ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 3,  comma
11, e 7, commi 1 e  2,  del  decreto-legge  28  gennaio  2019,  n.  4
(Disposizioni urgenti in materia di  reddito  di  cittadinanza  e  di
pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo  2019,
n. 26, promosso dal Giudice dell'udienza  preliminare  del  Tribunale
ordinario di Foggia, nel procedimento penale a carico di A. D.G., con
ordinanza del 29 dicembre  2022,  iscritta  al  n.  24  del  registro
ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 10, prima serie speciale, dell'anno 2023, la  cui  trattazione  e'
stata fissata per l'adunanza in camera di consiglio del  20  febbraio
2024. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 29 dicembre 2022 (reg. ord. n. 24 del 2023)
il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di Foggia
ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale degli artt.  3,
comma 11, e 7, commi 1 e 2, del decreto-legge 28 gennaio 2019,  n.  4
(Disposizioni urgenti in materia di  reddito  di  cittadinanza  e  di
pensioni), convertito, con modificazioni, nella legge 28 marzo  2019,
n. 26, in riferimento agli artt. 2, 3, 25 e 27 della Costituzione. 
    Il giudice a quo  deve  decidere  sulla  richiesta  di  rinvio  a
giudizio dell'imputato al quale il pubblico ministero ha  contestato:
a) il delitto di cui all'art. 7, comma 1, del d.l.  n.  4  del  2019,
come convertito, in quanto, al fine di  conseguire  indebitamente  il
reddito di cittadinanza (di  seguito,  anche:  Rdc),  presentava  nel
marzo del 2019 la  relativa  domanda  utilizzando  una  dichiarazione
sostitutiva  unica  nella  quale  ometteva   di   dichiarare,   quali
informazioni dovute, le vincite al gioco conseguite negli anni 2017 e
2018, rispettivamente pari a circa 44.000,00 euro e  circa  69.000,00
euro; b) il delitto di cui all'art. 7, comma 2, del  d.l.  n.  4  del
2019, come convertito, per avere omesso di  comunicare,  nel  gennaio
del 2020, le informazioni dovute e rilevanti ai  sensi  dell'art.  3,
comma 11, dello stesso decreto-legge, ossia le variazioni del reddito
e del patrimonio derivanti dalle vincite al gioco on line  conseguite
nell'anno 2019, pari a circa 160.000,00 euro. 
    Nella sua previsione astratta, il citato art. 7 prevede, al comma
1: «[s]alvo che il fatto costituisca piu' grave reato,  chiunque,  al
fine di ottenere indebitamente il beneficio di  cui  all'articolo  3,
rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi  o  attestanti  cose
non vere,  ovvero  omette  informazioni  dovute,  e'  punito  con  la
reclusione  da  due  a  sei  anni»  e,  al   comma   2:   «[l]'omessa
comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se
provenienti da attivita' irregolari, nonche'  di  altre  informazioni
dovute e rilevanti  ai  fini  della  revoca  o  della  riduzione  del
beneficio entro i termini di cui  all'articolo  3,  commi  8,  ultimo
periodo, 9 e 11, e' punita con la reclusione da uno a tre anni». 
    Infine, il richiamato comma 11  dell'art.  3,  dopo  avere  fatto
obbligo  al  beneficiario  di  comunicare  all'ente  erogatore   ogni
variazione  patrimoniale  che  comporti  la  perdita  dei   requisiti
reddituali e patrimoniali stabiliti per l'accesso al Rdc, precisa che
«[l]a  perdita  dei  requisiti  si  verifica  anche   nel   caso   di
acquisizione del possesso di somme o valori superiori» alle  suddette
soglie di accesso «a seguito di  donazione,  successione  o  vincite,
fatto salvo quanto previsto dall'articolo 5, comma 6, e  deve  essere
comunicata entro quindici giorni dall'acquisizione». 
    2.- Ad avviso del giudice rimettente le questioni di legittimita'
costituzionale, prospettate  dalla  difesa  dell'imputato,  sarebbero
rilevanti poiche' la decisione sulla richiesta di rinvio  a  giudizio
dipenderebbe  da  quella  sulla   legittimita'   delle   disposizioni
censurate. 
    Le stesse sarebbero  altresi'  non  manifestamente  infondate  in
riferimento ai «principi costituzionali di uguaglianza sostanziale» e
«di tassativita'» delle norme penali di  cui,  rispettivamente,  agli
artt. 3 e 25 Cost. 
    In primo luogo, l'art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, come convertito,
non «fare[bbe] alcun riferimento [a] cosa  debba  essere  ricompreso»
nelle «altre informazioni dovute e rilevanti» ai fini della revoca  o
della riduzione del beneficio. 
    Parimenti, l'art. 3 dello stesso  decreto-legge  «in  alcun  modo
indic[herebbe] le modalita' con cui comunicare» all'ente erogatore le
variazioni patrimoniali, tra le quali sono  comprese  le  vincite  da
gioco. 
    Quanto a queste ultime, il giudice a quo  lamenta,  inoltre,  che
verrebbe fatto «un implicito rinvio» al d.P.R. 22 dicembre  1986,  n.
917 (Approvazione del  testo  unico  delle  imposte  sui  redditi)  -
contenente disposizioni «ormai arcaiche e non menzionate» nel d.l. n.
4 del 2019, come convertito -, in base al quale le vincite  da  gioco
«costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito  nel  periodo
di imposta, senza alcuna deduzione». 
    Da  un  lato,  tale  testo  normativo,  «piuttosto  datato»,  non
terrebbe  conto  dei  nuovi  giochi   on   line;   dall'altro   lato,
nell'escludere la deduzione  dalle  vincite  «dell'importo  giocato»,
determinerebbe «la paradossale circostanza» che il reddito dichiarato
«in sede ISEE» non sarebbe «di fatto  esistente  per  il  cittadino».
Tale reddito risulterebbe «sulla carta altamente incrementato», cosi'
da «fuoriuscire [...] dai parametri previsti per ottenere il sussidio
statale»,  mentre  di  fatto  non  aumenterebbe  la  «ricchezza»  del
soggetto. 
    Ad  avviso  del  rimettente,  a  fronte  della  «evidente   [...]
disarmonia nella norma», questa «dovrebbe espressamente prevedere  la
revoca del beneficio allorquando[,] in  concreto,  siano  superati  i
limiti di reddito previsti». 
    3.- E' intervenuto nel giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  di  dichiarare  la  manifesta  inammissibilita'  o,
comunque, la manifesta infondatezza delle questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate. 
    3.1.-  In  via  generale,  l'ordinanza  di   rimessione   sarebbe
«totalmente lacunosa» quanto: a) alla descrizione della  fattispecie;
b) alle censure  di  costituzionalita';  c)  alla  impossibilita'  di
interpretare le norme censurate in modo costituzionalmente  conforme;
d) al petitum. 
    In particolare, le questioni  sollevate  sarebbero  inammissibili
anzitutto perche' l'affermazione  della  rilevanza  delle  stesse  si
poggerebbe su una «mera clausola di stile», inidonea a comprendere le
ragioni  della  stessa:  oltre  a  mancare   la   descrizione   della
fattispecie, limitata al richiamo dei capi d'imputazione, l'ordinanza
prospetterebbe questioni «in modo ipotetico e prematuro», non  avendo
chiarito se sussistevano o meno gli elementi per il rinvio a giudizio
dell'imputato. 
    Sarebbe inoltre del tutto  mancante  la  motivazione  a  sostegno
della  violazione  dei  parametri  costituzionali,  «evoca[ti]   solo
formalmente»  senza  che  sia  sviluppato  alcun   ragionamento   sul
contrasto con gli stessi. Soltanto in riferimento all'art.  25  Cost.
l'ordinanza  conterrebbe  una  «scarna  motivazione»,  ma   meramente
apparente. 
    3.2.- Nel  merito,  quest'ultima  censura,  l'unica  considerata,
stante  l'assenza  totale   di   motivazione   «sulle   altre   norme
costituzionali evocate», sarebbe comunque manifestamente infondata. 
    Le condotte  incriminate  risulterebbero  infatti  «compiutamente
definite»,   essendo   specificamente   perimetrati   gli    obblighi
dichiarativi gravanti sul singolo interessato, definiti  in  funzione
della ricostruzione del suo patrimonio,  secondo  l'indicatore  della
situazione economica equivalente (ISEE). A tali fini, il  legislatore
avrebbe  espressamente  menzionato  le   vincite   da   gioco   nella
esemplificazione contenuta nell'art. 3, comma 11, del d.l. n.  4  del
2019, come convertito. 
    Quanto   alle   modalita'   di   comunicazione,   l'obbligo    di
aggiornamento della dichiarazione sarebbe pienamente esigibile  e  la
dichiarazione  sostitutiva  unica  (DSU)  costituirebbe  il  «veicolo
ordinario per la rappresentazione dei dati richiesti» al soggetto che
abbia percepito vincite da gioco. 
    L'Avvocatura osserva poi  che  il  giudice  a  quo,  sebbene  non
censuri le disposizioni del t.u. imposte  redditi,  incentrerebbe  in
modo contraddittorio ed errato  la  sua  motivazione  «sulla  mancata
previsione della deduzione, dalle vincite,  dei  costi  di  giochi  e
scommesse, fondando le sue argomentazioni su motivi ultronei rispetto
all'oggetto del giudizio». 
    In particolare, oltre a  ritenere  «quanto  mai  incomprensibile»
l'affermazione sulla pretesa obsolescenza del t.u.  imposte  redditi,
tuttora fonte  normativa  di  riferimento  per  la  disciplina  delle
imposte  sui  redditi,  la  difesa  statale  rileva  che  i   giochi,
rientrando  nei  contratti  di  scommessa,  sarebbero  caratterizzati
dall'alea, ossia dalla situazione di incertezza  circa  il  vantaggio
economico realizzabile. 
    Gli argomenti del giudice rimettente sarebbero  dunque  errati  e
irrilevanti rispetto all'oggetto del giudizio, ne'  terrebbero  conto
della giurisprudenza costituzionale che, con riguardo al principio di
tassativita' o di determinatezza della norma penale, ne  escluderebbe
la violazione  quando  il  giudice  possa  stabilire  il  significato
dell'elemento descrittivo «mediante un'operazione interpretativa  non
esorbitante dall'ordinario compito a lui affidato» e il  destinatario
della norma possa avere «una percezione  sufficientemente  chiara  ed
immediata del relativo valore precettivo» (e' citata la  sentenza  di
questa Corte n. 25 del 2019). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg.  ord.  n.  24  del
2023), il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale ordinario di
Foggia ha sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale  degli
artt. 3, comma 11, e 7, commi 1 e 2, del d.l. n.  4  del  2019,  come
convertito, in riferimento agli  artt.  2  e  27  Cost.,  nonche'  ai
principi «di uguaglianza sostanziale» e «di tassativita'» delle norme
penali, di cui agli artt. 3, secondo comma, e 25 Cost. 
    Il rimettente deve decidere sulla richiesta di rinvio a  giudizio
di un imputato, al quale sono contestati sia il  delitto  di  cui  al
comma 1 del citato art. 7, per avere  omesso  di  dichiarare  vincite
conseguite al gioco nei due anni precedenti  la  presentazione  della
domanda volta a ottenere il reddito di  cittadinanza  (Rdc),  sia  il
delitto di cui al comma 2 della stessa previsione, per  avere  omesso
di comunicare, come prescritto dal parimenti censurato art. 3,  comma
11, gli importi delle vincite da gioco on line conseguite  nel  2019,
anno in cui egli ha percepito il beneficio del Rdc. 
    Entrambe le fattispecie incriminatrici violerebbero il  principio
di tassativita', prevedendo la punizione per l'omessa dichiarazione e
comunicazione  di  «informazioni  dovute»,  ma  «senza   fare   alcun
riferimento [a] cosa debba  essere  ricompreso»  in  tale  locuzione.
Inoltre, la disposizione di cui all'art. 7, comma 2, del  d.l.  n.  4
del 2019, come convertito, si porrebbe in contrasto con  il  suddetto
principio anche perche', pur richiamando il precedente art. 3,  comma
11, «in alcun modo indic[herebbe] le modalita' con cui comunicare» le
vincite. 
    Con riferimento  al  principio  di  uguaglianza  sostanziale,  il
rimettente  rileva  che  le  disposizioni   censurate   rinvierebbero
implicitamente alla previsione del t.u. imposte redditi  secondo  cui
le vincite costituirebbero reddito per l'intero  ammontare  percepito
nel periodo d'imposta, senza alcuna deduzione. In  tal  modo,  da  un
lato, esse non  terrebbero  conto  delle  caratteristiche  dei  nuovi
giochi on line; dall'altro lato, nell'escludere  la  deduzione  dalle
vincite  «dell'importo  giocato»,  determinerebbero  «la  paradossale
circostanza» che il reddito dichiarato «in sede ISEE» non sarebbe «di
fatto esistente per il cittadino». Tale reddito  risulterebbe  «sulla
carta  altamente  incrementato»,  cosi'  da  «fuoriuscire  [...]  dai
parametri previsti per ottenere il sussidio statale», mentre di fatto
non aumenterebbe la «ricchezza» del soggetto. 
    2.- In via preliminare, occorre  dare  conto  di  due  interventi
legislativi che hanno interessato le disposizioni  censurate:  l'uno,
in coincidenza con il deposito dell'ordinanza di rimessione, avvenuto
il 29 dicembre 2022; l'altro, a breve distanza dallo stesso. 
    Anzitutto, l'art. 1, comma 318, della legge 29 dicembre 2022,  n.
197 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e
bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025),  ha  stabilito,  nel
testo originario, che «[a] decorrere dal 1° gennaio 2024 gli articoli
da 1 a 13 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n.  4,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono  abrogati».  La
prefigurata abrogazione ha quindi  coinvolto  anche  le  disposizioni
sanzionatorie censurate, oltre a quelle nel complesso concernenti  la
istituzione e la disciplina del Rdc, di cui i commi da 313 a 318  del
citato art. 1 hanno delineato una graduale cessazione, «[n]elle  more
di un'organica riforma delle misure di sostegno alla  poverta'  e  di
inclusione attiva» (cosi' il comma 313). 
    Le disposizioni appena richiamate sono entrate in  vigore  il  1°
gennaio 2023, ai sensi dell'art. 21 della citata legge di bilancio. 
    Successivamente, il decreto-legge 4 maggio 2023,  n.  48  (Misure
urgenti per l'inclusione sociale e l'accesso al  mondo  del  lavoro),
convertito, con modificazioni, nella legge  3  luglio  2023,  n.  85,
all'art. 1 ha previso la istituzione, «a  decorrere  dal  1°  gennaio
2024,  [del]l'Assegno  di  inclusione,  quale  misura  nazionale   di
contrasto alla poverta', alla  fragilita'  e  all'esclusione  sociale
delle  fasce  deboli  attraverso  percorsi  di  inserimento  sociale,
nonche' di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro». Il
successivo art. 12, al comma 1, ha anche disposto la istituzione, dal
1° settembre 2023, del «Supporto per la formazione e il lavoro  quale
misura  di  attivazione  al  lavoro,  mediante  la  partecipazione  a
progetti  di  formazione,  di   qualificazione   e   riqualificazione
professionale, di orientamento, di accompagnamento  al  lavoro  e  di
politiche attive del lavoro comunque denominate». 
    Per quanto qui rileva, i commi 1 e 2  dell'art.  8  dello  stesso
decreto hanno configurato due fattispecie di reato  che,  strutturate
in maniera identica a quelle oggetto  delle  disposizioni  censurate,
rispettivamente,   puniscono   «chiunque,   al   fine   di   ottenere
indebitamente» i suddetti benefici, «rende o utilizza dichiarazioni o
documenti  falsi  o  attestanti  cose   non   vere,   ovvero   omette
informazioni dovute» (comma  1),  nonche'  «[l]'omessa  comunicazione
delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche  se  provenienti
da attivita' irregolari,  nonche'  di  altre  informazioni  dovute  e
rilevanti ai fini del mantenimento del beneficio indicato al comma 1»
(comma 2). 
    Inoltre, al comma 3 delle «[d]isposizioni transitorie,  finali  e
finanziarie» recate dal successivo art. 13,  e'  previsto  che  «[a]l
beneficio di cui all'articolo 1 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n.
4, convertito, con modificazioni, [nella legge] 28 marzo 2019, n. 26,
continuano ad applicarsi le disposizioni di cui  all'articolo  7  del
medesimo decreto-legge, vigenti alla data  in  cui  il  beneficio  e'
stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023». 
    2.1.- Cio' premesso, nella specie non ricorrono i presupposti per
la restituzione degli atti al giudice rimettente, affinche' valuti il
descritto  duplice  ius   superveniens,   dovendosi   escludere   che
quest'ultimo  possa  produrre  effetti  in   mitius   rispetto   alle
disposizioni  censurate  (nello  stesso  senso,  con  riferimento   a
modifiche   sopravvenute   relative   a   previsioni    sanzionatorie
amministrative di carattere sostanzialmente punitivo, sentenza n. 112
del 2019, punto 4 del Considerato in diritto). 
    Infatti, sotto un primo profilo, l'entrata in vigore dell'art. 1,
comma 318, della legge n. 197 del 2022, avvenuta il 1° gennaio  2023,
non ha prodotto alcun immediato effetto abrogativo delle disposizioni
censurate, essendo stato questo espressamente rinviato  dallo  stesso
comma «[a] decorrere dal 1° gennaio 2024», cioe'  a  distanza  di  un
anno. 
    Sotto un secondo, e piu' rilevante, profilo, con il suddetto art.
13, comma 3, del d.l. n. 48 del 2023,  come  convertito,  entrato  in
vigore ben prima che, per effetto del richiamato art. 1,  comma  318,
potesse prodursi l'abrogazione  (tra  le  altre)  delle  disposizioni
censurate, il legislatore ha chiaramente manifestato la volonta'  che
le condotte previste e punite dall'art. 7 del d.l.  n.  4  del  2019,
come  convertito,  continuino   a   essere   considerate   penalmente
rilevanti, escludendo dunque il prodursi di una abolitio criminis dal
1° gennaio 2024. 
    Tale esclusione ha trovato uniforme conferma nella giurisprudenza
della Corte di cassazione, gia' formatasi  sul  punto  in  esame,  la
quale ha escluso «soluzioni di continuita'»  nella  rilevanza  penale
della condotta di cui all'art.  7  del  d.l.  n.  4  del  2019,  come
convertito, poiche' la iniziale abrogazione di questa disposizione e'
«stata superata da una  previsione  di  segno  contrario  entrata  in
vigore» prima  che  l'altra  producesse  il  suo  effetto  (Corte  di
cassazione, sezione terza penale, sentenza 27 ottobre 2023-6 febbraio
2024, n. 5151). La stessa giurisprudenza ha parimenti escluso che  la
dinamica della successione delle norme «prest[i] il fianco a censure,
essendo  indubbiamente  sorretta  da  una   del   tutto   ragionevole
giustificazione», dal momento che la disposizione di cui all'art. 13,
comma 3, del d.l. n. 48 del  2023,  come  convertito,  «semplicemente
assicura tutela penale all'erogazione del reddito di cittadinanza, in
conformita' ai presupposti previsti dalla legge, sin tanto che  sara'
possibile continuare a fruire di tale beneficio»,  coordinandosi  con
la nuova incriminazione di  cui  all'art.  8  dello  stesso  decreto,
espressione del «medesimo disvalore penale delle condotte di mendacio
e di omessa comunicazione volte all'ottenimento  o  al  mantenimento»
dell'assegno  di  inclusione  (Corte  di  cassazione,  sezione  terza
penale, sentenze 24 gennaio-21 febbraio 2024, n. 7541 e  30  novembre
2023-6 febbraio 2024, n. 5163). 
    3.- L'Avvocatura generale dello Stato ha eccepito plurime ragioni
di inammissibilita' delle questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate. 
    3.1.-  Innanzitutto,  la   rilevanza   sarebbe   stata   motivata
utilizzando una «mera clausola di stile»,  omettendo  la  descrizione
della fattispecie, limitata al richiamo dei capi d'imputazione, e  le
questioni di legittimita' costituzionale sarebbero state  prospettate
«in modo ipotetico e prematuro», senza chiarire  se  sussistessero  o
meno gli elementi per il rinvio a giudizio dell'imputato. 
    L'eccezione non e' fondata, sotto entrambi i profili. 
    3.1.1.- I capi di imputazione  riportati  nell'atto  introduttivo
forniscono una descrizione sufficiente della fattispecie oggetto  del
giudizio principale, poiche', senza risolversi in una mera e generica
parafrasi della disposizione incriminatrice, specificano la  condotta
penalmente rilevante nella omessa dichiarazione e comunicazione delle
vincite  derivanti  da  giochi  on  line  effettuati   dall'imputato,
richiedente, prima, e beneficiario, poi, del reddito di cittadinanza. 
    Cio' consente  di  ritenere  che  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate dal giudice a  quo  riguardino  disposizioni
che questi deve applicare, trattandosi delle previsioni sanzionatorie
in cui le condotte descritte appaiono sussumibili. 
    3.1.2.- E' anche da escludere l'eccepito  carattere  prematuro  e
ipotetico delle questioni medesime, considerato che il rimettente da'
conto di trovarsi in sede di udienza preliminare e di dovere decidere
sul rinvio a  giudizio  dell'imputato;  questa  valutazione  dipende,
infatti, da quella delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate. 
    Tale motivazione sorregge in maniera essenziale e  plausibile  la
rilevanza dei dubbi prospettati, che investono  sia  la  formulazione
della   disposizione   sanzionatoria,   asseritamente   carente   nel
descrivere la portata della locuzione «informazioni dovute»,  sia  la
mancata   previsione,   ritenuta   irragionevole,   della   deduzione
dell'importo giocato da quello delle vincite da comunicare. 
    Il dubbio sulla conoscibilita' del precetto penalmente sanzionato
e quello sulla effettiva  consistenza  del  fatto  da  comunicare  si
inseriscono nell'iter logico-giuridico della decisione  spettante  al
rimettente, influendo sulla valutazione  sia  della  rappresentazione
del fatto tipico da parte dell'imputato, sia  della  sussistenza  del
dolo nella  omessa  dichiarazione  o  comunicazione  da  quest'ultimo
realizzata.  L'assunto  dell'Avvocatura,  secondo   cui   l'ordinanza
avrebbe dovuto chiarire se sussistevano o meno gli  elementi  per  il
rinvio  a  giudizio  dell'imputato,  si  rivela   quindi   privo   di
fondamento. 
    Quanto allo specifico dubbio prospettato in riferimento  all'art.
3 Cost., il rimettente muove invero  dal  presupposto  che  la  norma
sanzioni l'omessa dichiarazione  e  comunicazione  di  vincite  anche
quando la situazione reddituale del percettore sia rimasta  di  fatto
inalterata per effetto degli importi  giocati  infruttuosamente,  che
non potrebbero essere dedotti dalle prime. 
    Sotto questo profilo, sebbene l'ordinanza non espliciti  il  dato
delle somme giocate dall'imputato, non puo' per questo  ritenersi  il
carattere ipotetico della questione sollevata. 
    Al riguardo l'ordinanza indica, come gia' si e'  notato,  che  le
vincite  rilevanti  nel  giudizio  principale   proverrebbero   dallo
svolgimento di giochi on line, cosi'  implicitamente  richiamando  le
disposizioni che disciplinano i giochi a distanza, nel cui  ambito  i
primi  si  inseriscono.  In  particolare,  la  normativa  in  materia
consente di giocare con questa modalita'  solo  previa  registrazione
telematica presso un concessionario dell'Agenzia dei monopoli e delle
dogane,  acquisizione  di  password  per  l'accesso  a   distanza   e
sottoscrizione di un contratto di  conto  di  gioco  nel  quale  sono
registrate tutte le operazioni di gioco, gli importi giocati e vinti,
le ricariche e i prelievi (come si ricava  dall'art.  24,  commi  17,
lettere c, e, h e i, e 19, lettere c, d, e ed f, della legge 7 luglio
2009, n. 88, recante  «Disposizioni  per  l'adempimento  di  obblighi
derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'  europee  -
Legge comunitaria 2008»). 
    Non e', dunque, implausibile che il rimettente abbia sollevato la
questione di legittimita' costituzionale in esame  sulla  base  della
documentazione delle movimentazioni dei  conti  di  gioco  riferibili
all'imputato acquisita  al  procedimento  penale,  dalla  quale  egli
avrebbe tratto tanto gli importi delle vincite menzionati nei capi di
imputazione,  quanto  quelli  delle  giocate  che,  a   suo   avviso,
andrebbero dedotte dai primi. 
    3.2.-  Ad  avviso  dell'Avvocatura  generale,  le  questioni   di
legittimita' costituzionale sarebbero inammissibili anche perche'  la
motivazione della non manifesta infondatezza risulterebbe  del  tutto
mancante o comunque solo apparente. 
    L'eccezione  e'   parzialmente   fondata.   Infatti,   nonostante
l'ordinanza menzioni cumulativamente, nel dispositivo, gli  artt.  2,
3, 25 e 27 Cost., essa contiene una illustrazione  adeguata  soltanto
in riferimento agli artt. 3 e 25 Cost.;  pertanto,  le  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate con riguardo agli artt. 2 e  27
Cost.,  del  tutto  immotivate,  sono  inammissibili  (ex   plurimis,
sentenze n. 198, n. 186 e n. 46 del 2023). 
    3.3.-  Infine,  non  fondate  sono  le   ulteriori   ragioni   di
inammissibilita'  eccepite  dall'Avvocatura,  secondo  la  quale   il
rimettente non avrebbe chiarito, da un lato, perche' le  disposizioni
censurate  non  possano  interpretarsi  in  modo   costituzionalmente
conforme e, dall'altro lato, i termini del petitum. 
    Quanto al primo dei due profili,  dagli  argomenti  utilizzati  a
sostegno delle censure  emerge  che  il  giudice  a  quo  ha  escluso
motivatamente la possibilita' di una interpretazione conforme e tanto
basta ai fini del vaglio della rilevanza delle questioni sollevate. 
    Quanto al secondo profilo, la costante giurisprudenza della Corte
afferma  che  «l'ordinanza   di   rimessione   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale non necessariamente deve concludersi  con
un dispositivo recante altresi' un petitum, essendo  sufficiente  che
dal tenore complessivo della motivazione emerga[no] con chiarezza  il
contenuto ed il verso delle censure» (sentenza n. 136 del 2022). 
    Cio' e' quanto ricorre nella specie, in cui  il  dispositivo  non
avanza una richiesta puntuale, limitandosi a richiamare  i  parametri
evocati negli stessi termini prospettati dalla  difesa  dell'imputato
e, tuttavia, gli argomenti illustrati a sostegno  delle  due  censure
sollevate conducono  agevolmente  a  comprendere  che  il  rimettente
ambisce a vedere dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art.
7, commi 1 e 2, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, nella  parte
in cui utilizza l'espressione «informazioni dovute»,  senza  chiarire
quali esse siano, e in quella in cui non consente di sanzionare  solo
le ipotesi  in  cui  le  vincite  determinino,  dedotti  gli  importi
giocati, un reddito in concreto tale da  comportare  la  perdita  del
beneficio del reddito di cittadinanza. 
    4.- Nel merito, va esaminata per prima  la  radicale  censura  di
violazione del principio di tassativita' di cui  all'art.  25  Cost.,
incentrata sull'utilizzo della locuzione «informazioni  dovute»,  che
il legislatore ha inserito nelle fattispecie incriminatrici di cui ai
commi 1 e 2 dell'art. 7 del d.l. n.  4  del  2019,  come  convertito,
dirette  a  punire,  rispettivamente,  il  mendacio  e  le  omissioni
informative commesse da chi chiede di accedere al beneficio del  Rdc,
nonche' l'omessa comunicazione, da parte di chi  ne  sta  usufruendo,
delle variazioni reddituali e patrimoniali che determinano la perdita
o la riduzione dell'importo erogato. 
    In materia penale, questa Corte  e'  particolarmente  attenta  al
rispetto dei requisiti minimi di chiarezza e precisione  che  debbono
possedere le disposizioni incriminatrici, «in forza - in  particolare
- del principio di legalita'  e  tassativita'  di  cui  all'art.  25,
secondo comma, Cost.» (sentenza n. 110 del 2023), da  cui  deriva  un
«imperativo costituzionale, rivolto  al  legislatore,  di  "formulare
norme  concettualmente  precise  sotto  il  profilo  semantico  della
chiarezza e dell'intellegibilita' dei termini  impiegati"»  (sentenza
n. 98 del 2021, che richiama la sentenza n. 96 del 1981). 
    Sottesi  al  principio  di  legalita'  e  tassativita'  vi  sono,
infatti, due  obiettivi  fondamentali  consistenti,  «per  un  verso,
nell'evitare che, in contrasto con il principio della  divisione  dei
poteri e con la riserva assoluta  di  legge  in  materia  penale,  il
giudice  assuma  un  ruolo  creativo,  individuando,  in  luogo   del
legislatore, i confini tra il lecito e l'illecito; e,  per  un  altro
verso,  nel  garantire  la  libera  autodeterminazione   individuale,
permettendo al destinatario della norma penale di apprezzare a priori
le conseguenze giuridico-penali della propria condotta» (sentenza  n.
327 del 2008). 
    Piu' in particolare, ai fini  della  verifica  del  rispetto  del
principio di tassativita' di cui all'art. 25 Cost., la giurisprudenza
costituzionale  e'  costante  nell'affermare  che  l'impiego,   nella
formula  descrittiva  dell'illecito,  «di  espressioni  sommarie,  di
vocaboli  polisensi,  ovvero  di   clausole   generali   o   concetti
"elastici",  non  comporta  un   vulnus»   del   suddetto   parametro
costituzionale,  «"quando  la  descrizione  complessiva   del   fatto
incriminato consenta  comunque  al  giudice  -  avuto  riguardo  alle
finalita' perseguite dall'incriminazione ed al  piu'  ampio  contesto
ordinamentale in cui essa si colloca - di stabilire il significato di
tale elemento mediante un'operazione interpretativa  non  esorbitante
dall'ordinario  compito  a  lui   affidato:   quando   cioe'   quella
descrizione consenta di esprimere un giudizio di corrispondenza della
fattispecie  concreta  alla  fattispecie  astratta,  sorretto  da  un
fondamento ermeneutico controllabile; e,  correlativamente,  permetta
al destinatario della norma di avere una percezione  sufficientemente
chiara ed immediata del relativo valore precettivo" (sentenza  n.  25
del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 172 del 2014,  n.  282  del
2010, n. 21 del 2009, n. 327 del 2008 e n. 5 del 2004)» (sentenza  n.
141 del 2019). 
    4.1.- Alla luce  di  tali  criteri,  si  deve  escludere  che  le
disposizioni censurate violino il principio costituzionale evocato. 
    Il rimettente ne  prospetta  il  vulnus  sotto  due  profili:  a)
anzitutto, perche' i commi 1 e 2 del censurato art. 7  non  farebbero
alcun riferimento a cosa  debba  essere  ricompreso  nella  locuzione
«informazioni dovute» - la cui omessa dichiarazione  o  comunicazione
e' penalmente sanzionata; b) inoltre,  in  quanto  il  comma  2,  nel
richiamare il precedente art. 3,  comma  11,  e  cosi'  l'obbligo  di
comunicare   tempestivamente   l'acquisizione   di    vincite,    non
indicherebbe le modalita' con  cui  portare  a  conoscenza  dell'ente
erogatore tali variazioni. 
    4.1.1.- Con riguardo al primo  profilo  di  censura  rileva  che,
all'interno del d.l. n. 4 del 2019, come convertito, il  cui  Capo  I
reca «[d]isposizioni urgenti in materia di reddito di  cittadinanza»,
l'art. 7 contiene la figura di reato che  il  legislatore  ha  inteso
appositamente introdurre per sanzionare le condotte illecite connesse
alla percezione di tale beneficio. 
    Pertanto, l'espressione «informazioni dovute» che  compare  nella
descrizione della fattispecie incriminatrice, per quanto  sommaria  e
non ulteriormente declinata in  contenuti  analitici,  non  puo'  che
collegarsi in via immediata ai requisiti previsti per l'accesso e per
il godimento continuativo del Rdc, stabiliti dall'art.  2,  comma  1,
del d.l. n. 4 del 2019, come convertito. 
    Ai fini  del  presente  giudizio  rilevano  quelli  reddituali  e
patrimoniali, che sono declinati dalla lettera b) del suddetto  comma
1 e commisurati al valore dell'ISEE. 
    Alla  determinazione  del  suddetto  indicatore  provvede  l'INPS
«sulla base delle componenti autodichiarate  dal  dichiarante,  degli
elementi acquisiti dall'Agenzia delle entrate e  di  quelli  presenti
nei propri archivi amministrativi. [...]»,  come  previsto  dall'art.
11,  comma  4,  del  d.P.C.m.  5  dicembre  2013,  n.  159,   recante
«Regolamento   concernente   la   revisione   delle   modalita'    di
determinazione  e  i  campi  di  applicazione  dell'Indicatore  della
situazione economica equivalente (ISEE)». 
    In particolare, ai  sensi  dell'art.  10,  comma  1,  del  citato
decreto, il  richiedente  la  prestazione  deve  presentare  un'unica
dichiarazione sostitutiva (DSU) in riferimento al  nucleo  familiare,
«concernente  le  informazioni  necessarie  per   la   determinazione
dell'ISEE»,  che  il  successivo  comma   7   indica   analiticamente
comprendendo, alla lettera e), alcune delle «componenti reddituali di
cui all'articolo 4, comma 2, lettera b)», ossia i «redditi soggetti a
imposta sostitutiva o a ritenuta a titolo d'imposta». 
    In tale categoria rientrano  le  vincite  da  gioco,  perche'  il
regime tributario delle  stesse  ne  prevede  la  tassazione  proprio
mediante l'applicazione di una ritenuta a titolo d'imposta. 
    L'art. 67, comma 1, lettera d),  t.u.  imposte  redditi  dispone,
infatti, che «[s]ono redditi diversi se non costituiscono redditi  di
capitale ovvero se non  sono  conseguiti  nell'esercizio  di  arti  e
professioni o di imprese commerciali o da societa' in nome collettivo
e  in  accomandita  semplice,  ne'  in  relazione  alla  qualita'  di
lavoratore dipendente: [...] d) le vincite [...] dei giochi  e  delle
scommesse organizzati per il pubblico e i premi derivanti da prove di
abilita' o dalla sorte [...]». Ai sensi del successivo art. 69, comma
1, inoltre, le stesse vincite  «costituiscono  reddito  per  l'intero
ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna  deduzione».
Infine, l'art. 30 (Ritenuta sui premi e sulle vincite) del d.P.R.  29
settembre  1973,  n.  600  (Disposizioni   comuni   in   materia   di
accertamento delle imposte sui redditi), al primo  comma,  stabilisce
che «[i] premi derivanti da operazioni a premio [...]  e  le  vincite
derivanti dalla sorte, da giuochi di abilita', quelli derivanti [...]
da pronostici e da scommesse, corrisposti  dallo  Stato,  da  persone
giuridiche pubbliche o private [...], sono soggetti  a  una  ritenuta
alla fonte  a  titolo  di  imposta,  con  facolta'  di  rivalsa,  con
esclusione  dei  casi  in  cui  altre  disposizioni  gia'   prevedano
l'applicazione di ritenute alla fonte [...]». 
    Sulla base della richiamata  disciplina  generale  dell'ISEE,  il
d.l. n. 4 del 2019, come convertito, ha previsto, all'art.  5,  comma
5, che i requisiti  economici  di  accesso  al  Rdc  «si  considerano
posseduti per la durata della attestazione ISEE in vigore al  momento
di presentazione della domanda», mentre il comma 1, settimo  periodo,
della stessa disposizione chiarisce che, se il  richiedente  ha  gia'
reso le informazioni a fini ISEE, «il modulo di domanda rimanda  alla
corrispondente DSU, a cui la  domanda  e'  successivamente  associata
dall'INPS». 
    Se, invece, il richiedente il Rdc non dispone  gia'  di  un  ISEE
attestato,  all'atto  della  domanda  del  beneficio  dovra'  rendere
contestualmente  la  DSU  necessaria  alla  determinazione  dell'ISEE
stesso. 
    Da quanto fin qui esposto emerge che,  nonostante  una  complessa
serie di rimandi normativi, e'  comunque  possibile  individuare  con
precisione le «informazioni dovute», la cui  omessa  dichiarazione  o
comunicazione integra le fattispecie penali di cui all'art. 7,  commi
1 e 2, del d.l. n. 4 del 2019, come convertito. 
    Le disposizioni censurate non possono dunque ritenersi, in ultima
analisi, in contraddizione con  il  principio  di  tassativita';  del
resto, sul piano pratico, a fronte della  suddetta  complessita',  va
considerata anche la possibilita', riconosciuta dall'art. 5, comma 1,
del suddetto decreto, di presentare le richieste  del  Rdc  presso  i
centri di assistenza fiscale. 
    4.2.- Ugualmente non fondato e' il secondo profilo di  violazione
del medesimo principio, che si  appunta  sulla  disposizione  di  cui
all'art. 7, comma 2, in relazione all'art. 3, comma 11, del d.l. n. 4
del 2019, come convertito, in quanto sarebbero  oscure  le  modalita'
con  cui  comunicare  le  variazioni  del  reddito  del  beneficiario
conseguenti alle vincite. 
    E'  pur  vero  che  quest'ultima  voce  (vincite)  e'  menzionata
soltanto nel modello predisposto dal Ministero  del  lavoro  e  delle
politiche sociali per le comunicazioni dei beneficiari  del  Rdc,  ma
proprio a tale modalita' fa espresso riferimento l'art. 5,  comma  1,
dello stesso d.l. n. 4 del 2019, come convertito,  che  ha  previsto,
appunto, l'approvazione di un apposito modello di comunicazione delle
variazioni reddituali che avvengano durante il periodo  di  godimento
del Rdc. 
    Il  beneficiario  del   Rdc,   destinatario   della   fattispecie
incriminatrice, e' dunque in grado  di  conoscere  le  modalita'  per
informare l'INPS delle variazioni intervenute. 
    5.- La seconda questione di legittimita' costituzionale sollevata
dall'ordinanza  di  rimessione  evoca  il  principio  di  eguaglianza
sostanziale di cui all'art. 3, secondo comma,  Cost.,  che  definisce
«compito della Repubblica» rimuovere gli ostacoli  che  limitano  «di
fatto» - piuttosto che al solo livello dell'eguaglianza formale - «la
liberta' e l'eguaglianza» e  impediscono  «il  pieno  sviluppo  della
persona umana». 
    In questi termini la  suggestiva  prospettazione  del  rimettente
pone in luce  la  situazione  della  persona  che,  pur  titolare  di
un'importante vincita lorda, e' in realta'  rimasta  povera,  perche'
tale vincita non ha per nulla  incrementato  la  sua  ricchezza,  una
volta considerata al netto  delle  giocate  effettuate,  che  per  la
normativa fiscale non rilevano. 
    La questione non e' fondata. 
    Questa Corte, «[s]ulla scia di  alcuni  precedenti  (sentenze  n.
137, n. 126 e n. 7 del 2021)»,  ha  precisato  che  «"il  reddito  di
cittadinanza, pur presentando anche tratti propri di  una  misura  di
contrasto  alla  poverta',  non  si  risolve   in   una   provvidenza
assistenziale   diretta   a   soddisfare    un    bisogno    primario
dell'individuo, ma persegue diversi e piu'  articolati  obiettivi  di
politica attiva del lavoro e di integrazione  sociale",  e  che  "[a]
tale  sua  prevalente  connotazione  si  collegano  coerentemente  la
temporaneita' della prestazione  e  il  suo  carattere  condizionale,
cioe' la necessita' che ad essa si accompagnino precisi  impegni  dei
destinatari",  il  cui  inadempimento  implica   la   decadenza   dal
beneficio» (sentenza n. 34 del 2022, che richiama la sentenza  n.  19
del 2022). 
    Risulta quindi coerente con tale natura del  Rdc  la  previsione,
contenuta nell'art. 5, comma 6, sesto periodo,  del  d.l.  n.  4  del
2019, come convertito, che «[a]l  fine  di  prevenire  e  contrastare
fenomeni di  impoverimento  e  l'insorgenza  dei  disturbi  da  gioco
d'azzardo (DGA), [ha] in ogni caso  fatto  divieto  di  utilizzo  del
beneficio economico per giochi che  prevedono  vincite  in  denaro  o
altre utilita'» - norma  peraltro  confermata  anche  in  riferimento
all'assegno di inclusione, istituito a decorrere dal 1° gennaio 2024,
in sostituzione del Rdc, dall'art. 4, comma 9, del  d.l.  n.  48  del
2023, come convertito. 
    Alla luce  di  tale  divieto  si  deve  escludere  la  violazione
dell'art. 3, secondo  comma,  Cost.  prospettata  dal  rimettente  in
relazione all'art.  7,  comma  2,  del  d.l.  n.  4  del  2019,  come
convertito, con riguardo a persone che sono gia' titolari del  Rdc  e
che utilizzano, pur senza ottenere alcuna vincita netta, il  relativo
beneficio economico nei suddetti giochi. Il principio di  eguaglianza
sostanziale, alla cui attuazione il Rdc  e'  peraltro  riconducibile,
non puo' certo  essere  invocato  a  sostegno  di  una  questione  di
legittimita' costituzionale nell'interesse  di  chi  ha  travolto  le
regole fondamentali dell'istituto, alterandone cosi' la natura. 
    L'omessa  comunicazione  della  variazione  reddituale  derivante
dalla vincita lorda potrebbe invero riguardare, in  ipotesi,  persone
che utilizzano per il gioco risorse diverse da quelle  percepite  con
il Rdc: anche in questo  caso,  tuttavia,  non  puo'  ravvisarsi  una
violazione dell'art. 3, secondo comma, Cost. per  le  stesse  ragioni
attinenti alla titolarita' delle vincite e alla indeducibilita' delle
perdite, esposte qui di seguito  (punto  5.3.),  che  dimostrano  una
dissipazione di risorse di cui non irragionevolmente il  sistema  del
Rdc non si fa carico. 
    5.1.- L'altra situazione che il  rimettente  sottopone  a  questa
Corte e' quella di chi sia richiedente per la prima volta  il  Rdc  e
pertanto  sia  tenuto  a  dichiarare,  tra  gli  altri,  i  requisiti
reddituali  previsti  per  l'accesso  alla   misura,   che,   essendo
determinati in relazione all'ISEE,  comprendono  anche  le  pregresse
vincite (lorde) da gioco. L'omissione di tale dato, infatti,  integra
il reato di cui all'art. 7, comma 1, del d.l. n.  4  del  2019,  come
convertito, anch'esso contestato all'imputato del giudizio a quo. 
    In  questo  caso,   le   operazioni   di   gioco   precedono   il
riconoscimento del Rdc: non e' quindi applicabile l'espresso  divieto
prima citato, ne' viene in considerazione la natura del Rdc,  potendo
il soggetto essere disposto ad assumersi gli impegni ivi previsti. 
    5.2.- In tale fattispecie, come si e' visto (punto 4.1.1.), viene
in considerazione, al fine di valutare la  posizione  reddituale  del
richiedente, il rimando alle norme fiscali e in particolare  all'art.
69, comma 1, t.u. imposte redditi, che prevede: «[...] i premi  e  le
vincite  di  cui  alla  lettera  d)  del  comma  1  dell'articolo  67
costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di
imposta, senza alcuna deduzione». 
    Secondo il rimettente si  tratterebbe  di  un  testo  legislativo
«piuttosto datato» e quindi non idoneo a considerare le  nuove  forme
di  giochi,  in  particolare  quelli  on  line,  strutturati  secondo
procedure diverse da  quelli  tradizionali,  sia  per  la  tecnologia
utilizzata, sia per  la  disciplina  pubblicistica,  che  prevede  la
registrazione in appositi conti  di  gioco  di  tutte  le  operazioni
effettuate dal giocatore, consentendo la piena  "tracciabilita'"  non
solo  delle  vincite,  ma  anche  delle  "perdite"   incontrate   dal
giocatore, che pertanto ben potrebbero essere dedotte. 
    5.3.- Anche in questa prospettiva, la questione non e' fondata. 
    Essa non considera che la vincita, pur se derivante da giochi  on
line, una volta ottenuta, entra  comunque  nella  disponibilita'  del
soggetto, per cui l'esistenza di un saldo negativo «non  esclude  che
gli importi vinti  siano  stati  accreditati  sul  conto  gioco»  del
percettore e che da questo «siano  stati  utilizzati  per  effettuare
altre giocate o, comunque, destinati a compensare pregresse  perdite,
che rappresentavano altrettante poste debitorie  da  pagare:  il  che
denota l'effettiva disponibilita' delle somme» (Corte di  cassazione,
sezione terza penale, sentenza 24 settembre 2021-15 febbraio 2022, n.
5309). 
    Alla luce di  queste  conclusioni,  la  Corte  di  cassazione  ha
altresi' escluso, sempre con riguardo al reato di cui all'art. 7  del
d.l. n. 4 del 2019, come convertito, che si possa parlare - nel  caso
delle perdite relative alle vincite da gioco, che riguardano «singoli
contratti non espressivi di  una  unitaria  attivita'  produttiva  di
reddito e, pertanto, non connessi fra loro ma da esaminare in maniera
atomistica» - «di spese necessarie per la produzione del  reddito  in
relazione a tutte le passivita' finanziarie derivanti dalle volte  in
cui [l'indagato] ha partecipato, infruttuosamente, alle scommesse  on
line»  (Corte  di  cassazione,  sezione  terza  penale,  sentenza  15
settembre - 1° dicembre 2021, n. 44365). 
    Una volta esclusa questa ipotesi,  quindi,  la  giocata  on  line
assume  il  carattere  di  una  qualunque  spesa,  in   questo   caso
voluttuaria, che la persona ha effettuato con un reddito di cui ha la
disponibilita', coincidente con l'accreditamento  delle  vincite  sul
suo conto gioco; non si puo', quindi, pretendere che la  solidarieta'
pubblica si faccia carico di una spesa di tal genere. 
    5.4.-  Da  quanto  precede  si  chiarisce  che  il  Rdc   risulta
strutturato in modo da non poter venire in aiuto alle persone che, in
forza delle vincite lorde da gioco conseguite nel periodo  precedente
alla richiesta, superino le soglie reddituali di accesso, anche se, a
causa delle perdite subite, sono rimaste  comunque  povere.  Da  cio'
consegue, non irragionevolmente,  la  pena  prevista  dall'indubbiato
art. 7, comma 1, di chi, ai fini dell'ammissione  al  beneficio,  non
dichiari le vincite lorde ottenute rilevanti  per  la  determinazione
dell'ISEE. 
    Certo, si potrebbe obiettare che, paradossalmente, chi ha  subito
solo perdite puo' accedere al Rdc, mentre tale  possibilita'  risulta
preclusa  a  chi  ha  avuto  la  "sfortuna"  di  ottenere  anche  una
consistente vincita tra molte perdite. 
    A ben vedere non  e'  cosi',  perche'  le  giocate  presuppongono
comunque l'esistenza di una ricchezza, derivante da un  patrimonio  o
da un reddito, utilizzata per il gioco e la cui dissipazione  diventa
irrilevante ai fini dell'accesso al Rdc. 
    In definitiva, quindi, non e'  configurabile  la  violazione  del
principio di eguaglianza  sostanziale  di  cui  all'art.  3,  secondo
comma, Cost., evocato dal rimettente, in quanto non e'  irragionevole
che il legislatore abbia escluso che  sia  compito  della  Repubblica
quello di assegnare il Rdc a chi, poco prima, si e' rovinato  con  il
gioco. 
    L'eventuale situazione di poverta'  in  cui  la  persona  si  sia
venuta a trovare nonostante le vincite e', insomma,  comunque  quella
di chi, avendo una disponibilita' economica, l'ha dissipata giocando. 
    A ragionare altrimenti, del resto, non solo si  rischierebbe,  in
ipotesi, di alimentare la ludopatia in chi ancora ne soffre, ma anche
di creare, in ogni caso, una rete di salvataggio che si  risolverebbe
in un deresponsabilizzante incentivo al gioco d'azzardo, i cui rischi
risulterebbero comunque coperti dal beneficio statale del Rdc. 
    Tale finalita' non puo' certo rientrare tra i compiti che  l'art.
3, secondo comma, Cost. assegna alla Repubblica, perche', da un lato,
la «"dipendenza  da  gioco  d'azzardo"  (cosiddetto  gioco  d'azzardo
patologico  o  ludopatia)  [costituisce  un]   "fenomeno   da   tempo
riconosciuto  come  vero  e  proprio  disturbo   del   comportamento,
assimilabile,   per   certi   versi,   alla    tossicodipendenza    e
all'alcoolismo" (sentenza n. 108 del 2017),  con  riflessi,  talvolta
gravi, sulle capacita' intellettive, di lavoro e di relazione di  chi
ne e' affetto, e con ricadute negative  altrettanto  rilevanti  sulle
economie personali e familiari» (sentenza n. 185 del 2021). 
    Dall'altro,  perche'  frequentemente   tale   patologia   risulta
incoraggiata dall'illusione di un miglioramento sociale  legato  alla
fortuna, che ha spesso come conseguenza l'attrazione verso  il  gioco
d'azzardo di quelle componenti piu' deboli  e  meno  facoltose  della
societa'  che  sono  proprio  i   principali   soggetti   al   centro
dell'attenzione dell'art. 3, secondo comma, Cost. 
    5.5.- In conclusione, non e' la  poverta'  da  ludopatia,  ma  e'
piuttosto la ludopatia stessa a rappresentare uno di quegli  ostacoli
di fatto che e' compito della Repubblica rimuovere. 
    Da questo punto di vista, non si puo'  omettere  di  considerare,
come del resto questa Corte ha gia' ricordato (sentenze  n.  185  del
2021 e n. 27 del 2019), che  sono  diverse  le  misure  di  carattere
preventivo e dissuasivo stabilite dalla legislazione  vigente,  prima
tra tutte il  divieto  di  «qualsiasi  forma  di  pubblicita',  anche
indiretta, relativa a  giochi  o  scommesse  con  vincite  di  denaro
nonche' al gioco d'azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo,
incluse  le  manifestazioni  sportive,  culturali  o  artistiche,  le
trasmissioni  televisive  o  radiofoniche,  la  stampa  quotidiana  e
periodica, le pubblicazioni in  genere,  le  affissioni  e  i  canali
informatici, digitali e telematici, compresi i social media» (art. 9,
comma  1,  del  decreto-legge  12  luglio  2018,   n.   87,   recante
«Disposizioni  urgenti  per  la  dignita'  dei  lavoratori  e   delle
imprese», convertito, con modificazioni, nella legge 9  agosto  2018,
n. 96). 
    Nella disciplina dei giochi on line, inoltre, sono, tra  l'altro,
anche  previsti  dei  meccanismi  di  autolimitazione  (ad   esempio,
sull'orario e  sul  tempo  massimo  di  gioco  e  sull'importo  delle
giocate) che il giocatore  deve  impostare  prima  di  operare  nella
piattaforma telematica del concessionario, il quale e' tenuto a  dare
esecuzione a tali indicazioni. 
    Infine, il legislatore ha previsto fin dal  2012  l'aggiornamento
dei livelli essenziali di  assistenza  (LEA)  «con  riferimento  alle
prestazioni  di  prevenzione,  cura  e  riabilitazione  rivolte  alle
persone affette da ludopatia, intesa come patologia che  caratterizza
i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro,  cosi'
come definita dall'Organizzazione mondiale  della  sanita'  (G.A.P.)»
(art. 5, comma 2,  del  decreto-legge  13  settembre  2012,  n.  158,
recante «Disposizioni urgenti per promuovere lo  sviluppo  del  Paese
mediante un piu' alto livello di tutela  della  salute»,  convertito,
con modificazioni, nella legge 8 novembre 2012, n. 189).