SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'inciso  contenuto
 nell'art.  875  del Codice civile "ovvero a distanza minore della meta'
 di quella  stabilita  dai  regolamenti  locali",  in  riferimento  agli
 articoli 76, 77, 42, 43 e 44 della Costituzione, promosso con ordinanza
 emessa  il  5  febbraio  1958  dal Tribunale di Napoli nel procedimento
 civile vertente tra Ciocia Ettore  e  la  Cooperativa  edilizia  "Colli
 Aminei", iscritta al n. 21 del Registro ordinanze del 1958 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 135 del 7 giugno 1958.
     Vista  la  dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio
 dei Ministri;
     udita  nell'udienza  pubblica  del  29 aprile 1959 la relazione del
 Giudice Antonio Manca;
     uditi l'avvocato Franco  Gualtieri,  per  la  Cooperativa  edilizia
 "Colli  Aminei",  l'avvocato  Ernesto Stassano, per Ciocia Ettore, e il
 vice avvocato generale dello Stato Cesare Arias, per il Presidente  del
 Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     Dall'ordinanza  emessa  il 5 febbraio 1958 dal Tribunale di Napoli,
 risulta che Ciocia Ettore convenne in giudizio la Cooperativa  edilizia
 "Colli  Aminei", chiedendo che fosse dichiarata, ai sensi dell'art. 875
 del  Codice  civile,  la  comunione  forzosa  del  muro  dell'edificio,
 costruito  dalla  Cooperativa alla distanza di cinque metri dal confine
 del fondo del Ciocia;
     che alla domanda la convenuta oppose due eccezioni:
     1) che, nella  specie,  erano  applicabili  le  disposizioni  degli
 articoli  905  e  907 del Codice civile e non gia' quelle dell'articolo
 875;
     2) che quest'articolo, nella parte in cui  richiama  i  regolamenti
 locali,  sarebbe  costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega,
 in quanto l'accennato richiamo, non contenuto nell'art.   66 del  libro
 della     proprieta',     separatamente    pubblicato,    costituirebbe
 un'innovazione illegittimamente introdotta dal decreto 16  marzo  1942,
 n. 262, che approvo' il testo unificato del Codice civile.
     Nell'ordinanza  si  accenna anche che la Cooperativa aveva altresi'
 dedotto,  in  relazione  al  decreto  anzidetto,  oltre  la  violazione
 dell'art.  1  della  legge  31  gennaio  1926, n. 100, per mancanza del
 parere del Consiglio di Stato,  l'incompatibilita'  della  disposizione
 contenuta   nell'art.   875   con  gli  articoli  42,  43  e  44  della
 Costituzione,  perche'  sarebbe  stato   attribuito   al   proprietario
 confinante un diritto potestativo di espropriazione.
     Risulta  dagli  atti  che il Tribunale, con sentenza non definitiva
 del 5 febbraio 1958, ha  escluso  l'applicabilita'  dell'art.  907  del
 Codice civile ed ha ritenuto pertanto rilevante, per la decisione della
 causa,   la  seconda  eccezione  dedotta  dalla  Cooperativa  circa  la
 incostituzionalita' della ricordata norma contenuta nell'articolo 875.
     Nell'ordinanza si osserva che tale questione non e'  manifestamente
 infondata  per  il dubbio che, nella limitata delega di cui all'art. 1,
 secondo comma, del decreto 30 gennaio 1941, n. 15, potesse comprendersi
 non soltanto il coordinamento del libro terzo della proprieta', con gli
 altri libri del Codice, ma anche il coordinamento dei vari articoli fra
 loro dello stesso libro terzo; dato che nell'art. 875 si  era  aggiunta
 la  frase,  non  contenuta  nell'art.  66 del testo separato: "ovvero a
 distanza  minore  della  meta'  di  quella  stabilita  dai  regolamenti
 locali".
     L'ordinanza e' stata pubblicata e comunicata a norma di legge.
     Si  sono  tempestivamente  costituiti  il  Ciocia,  depositando  le
 deduzioni  il  29  aprile  1958  e  la  Cooperativa   "Colli   Aminei",
 depositando  le deduzioni il 24 giugno. E' pure intervenuto nel termine
 il Presidente del Consiglio dei Ministri, e  l'Avvocatura  generale  ha
 depositato le deduzioni il 2 maggio 1958.
     La  difesa  della  Cooperativa, riferendosi all'ordinanza n. 48 del
 1957 di  questa  Corte,  deduce  preliminarmente  che,  ai  fini  della
 rilevanza,  sussisterebbe  un  difetto  di  motivazione  nell'ordinanza
 emessa dal Tribunale. Poiche' il  giudice  del  merito  avrebbe  dovuto
 preventivamente  esaminare  se  la  controversia  potesse essere decisa
 prescindendo  dalla  disposizione  dell'art.  875  del  Codice  civile,
 tenendo presenti cioe'  sia  il  regolamento  edilizio  del  Comune  di
 Napoli,  sia  gli  articoli  905 e 907 dello stesso Codice. Si aggiunge
 che, se anche lo stesso Tribunale ha escluso l'applicabilita' di  dette
 norme  con  la  ricordata  sentenza, essendo questa tuttora soggetta ad
 impugnazione, allo stato degli atti resterebbe sospesa ogni statuizione
 sulla rilevanza della  questione  di  costituzionalita'  rispetto  alla
 definizione della controversia nel merito.
     Cio' premesso sostiene:
     1)  che  il  decreto  16  marzo 1942, n. 262, che approvo' il testo
 unificato del Codice civile, non avrebbe carattere legislativo,  e  che
 percio' al potere esecutivo sarebbe stata devoluta soltanto la facolta'
 di  coordinare  i  vari libri fra loro; ma non gia' quella d'introdurre
 modificazioni della natura  di  quella  inserita  nell'art.    875  col
 richiamo dei regola'menti locali;
     2)  che,  anche  ammesso  il  carattere legislativo del decreto del
 1942, questo sarebbe parimenti incostituzionale, in quanto  emanato  in
 base  ad  una  subdelegazione non consentita, contenuta nell'art. 1 del
 decreto 30 gennaio 1941, n. 15.
     Chiede quindi che questa Corte:
     a) disponga la restituzione degli atti al Tribunale, o quanto meno,
 sospenda di decidere fino  all'esito  del  procedimento  relativo  alla
 sentenza non definitiva emessa dallo stesso Tribunale;
     b) dichiari in subordine la illegittimita' costituzionale dell'art.
 875  del  Codice  civile,  per  la  parte  in cui rinvia ai regolamenti
 locali,  previa,  ove  occorra,  la  declaratoria   di   illegittimita'
 costituzionale del decreto 16 marzo 1942, n. 262;
     c)  in linea piu' subordinata, nel caso si ritenesse la sussistenza
 di una delega legislativa, dichiari l'illegittimita' costituzionale del
 secondo comma dell'art. 1 del decreto 30 gennaio 1941, n. 15.
     Anche l'Avvocatura dello Stato deduce preliminarmente il difetto di
 motivazione dell'ordinanza  del  Tribunale  sotto  aspetti  analoghi  a
 quelli prospettati dalla difesa della Cooperativa.
     Circa la questione di illegittimita' costituzionale oppone :
     che  con  il  decreto  del  30  gennaio 1941, n. 15, non si sarebbe
 esaurita la  delega  legislativa  contenuta  nelle  due  leggi  del  20
 dicembre 1923, n. 2814, e 24 dicembre 1925, n. 2260; delega che sarebbe
 stata  in  concreto  esercitata  in due momenti successivi. In un primo
 momento provvedendo all'approvazione e  alla  pubblicazione  dei  libri
 separati  del  Codice:  ed  in un secondo momento, in base alla riserva
 contenuta anche nell'art.  1 del decreto del 30 gennaio 1941, n. 15, al
 coordinamento dei libri gia' pubblicati; che, comunque,  se  un  dubbio
 restasse in ordine alla persistenza della delega, verrebbe eliminato in
 base all'art. 2 della legge 30 gennaio 1941, n. 15.
     Osserva inoltre che l'inciso contenuto nell'art. 875 del Codice non
 costituirebbe  un  innovazione, ma avrebbe carattere esplicativo di una
 norma gia' implicitamente e necessariamente compresa nell'art.  66  del
 libro terzo.
     Aggiunge  che  a  prescindere dall'art. 44, il cui richiamo sarebbe
 del tutto irrilevante nell'attuale controversia, sarebbe d'altra  parte
 da  escludere ogni incompatibilita' della norma contenuta nell'art. 875
 con gli articoli 42, 43 della Costituzione, i  quali  ammettono  limiti
 alla proprieta' privata per armonizzarla con l'utilita' sociale.
     Conclude pertanto perche' questa Corte :
     a)  in  via  principale  dichiari  inammissibile per irrilevanza la
 questione dedotta;
     b) in subordine  dichiari  che  non  vi  e'  luogo  a  giudizio  di
 legittimita' costituzionale nei riguardi della questione anzidetta;
     c)  in  via  ancora piu' subordinata che si dichiari non fondata la
 questione stessa.
     La  difesa  del  Ciocia  sostiene  la  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 875 e conclude in conformita'.
     Con   memorie   depositate   in  cancelleria  il  16  aprile  1959,
 l'Avvocatura dello Stato e la difesa del  Ciocia  hanno  illustrato  le
 tesi  enunciate  nelle  deduzioni,  insistendo  nelle  conclusioni gia'
 proposte.
                         Considerato in diritto:
     La difesa della Cooperativa edilizia "Colli Aminei" e  l'Avvocatura
 dello   Stato   osservano   preliminarmente   che,  nell'ordinanza  del
 Tribunale, si riscontrerebbe difetto di motivazione circa la rilevanza,
 rispetto  al  giudizio  principale,  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 875 del Codice civile (testo unificato), nella
 parte  in  cui  si  riferisce ai regolamenti locali. Si sostiene che il
 giudice del merito, avrebbe dovuto  esaminare,  in  precedenza,  se  la
 controversia  si  fosse  potuta  decidere  prescindendo  dall'accennata
 disposizione, dato che la Cooperativa, per  opporsi  alle  domande  del
 Ciocia, aveva sostenuto anzitutto l'applicabilita' degli articoli 905 e
 907   dello  stesso  Codice;  e,  in  via  subordinata,  aveva  dedotto
 l'incostituzionalita' parziale dell'art. 875.
     L'eccezione  non  e'  fondata,  e  non   utilmente   e'   ricordata
 l'ordinanza di questa Corte n. 48 del 1957, che concerne una situazione
 processuale diversa.
     Nel  caso  allora esaminato, infatti, era stata sollevata questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 252  del  Codice  civile  (sul
 riconoscimento  dei  figli  adulterini),  in relazione all'art. 250 del
 libro primo pubblicato separatamente. E questa Corte riscontro' difetto
 di  motivazione  circa  la  rilevanza,  in  quanto  il  Tribunale,  pur
 menzionando  l'art.  278  (che  avrebbe determinato la inammissibilita'
 dell'azione), non aveva in alcun  modo  esaminato  se  il  giudizio  di
 merito   potesse  essere  definito  indipendentemente  dalla  questione
 anzidetta. Nella specie invece risulta dagli  atti,  come  si  e'  gia'
 accennato,  che  il  Tribunale, con sentenza non definitiva (menzionata
 anche   nelle   deduzioni   della    Cooperativa),    avendo    escluso
 l'applicabilita'  degli  articoli  905  e  907, e' passato ad esaminare
 l'eccezione  di  legittimita'  costituzionale,   e,   ritenendola   non
 manifestamente  infondata, ha emesso, nella stessa data della sentenza,
 l'ordinanza di trasmissione degli  atti  a  questa  Corte.  Trattandosi
 quindi di provvedimenti tra loro strettamente collegati, nell'ordinanza
 non  occorreva  una  ulteriore  motivazione  per  chiarire il carattere
 pregiudiziale, nel processo, della questione di costituzionalita'.
     Ne' puo', d'altra parte, accogliersi la richiesta,  pure  formulata
 dalla Cooperativa, di sospensione del giudizio iniziato in questa sede,
 fino  a  che  la ricordata sentenza sia passata in giudicato. Una volta
 infatti sollevata la questione dal giudice del  merito,  con  ordinanza
 congruamente  motivata, il giudizio davanti a questa Corte si separa da
 quello principale e deve proseguire in via autonoma, date le  finalita'
 particolari  che lo caratterizzano, indipendentemente dal fatto che non
 siano divenute definitive le  pronunzie,  eventualmente  emanate  dallo
 stesso   giudice   del   merito,   relativamente   ad  altre  questioni
 pregiudiziali a quella  di  costituzionalita'.  Questo  principio  gia'
 affermato  da questa Corte, con la sentenza n. 10 del 1959, deve essere
 ora confermato.
     Tanto  meno  poi  puo'  riscontrarsi,  nell'ordinanza,  difetto  di
 motivazione  perche'  il  Tribunale  avrebbe  omesso di esaminare se la
 causa principale  potesse  definirsi  prescindendo  dalla  disposizione
 contenuta  nell'art. 875 del Codice civile e tenendo invece presenti le
 norme del regolamento edilizio del comune di Napoli. Le quali sarebbero
 state osservate, secondo la tesi dell'Avvocatura, ovvero non  sarebbero
 applicabili,  secondo  la tesi della Cooperativa, data la situazione di
 fatto  derivante  dalla  costruzione  dell'edificio  da   parte   della
 medesima.   Si   tratta   infatti,   com'e'   palese,  di  accertamenti
 strettamente attinenti al  merito,  che  esulano  dalla  competenza  di
 questa  Corte.  Competenza che invece, in base al primo comma dell'art.
 134 della Costituzione, deve essere preliminarmente dichiarata rispetto
 all'oggetto dell'attuale giudizio, posto che al decreto  del  16  marzo
 1942,  n.  262,  che  ha  approvato e pubblicato il testo unificato del
 Codice civile, non puo' disconoscersi, contrariamente a  quanto  deduce
 la difesa della Cooperativa, il carattere di provvedimento legislativo.
     Com'e'  noto,  con le leggi del 30 dicembre 1923, n. 2814, e del 24
 dicembre 1925, n. 2260, fu conferita al  Governo  un'ampia  delega  che
 comprendeva,  fra  l'altro,  non  soltanto  la facolta' di apportare al
 Codice civile del 1865 modificazioni, emendamenti ed aggiunte, ma anche
 quella di coordinare le  disposizioni,  relative  alle  stesse  materie
 contenute  in  altre  leggi,  incorporandole, se del caso, nello stesso
 Codice; con l'autorizzazione altresi' di pubblicare separatamente (art.
 3, ultimo comma, della legge 24 dicembre 1925) singoli libri  o  titoli
 del  Codice  emendato.  In  esecuzione  di  tale  delega ed avvalendosi
 dell'anzidetta  autorizzazione,  il  Governo,  con  distinti   decreti,
 approvo'  e  pubblico'  vari  libri  del Codice, e, in particolare, con
 decreto del 30 gennaio 1941, n.  15,  il  libro  della  proprieta'.  E'
 chiaro  peraltro  che,  con  la  pubblicazione  separata effettuata per
 esigenze del  momento,  non  veniva  meno  la  facolta',  indubbiamente
 compresa  nella  delega  generale,  di  procedere  all'unificazione del
 Codice, coordinando i vari libri gia' entrati in  vigore.  Cio'  spiega
 perche'  l'art.  1, secondo comma, del ricordato decreto del 30 gennaio
 1941 (come pure tutti gli altri decreti relativi  ai  libri  separati),
 conteneva  una disposizione che approvava il testo del libro emendato e
 prevedeva l'emanazione di un successivo decreto (cioe'  quello  del  16
 marzo  1942,  n.  262),  per  la riunione ed il coordinamento del libro
 della proprieta' con gli altri gia'  pubblicati  o  da  pubblicare.  Il
 decreto  del 1942 pertanto trae origine, non gia' da una non consentita
 subdelegazione da parte  del  Governo,  come  deduce  la  difesa  della
 Cooperativa, bensi' dalla delega legislativa originaria contenuta nelle
 due  leggi  del  1923  e del 1925. E questa delega, dato che non vi era
 termine  di  scadenza,   e'   stata   esercitata   legittimamente   con
 provvedimenti emanati in tempi diversi, e si e' esaurita con il decreto
 del  16  marzo 1942, n. 262; il cui carattere legislativo d'altronde si
 desume agevolmente anche dal testo. Difatti, riguardo  alla  forma,  e'
 stato  emanato in base alle norme dell'art. 3, n. 1, della legge del 31
 gennaio 1926, n. 100, cioe'  previa  deliberazione  del  Consiglio  dei
 Ministri.  Per  quanto  attiene  al  contenuto  poi e' da notare che il
 decreto stesso (art. 1) non solo ha approvato il Codice  unificato,  ma
 ha  stabilito  anche  che  dovesse avere esecuzione a cominciare dal 21
 aprile  1942,  sostituendo,  da  questa  data,  i  libri   del   Codice
 separatamente  approvati e pubblicati, con abrogazione quindi dei libri
 predetti.
     Non e' d'altra parte  dubitabile,  come  correttamente  osserva  il
 Tribunale  nell'ordinanza,  che la competenza di questa Corte comprende
 anche il controllo di  legittimita'  costituzionale  dei  provvedimenti
 legislativi delegati, emanati anteriormente all'entrata in vigore della
 Costituzione. Tale principio e' stato ripetutamente affermato da questa
 Corte,  la  quale,  con le sentenze n. 37 e n. 54 del 1957, ha chiarito
 che,  per  tali  provvedimenti,  l'indagine  deve  essere  rivolta   ad
 accertare  se  sussista  la delega e se il Governo si sia mantenuto nei
 limiti della medesima.
     Nel  merito  e'   da   rilevare   anzitutto   che   il   Tribunale,
 nell'ordinanza,  riferendosi  all'eccezione  dedotta  dalla Cooperativa
 circa la  questione  di  costituzionalita',  richiama  anche  i  motivi
 esposti  al  riguardo  dalla  parte.  Fra  essi peraltro, negli scritti
 difensivi davanti al Tribunale, non risulta dedotto  un  vizio  formale
 del  decreto  del  1942, per essere stato emanato senza il parere della
 Commissione parlamentare, prescritto dalle leggi del 1923 e  del  1925;
 motivo  che  pertanto  non  puo'  essere  ora  esaminato, essendo stato
 enunciato per la prima volta in questa sede.
     Nell'ordinanza del Tribunale la  questione  di  incostituzionalita'
 per  eccesso  di  delega,  come  si  e  gia in precedenza accennato, e'
 prospettata nel senso che, in base al detto decreto del  1942,  dati  i
 limiti  stabiliti  nell'art.  1 del decreto del 1941, si sarebbe dovuto
 procedere soltanto al coordinamento del libro della proprieta' con  gli
 altri   libri   del   Codice,   ma   non  gia'  al  coordinamento,  con
 modificazioni, dei vari articoli contenuti nello stesso libro;  per  il
 quale coordinamento la delega si sarebbe gia' esaurita con il ricordato
 decreto   del  1941.  Donde  l'illegittimita'  costituzionale,  perche'
 l'inciso  inserito  nell'art.  875  del  Codice  unificato  (cioe'   il
 riferimento  ai  regolamenti  locali)  costituirebbe, secondo la difesa
 della Cooperativa, un innovazione che modificherebbe sostanzialmente la
 portata dell'art. 66 del libro separato, che tale inciso non conteneva.
     Ad avviso della Corte si presenta quindi, con carattere preliminare
 ed  assorbente,  l'indagine  se  si   tratta   effettivamente   di   un
 'innovazione,  o  non  piuttosto,  come  sostengono invece l'Avvocatura
 dello  Stato  e  la  difesa  del  Ciocia,  di  un   chiarimento   della
 disposizione  contenuta nell'art. 66, derivante logicamente dal sistema
 accolto nel Codice per la disciplina dei rapporti di vicinato.
     Com'e'  noto,  nel  libro  della  proprieta',  tali  rapporti  sono
 regolati   in   una   sezione  autonoma,  con  varie  disposizioni  che
 stabiliscono l'obbligo dei  proprietari  confinanti  di  rispettare  le
 distanze  prescritte, non soltanto nelle costruzioni propriamente dette
 (art. 64 del libro separato), ma anche per i pozzi e le cisterne  (art.
 80), per le fabbriche e i depositi nocivi o pericolosi (art. 81), per i
 canali  e  i fossi (art. 82) e per gli alberi (art. 83). Ma, riguardo a
 tutti i casi indicati nei detti  articoli  (riprodotti  poi  nel  testo
 unificato),  come  pure  per  quanto  concerne  in genere la proprieta'
 edilizia (art. 62 corrispondente all'art. 871), si  stabilisce  che  le
 disposizioni della legge possono essere derogate dalle disposizioni dei
 regolamenti locali, codificando un principio che era gia' pacificamente
 ammesso anche nel vigore del Codice del 1865. Ed e' appunto in coerenza
 con  tutto  il sistema che l'art. 64 del testo separato (corrispondente
 all'art. 873 del testo unificato), oltre a stabilire che le costruzioni
 sui fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere  tenute
 a distanza non minore di tre metri, aggiunge pero' che, nei regolamenti
 locali,  puo'  essere  stabilita  una  distanza  maggiore. Ora, poiche'
 l'art. 66 riguarda la stessa materia  delle  distanze  fra  costruzioni
 contigue,  dirimendo  un conflitto che puo' sorgere fra proprietari, e'
 chiaro che tale articolo debba essere inteso  (come  infatti  e'  stato
 inteso)  in stretto collegamento con il precedente art. 64.  Posto tale
 collegamento, l'unita' del sistema esige  che  la  regola  fondamentale
 scritta  nell'art.  64,  cioe'  la  prevalenza  dei regolamenti locali,
 quando stabiliscono  una  distanza  maggiore  di  quella  indicata  nel
 Codice,  debba  ritenersi  estesa,  anche se detti regolamenti non sono
 espressamente  richiamati,  per  disciplinare   il   caso   particolare
 preveduto  dall'art.  66  (art. 875 del testo unificato). Per stabilire
 cioe' quando il vicino puo' chiedere la comunione forzosa del muro  non
 costruito  sul  confine. Allo stesso modo percio' che se la distanza da
 applicarsi e' quella di tre metri, indicata nell'art. 64  (e  nell'art.
 873  del  testo  unificato),  la  facolta'  anzidetta  puo' esercitarsi
 qualora la costruzione sia a distanza minore di un metro e mezzo, cosi'
 parimenti, per coerente  ragione,  la  comunione  forzosa  puo'  essere
 chiesta,  se  il  muro  e'  costruito a meno della meta' della maggiore
 distanza stabilita dai regolamenti locali, nel caso in cui ad  essi  si
 debba  fare  riferimento.  A  questa conclusione e' necessario giungere
 applicando il sistema accolto dal  Codice,  quale  risulta  chiaramente
 dalle  disposizioni  sopra  ricordate. Che se invece si ritenesse, come
 sostiene la difesa della Cooperativa,  che  la  disposizione  contenuta
 nell'art.    66,  configurando  un  caso particolare di espropriazione,
 costituisca un'eccezione regolata esclusivamente dalle disposizioni del
 Codice  civile,  anche  quando  le  distanze  siano  disciplinate   dai
 regolamenti  locali, si verrebbe a porre l'art. 66 fuori del sistema; e
 si verrebbe a turbare quell'equilibrio che, nei rapporti  di  vicinato,
 si  e'  inteso  raggiungere  nell'interesse  non  soltanto  dei singoli
 proprietari, ma anche, in via piu' generale, della convivenza  sociale.
 Equilibrio  a  base del quale, contrariamente alla tesi sostenuta dalla
 Cooperativa, sta anche l'esigenza che una stessa fonte normativa  debba
 disciplinare  tali  rapporti  nelle  varie  situazioni  prevedute dalla
 legge; vale a dire  i  regolamenti  locali,  ovvero,  in  mancanza,  le
 disposizioni del Codice.
     Tutto  cio' dimostra che l'inciso contenuto nell'art. 875 del testo
 unificato costituisce non gia' una  modificazione  sostanziale,  bensi'
 una  precisazione  esplicativa  dell'art. 66 del libro della proprieta'
 pubblicato separatamente; precisazione del tutto  aderente  al  sistema
 del  Codice  vigente. E chiarisce altresi' che, in conseguenza, viene a
 mancare di base la questione di costituzionalita', sotto  l'aspetto  in
 cui e' profilata nell'ordinanza.
     Dato  pero'  che  il  Tribunale  ha inteso prospettare la questione
 anche in relazione agli altri  motivi  dedotti  dalla  Cooperativa,  e'
 necessario esaminare altresi' se, come pure si sostiene in questa sede,
 l'inciso inserito nell'art. 875, attribuendo al proprietario vicino, in
 danno  del primo costruttore, un diritto di espropriazione di meta' del
 muro e del tratto di suolo fra il muro ed il confine, sia incompatibile
 con i precetti contenuti negli articoli 42, 43 e 44 della Costituzione.
 Anche sotto questo aspetto peraltro la  questione  non  puo'  ritenersi
 fondata.
     A  prescindere infatti dagli articoli 43 e 44, richiamati del tutto
 fuori luogo, per quanto riguarda  l'art.  42  basta  osservare  che  le
 limitazioni   alla   proprieta'   privata,  derivanti  dall'obbligo  di
 osservare le distanze nelle costruzioni, sono  stabilite,  al  pari  di
 tutte  le  altre limitazioni, anche per fini di interesse generale, che
 si ricollegano alla funzione sociale della proprieta',  alla  quale  il
 Codice  si  riferisce  in  varie  disposizioni.  Le  limitazioni stesse
 rientrano quindi nell'ambito del precetto contenuto nel  secondo  comma
 dell'art.   42  della  Costituzione.  Come  pure  non  sussiste  alcuna
 incompatibilita' con le disposizioni del terzo comma di detto articolo,
 in  quanto  il  vicino  per  ottenere  la  comunione  del   muro   deve
 corrispondere  le  indennita'  stabilite  sia  dall'art.  65  del libro
 separato, sia dall'art. 875 del testo  unificato,  relative  al  valore
 della  meta'  del  muro ed al valore del fondo da occupare con la nuova
 fabbrica.