ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  25,  comma
2, lettera a), della legge della Regione Veneto 3 novembre  2017,  n.
39 (Norme in materia di edilizia residenziale pubblica), promosso dal
Tribunale  ordinario  di  Padova,   sezione   seconda   civile,   nel
procedimento  vertente  tra  Associazione  per  gli  studi  giuridici
sull'immigrazione (ASGI) aps e altri,  Regione  Veneto  e  Comune  di
Venezia, con ordinanza del 22 maggio 2023, iscritta  al  n.  113  del
registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2023. 
    Visti gli atti di costituzione della Regione Veneto, di ASGI,  di
Razzismo Stop onlus, di G.A. G.F., di R.S. N. e di J. E.; 
    udita nell'udienza pubblica del 6 marzo 2024 la Giudice relatrice
Emanuela Navarretta; 
    uditi gli avvocati Alberto Guariso per ASGI, per R.S. N. e per J.
E.; Marco Ferrero per Razzismo Stop onlus e per  G.A.  G.F.;  Giacomo
Quarneti e Marcello Cecchetti per la Regione Veneto; 
    deliberato nella camera di consiglio del 7 marzo 2024. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord.  n.  113  del
2023), il Tribunale ordinario di Padova, sezione seconda  civile,  ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 25, comma 2, lettera a),  della
legge della Regione Veneto 3 novembre 2017, n. 39 (Norme  in  materia
di edilizia residenziale pubblica), nella parte in cui prevede, tra i
requisiti  per  l'accesso  all'edilizia  residenziale  pubblica   (di
seguito: ERP), quello  della  «residenza  anagrafica  nel  Veneto  da
almeno cinque anni, anche non consecutivi e  calcolati  negli  ultimi
dieci anni». 
    2.- In punto di fatto, il rimettente riferisce  di  essere  stato
adito con ricorso promosso ai sensi degli artt. 702-bis del codice di
procedura civile e 28 del decreto legislativo 1° settembre  2011,  n.
150 (Disposizioni complementari al  codice  di  procedura  civile  in
materia di riduzione e semplificazione  dei  procedimenti  civili  di
cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009,  n.
69). 
    2.1.- Secondo quanto riporta il giudice a  quo,  i  ricorrenti  -
Associazione per gli studi giuridici  sull'immigrazione  (ASGI)  aps,
Razzismo Stop Onlus, SUNIA-Federazione di Padova, G.A. G.F., R.S.  N.
e J. E. - hanno chiesto  di  «accertare  e  dichiarare  il  carattere
discriminatorio della condotta tenuta» dalla Regione del Veneto e dal
Comune di Venezia nell'aver approvato ed emanato l'art. 4,  comma  1,
del regolamento regionale 10 agosto 2018, n. 4 (Regolamento Regionale
in materia di edilizia residenziale pubblica. Articolo 49,  comma  2,
legge regionale 3  novembre  2017,  n.  39),  nonche'  il  «bando  di
concorso per  l'assegnazione  di  alloggi  di  edilizia  residenziale
pubblica anno 2022 sotto ambiti:  Venezia  centro  storico  e  isole;
terra ferma veneziana». 
    I ricorrenti hanno segnalato che  entrambi  i  citati  atti,  nel
richiedere,  ai  fini  dell'accesso  all'ERP,  il   requisito   della
residenza anagrafica nel Veneto da  almeno  cinque  anni,  anche  non
consecutivi e calcolati negli ultimi  dieci  anni,  riproducevano  il
contenuto precettivo dell'art. 25, comma 1, lettera a),  della  legge
reg. Veneto n. 39 del 2017.  Pertanto,  hanno  prospettato  possibili
questioni di legittimita'  costituzionale  di  tale  previsione,  per
violazione degli artt. 3 e 117, primo comma, Cost.,  quest'ultimo  in
relazione  all'art.  34  della   Carta   dei   diritti   fondamentali
dell'Unione europea,  all'art.  12  della  direttiva  2011/98/UE  del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa  a
una procedura unica di domanda per il rilascio di un  permesso  unico
che consente ai cittadini di Paesi terzi di  soggiornare  e  lavorare
nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune  di  diritti
per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente  in  uno
Stato membro, nonche' all'art. 11  della  direttiva  2003/109/CE  del
Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status  dei  cittadini
di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. 
    Da  ultimo,  hanno   chiesto   che   fosse   rimossa   l'asserita
discriminazione  e  che  venissero  riaperti   i   termini   per   la
partecipazione al bando impugnato. 
    Nel giudizio principale si sono costituite la Regione Veneto e il
Comune di Venezia, facendo valere l'inammissibilita'  del  ricorso  e
adducendo, comunque, ragioni a sostegno del rigetto. 
    2.2.-  Il  Tribunale  di  Padova  riferisce  di  avere   respinto
l'eccezione di difetto di giurisdizione, ritenendo  che  il  giudizio
spettasse al giudice ordinario sulla base di  quanto  sostenuto,  con
costante orientamento, dalla giurisprudenza di legittimita'  (vengono
richiamate, ex plurimis, Corte di cassazione, sezione  prima  civile,
ordinanza  15  febbraio  2021,  n.  3842,  e  sezioni  unite  civili,
ordinanza 15 febbraio 2011, n. 3670). 
    Parimenti, il rimettente da' conto di aver  respinto  l'eccezione
di difetto di interesse  ad  agire  con  riguardo  sia  alle  persone
fisiche sia agli enti ricorrenti. 
    Quanto   ai   primi,   rileva   che   trattandosi    di    azione
antidiscriminatoria, l'interesse ad agire sussiste  indipendentemente
dalla  presentazione  della  domanda  di  partecipazione  al   bando,
considerato che «e' la stessa previsione di un requisito "escludente"
[...] a tradursi  nella  lesione  del  diritto  dei  ricorrenti  alla
parita' di trattamento in relazione all'accesso  alle  abitazioni  di
edilizia residenziale pubblica». Osserva, inoltre, che  i  ricorrenti
non avrebbero potuto inviare le domande secondo la modalita' prevista
dal bando, perche' avrebbero dovuto falsamente dichiarare  di  essere
in possesso dei requisiti censurati; pertanto,  reputa  legittimo  il
ricorso a modalita' equipollenti, quale l'invio «di una pec o di  una
raccomandata a.r. (come verificatosi nel caso di specie)». 
    Con riferimento agli enti ricorrenti, il giudice  a  quo  osserva
che essi agiscono per tutelare «l'interesse di tutti i soggetti,  non
immediatamente  e   direttamente   identificabili,   a   non   subire
discriminazioni nell'accesso a beni e servizi, incluso l'alloggio, in
ragione della nazionalita'». 
    3.- Cosi' riferite le premesse in fatto, il Tribunale di  Padova,
preso atto che il tenore testuale della  disposizione  censurata  non
ammette  margini  ermeneutici  idonei  a   renderlo   conforme   alla
Costituzione, se  non  accedendo  a  «interpretazioni  "creative"  di
dubbia ammissibilita'», argomenta la rilevanza  e  la  non  manifesta
infondatezza dei dubbi che solleva in riferimento all'art. 3 Cost. 
    4.- In punto di rilevanza, il  giudice  a  quo  afferma  che  «la
decisione   delle   domande   proposte   dai   ricorrenti»   richiede
necessariamente l'applicazione nel giudizio  principale  della  norma
censurata, avendo questa «"orientato" la condotta tanto della Regione
quanto del Comune». 
    Il Tribunale di Padova - dopo aver preso atto «che  i  ricorrenti
lamentano l'esistenza di una discriminazione indiretta, individuale e
collettiva, derivante dalla  applicazione  da  parte  del  Comune  di
Venezia e della Regione del Veneto, dell'art. 25 comma  2,  lett.  a)
della L.R. Veneto 3.11.2017 n. 39» - ritiene che la citata previsione
costituirebbe «l'indefettibile presupposto normativo del  Regolamento
e del Bando per mezzo dei quali, nella  prospettiva  dei  ricorrenti,
[sarebbe] stata attuata la discriminazione nell'accesso ai servizi di
edilizia residenziale pubblica». 
    I ricorrenti persone fisiche -  prosegue  il  rimettente  -  sono
impossibilitati a partecipare al bando  ERP  emanato  dal  Comune  di
Venezia per l'anno 2022 «esclusivamente in ragione della mancanza del
requisito delle pregressa residenza quinquennale in Veneto»,  essendo
pacifico, «perche' non contestato  specificamente  dai  convenuti  ai
sensi dell'art. 115 comma 1 c.p.c., il possesso in capo ai ricorrenti
di tutti gli altri requisiti richiesti dal bando, ossia  i  requisiti
di cittadinanza o di soggiorno e quelli di reddito». Nello specifico,
il  rimettente  riferisce  che  G.A.  G.F.,  «cittadino  venezuelano,
risulta  titolare  dello  status  di  rifugiato  e  di  permesso   di
soggiorno; [R.S. N.], cittadina camerunense, risulta titolare  di  un
permesso per protezione internazionale; [J. E.] risulta  titolare  di
un  permesso  per  motivi  di  lavoro  subordinato»  e  che  tutti  i
ricorrenti rientrano nei requisiti reddituali previsti dal bando. 
    5.-  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il   rimettente
richiama le argomentazioni di cui alla sentenza n.  44  del  2020  di
questa Corte, con la quale  e'  stato  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo l'art. 22, comma 1, lettera b), della legge della Regione
Lombardia 8 luglio 2016, n.  16  (Disciplina  regionale  dei  servizi
abitativi), nella parte in cui prevedeva il requisito della residenza
ultraquinquennale per l'accesso ai  servizi  abitativi  pubblici.  Il
rimettente ritiene che tale pronuncia abbia costituito  il  punto  di
approdo di una piu' ampia giurisprudenza costituzionale sui requisiti
di accesso ai servizi sociali (vengono richiamate le sentenze n. 166,
n. 107 e n. 106 del 2018, n. 168 e n. 141 del 2014, n. 222,  n.  172,
n. 133 e n. 2 del 2013, n. 40 del 2011, n. 107 del 2010,  n.  32  del
2008 e n. 432 del 2005, nonche' le successive pronunce n. 9  e  n.  7
del 2021, n. 281 del 2020). 
    In tale percorso giurisprudenziale, questa Corte avrebbe ascritto
il diritto all'abitazione tra i «requisiti essenziali caratterizzanti
la socialita' cui si  conforma  lo  Stato  democratico  voluto  dalla
Costituzione» (sono richiamate le sentenze n. 106 del  2018,  n.  168
del 2014, n. 209 del 2009, n. 404 e n. 217 del  1988)  e  lo  avrebbe
qualificato quale diritto inviolabile (sono richiamate le sentenze n.
151 del 2013, n. 51 del 2011 e n. 404 del 1988,  nonche'  l'ordinanza
n. 76 del 2010), avente a oggetto un «bene  di  primaria  importanza»
(sono richiamate le sentenze n. 166 del 2018, n. 38 del 2016, n.  168
del 2014 e n. 209 del 2009). 
    Il  rimettente,  proseguendo  nella   sua   ricostruzione   della
giurisprudenza costituzionale, ritiene, di seguito, che questa  Corte
abbia considerato  l'edilizia  residenziale  pubblica  uno  strumento
volto a garantire in concreto il soddisfacimento del primario bisogno
abitativo, onde «assicurare un'esistenza dignitosa a tutti coloro che
non dispongono di risorse sufficienti» (e'  richiamato  in  proposito
l'art. 34 CDFUE). 
    5.1.- Cosi' inquadrato il servizio  sociale  ERP,  il  rimettente
sintetizza i criteri progressivamente adottati da  questa  Corte  per
verificare la conformita' a Costituzione dei  criteri  di  accesso  a
tale beneficio. 
    Il giudice a quo precisa che i requisiti  «devono  presentare  un
collegamento con la  funzione  del  servizio»  (sono  richiamate,  ex
plurimis, le sentenze n. 166 e n. 107 del 2018, n. 168 del  2014,  n.
172 e n.  133  del  2013,  n.  40  del  2011)  e  che  il  vaglio  di
«ragionevolezza e adeguatezza», in base  alla  struttura  tipica  del
giudizio ex art.  3  Cost.,  dovrebbe  muovere  «dall'identificazione
della ratio della norma di riferimento», per poi passare  a  valutare
la coerenza «del filtro selettivo introdotto». 
    Applicando tale  modello  di  scrutinio,  il  rimettente  esclude
qualsivoglia «ragionevole connessione» fra  «la  ratio  del  servizio
relativo alla edilizia  residenziale  pubblica  [che]  e'  quella  di
garantire  "il  soddisfacimento  del  bisogno   abitativo"»   e   «la
condizione della pregressa residenza nella regione», che non  sarebbe
«indice "di alcuna condizione rilevante in funzione del  bisogno  che
il servizio tende a soddisfare"» (si richiama in proposito ancora  la
sentenza n. 107 del 2018). 
    5.2.- Di conseguenza, il Tribunale di Padova ritiene che la norma
censurata condivida gli stessi vizi di illegittimita'  costituzionale
delle altre previsioni concernenti la prolungata residenza che questa
Corte ha gia' avuto modo di dichiarare costituzionalmente illegittime
sulla base del vaglio sopra richiamato. 
    In particolare, il requisito contemplato  dalla  legge  veneta  -
vale a dire la residenza  ultraquinquennale  nell'arco  degli  ultimi
dieci anni  -  sarebbe,  ad  avviso  del  giudice  a  quo,  privo  di
«collegamento  con  la  ratio  del  servizio»   ERP,   «non   potendo
ragionevolmente ritenersi che coloro che vivono nella regione  Veneto
da  meno  di  cinque  anni  versino  in  una  situazione  di  bisogno
"affievolita" rispetto a chi vi risiede da piu' anni» (e'  richiamata
sul punto la sentenza di questa Corte n. 222 del 2013). 
    Il  rimettente  ritiene   ormai   superata   la   giurisprudenza,
richiamata dalla difesa della Regione nel giudizio principale, che ha
reputato «ragionevole e legittima la previsione di  un  requisito  di
pregressa residenza nella regione ai fini dell'accesso al servizio di
edilizia   residenziale   pubblica,   valorizzando   il   radicamento
territoriale prolungato quale criterio  selettivo  per  l'accesso  ai
servizi abitativi pubblici» (il riferimento e' ancora  alla  sentenza
n. 222 del 2013, avente a oggetto una legge  della  Regione  autonoma
Friuli-Venezia   Giulia).    Tale    orientamento    sarebbe    stato
«definitivamente superato alla luce delle considerazioni espresse» da
questa Corte nella sentenza n. 44 del 2020, ove si  sarebbe  chiarito
che «[l]a previa residenza ultraquinquennale non e' di per se' indice
di un'elevata probabilita' di permanenza  in  un  determinato  ambito
territoriale,  mentre   a   tali   fini   risulterebbero   ben   piu'
significativi  altri  elementi  sui  quali  si  puo'  ragionevolmente
fondare una prognosi di stanzialita'. In altri termini, la  rilevanza
conferita a una condizione del passato, quale  e'  la  residenza  nei
cinque anni precedenti, non sarebbe comunque oggettivamente idonea  a
evitare il "rischio di instabilita'" del  beneficiario  dell'alloggio
di edilizia residenziale  pubblica,  obiettivo  che  dovrebbe  invece
essere perseguito avendo riguardo  agli  indici  di  probabilita'  di
permanenza per il futuro». 
    Di seguito, il giudice a quo considera  non  dirimente  il  fatto
che, nel caso in esame, il requisito della  residenza  protratta  per
almeno cinque anni possa realizzarsi non continuativamente  nell'arco
temporale dei precedenti dieci anni: tale modulazione  del  requisito
non inciderebbe, infatti, sulle considerazioni svolte,  lasciando  il
criterio di selezione privo di ragionevole collegamento con la  ratio
della disciplina. 
    Ad avviso del rimettente, i dubbi di legittimita'  costituzionale
dell'art. 25, comma 2, lettera a) della legge reg. Veneto n.  39  del
2017 sarebbero dunque non manifestamente infondati,  in  riferimento:
sia ai principi di eguaglianza e di ragionevolezza di cui all'art. 3,
primo comma, Cost., in quanto la  norma  censurata  produrrebbe  «una
irragionevole disparita' di trattamento a danno di chi,  cittadino  o
straniero, non sia in possesso del requisito ivi previsto»,  sia  con
il principio di eguaglianza sostanziale, di cui all'art.  3,  secondo
comma, Cost., poiche' si  porrebbe  in  contrasto  «con  la  funzione
sociale dell'edilizia residenziale pubblica». 
    6.- Con atto depositato il 26 settembre 2023, si e' costituita in
giudizio la Regione Veneto, eccependo  l'inammissibilita'  e  la  non
fondatezza delle questioni. 
    6.1.- In rito, la Regione Veneto  rileva  che,  a  fronte  di  un
articolato quadro di dati introdotto dai  ricorrenti  per  comprovare
fatti da cui sarebbe dato desumere il carattere discriminatorio della
norma censurata, il Tribunale  di  Padova  avrebbe  omesso  di  farvi
qualunque riferimento, limitandosi  ad  affermare  che  la  decisione
sulla domanda dei ricorrenti  implicherebbe  l'applicazione  di  tale
previsione. 
    Ad avviso della difesa regionale, il giudice  rimettente  sarebbe
in tal modo  incorso  in  un  «grave  difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza delle questioni» sollevate, che si apprezzerebbe  sotto  un
duplice profilo. 
    Da un lato, il giudice a quo non avrebbe adeguatamente  descritto
la fattispecie, in quanto avrebbe  omesso  di  «offrire  una  qualche
rappresentazione  dei  dati  statistici  forniti  dai  ricorrenti   a
sostegno  della  presunta  discriminazione».  Simile  omissione   non
sarebbe emendabile attraverso l'accesso al fascicolo di causa, stante
la   preclusione   derivante   dal   principio   di   autosufficienza
dell'ordinanza di rimessione (sono richiamate le ordinanze di  questa
Corte n. 64 del 2019, n. 242 del 2018 e n. 185 del 2013). 
    Da un  altro  lato,  la  mancata  valutazione  preliminare  della
compiutezza e correttezza del quadro di fatto su  cui  e'  basata  la
prospettazione  dei  ricorrenti  avrebbe  determinato   una   erronea
anticipazione del giudizio di applicabilita' al caso di specie  della
norma censurata. Tale giudizio sarebbe un passaggio logico successivo
rispetto all'accertamento degli elementi presuntivi da  cui  inferire
la  discriminazione  lamentata  nel  ricorso  che  ha  introdotto  il
processo  principale,  «tenuto  conto,  altresi',   che   lo   stesso
rimettente non ha ritenuto, in alcun passo dell'ordinanza, che quella
stessa disposizione legislativa possa o debba essere considerata,  in
se' e per se', come avente carattere discriminatorio». 
    6.2.- Nel merito, la difesa della Regione Veneto ritiene  che  le
questioni debbano essere dichiarate non fondate. 
    La norma censurata, ad avviso della difesa regionale, non sarebbe
assimilabile  a   quelle   relative   al   requisito   di   residenza
ultraquinquennale  per  accedere  all'ERP,  che   questa   Corte   ha
dichiarato costituzionalmente illegittime. 
    In quei casi (vengono citate le sentenze n. 145 e n. 77 del 2023,
n. 44 del 2020), le norme dichiarate  costituzionalmente  illegittime
non stabilivano che la  residenza  ultraquinquennale  potesse  essere
maturata in forma discontinua  nell'arco  degli  ultimi  dieci  anni.
Simile  possibilita',  prevista   invece   dalla   norma   censurata,
consentirebbe,  secondo  la  difesa  regionale,  di   soddisfare   la
«necessita'  -  piu'  volte  sottolineate  da  questa  Corte   -   di
contemplare, nell'ambito della introduzione di requisiti basati sulla
residenza per  l'accesso  all'ERP,  soluzioni  che  "non  corrano  il
rischio di  privare  certi  soggetti  dell'accesso  alle  prestazioni
pubbliche solo per il fatto di avere esercitato il proprio diritto di
circolazione o di aver dovuto mutare regione di residenza"  (sentenza
n. 145 del 2023)». 
    Il legislatore veneto si sarebbe limitato  a  richiedere,  «quale
indicatore sintomatico di un animus di stabilita' per il godimento di
un beneficio di carattere  continuativo,  un  periodo  di  residenza,
anche non continuativo, in  misura  contenuta  (5  anni)  e  comunque
maturata, anche in forme di discontinuita',  in  un  lasso  temporale
senz'altro congruo e piu' che significativo rispetto alla  sua  ratio
(10 anni)». Tale specificita' sarebbe idonea  a  evitare  la  lesione
della liberta' di  circolazione  e,  al  contempo,  costituirebbe  un
indicatore sviluppatosi nel passato, ma «senza dubbio ragionevolmente
predittivo di un  comportamento  futuro»,  quello  di  radicarsi  nel
territorio regionale. 
    7.- Con atti di identico tenore, depositati il 2 ottobre 2023, si
sono  costituiti  in  giudizio  tutti  i  ricorrenti   del   giudizio
principale. 
    Nelle memorie di costituzione, la parti private  aderiscono  alle
motivazioni  dell'ordinanza  di  rimessione,  evocando   la   recente
giurisprudenza costituzionale,  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale del requisito della residenza ultraquinquennale. 
    Sostengono, inoltre,  che  la  variante  introdotta  dalla  norma
censurata  -  che  consente  di  maturare  il  requisito   in   forma
discontinua negli ultimi dieci anni - non possa in alcun modo  essere
ritenuta decisiva per approdare a esiti diversi. Nello specifico,  la
difesa delle parti private rileva che, «se anche si dovesse  ritenere
che il "radicamento territoriale" possa costituire  un  requisito  di
accesso e possa essere dimostrato dalla mera presenza  pregressa  sul
territorio, e' di tutta evidenza che la presenza  discontinua  e'  di
per se' ancor meno significativa di quella continua». 
    La difesa delle parti private sostiene, inoltre, che il  giudizio
di ragionevolezza non puo'  essere  impermeabile  all'evoluzione  del
contesto  economico  e  sociale.  A  tal   fine,   viene   richiamata
l'attenzione: a) sulla «mobilita' come un valore positivo, sia  sotto
il  profilo  dell'interesse  individuale,  sia   sotto   il   profilo
dell'interesse collettivo»; b) sulla inesistenza  di  «una  norma  di
analogo rilievo che tuteli un consociato per il solo fatto di  essere
rimasto stanziale in un determinato luogo»; c) sul rilievo per cui la
Corte di giustizia dell'Unione europea avrebbe  «sempre  censurato  i
requisiti "troppo  esclusivi"  di  lungo-residenza  per  l'accesso  a
diritti  sociali  proprio  facendo  leva  sul  principio  di   libera
circolazione   all'interno    dell'Unione    che    trova    perfetta
corrispondenza nell'analogo principio da applicarsi  all'interno  del
territorio nazionale. (CGUE 14.6.2012, Commissione  c.  Paesi  Bassi,
causa C-542/09; CGUE 20.6.2013,  C-20/12;  come  pure,  al  di  fuori
dell'ambito dei diritti  sociali,  11.6.2020  C-206/19).»;  d)  sulla
maggiore  «propensione  alla  mobilita'»  da  parte  di  chi  sia  in
«condizioni sociali piu' precarie»;  e)  sulla  trasformazione  della
realta' nel mondo del lavoro,  con  il  «progressivo  incremento  dei
contratti a termine e, piu' in generale, la minor durata dei rapporti
di  lavoro»;  f)  sull'esistenza  di  fattori  di  futura  stabilita'
marcatamente  piu'  idonei  rispetto  alla  pregressa  residenza  (ad
esempio la tipologia e durata contrattuale, l'esistenza di bambini in
eta' scolare nel nucleo familiare, e l'eta' stessa del richiedente). 
    Le   parti   private   rilevano,    infine,    che    l'indirizzo
giurisprudenziale, che si sarebbe assestato con la citata sentenza n.
44 del 2020, avrebbe progressivamente indotto la maggior parte  delle
regioni a modificare la  propria  normativa  in  conformita'  a  tale
indirizzo, e che a  oggi  «le  uniche  Regioni  presso  le  quali  il
requisito e' ancora in essere sono, a quanto risulta, il  Veneto,  il
Piemonte e l'Umbria». 
    8.- Con atto depositato il 12 febbraio  2024,  ASGI  ha  prodotto
memoria integrativa di  replica  alle  argomentazioni  della  Regione
Veneto. 
    8.1.- Quanto alle eccezioni  di  inammissibilita'  dedotte  dalla
difesa  regionale,  rileva  che  il  giudice  comune,  essendo  stato
investito di  una  discriminazione  sulla  base  della  nazionalita',
sarebbe chiamato preliminarmente a verificare «la  sussistenza  e  la
legittimita'  della  "copertura  normativa"   della   differenza   di
trattamento,  perche',  ove  sussista  una  norma  che  legittima  la
differenza e detta norma sia conforme ai  precetti  costituzionali  o
eurounitari, il problema della discriminazione non [potrebbe] neppure
porsi». Dunque, il controllo sulla «legittimita' costituzionale della
norma contestata [sarebbe] condizione preliminare  e  necessaria  per
procedere oltre nel giudizio avanti il giudice comune». La difesa  di
ASGI ritiene dunque che,  ove  il  rimettente  avesse  gia'  ritenuto
sussistente la discriminazione, in presenza di una norma di legge che
autorizza  la  differenza  di  trattamento,  «sarebbe   probabilmente
incorso in una fondata censura di irrilevanza, avendo  anticipato  un
giudizio sulla sussistenza della  discriminazione  che  invece  [...]
puo' essere formulato solo una volta che sia  rimossa  la  norma  che
autorizza la differenza di trattamento». 
    Quanto all'asserita «necessita' di una  ulteriore  e  piu'  ampia
motivazione relativa ai dati forniti dai ricorrenti  nel  giudizio  a
quo», la difesa della parte osserva che il  carattere  potenzialmente
discriminatorio della pregressa e prolungata  residenza  sarebbe  «un
dato talmente radicato nella comune esperienza e talmente notorio» da
poter «essere acquisito  al  giudizio,  anche  di  costituzionalita',
senza necessita' di specifiche  argomentazioni»  e  da  poter  essere
considerato  «implicito  nelle  argomentazioni  svolte  dal   giudice
rimettente in punto di rilevanza». 
    8.2.- Nel merito, la  difesa  di  ASGI  rileva  che  il  criterio
adottato dalla norma censurata sarebbe persino piu' rigido di  quello
presente  in  altre  normative  regionali  esaminate   e   dichiarate
costituzionalmente  illegittime  da  questa  Corte,  posto  che   non
considera  l'attivita'   lavorativa   in   Regione   come   requisito
alternativo alla residenza. 
    Inoltre,  la  previsione  introdurrebbe  elementi  di   ulteriore
illogicita', considerando  meritevoli  di  accesso  alla  provvidenza
coloro che hanno maturato una residenza quinquennale  in  un  passato
relativamente remoto. 
    Da ultimo, contesta l'asserito radicamento territoriale  rispetto
all'incidenza sulla contribuzione alle risorse regionali,  posto  che
non esisterebbe  «alcuna  norma  che  preveda  la  devoluzione  della
tassazione  regionale  alla  costruzione  di  alloggi   di   edilizia
pubblica, per i quali i finanziamenti sono  di  esclusiva  competenza
nazionale», e perche'  in  ogni  caso  «il  sistema  di  welfare  non
[potrebbe] essere costruito quale "corrispettivo"  di  un  contributo
pregresso o futuro». 
    9.- La Regione Veneto ha depositato  memoria  integrativa  il  13
febbraio 2024, insistendo sulle  ragioni  gia'  esposte  in  sede  di
costituzione. 
    In punto di ammissibilita',  la  difesa  regionale  ribadisce  il
difetto di motivazione della rilevanza  in  cui  sarebbe  incorso  il
giudice  rimettente.  La  struttura  del  giudizio  riferito  a   una
discriminazione  indiretta  implicherebbe  l'accertamento   di   «due
presupposti parimenti necessari e concorrenti: 1)  la  disparita'  di
trattamento  apparentemente  neutra;  2)   il   fatto   o   i   fatti
discriminatori, ovvero gli elementi di fatto, desunti anche  da  dati
di carattere statistico (art. 28, comma 4,  del  d.lgs.  n.  150  del
2011)  dai  quali  si  possa  presumere  l'effetto  di   "particolare
svantaggio" che quella disparita' di trattamento produce a carico dei
titolari del fattore protetto  (in  questo  caso  lo  status  di  non
cittadino)».  Il  rimettente  avrebbe  omesso   di   fare   qualunque
riferimento ai dati statistici prodotti e alla «loro idoneita' a fare
almeno "presumere" il fatto discriminatorio». 
    Nel merito,  la  difesa  regionale  insiste  sulla  «esigenza  di
distinguishing», gia' invocata  in  sede  di  atto  di  costituzione,
«rivolta   a   compiere   un'attenta   valutazione   degli   elementi
differenziali che connotano la norma  regionale  oggetto  di  censura
rispetto a quelle gia' scrutinate [...] e dichiarate incostituzionali
con le sentenze nn. 44/2020, 77/2023 e 145/2023». In particolare,  la
difesa  della  Regione  insiste   sui   «diritti   e   la   posizione
costituzionale della comunita' regionale di cui la  Regione  e'  ente
esponenziale, anch'essi parimenti richiamati e valorizzati -  a  piu'
riprese e sotto molteplici profili - dalla giurisprudenza  di  questa
Corte, nei quali, sul fondamento basilare del principio autonomistico
sancito  dall'art.  5  Cost.,  trovano   espressione   gli   elementi
dell'identita'  collettiva,  dell'appartenenza,  dell'integrazione  e
dell'impegno del singolo (e delle formazioni sociali in cui si svolge
la sua personalita') a concorrere al progresso morale e materiale  di
quella comunita' territoriale,  nonche',  con  specifico  riferimento
agli   amministratori   titolari   di   mandato    elettivo,    della
responsabilita' nell'uso  delle  risorse  pubbliche  disponibili  nel
bilancio dell'ente». La  difesa  contesta  quindi  l'argomento  della
parte privata sull'inesistenza di un legame tra il servizio reso e la
finanza regionale, perche'  «contrariamente  a  quanto  affermano  le
controparti,  non  si  tratt[erebbe]  affatto  di  "risorse  statali"
appartenenti  alla  comunita'  nazionale,  risultando   evidentemente
irrilevante, sotto questo profilo, la circostanza che a tutt'oggi  la
finanza delle autonomie  territoriali  che  dovrebbe  assicurare  (ai
sensi dell'art. 119, quarto comma, Cost.) l'esercizio ordinario delle
funzioni  pubbliche  loro   attribuite   sia   ancora   una   finanza
sostanzialmente "derivata",  come  tale  alimentata,  in  larghissima
prevalenza, da trasferimenti a carico del bilancio dello Stato  e  da
risorse reperite mediante la fiscalita' di livello nazionale». 
    Infine, la difesa regionale ritiene che  gli  argomenti  di  ASGI
sull'intrinseca   irragionevolezza   del   requisito   di   residenza
discontinua «ai fini  di  comprovare  il  "radicamento  territoriale"
[...]  si   risolv[erebbero]   in   meri   inconvenienti   di   fatto
fisiologicamente conseguenti a qualunque previsione di un  discrimine
temporale». 
    10.- Nel corso dell'udienza pubblica del 6 marzo  2024  le  parti
hanno  insistito  per  le  conclusioni   rassegnate   negli   scritti
difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord.  n.  103  del
2023), il Tribunale di Padova, sezione seconda civile, ha  sollevato,
in  riferimento  all'art.  3   Cost.,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 25, comma 2, lettera a),  della  legge  reg.
Veneto n. 39 del 2017, nella parte in cui prevede,  tra  i  requisiti
per  l'accesso  all'edilizia  residenziale  pubblica,  quello   della
«residenza anagrafica nel Veneto da almeno  cinque  anni,  anche  non
consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni». 
    2.- Secondo il giudice a quo, la norma censurata si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 3 Cost.  sotto  plurimi  profili:  da  un  lato,
contrasterebbe con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza,  di
cui  al  primo  comma,  in  quanto  produrrebbe  «una   irragionevole
disparita' di trattamento a danno di chi, cittadino o straniero,  non
sia in possesso del  requisito  ivi  previsto»;  da  un  altro  lato,
violerebbe il principio di eguaglianza sostanziale, di cui al secondo
comma, poiche' determinerebbe «effetti contrastanti con  la  funzione
sociale dell'edilizia residenziale pubblica». 
    3.- In rito, la Regione Veneto obietta che il rimettente  avrebbe
omesso di fare qualunque riferimento a elementi idonei  a  suffragare
il carattere discriminatorio di una norma  che,  in  astratto,  trova
applicazione sia a cittadini sia a non cittadini. 
    Di conseguenza, il  giudice  rimettente  sarebbe  incorso  in  un
«grave  difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza  delle  questioni»
sollevate, che si apprezzerebbe sotto un duplice aspetto. 
    In  primo  luogo,  l'ordinanza  risulterebbe  gravemente  carente
«nella descrizione della fattispecie», in quanto non avrebbe  offerto
una «rappresentazione dei dati statistici forniti  dai  ricorrenti  a
sostegno della presunta discriminazione». Simile mancanza non sarebbe
emendabile attraverso l'accesso al  fascicolo  di  causa,  stante  la
preclusione derivante dal principio di autosufficienza dell'ordinanza
di rimessione (sono richiamate in proposito le  ordinanze  di  questa
Corte n. 64 del 2019, n. 242 del 2018 e n. 185 del 2013). 
    L'omessa valutazione preliminare della compiutezza e  correttezza
del quadro di fatto, su cui  sarebbe  basata  la  prospettazione  dei
ricorrenti nel  giudizio  principale,  avrebbe  poi  determinato  una
erronea anticipazione del  giudizio  di  applicabilita'  al  caso  di
specie della norma censurata, che costituirebbe un  passaggio  logico
successivo rispetto all'accertamento degli elementi presuntivi da cui
inferire la discriminazione lamentata nel ricorso che  ha  introdotto
il giudizio principale. 
    4.- L'eccezione non e' fondata, in relazione a entrambi i profili
contestati. 
    Gli     indici     rivelatori     dell'impatto     potenzialmente
discriminatorio, rispetto  alla  nazionalita',  del  requisito  della
residenza protratta in una regione italiana non sono specifici  della
norma censurata, ma sono gli stessi che hanno indotto questa Corte  a
ritenere   potenzialmente   discriminatorie   previsioni    parimenti
incentrate sulla prolungata residenza. 
    Pertanto,  il  rimettente  -  nel  precisare  che  i   ricorrenti
lamentano la «esistenza di una discriminazione indiretta, individuale
e collettiva, derivante  dalla  applicazione  [del]  requisito  della
residenza quinquennale in Veneto» e nel richiamare giurisprudenza  di
questa  Corte,  che  ha  riconosciuto  il  carattere   potenzialmente
discriminatorio di discipline analoghe (da ultimo, sentenze n. 145  e
n. 77 del 2023 e n.  44  del  2020)  -  ha  implicitamente  condiviso
l'assunto secondo cui il requisito della residenza protratta, benche'
formalmente neutro, sia  suscettibile  di  determinare  un  indiretto
effetto discriminatorio sulla base della nazionalita'.  E,  tuttavia,
tale effetto discriminatorio non si produce, in  alcun  modo,  se  la
norma non si pone in contrasto con i principi  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza. 
    Di conseguenza, il giudice a quo, nel sottoporre a  questa  Corte
il vaglio sulla conformita'  della  disciplina  censurata  ai  citati
principi, ha seguito un corretto iter logico  e  non  e'  incorso  in
alcuna anticipazione del giudizio di applicabilita'  della  norma  al
caso di specie. 
    5.- Nel merito, le questioni sollevate in riferimento all'art. 3,
commi primo e secondo, Cost. sono fondate. 
    6.-  Questa  Corte  ha  da  tempo  riconosciuto  che  il  bisogno
abitativo esprime un'istanza primaria della  persona  umana  radicata
sul fondamento della dignita'. 
    Per questo ha ravvisato nel diritto all'abitazione i tratti di un
diritto sociale inviolabile (fra le altre, sentenze n. 161 del  2013,
n. 61 del 2011 e n. 404 del 1988, nonche' ordinanza n. 76 del  2010),
funzionale a che «la vita di ogni  persona  rifletta  ogni  giorno  e
sotto  ogni  aspetto  l'immagine  universale  della  dignita'  umana»
(sentenza n. 217 del 1988; nello stesso senso  sentenze  n.  106  del
2018, n. 168 del 2014, n. 209 del 2009 e n. 404 del 1988). 
    Vari sono i percorsi pubblici e privati tesi a garantire, tramite
l'interazione con le categorie del contratto o della  proprieta',  il
nesso funzionale fra l'istanza di natura personale e i beni destinati
al bisogno abitativo. 
    Fra questi spicca l'edilizia residenziale pubblica, che  consente
a persone in situazioni economiche disagiate di  stipulare  contratti
di locazione o di compravendita  a  condizioni  agevolate,  aventi  a
oggetto beni immobili di proprieta' pubblica. 
    Gli alloggi ERP assicurano, in tal modo, a persone che non  hanno
la capacita' economica di  accedere  al  mercato,  di  soddisfare  in
concreto il loro fondamentale bisogno  (sentenza  n.  44  del  2020),
conseguendo quel «bene di primaria importanza»  che  e'  l'abitazione
(sentenza n. 166 del 2018; si vedano anche  le  sentenze  n.  38  del
2016, n. 168 del 2014 e n. 209 del 2009). 
    7.-  La  finalita'   di   assicurare   il   diritto   inviolabile
all'abitazione deve  coniugarsi  con  il  rispetto  dei  principi  di
eguaglianza e di  ragionevolezza  nella  selezione  dei  criteri  che
regolano l'accesso al servizio sociale. 
    Deve,  pertanto,  sussistere  un  rapporto  di  coerenza  tra   i
requisiti di ammissione ai benefici dell'ERP e la ratio dell'istituto
protesa al soddisfacimento del bisogno abitativo. 
    7.1.-  Ebbene  -  come  questa  Corte  ha  gia'  avuto  modo   di
sottolineare - non si ravvisa  alcuna  ragionevole  correlazione  fra
l'esigenza di accedere al bene  casa,  ove  si  versi  in  condizioni
economiche di fragilita', e la  pregressa  e  protratta  residenza  -
comunque la si declini (infra, punto 7.2.) - nel territorio regionale
(sentenze n. 145 del 2023, n. 44 del 2020, n. 166 del 2018 e  n.  168
del 2014). 
    7.1.1.- Il criterio della prolungata residenza si  risolve  nella
previsione di «una soglia rigida che porta a negare l'accesso all'ERP
a prescindere da qualsiasi valutazione attinente alla  situazione  di
bisogno o di disagio del richiedente  (quali  ad  esempio  condizioni
economiche, presenza di disabili o di anziani nel  nucleo  familiare,
numero dei figli)» (sentenza n. 44  del  2020,  nello  stesso  senso,
sentenze n. 145 e n. 77 del 2023). 
    La durata della permanenza nel territorio regionale non incide in
alcun modo sullo stato di bisogno e,  pertanto,  lo  sbarramento  che
comporta tale requisito nell'accesso al bene casa  e'  «incompatibile
con  il  concetto  stesso  di  servizio  sociale,   [...]   destinato
prioritariamente ai soggetti economicamente deboli» (ancora  sentenza
n. 44 del 2020). 
    7.1.2.- Inoltre, occorre rilevare che la residenza prolungata nel
territorio regionale non considera che proprio chi versa in stato  di
bisogno si vede piu' di frequente costretto a trasferirsi da un luogo
all'altro spinto dalla ricerca di opportunita' di lavoro (sentenza n.
53 del 2024, punto 7.2. del Considerato in diritto,  e  sentenze  ivi
richiamate). 
    In  sostanza,  «se  la   residenza   costituisce   un   requisito
ragionevole al  fine  d'identificare  l'ente  pubblico  competente  a
erogare una certa prestazione, non e' invece possibile che  l'accesso
alle prestazioni pubbliche sia escluso per  il  solo  fatto  di  aver
esercitato il proprio diritto di circolazione o di aver dovuto mutare
regione di residenza» (sentenza n. 199 del  2022;  in  senso  analogo
sentenza n. 7 del 2021). 
    7.1.3.- Cio' chiarito, non sfugge a questa  Corte  che  i  flussi
migratori comportano un costante movimento di persone, talora solo in
transito  talora  con  una  qualche  prospettiva  di  stabilita'  nel
territorio nazionale, e che si assiste a un  continuo  incremento  di
coloro che competono nel far valere il medesimo  bisogno  rispetto  a
risorse comunque limitate. 
    E  tuttavia  anche  questo  non  giustifica  la  previsione   del
requisito della residenza prolungata per accedere agli alloggi ERP. 
    7.1.3.1.- Anzitutto, e' evidente  che  gli  strumenti  di  tutela
dell'istanza  abitativa  ben  possono  modularsi  in  funzione  della
assenza o presenza di una prospettiva di radicamento nel  territorio,
procedendo dalla previsione di centri  di  accoglienza,  adeguati  al
rispetto della dignita' umana, all'accesso all'ERP o ad altri servizi
sociali,  diretti  alla  stipula  di  contratti  di  locazione  o  di
compravendita e, dunque, rivolti a chi e'  orientato  a  una  qualche
prospettiva di stabilita' nel territorio. 
    Nondimeno, non e' dalla pregressa permanenza in una  regione  che
e' dato inferire una simile prospettiva di radicamento  (sentenze  n.
145 e n. 77 del 2023, nonche' sentenza  n.  44  del  2020),  poiche',
viceversa, conta principalmente che sia stato avviato un percorso  di
inclusione nel contesto ordinamentale statale. Inoltre, questa  Corte
non ha escluso che, in sede  di  formazione  delle  graduatorie,  sia
possibile valorizzare indici ragionevolmente idonei  «a  fondare  una
prognosi  di  stanzialita'»  (sentenza  n.  44  del  2020),   purche'
compatibili con lo stato di bisogno e, dunque, tali da  non  privarlo
di rilievo (sentenze n. 77 del 2023 e n. 44 del 2020). 
    7.1.3.2.-  Infine,  la  durata  della  residenza  nel  territorio
regionale non ha rilievo neppure al  fine  di  valorizzare  il  tempo
dell'attesa per poter accedere al beneficio che realizza  il  bisogno
abitativo (sentenza n. 9 del 2021). 
    Piuttosto - come questa Corte ha gia' sottolineato - il protrarsi
dell'attesa  puo'  opportunamente  riflettersi   nell'anzianita'   di
presenza nella graduatoria di assegnazione, in quanto circostanza che
documenta l'acuirsi della  sofferenza  sociale  dovuta  alla  mancata
realizzazione dell'istanza abitativa e  che,  dunque,  da'  effettiva
«evidenza a un fattore di bisogno rilevante in funzione del  servizio
erogato» (ancora sentenza n. 9 del 2021). 
    7.2.-  Per  le  ragioni  esposte,  questa  Corte  ha  piu'  volte
sostenuto, anche nella recente giurisprudenza (sentenze n. 145  e  n.
77 del 2023, n. 44 del 2020 e n.  166  del  2018),  e  non  puo'  che
ribadire, il carattere irragionevole del  requisito  della  residenza
quinquennale in un  territorio  regionale  ai  fini  dell'accesso  al
beneficio dell'alloggio ERP. 
    Ne' l'esito e' destinato a mutare sol perche' la norma  censurata
diluisce  nel  tempo  il  criterio  della  residenza  protratta   nel
territorio  regionale,   consentendo   di   maturare   il   requisito
quinquennale nell'arco degli ultimi dieci anni. 
    Al  contrario,  la  soluzione  adottata  dal  legislatore  veneto
continua a rifarsi a un criterio di  pregressa  residenza  prolungata
nel territorio regionale - privo di alcuna correlazione con lo  stato
di bisogno e insensibile  alla  condizione  di  chi  e'  costretto  a
muoversi proprio per  effetto  della  sua  condizione  di  fragilita'
economica - e non fa  venire  meno  l'irragionevolezza  del  medesimo
criterio. 
    Se, infatti,  dalla  protratta  residenza  passata  non  e'  dato
inferire alcunche' in merito alle prospettive future  di  stabilita',
nemmeno assume valore indiziario, rispetto alle medesime prospettive,
il comportamento di chi - pur sommando il  quinquennio  di  residenza
regionale nell'arco di dieci anni - si allontana  dal  territorio  e,
dunque, non mantiene con esso  un  rapporto  costante  neppure  nella
proiezione del passato. 
    Sennonche' e' proprio la pregressa e prolungata residenza, pur se
verificabile nell'ambito di un piu' ampio arco temporale, a disegnare
uno scenario privo di collegamento funzionale  con  la  finalita'  di
soddisfare il «bisogno abitativo» di «soggetti economicamente deboli»
(ancora sentenza n. 145 del 2023). 
    8.- L'effetto dell'adozione di un criterio irragionevole rispetto
alla ratio  della  prestazione  sociale  si  traduce,  dunque,  nella
violazione del principio di eguaglianza fra chi puo' o  meno  vantare
una condizione - quella della  prolungata  residenza  nel  territorio
regionale - del tutto dissociata dal suo stato di bisogno. 
    E questo chiaramente puo' riguardare tanto i  cittadini  italiani
quanto gli stranieri, salvo potersi ulteriormente colorare di  tratti
discriminatori nei confronti di questi ultimi. 
    9.- Infine - come questa Corte ha  gia'  in  passato  evidenziato
(sentenze n. 77 del 2023 e n.  44  del  2020)  -  il  criterio  della
residenza protratta per accedere ai servizi sociali dell'ERP tradisce
il  principio  di  eguaglianza  non  solo  rispetto  al  primo  comma
dell'art. 3 Cost., ma anche con riguardo al suo  secondo  comma,  che
affida alla Repubblica il  compito  di  «rimuovere  gli  ostacoli  di
ordine economico e sociale, che, limitando di  fatto  la  liberta'  e
l'eguaglianza dei cittadini,  impediscono  il  pieno  sviluppo  della
persona umana». 
    Una norma che  prevede  quale  criterio  di  accesso  ai  servizi
dell'ERP la residenza protratta nel  territorio  regionale  equivale,
infatti, ad aggiungere agli ostacoli di fatto costituiti dal  disagio
economico  e  sociale  un  ulteriore  e  irragionevole  ostacolo  che
allontana vieppiu' le persone dal traguardo di conseguire  una  casa,
tradendo  l'ontologica  destinazione   sociale   al   soddisfacimento
paritario del diritto all'abitazione della proprieta' pubblica  degli
immobili ERP. 
    10.- In conclusione, l'art. 25, comma 2, lettera a), della  legge
reg. Veneto n. 39 del 2017  e'  costituzionalmente  illegittimo,  per
violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza formale  e
sostanziale, di cui all'art. 3 Cost., nella parte in cui richiede che
la residenza nel Veneto debba protrarsi da almeno cinque anni,  anche
non consecutivi e calcolati negli ultimi dieci anni. 
    Resta fermo il requisito della residenza  anagrafica  nel  Veneto
alla data di scadenza del bando di concorso.