ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, sulle misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita', promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 20 luglio 1967 dal pretore di Firenze nel procedimento penale a carico di Cecconi Romano, iscritta al n. 198 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 271 del 28 ottobre 1967; 2) ordinanze emesse il 1 febbraio 1968 dal pretore di Genova nei procedimenti penali rispettivamente a carico di Motta Mario e di Scioni Francesco, iscritte ai nn. 34 e 35 del Registro ordinanze 1968 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 20 aprile 1968; 3) ordinanza emessa il 13 febbraio 1968 dal pretore di Sestri Ponente nel procedimento penale a carico di Dell'Amico Bruna, iscritta al n. 51 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 127 del 18 maggio 1968; 4) ordinanza emessa il 28 marzo 1968 dal pretore di Lentini nel procedimento penale a carico di Sambasile Cirino, iscritta al n. 135 del Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 222 del 31 agosto 1968. Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; udita nell'udienza pubblica del 29 gennaio 1969 la relazione del Giudice Angelo De Marco; udito il sostituto avvocato generale dello Stato Cesare Soprano, per il Presidente del Consiglio dei Ministri. Ritenuto in fatto: 1. - Con ordinanza 20 luglio 1967, pronunziata nel procedimento penale a carico di Romano Cecconi, imputato del reato di cui all'art. 9 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, per avere reiteratamente contravvenuto alla prescrizione - impostagli dal tribunale di Firenze, quale persona sottoposta a sorveglianza speciale dalla pubblica sicurezza - di non uscire di casa fra le ore 20 e le ore 7,30, il pretore di Firenze sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 e "di ogni altra conseguenziale questione sulla stessa legge (in particolare l'art. 9)" in relazione agli artt. 3, primo comma, e 13, secondo comma, della Costituzione. Piu' precisamente, il pretore rilevava che dalla dizione "possono essere affidate dal questore..." contenuta nel denunziato art. 1 risulta chiaramente che la diffida ed i conseguenziali provvedimenti da emanare, sia pure dal tribunale, in caso di inosservanza della diffida stessa, dipendono, in sostanza, da un apprezzamento discrezionale del questore, per effetto del quale, soltanto alcune e non tutte le persone appartenenti alle categorie, tassativamente indicate nello stesso art. 1, sarebbero assoggettate alla misura nell'articolo stesso proveduta, con evidente violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Non solo, ma, dato che la diffida e' il presupposto necessario delle altre misure, comprese quelle la cui adozione e' devoluta alla competenza del tribunale, la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della diffida travolgerebbe tutte le norme della stessa legge che la presuppongono. Di qui anche la violazione dell'art. 13, secondo comma, della Costituzione, in quanto la restrizione della liberta' personale, per il fatto di dipendere dalla discrezionalita' del questore e' non da atto legislativo, violerebbe il principio della riserva di legge. La rilevanza, poi, risulterebbe evidente dato che ove la questione fosse riconosciuta fondata verrebbe a cadere anche l'art. 9, nella violazione del quale consisterebbe il reato attribuito all'imputato. 2. - Con due distinte ordinanze, in data 1 febbraio 1968, emesse nei procedimenti penali a carico di Mario Motta e di Francesco Scioni, entrambi imputati di contravvenzione all'art. 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, rispettivamente, il primo per aver omesso di consegnare, nel termine prescritto, alla questura di Genova il foglio di via obbligatorio rilasciatogli dal questore di Imperia, il secondo per non aver ottemperato al divieto di rientrare in Genova, impostogli dal questore di detta citta', il pretore di Genova sollevava questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in relazione agli artt. 3 e 13 della Costituzione, in quanto sia la formula usata dall'art. 1 "possono essere diffidati dal questore" sia quella usata dall'art. 2 "il questore puo' rimandarvele" dimostrano il conferimento al questore del potere discrezionale tanto di impartire la diffida, quanto di rilasciare il foglio di via obbligatorio, potere che si risolve in una scelta orientata da motivi di opportunita', scelta che puo' venire a creare una disparita' di trattamento nei confronti di persone che in eguale misura si trovano nelle condizioni previste dai citati artt. 1 e 2. 3. - Con ordinanza 13 febbraio 1968, emessa nel procedimento penale a carico di Bruna Dell'Amico, imputata del reato di cui all'art. 2 della legge n. 1423 del 1956, per non aver ottemperato all'esplicito divieto di rientrare in Genova, impostole dal questore di detta citta', il pretore di Sestri Ponente, sempre sotto il profilo del potere discrezionale attribuito da tali norme al questore, sollevava questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 della ripetuta legge del 1956, n. 1423, in relazione, peraltro, al solo art. 3, primo comma, della Costituzione. 4. - Infine, con ordinanza 28 marzo 1968, emessa nel procedimento penale a carico di Cirino Sambasile, imputato della contravvenzione di cui all'articolo 9 della legge n. 1423 del 1956, per non aver ottemperato agli obblighi impostigli dal tribunale di Siracusa, con decreto 8 marzo 1966, di sottoposizione a sorveglianza speciale, uscendo nottetempo e senza necessita' dalla propria abitazione, il pretore di Lentini sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 1 della legge n. 1423 del 1956, in relazione agli artt. 3, primo comma, e 13, secondo comma, della Costituzione, sempre sotto il profilo che il potere discrezionale accordato al questore dal citato articolo 1 potesse dar luogo a disparita' di eguaglianza e, rispettivamente, fosse in contrasto con il principio della riserva di legge. Dopo le notificazioni, comunicazioni e pubblicazioni di legge i cinque giudizi venivano fissati per la trattazione nell'udienza odierna. Nel solo giudizio di cui al n. 1 si e' costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. Sia con la memoria di costituzione sia con altra memoria depositata il 16 gennaio 1969, l'Avvocatura dello Stato deduce, in sostanza, che la sollevata questione vorrebbe trovar fondamento su una inesatta nozione del contenuto e dei limiti della discrezionalita' nel diritto amministrativo, la quale, lungi da ogni sorta di arbitrarieta', va concepita ed esercitata dall'autorita' amministrativa entro l'osservanza di precisi e molteplici limiti, la cui violazione determina il vizio dell'eccesso di potere sotto i profili della disparita' di trattamento e della manifesta ingiustizia. Inoltre sottolinea che la diffida esula dai provvedimenti di restrizione della liberta' personale che costituiscono il contenuto della norma di cui all'art. 13 della Costituzione, e chiede, in conseguenza, che la proposta questione di costituzionalita' venga dichiarata manifestamente infondata. Considerato in diritto: 1. - Anzitutto e' manifesta l'opportunita' di riunire i cinque giudizi, data la sostanziale identita' delle questioni in essi proposte. 2. - Comune a tutti i detti giudizi e' la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la quale, peraltro, nell'ordinanza 20 luglio 1967 del pretore di Firenze viene motivata piu' ampiamente che nelle altre, ma sempre sotto il medesimo profilo che, come si e' esposto in narrativa, puo' essere cosi' riassunto: L'art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nel primo comma, dispone: "Possono" - (e non devono o sono) - "essere diffidati dal questore". A questo comma segue, poi, l'elenco delle categorie di persone che si presumono pericolose per la sicurezza e la pubblica moralita'. Pertanto, al questore verrebbe attribuito un potere discrezionale che gli permetterebbe di sottoporre soltanto alcune e non tutte le persone contemplate dall'art. 1 alla diffida, presupposto necessario per l'applicazione delle misure di prevenzione prevedute dai successivi articoli della legge, con una evidente disparita' di trattamento, che si risolve nella violazione del principio di eguaglianza. 3. - La questione, nei medesimi termini, e' gia' stata esaminata dalla Corte con riferimento peraltro alla identificazione delle persone che possono essere comprese nelle categorie elencate nei numeri da 1 a 5 dello stesso art. 1, ma e' stata dichiarata infondata (sentenze n. 23 e n. 68 del 1964). Anche se la diversa prospettazione esclude che le questioni possano considerarsi del tutto identiche, cosicche' non e' il caso di dichiarare senz'altro, con ordinanza, manifestamente infondata la questione nei presenti giudizi sollevata, non puo' sfuggire che vi e' una notevole analogia. Tanto chiarito si rileva: anzitutto la discrezionalita' non implica arbitrio: anche nell'esercizio del potere discrezionale l'autorita' amministrativa non e' libera nelle sue determinazioni; comunque essa deve aver sempre di mira il conseguimento dei fini ad essa assegnati, e non puo' discostarsene, e deve operare ponderando adeguatamente e imparzialmente i diversi interessi, pubblici e privati, implicati nella fattispecie. Nel caso presente vi e' qualche cosa di piu', in quanto nel testo stesso dell'art. 1 impugnato, risulta chiaramente che anche il criterio e' notevolmente limitato, dato che il potere si risolve nell'accertamento di una specifica maggiore pericolosita' di persone, che gia', in potenza, sono da considerare pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita'. Riconosciuta, infatti (come risulta dalle citate sentenze di questa Corte) la legittimita' costituzionale del provvedimento di identificazione concreta di coloro che vanno compresi nelle categorie di persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralita', non si puo' disconoscere che tale elencazione e', bensi', tassativa, ma non anche vincolante, nel senso che il solo fatto di essere compresi in una di quelle categorie renda obbligatoria, nei confronti di tutti coloro che vi appartengono, l'adozione di misura di prevenzione. L'appartenenza a quelle categorie e' invero condizione necessaria, ma non sufficiente per la sottoposizione a misure di prevenzione: perche' in concreto tali misure possano essere adottate, occorre, infatti, anche un particolare comportamento che dimostri come la pericolosita' sia effettiva ed attuale e non meramente potenziale. L'accertamento di questa specifica pericolosita' - la quale tra l'altro realizza una differenza tra le persone comprese nelle categorie genericamente ritenute pericolose - si raggiunge necessariamente attraverso un apprezzamento di merito. Che, poi, come in sostanza e' stato ritenuto con le citate sentenze di questa Corte, in ogni apprezzamento di merito, diretto ad accertare la sussistenza degli estremi per l'applicazione di una norma di legge, vi e' sempre un certo margine affidato alla discrezionalita', non per questo, chiarita quale sia la natura funzionale dell'accertamento affidato al questore, si puo' parlare di violazione del principio di eguaglianza, tanto piu' che in ogni caso l'esercizio del potere discrezionale e' soggetto al controllo del giudice, il quale sicuramente si estende alla irrazionalita', alla imparzialita', alla parita' di trattamento. Si deve, quindi, concludere che sotto questo primo profilo la sollevata questione risulta infondata. 4. - Per le stesse ragioni deve essere dichiarata infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della stessa legge n. 1423 del 1956, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata con le due ordinanze, entrambe in data 1 febbraio 1968, del pretore di Genova e con ordinanza 13 febbraio 1968 del pretore di Sestri Ponente, sempre sotto il profilo che la discrezionalita' conferita al questore con la dizione "Il questore puo' rimandarvele" sia suscettibile a creare una disparita' di trattamento nei confronti di persone che egualmente si trovino nelle condizioni da detto art. 2 prevedute. 5. - Comune a tutti i giudizi, tranne quello instaurato per effetto dell'ordinanza 13 febbraio 1968 del pretore di Sestri Ponente, e', infine, la questione di illegittimita' tanto dell'art. 1 quanto dell'art. 2 della citata legge, in riferimento all'art. 13, secondo comma, della Costituzione. Come si e' posto in rilievo in narrativa, tale questione poggia sul presupposto della arbitrarieta' dei poteri attribuiti al questore con le norme suddette. Poiche' questo presupposto, dato quanto precede, viene a mancare, anche sotto il profilo del contrasto con l'art. 13, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimita' dei ripetuti artt. 1 e 2 risulta infondata.