o  quadri,  assunti  con  contratto   di   lavoro
subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data  di  entrata
in vigore del presente decreto, il  regime  di  tutela  nel  caso  di
licenziamento illegittimo e' disciplinato dalle disposizioni  di  cui
al presente decreto». Tale data (del 7 marzo 2015) e' lo  spartiacque
tra la "vecchia" tutela reintegratoria (ex legge n. 92 del 2012),  di
cui continuano a beneficiare  i  lavoratori  in  servizio  alla  data
suddetta e che  gia'  ne  fossero  provvisti,  e  la  "nuova"  tutela
reintegratoria (quella disegnata in termini  ancora  piu'  limitativi
dal d.lgs. n. 23 del 2015) prevista per i nuovi assunti. 
    9.- Questa distinzione, con un  duplice  e  parallelo  regime  di
tutela, e' gia' stata esaminata da questa Corte  con  riferimento  ai
licenziamenti collettivi, in quanto "licenziamenti economici",  nella
sentenza n. 7 del 2024, che ha dichiarato non fondate le questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 3, comma 1, e 10  del  d.lgs.
n. 23 del 2015, sollevate  denunciando  la  violazione  del  medesimo
criterio di delega indicato nell'ordinanza di rimessione  attualmente
in esame. La tutela reintegratoria prevista  dall'art.  5,  comma  3,
della legge n. 223 del 1991, come novellato dalla  legge  n.  92  del
2012, in caso di licenziamento collettivo - fattispecie configurabile
nella ricorrenza dei presupposti di cui all'art.  24  della  medesima
legge,  compreso  lo  specifico  requisito  dimensionale  consistente
nell'occupazione di piu' di quindici dipendenti nel  complesso  -  e'
stata conservata per i lavoratori gia' in servizio prima  della  data
suddetta. Invece, per i lavoratori assunti a partire  da  tale  data,
con contratto di lavoro subordinato a tutele crescenti, la tutela nei
confronti   dei   licenziamenti   collettivi    e'    prevalentemente
indennitaria (art. 10). 
    Al di sotto del requisito dimensionale suddetto non  era  proprio
configurabile  -  alla  data  di  entrata  in  vigore   del   decreto
legislativo - la fattispecie del licenziamento  collettivo,  ma  solo
quella di licenziamenti individuali, eventualmente  plurimi,  con  la
conseguenza che ad essi,  in  quanto  individuali,  si  applicava  la
disposizione censurata, ove  ne  ricorressero  i  presupposti  (ossia
secondo che sussistesse, o no, il diverso requisito  dimensionale  di
cui a tale disposizione). 
    10.- In sintesi, la previsione nel menzionato criterio di  delega
- secondo cui la disciplina che il legislatore delegato era  chiamato
a porre riguardava  «le  nuove  assunzioni»  con  contratto  a  tempo
indeterminato a tutele crescenti  -  ha  legittimato  proprio  questo
assetto a "doppio  binario",  ispirato  alla  logica  secondo  cui  i
lavoratori in servizio alla data suddetta, che gia' avevano la tutela
reintegratoria ex art. 18 statuto lavoratori, la conservano anche  in
caso di licenziamenti  intimati  dopo  il  7  marzo  2015,  mentre  i
lavoratori assunti a partire da tale data  accedono  direttamente  al
piu' limitato regime di tutela reintegratoria del d.lgs.  n.  23  del
2015. 
    In  questo  parallelismo  si   colloca   anche   la   fattispecie
particolare dei lavoratori che erano si' gia' in servizio  alla  data
suddetta,  ma  che  non  beneficiavano  della  tutela  reintegratoria
perche' non era integrato il requisito occupazionale previsto, per  i
licenziamenti individuali, dall'ottavo  e  nono  comma  dell'art.  18
statuto lavoratori. In tale evenienza,  di  prestatori  impiegati  in
piccole  aziende,  la  tutela   nei   confronti   dei   licenziamenti
illegittimi non era quella dettata dall'art. 18, bensi' quella,  solo
indennitaria, di cui alla legge n. 604 del 1966. 
    Il  legislatore  delegato  -   nell'esercizio   del   potere   di
completamento della disciplina, come  questa  Corte  ha  riconosciuto
proprio con riferimento alla stessa legge  di  delega  qui  in  esame
(sentenza n. 22 del 2024) - poteva regolare anche questa  fattispecie
particolare,  tenendo  conto  dello  «scopo»  della  delega   e   del
bilanciamento voluto dal legislatore delegante  (la  non  regressione
dalla  tutela  reintegratoria  di  chi,  essendo  gia'  in  servizio,
l'avesse alla data dell'entrata in vigore della nuova disciplina). 
    Questa esigenza di completamento - come gia'  rilevato  -  si  e'
posta proprio per i licenziamenti individuali perche' solo  per  essi
sussisteva, al di la' del regime di tutela (vuoi reintegratoria, vuoi
indennitaria) previsto dall'art. 18, anche una  distinta  e  separata
tutela meramente indennitaria: quella della legge n. 604 del 1966. 
    11.- In tal modo, il legislatore delegato ha completato il quadro
della disciplina regolando anche  la  fattispecie  del  licenziamento
individuale di dipendenti che, in ragione della mancata  integrazione
del requisito occupazionale di cui all'art. 18, commi ottavo e  nono,
statuto lavoratori, ricadevano, alla data del 7 marzo 2015, nell'area
di applicazione della tutela (solo) indennitaria prevista  (non  gia'
dallo stesso art. 18, ma) dalla legge n. 604 del 1966. 
    Per questi lavoratori, impiegati in piccole aziende, non esisteva
un regime di tutela reintegratoria ex art. 18 da conservare. 
    Pertanto, una volta integrato tale requisito  occupazionale  dopo
la  data  suddetta  -  requisito   che,   quanto   al   licenziamento
individuale, e' rimasto invariato anche nel decreto legislativo -  il
legislatore delegato poteva completare la disciplina regolando  anche
questa fattispecie, che non rientrava strettamente nella  ipotesi  di
"nuovi" lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015 e con contratti
di lavoro subordinato a tutele crescenti. 
    Cio'  il  legislatore  ha  fatto  in  sintonia  con  lo   «scopo»
perseguito dalla legge di delega di incentivare le nuove occupazioni,
ed ha cosi' previsto, nella disposizione censurata (art. 1, comma  3,
del d.lgs. n. 23 del 2015), che il regime di tutela nei confronti dei
licenziamenti debba essere quello contemplato dal  decreto  stesso  e
non gia' dall'art. 18 statuto lavoratori, come novellato dalla  legge
n. 92 del 2012. Per il datore di lavoro, con una  "piccola"  impresa,
la prospettiva  che,  superata  la  soglia  dei  quindici  dipendenti
nell'unita' produttiva, la disciplina dei  licenziamenti  individuali
fosse la stessa (quella del decreto legislativo)  per  tutti  i  suoi
dipendenti - sia neoassunti, sia gia' in servizio - rappresentava uno
stimolo (o il venir meno di un freno)  a  crescere  nella  dimensione
aziendale. 
    Da una parte, la tutela prevista dal d.lgs. n. 23  del  2015  e',
per il lavoratore gia' in servizio alla data suddetta, comunque  piu'
favorevole del regime ex legge n. 604 del 1966 che gli  si  applicava
in precedenza, prima  del  superamento  della  soglia  occupazionale,
sicche' non c'e'  alcuna  regressione  in  peius.  D'altra  parte  e'
soddisfatto lo «scopo» della delega nel senso che,  se  invece  fosse
stata operante l'acquisizione ex novo (ossia dopo la data di  entrata
in vigore del decreto legislativo) del regime di tutela dell'art. 18,
cio' avrebbe potuto  rappresentare  una  remora,  per  il  datore  di
lavoro, a fare nuove assunzioni; proprio  quelle  assunzioni  che  il
legislatore delegante voleva incentivare. 
    12.- Non e' poi senza rilievo la considerazione che la disciplina
del decreto legislativo, proprio perche' applicabile a tutti i  nuovi
assunti, che  sono  in  numero  crescente,  tende  ad  essere  quella
ordinaria. Mentre la  disciplina  dell'art.  18  statuto  lavoratori,
riservata  ai  lavoratori  in  servizio  al  7   marzo   2015,   vede
restringersi naturalmente nel tempo (con i progressivi pensionamenti)
la sua  area  di  applicabilita'  si'  da  costituire  un  regime  ad
esaurimento. Sicche' - una volta esclusa la non regressione (in peius
per il lavoratore) della tutela -  si  ha  che,  anche  sotto  questo
profilo, non e' in contrasto con la legge di delega la previsione che
l'accesso alla tutela reintegratoria  -  quella,  pur  limitata,  del
d.lgs. n. 23 del 2015 - avvenga nel regime ordinario - piuttosto che,
come  vorrebbe  il  giudice  rimettente,  in  quello   congelato   ad
esaurimento - anche per quei lavoratori gia' in  servizio  alla  data
suddetta, ma privi a quella data di tale tutela. 
    Peraltro, le differenze tra le due  discipline  si  sono  ridotte
nella misura  in  cui  sono  venuti  meno  l'automatismo  di  calcolo
dell'indennizzo previsto solo per i licenziamenti soggetti al  d.lgs.
n. 23 del 2015  (a  seguito  della  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale di cui alla sentenza  n.  194  del  2018)  e  il  rito
speciale  contemplato  dalla  legge  n.  92  del  2012  solo  per   i
licenziamenti soggetti all'art. 18  statuto  lavoratori  per  effetto
dell'abrogazione ad opera dell'art. 37,  comma  1,  lettera  e),  del
decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 (Attuazione  della  legge
26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per  l'efficienza
del processo  civile  e  per  la  revisione  della  disciplina  degli
strumenti di risoluzione  alternativa  delle  controversie  e  misure
urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia  di  diritti
delle persone e delle  famiglie  nonche'  in  materia  di  esecuzione
forzata). 
    13.- Per tutto quanto finora argomentato,  vanno  dichiarate  non
fondate le questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
comma 3, del d.lgs. n. 23 del 2015 - sollevate  in  riferimento  agli
artt. 76 e 77, primo comma, Cost., per  violazione  del  criterio  di
delega di cui all'art. 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del
2014 - nella parte in cui, in caso di datore di lavoro che integri il
requisito occupazionale di cui all'art.  18,  commi  ottavo  e  nono,
statuto  lavoratori,   in   conseguenza   di   assunzioni   a   tempo
indeterminato avvenute  successivamente  all'entrata  in  vigore  del
decreto legislativo citato,  estende  l'applicazione  del  regime  di
tutela del licenziamento  individuale  illegittimo,  previsto  per  i
contratti a tutela  crescente,  anche  ai  lavoratori  assunti  prima
dell'entrata in vigore dello stesso decreto.