SENTENZA
 nei  giudizi,  riuniti,  di legittimita' costituzionale degli artt. dal
 164 al 176 T.U. delle leggi di p.s. approvato con R.D. 18 giugno  1931,
 n. 773 promossi con le seguenti ordinanze:
     1)   Ordinanza   28   gennaio  1956  del  Pretore  di  Trieste  nel
 procedimento  penale  a  carico  di  Micheli  Bruno,  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 58 del 9 marzo 1956 ed iscritta
 al n. 72 del Reg. ord. 1956:
     2)  Ordinanza  10  gennaio  1956  del  Pretore   di   Brescia   nel
 procedimento  penale  a  carico  di  Mazzotti  Bruno,  pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  48  del  27  febbraio  1956  ed
 iscritta al n. 7 Reg. ord. 1956:
     Viste  le  dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio
 dei Ministri;
     Udita, nell'udienza pubblica del 16 maggio 1956, la  relazione  del
 Giudice Giuseppe Castelli Avolio;
     Udito il vice avvocato generale dello Stato Attilio Inglese.
                           Ritenuto, in fatto:
   Con  foglio  8  marzo  1955  la Questura di Brescia denunciava a quel
 Pretore tale Mazzotti Bruno, assoggettato ad ammonizione,  perche',  da
 un  controllo  eseguito la sera prima e nelle prime ore di quel giorno,
 era risultato assente.
     Sottoposto a giudizio per il reato previsto dall'art. 174 del  T.U.
 delle  leggi  di p.s., di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, a seguito
 di incidente sollevato nel dibattimento dalla difesa dell'imputato, col
 quale  si  prospettava  la  illegittimita'  costituzionale  del  citato
 articolo,  perche'  in  contrasto  con l'art. 13 della Costituzione, il
 Pretore, con ordinanza del 10 gennaio 1956, rilevato che,  in  materia,
 diversi  e  contrastanti  erano  stati  i  giudicati  formatisi,  e che
 pertanto, vertendosi in un caso  quanto  mai  controverso,  non  poteva
 qualificarsi   come   manifestamente  infondata  l'eccezione  proposta,
 sospendeva il procedimento e disponeva la trasmissione degli atti  alla
 Corte costituzionale.
     Incidente simile, riguardante la stessa questione, veniva sollevato
 in altro procedimento, pendente dinanzi al Pretore di Trieste.
     Infatti,  con  rapporto  del 2 gennaio 1956, la Questura di Trieste
 denunciava, in stato di arresto, all'autorita' giudiziaria tale Micheli
 Bruno, indicandolo come inadempiente alla prescrizione di non rincasare
 la sera  piu'  tardi  di  un'ora  dopo  l'Ave-Maria,  impartitagli  con
 ordinanza di ammonizione del 1 febbraio 1955.
     L'imputato  veniva  sottoposto  a  giudizio  davanti al Pretore per
 rispondere del reato di cui al medesimo art. 174 del T.U.  delle  leggi
 di  p.s.,  e  all'udienza  del  28  gennaio  1956  la  difesa sollevava
 eccezione di illegittimita' delle disposizioni di cui  agli  artt.  dal
 164  al  176  del  testo unico citato, e cioe' di tutto il capo III del
 titolo VI del T.U., riguardante l'ammonizione, perche' in contrasto con
 l'art. 13 della Costituzione.
     Con ordinanza in pari data il Pretore di Trieste,  in  accoglimento
 dell'istanza, disponeva la sospensione del procedimento e la rimessione
 degli  atti  alla Corte costituzionale per la decisione della questione
 di costituzionalita'.
     L'ordinanza del Pretore di Trieste pone in evidenza che  l'istituto
 dell'ammonizione  incide sulla liberta' delle persone prima che la loro
 attivita' abbia assunto quelle forme delittuose  che  ne  impongono  la
 repressione;  che  l'art.  13  della  Costituzione,  per  conciliare il
 diritto di liberta' dell'individuo con  l'esigenza  della  prevenzione,
 dispone  che  ogni  restrizione  della  liberta'  personale deve essere
 costretta nei termini dell'intervento dell'autorita'  giudiziaria;  che
 la  stessa Corte di cassazione, pur affermando la persistenza in vigore
 delle  norme  sull'ammonizione,  non  ha  mancato   di   rilevarne   la
 incompatibilita' con l'art.  13 della Costituzione.
     Nei  due  giudizi davanti a questa Corte, ha spiegato intervento il
 Presidente del Consiglio dei Ministri,  rappresentato  e  difeso  dalla
 Avvocatura  generale dello Stato, con atti regolarmente depositati il 1
 marzo 1956.
     L'Avvocatura  deduce,  in   via   pregiudiziale,   che   le   norme
 sull'ammonizione sono anteriori alla Costituzione, onde la questione di
 incostituzionalita',  risolvendosi  in  un problema di mera abrogazione
 per  successione  di  leggi,  sfuggirebbe  al  sindacato  della   Corte
 costituzionale.
     Nel merito deduce:
     l)  che  nessuna  incompatibilita'  sussiste  tra  le  norme  della
 Costituzione e gli articoli di legge sull'ammonizione;
     2) che, se  pure  una  divergenza  fosse  riscontrabile,  essa  non
 potrebbe   essere   giuridicamente  apprezzata;  dovendosi  riconoscere
 all'art.  13  della  Costituzione  natura  di   norma   precettiva   di
 applicazione non immediata;
     3)  che,  in  effetti,  la  semplice  divergenza  sulla  competenza
 dell'organo - giudiziario o amministrativo  -  chiamato  a  pronunciare
 l'ammonizione,     non    giustificherebbe    la    dichiarazione    di
 incostituzionalita' di cui trattasi, dato che, allo stato attuale della
 legislazione, non esisterebbe la possibilita' di emanazione,  da  parte
 di un organo giudiziario, del provvedimento di ammonizione.
     Conclude  pertanto  l'Avvocatura  chiedendo, in via principale, che
 sia dichiarato non luogo a giudizio di legittimita' costituzionale;  in
 via  subordinata,  che  non  sussiste  incompatibilita' fra il disposto
 dell'art. 174 del T.U. delle leggi di p.s. o, ancora,  le  norme  degli
 articoli  dal  164 al 176 dello stesso T.U. e la norma dell'articolo 13
 della Costituzione.
     In  conformita'  dell'art. 15 delle norme integrative per i giudizi
 davanti a questa Corte, le due cause promosse  con  le  sopra  indicate
 ordinanze  sono  state chiamate nella stessa udienza del 16 maggio 1956
 per essere congiuntamente discusse.
                        Considerato, in diritto:
     La Corte ha ravvisato l'opportunita' della riunione dei due giudizi
 per la loro decisione con unica sentenza,  dato  che  identico  e',  in
 sostanza,  l'oggetto della questione di legittimita' costituzionale che
 e' stata sollevata.
     Vero e' che nel giudizio penale a carico  di  Mazzotti  Bruno  tale
 questione  fu proposta con riferimento al solo art. 174 del T.U.  delle
 leggi di p.s., e che, invece, nel giudizio a carico  di  Micheli  Bruno
 venne  contestata  la  legittimita' costituzionale di tutto il capo III
 del titolo VI del detto T.U., comprendente gli articoli dal 164 al 176;
 ma e' da rilevare che se anche la Corte  non  fosse  stata  chiamata  a
 giudicare  su questa piu' ampia impugnativa dovrebbe pur sempre portare
 il suo esame sulle altre disposizioni del citato capo III, fra di  loro
 connesse  e,  in  applicazione del disposto dell'art. 27 della legge 11
 marzo  1953,  n.    87,  contenente  norme  sulla  costituzione  e  sul
 funzionamento  della Corte costituzionale, dichiarare quali sono, oltre
 il citato  art.    174,  le'  altre  disposizioni  legislative  la  cui
 illegittimita' derivi come conseguenza dalla decisione adottata.
     Deve  poi essere respinta l'eccezione pregiudiziale di incompetenza
 della Corte, sollevata dall'Avvocatura dello Stato sotto il profilo che
 la questione di legittimita', di cui si discute, riguarda  disposizioni
 di  legge  anteriori  all'entrata  in  vigore  della  Costituzione.  In
 proposito la Corte si richiama alla  propria  decisione  del  5  giugno
 1956,  n. 1, con la quale, con ampie argomentazioni, che non e' il caso
 di ripetere in occasione del presente giudizio, venne precisato che  la
 Corte  costituzionale ha competenza tanto per le norme di legge emanate
 successivamente all'entrata in vigore della  Costituzione,  quanto  per
 quelle emanate anteriormente.
     Cio'   posto   e  passando  all'esame  di  merito  della  questione
 sollevata, e' da rilevare che la Corte e' chiamata a  decidere  se  gli
 articoli  164-176  del T.U.   delle leggi di p.s., che demandano ad una
 speciale  commissione  presieduta  dal   Prefetto   la   competenza   a
 pronunciare  l'ammonizione con gli effetti consequenziali che da questa
 pronuncia derivano, siano - o meno costituzionalmente legittimi.
     In particolare la Corte deve innanzi tutto esaminare se  l'istituto
 dell'ammonizione,  cosi'  come  e' disciplinato dal vigente T.U.  delle
 leggi di p.s., sia o non compatibile con le disposizioni costituzionali
 sulla liberta' personale del cittadino; se, poi, ove l'incompatibilita'
 sussista, il  precetto  costituzionale  si  ripercuota  direttamente  e
 immediatamente in senso invalidante sugli articoli sopra citati.
     La  prima  disposizione costituzionale che entra in considerazione,
 ai fini dell'indagine sulla legittimita' delle norme  sull'ammonizione,
 e'  quella  contenuta  all'art.  2 della Costituzione, che testualmente
 sancisce: "La Repubblica riconosce e garantisce i  diritti  inviolabili
 dell'uomo,  sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge
 la sua personalita'".  Questo principio indica chiaramente che la legge
 statutaria eleva a regola fondamentale dello Stato,  per  tutto  quanto
 attiene ai rapporti tra la collettivita' e i singoli, il riconoscimento
 di   quei  diritti  che  formano  il  patrimonio  irretrattabile  della
 personalita'  umana:  diritti  che  appartengono  all'uomo  inteso come
 essere libero. Cio' posto  e'  da  notare  che  la  Costituzione,  alla
 generica  formulazione  di  tale principio, e dopo di avere sancito nel
 successivo art.  3 la pari dignita' sociale di tutti  i  cittadini,  fa
 seguire  una specifica indicazione dei singoli diritti inviolabili, tra
 i quali prevede, per primo, quel  diritto  di  liberta'  personale  che
 viene  in  questione ai fini di causa. Il diritto di liberta' personale
 forma infatti oggetto di precisa  regolamentazione  all'art.  13  della
 Costituzione,  che  nei primi due commi dispone: "La liberta' personale
 e' inviolabile. Non e' ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione
 o  perquisizione  personale,  ne'  qualsiasi  altra  restrizione  della
 liberta' personale, se non per atto motivato dell'autorita' giudiziaria
 e nei soli casi e modi previsti dalla legge".
     Risulta da questa disposizione che il diritto di liberta' personale
 non  si  presenta  affatto come illimitato potere di disposizione della
 persona fisica, bensi' come diritto a che l'opposto potere di  coazione
 personale,  di  cui  lo Stato e' titolare, non sia esercitato se non in
 determinate circostanze e col rispetto  di  talune  forme.    Il  grave
 problema  di  assicurare  il  contemperamento  tra  le due fondamentali
 esigenze, di non  frapporre  ostacoli  all'esercizio  di  attivita'  di
 prevenzione  dei  reati  e  di  garantire il rispetto degli inviolabili
 diritti  della  personalita'  umana,  appare  in  tal   modo   risoluto
 attraverso  il riconoscimento dei tradizionali diritti di habeas corpus
 nell'ambito del principio di stretta legalita'. La  liberta'  personale
 si presenta, pertanto, come diritto soggettivo perfetto nella misura in
 cui  la  Costituzione  impedisce  alle  autorita' pubbliche l'esercizio
 della potesta' coercitiva personale. Correlativamente, in  nessun  caso
 l'uomo  potra'  essere  privato o limitato nella sua liberta' se questa
 privazione o  restrizione  non  risulti  astrattamente  prevista  dalla
 legge, se un regolare giudizio non sia a tal fine instaurato, se non vi
 sia provvedimento dell'autorita' giudiziaria che ne dia le ragioni.
     Fermi  questi  principi,  devesi  esaminare  se  le disposizioni di
 legge, la cui incostituzionalita' e' denunciata, siano realmente lesive
 della liberta' personale come essa e' garantita dalla Costituzione.
     In proposito la Corte rileva, anzitutto,  che  nessun  dubbio  puo'
 sussistere  sulla  portata  sensibilmente  limitatrice  della  liberta'
 personale delle  norme  sull'ammonizione  contenute  nell'attuale  T.U.
 delle   leggi  di  p.s.  A  parte  che  limitazioni  del  genere  siano
 connaturate   alla   funzione   di   un    istituto,    quale    quello
 dell'ammonizione,  che  trae  la  ragione  della  sua  esistenza  dalla
 necessita' di  assicurare  strumenti  adeguati  nella  prevenzione  dei
 delitti,  non  e'  davvero  discutibile  che nella sua regolamentazione
 attuale l'ammonizione si concreti, appunto, nella restrizione di alcuni
 diritti fondamentali e, primo tra  questi,  quello  di  liberta'  della
 persona.
     Bastera'  ricordare  che  l'ammonizione, attraverso le disposizioni
 che ora la regolano, si risolve in una sorta di degradazione  giuridica
 in  cui  taluni  individui,  appartenenti a categorie di persone che la
 legge presume socialmente pericolose, magari designati come tali  dalla
 pubblica  voce,  vengono  a trovarsi per effetto di una pronuncia della
 pubblica autorita'; che l'ordinanza di ammonizione ha  per  conseguenza
 la  sottoposizione  dell'individuo  ad  una  speciale  sorveglianza  di
 polizia; che attraverso questo  provvedimento  si  impone  all'ammonito
 tutta  una serie di obblighi, di fare e di non fare, fra cui, quello di
 non  uscire  prima e di non rincasare dopo di una certa ora, non e' che
 uno fra gli altri che la speciale commissione prescrive.
     Resta da dire della natura dell'organo che  dispone  l'ammonizione.
 Che   si   tratti  di  un'autorita'  amministrativa  e',  pero',  fuori
 questione. La speciale commissione per l'ammonizione, istituita  presso
 la  Prefettura  e  presieduta  dal  Prefetto,  e'  infatti  un collegio
 amministrativo, che  agisce  appunto  nell'orbita  dell'amministrazione
 governativa.  Fu questa, anzi, la principale innovazione introdotta fin
 dal T.U. delle leggi di p.s. del 1926. Secondo le precedenti  leggi  di
 polizia,  l'ammonizione  era  invece  pronunciata  dal  Presidente  del
 Tribunale al termine di un procedimento che  si  iniziava  su  denuncia
 dell'autorita' di p.s. e si svolgeva con garanzie analoghe a quelle dei
 procedimenti ordinari.
     Alla   stregua   delle  premesse  svolte,  non  e'  dubbio  che  la
 regolamentazione attuale  dell'ammonizione  si  presenti  in  stridente
 contrasto  con  il  precetto  costituzionale che sottrae alle autorita'
 amministrative il potere di  emanare  provvedimenti  restrittivi  della
 liberta'  personale.  A ben vedere, pertanto, le norme sull'ammonizione
 sono costituzionalmente incompatibili  con  il  diritto  soggettivo  di
 liberta' personale costituzionalmente garantito.
     La seconda delicata questione che la difesa dello Stato ha proposto
 riguarda  l'applicabilita'  diretta  e  immediata  dell'art.   13 della
 Costituzione.
     Si deduce, infatti, che questa norma non sarebbe applicabile fino a
 quando il legislatore non abbia provveduto ad integrare il precetto con
 l'indicazione  dell'organo  giudiziario  competente  ad   adottare   il
 provvedimento  di  cui  si discute e specificando le forme del relativo
 procedimento.
     Questa obiezione non ha fondamento.  In contrario devesi  osservare
 che  l'art. 13 della Costituzione, quanto meno nel punto in cui sottrae
 all'autorita' amministrativa la competenza a provvedere  nelle  materie
 ivi indicate, esprime un precetto che, nella volizione che contiene, e'
 compiuto, concreto, categorico.
     Segue   che   questo   precetto   in   ragione   della  sua  natura
 costituzionale, e percio' della maggiore forza formale, dispiega la sua
 naturale efficacia in senso invalidante, determinando  l'illegittimita'
 delle disposizioni che con esso contrastino.
     Puo'  aggiungersi  che  la garanzia giudiziaria che la Costituzione
 introduce in questa materia, e che si e' visto costituire il punto  sul
 quale  si  incentra  il  conflitto,  rappresenta il mezzo attraverso il
 quale acquista giuridica consistenza  lo  stesso  diritto  di  liberta'
 personale  che la Costituzione dichiara inviolabile. Il che riprova, se
 pur sotto altro profilo, l'impossibilita' di  differire  l'applicazione
 della Costituzione proprio in quelle norme che contrassegnano oltre che
 la struttura, lo stesso spirito di un ordinamento democratico.
     Occorre,  dunque,  concludere che gli articoli del T.U. delle leggi
 di p.s., dal 164 al 176, compresi sotto il capo III del titolo VI,  per
 le   considerazioni   svolte   sono  da  dichiarare  costituzionalmente
 illegittimi; ne' e' dato sceverare fra l'uno o l'altra disposizione del
 detto capo, essendo esse tutte fra di  loro  connesse  e  organicamente
 dirette    all'emanazione    di    un    provvedimento   dell'autorita'
 amministrativa  restrittivo  della  liberta'   personale,   in   aperto
 contrasto con la norma costituzionale.
     Ne'  puo'  preoccupare il fatto che per effetto di questa decisione
 risulti impedita l'applicazione di una  misura  preventiva  di  cui  il
 costituente  non  sembra averne voluto, come tale, la soppressione.  La
 preoccupazione muove da presupposti ed opera in un piano sul  quale  la
 Corte,  nell'esercizio  del  controllo  di  costituzionalita', in linea
 giuridica, non puo' entrare. Ma la Corte stessa non ignora  che,  sulla
 materia,   vari  progetti  di  legge  trovansi  in  avanzato  stato  di
 elaborazione dinanzi all'organo  competente,  e  cioe'  al  Parlamento,
 appunto  al  fine di adeguare alle nuove disposizioni costituzionali le
 misure preventive di sicurezza pubblica.