ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
    nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale
    a) degli artt. 41, 42, 43 e 46 del R.D. legge 15  ottobre  1925,  n.
 2033,  convertito  in  legge  18  marzo 1926, n. 562 (repressione delle
 frodi nella preparazione e nel commercio di sostanze di uso  agrario  e
 di  prodotti  agrari),  nonche'  degli  artt. 44 e 45 del predetto R.D.
 legge, nel testo modificato dagli artt. 1 e 2 della legge  27  febbraio
 1958, n. 190;
    b)  dell'articolo  unico  della  legge  30  dicembre  1959,  n. 1234
 (vigilanza per la repressione delle  frodi  nella  preparazione  e  nel
 commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari);
    c) dell'art. 1 della legge 18 ottobre 1959, n. 945 (modificazioni ed
 integrazioni al R.D. legge 15 ottobre 1925, n. 2033);
    d)  dell'art. 13 della legge 13 novembre 1960, n. 1407 (norme per la
 classificazione e la vendita degli olii di oliva);
    e) dell'art. 1 della  legge  30  aprile  1962,  n.  283  (disciplina
 igienica  della  produzione e della vendita delle sostanze alimentari e
 delle bevande), nel testo modificato dalla legge 26 febbraio  1963,  n.
 441;
    f) dell'art. 42 della legge 4 luglio 1967, n. 580 (disciplina per la
 lavorazione  e commercio dei cereali, degli sfarinati, del pane e delle
 paste alimentari);
    g) degli artt. 93 e 94 del R.D. 1 luglio 1926, n. 1361  (regolamento
 per l'esecuzione del R.D. legge 15 ottobre 1925, n.  2033);
    promossi con le seguenti ordinanze:
    1)  ordinanza  emessa  il  15 giugno 1968 dal pretore di Brescia nel
 procedimento penale a carico di Cremonesi Alessandro ed altro, iscritta
 al n. 163 del Registro  ordinanze  1968  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 235 del 14 settembre 1968;
    2)  ordinanza  emessa  il  5  novembre 1968 dal pretore di Barra nel
 procedimento penale a carico di Carola Vincenzo ed altro,  iscritta  al
 n.  249  del  Registro  ordinanze  1968  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 6 dell'8 gennaio 1969;
    3) ordinanze emesse il 18 ottobre 1968 dal pretore di  Camposampiero
 e  il  15  novembre  1968 dal pretore di Chiari nei procedimenti penali
 rispettivamente a carico  di  Martellozzo  Mario  e  di  Lorini  Carlo,
 iscritte  ai  nn.  260  e  272 del Registro ordinanze 1968 e pubblicate
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 29 gennaio 1969;
    4) ordinanza emessa il 22 novembre 1968  dal  pretore  di  S.  Maria
 Capua  Vetere  nel  procedimento  penale  a  carico di Russo Salvatore,
 iscritta al n. 280 del  Registro  ordinanze  1968  e  pubblicata  nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38 del 12 febbraio 1969;
    5)  ordinanza emessa il 7 dicembre 1968 dal pretore di Benevento nel
 procedimento penale a carico di Colagiovanni Giorgio,  iscritta  al  n.
 284  del  Registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 52 del 26 febbraio 1969;
    6) ordinanze emesse il 3 e il 10 dicembre 1968  dal  pretore  di  S.
 Maria  Capua  Vetere  e  il  16  gennaio 1969 dal pretore di Chiusa nei
 procedimenti penali rispettivamente  a  carico  di  Di  Vilio  Lorenzo,
 Monaco  Lucia,  Romano  Raffaele e Demetz Riccardo, iscritte ai nn. 48,
 49, 50 e 61 del Registro ordinanze 1969  e  pubblicate  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 78 del 26 marzo 1969;
    7)   ordinanze   emesse   il   3   febbraio   1969  dal  pretore  di
 Frattamaggiore, il 12 febbraio 1969 dal pretore di Castelfranco  Veneto
 e  il  29  novembre  1968 dal pretore di Camposampiero nei procedimenti
 penali rispettivamente a carico di Liquori  Pasqua,  Daminato  Mario  e
 Beltrame  Gino, iscritte ai nn. 84, 86 e 90 del Registro ordinanze 1969
 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  85  del  2
 aprile 1969;
    8)  ordinanza  emessa  il 3 dicembre 1968 dal pretore di Conzaga nel
 procedimento penale a carico di Rosiello Vincenzo ed altri, iscritta al
 n. 98 del Registro ordinanze 1969 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 91 del 9 aprile 1969;
    9) ordinanze emesse il 31 gennaio 1969 dal pretore di  Camposampiero
 e  il 28 febbraio 1969 dal pretore di Canosa di Puglia nei procedimenti
 penali rispettivamente a carico di Marcato Mario ed altri e di Diaferio
 Paolo ed altro, iscritte ai nn. 123 e 127 del Registro ordinanze 1969 e
 pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  105  del  23
 aprile 1969;
    10)  ordinanza  emessa  il  14  marzo  1969  dal  pretore di Guardia
 Sanframondi nel procedimento penale a  carico  di  Iaccarino  Filomena,
 iscritta  al  n.  145  del  Registro  ordinanze 1969 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 18 giugno 1969;
    11) ordinanza emessa il 13 marzo 1969 dal pretore  di  Volterra  nel
 procedimento  penale  a carico di Ales Giovanni, iscritta al n. 151 del
 Registro ordinanze 1969 e pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 128 del 21 maggio 1969;
    12) ordinanza emessa il 28 febbraio 1969 dal pretore di Sant'Elpidio
 a Mare nel procedimento penale a carico di Valentini Luigi, iscritta al
 n.  185  del  Registro  ordinanze  1969  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 145 dell'11 giugno 1969.  Visti gli  atti
 d'intervento   del   Presidente   del   Consiglio  dei  Ministri  e  di
 costituzione di Martellozzo Mario; udito nell'udienza pubblica  del  29
 ottobre  1969  il  Giudice  relatore  Francesco  Paolo Bonifacio; uditi
 l'avv. Rutilio Sermonti, per il Martellozzo, ed il  sostituto  avvocato
 generale  dello  Stato Francesco Agro', per il Presidente del Consiglio
 dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto:
    1. - Nel corso di un  procedimento  penale  a  carico  di  Cremonesi
 Alessandro e di Riboldi Domenico, imputati della contravvenzione di cui
 all'art.  5  lett.  d  della  legge  30  aprile  1962, n. 283, per aver
 detenuto nel loro  stabilimento  formaggi  ammuffiti  ed  avariati,  il
 pretore   di   Brescia  ha  sollevato  una  questione  di  legittimita'
 costituzionale concernente gli  articoli  41  e  43-46  del  R.D.L.  15
 ottobre  1925,  n.  2033  (convertito  in  legge 18 marzo 1926, n. 562)
 contenente   disposizioni   sulla   "repressione   delle   frodi  nella
 preparazione e nel commercio di sostanze di uso agrario e  di  prodotti
 agrari".  Nella  relativa  ordinanza  del  15 giugno 1968, con la quale
 viene accolta la eccezione di costituzionalita' proposta  dalla  difesa
 degli  imputati,  si  prospetta  come  non  manifestamente infondato il
 dubbio che tali disposizioni, limitatamente alla parte in cui esse "non
 dispongono che nelle  operazioni  di  prelevamento  e  di  analisi  dei
 campioni  si  curi, in quanto e' possibile, la presenza dell'imputato o
 del suo difensore o del suo consulente tecnico", violino gli artt.  24,
 secondo comma, e 3, primo comma, della Costituzione.
    Ad avviso del giudice a quo la questione definita in questi  termini
 non  e'  preclusa  dalle precedenti sentenze n. 63 del 1963 e n.  6 del
 1965 di questa Corte e trova il suo fondamento nella circostanza che le
 norme  impugnate  non  consentono  un'adeguata  e   tempestiva   difesa
 dell'interessato:  quest'ultimo,  infatti,  non  riceve  alcuna notizia
 circa la sottoposizione del prodotto all'analisi, non puo'  intervenire
 ne'  di  persona ne' a mezzo di difensore o di consulente, puo' perfino
 trovarsi  in  condizione  di  ignorare  l'avvenuto   prelevamento   dei
 campioni.  A queste carenze non pone rimedio la facolta' di chiedere la
 revisione dell'analisi, che viene eseguita su  un  diverso  campione  e
 spesso  a  notevole  distanza  di  tempo,  mentre,  comunque, l'assenza
 dell'interessato nelle operazioni di prelevamento e  di  prima  analisi
 facilita  l'inosservanza  delle cautele disposte dal regolamento e puo'
 perfino pregiudicare il diritto alla revisione quando l'interessato non
 riceva comunicazione dell'esito della operazione. Ne',  ad  avviso  del
 pretore,  varrebbe opporre che il giudice conserva i suoi istituzionali
 poteri di valutazione dell'attendibilita' del  risultato  dell'analisi.
 La  lesione  del diritto di difesa si consuma per il solo fatto che non
 e' consentito  all'interessato  di  intervenire  e  di  difendersi  nel
 momento  di  formazione  di  una prova decisiva ed in tal modo si viola
 l'art. 24 della Costituzione perche' deve ritenersi che le  analisi  di
 polizia giudiziaria costituiscano atti del procedimento: questi ultimi,
 infatti,  possono  essere  individuati  come  tali  solo  in base ad un
 criterio teleologico, e non c'e' dubbio che  l'analisi  prevista  dalle
 norme  impugnate,  destinata  a  documentare  tecnicamente  la denuncia
 penale, appare preordinata al processo penale, nel quale, ad ogni modo,
 certamente si inserisce la sua revisione, perche'  questa  deve  essere
 richiesta  all'autorita'  giudiziaria  gia' investita dalla notizia del
 reato.
    La violazione dell'art. 3 della Costituzione viene denunciata  sotto
 un  duplice  profilo:  a) sarebbe ingiustificato il diverso trattamento
 fatto dalla legge in esame rispetto al trattamento assicurato,  in  via
 generale,  dagli  artt.  222 e seguenti del codice di procedura penale,
 nonostante che in entrambi i casi si sia in presenza di atti di polizia
 giudiziaria;  b)  posto  che  la  revisione   disposta   dall'autorita'
 giudiziaria  e'  atto  del procedimento, ingiustificato risulterebbe il
 diverso regime della revisione ordinata dal medico  o  dal  veterinario
 provinciale  e se anche a questa dovessero estendersi le guarantegie di
 difesa,  esse  non  potrebbero  essere  razionalmente  escluse  per  le
 operazioni di prelevamento e di prima analisi.
    2.  -  Le  stesse  disposizioni  - nonche' l'art. 42 - del R.D.L. 15
 ottobre 1925, n. 2033 - talvolta identificate attraverso  la  citazione
 della  legge  27  febbraio 1958, n. 190, che apporto' modifiche al loro
 testo originario - sono state denunciate, sempre nelle  parti  relative
 alle  modalita'  di  prelievo  e di analisi dei campioni, da altre nove
 ordinanze: da alcune (ord. n. 260 del 1968, pretore  di  Camposampiero;
 ord.  n.  86  del  1969, pretore di Castelfranco Veneto) in riferimento
 agli articoli 3 e 24 della Costituzione, da altre  (n.  272  del  1968,
 pretore  di  Chiari;  n.  280  del  1968 e n. 50 del 1969 pretore di S.
 Maria Capua Vetere; n. 151 del 1969, pretore di Volterra;  n.  284  del
 1968,  pretore  di  Benevento;  n.  145  del  1969,  pretore di Guardia
 Sanframondi; n. 185 del 1969, pretore di S. Elpidio) in riferimento  al
 solo art. 24.
    Nella  ordinanza n. 50 del 1969 del pretore di S. Maria Capua Vetere
 il dispositivo sottopone al giudizio di questa Corte, oltre  l'art.  41
 del  citato decreto del 1925, anche gli artt. 93 e 94 del R.D. 1 luglio
 1926, n. 1361 ("regolamento per l'esecuzione"  del  predetto  decreto),
 l'art.  1  della  legge  18  ottobre  1959,  n.  945  ("modificazioni e
 integrazioni" al decreto  stesso),  l'articolo  unico  della  legge  30
 dicembre 1959, n. 1234 ("vigilanza per la repressione delle frodi nella
 preparazione  e  nel commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti
 agrari"), richiamati dall'art. 13 della  legge  13  novembre  1960,  n.
 1407,  modificata  dalla  legge  5  luglio 1961, n.   578: tutte queste
 disposizioni vengono impugnate nei limiti in cui "esse consentono  alla
 polizia  giudiziaria lo svolgimento di vere attivita' istruttorie senza
 rispetto delle garanzie di difesa dell'indiziato".
    L'ordinanza n. 185 del 1969 del  pretore  di  Sant'Elpidio  estende,
 invece,  la  denunzia  all'art.  42  della legge 4 luglio 1967, n. 580,
 contenente la "disciplina per la lavorazione e commercio  dei  cereali,
 degli sfarinati, del pane e delle paste alimentari".
    I  motivi  di  incostituzionalita'  prospettati dalle nove ordinanze
 sono sostanzialmente analoghi a quelli  illustrati  nell'ordinanza  del
 pretore  di  Brescia.  Va tuttavia messo in evidenza che gran parte dei
 giudici richiamano i principi affermati da questa Corte nella  sentenza
 n.   86   del   1968,.  con  la  quale  venne  dichiarata  la  parziale
 illegittimita' degli artt. 225 e 232 Cod. proc. pen., e sostengono  che
 tali   principi   non   possono  non  condurre  alla  dichiarazione  di
 incostituzionalita' delle disposizioni ora impugnate, perche'  anche  a
 proposito  di  queste  vengono in considerazione atti di vera e propria
 istruttoria qualificabili sia sotto il profilo  soggettivo  (cfr.  art.
 62  D.P.  10  giugno  1955, n. 987) sia sotto il profilo oggettivo come
 atti di polizia giudiziaria  preordinati  al  processo  penale.  Alcune
 ordinanze  osservano  che secondo la giurisprudenza della Cassazione il
 giudice di  merito  puo'  sicuramente  attingere  le  ragioni  del  suo
 convincimento     dalle    analisi    eseguite    senza    l'intervento
 dell'interessato e  cio'  e'  legittimo  anche  quando  -  ad  es.  per
 distruzione del campione - una perizia giudiziaria sia impossibile:  su
 quest'ultimo punto qualche giudice (ord. n. 260 del 1968 del pretore di
 Camposampiero)  esprime  l'avviso  che  una perizia giudiziaria sarebbe
 addirittura preclusa dal disposto dell'art. 455  del  Cod.  proc.  pen.
 Altre  ordinanze, infine, deducono la illegittimita' delle disposizioni
 anche per quanto riguarda le operazioni  di  ispezione  nei  locali  di
 vendita e di prelievo di campioni: si tratterebbe di veri e propri atti
 assimilabili  alle  perquisizioni  ed  ai  sequestri, ciononostante non
 assistiti da adeguate garanzie per la difesa dell'imputato.
    3.  -  Nel  giudizio  promosso  dall'ordinanza  n.  163 del 1968 del
 pretore di Brescia e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato.  Nei
 relativi atti defensionali - deduzioni del 2 ottobre 1968 e memoria del
 13 ottobre 1969 - si sostiene, in via preliminare, che  in  materia  di
 vigilanza sulla produzione e vendita di sostanze alimentari occorre far
 riferimento  alla  legge  30  aprile  1962,  n.  283,  e  non gia' alle
 disposizioni del decreto del 1925 che attengono  alla  repressione  del
 lucro illecito derivante dalla preparazione e dal commercio di sostanze
 di  uso  agrario  non  conformi  alla  legge.  Nel merito l'Avvocatura,
 facendo richiamo alla giurisprudenza di questa Corte ed in  particolare
 alla  sentenza  n.  6 del 1965, sostiene l'infondatezza della questione
 sia in riferimento all'art. 24 che  in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione.  Sotto  il  primo  profilo,  premesso che il prelievo dei
 campioni e la prima analisi si riferiscono sicuramente ad  un'attivita'
 tipicamente  amministrativa e preventiva e che anche la revisione opera
 in un momento preliminare al processo penale,  la  difesa  dello  Stato
 osserva  che  le  disposizioni  in  esame  non  intaccano il potere del
 giudice di disporre di ufficio  o  su  richiesta  di  parte  una  nuova
 perizia  sui campioni prelevati, come si ricava dall'art. 2 della legge
 n. 190 del 1958. Per quanto riguarda la  violazione  del  principio  di
 eguaglianza  l'Avvocatura ne sostiene la insussistenza sulla base della
 considerazione che le norme impugnate si riferiscono ad  una  categoria
 di persone determinate genericamente ed oggettivamente senza toccare le
 condizioni  soggettive  di  cui  all'art.  3: ne', sotto altro aspetto,
 sarebbe lecito un qualsiasi paragone, istituito in nome  della  parita'
 di   trattamento,   fra   disposizioni   che  attengono  ad  una  fase,
 amministrativa e disposizioni che regolano invece il processo penale.
    Nel giudizio promosso dall'ordinanza n. 260 del 1968 del pretore  di
 Camposampiero  si e' costituito il signor Mario Martellozzo.  Nell'atto
 di deduzioni del 17 febbraio 1969 e nella  successiva  memoria  del  10
 ottobre vengono svolti ampiamente i termini della questione: si esclude
 che  questa  si identifichi con la questione decisa da questa Corte con
 la sentenza n. 63 del 1963, che ebbe riguardo solo al limite posto alla
 scelta del perito da parte del giudice ed al vincolo che  si  sosteneva
 derivasse   dall'accertamento   compiuto  dal  perito,  o  con  l'altra
 questione decisa con la  sentenza  n.  6  del  1965,  relativa  ad  una
 denuncia  concernente  l'obbligo del deposito di una cauzione; si mette
 in evidenza che l'art. 24 della Costituzione vuole estendere al massimo
 il diritto di difesa, che deve essere esercitabile per la decisione  di
 una  causa;  si ricorda la giurisprudenza della Cassazione, dalla quale
 si ricava che gli atti di polizia giudiziaria,  ed  in  particolare  le
 analisi,  fanno  parte  del processo; si richiama la sentenza n. 86 del
 1968 e si fa osservare che non varrebbe argomentare dalla  liberta'  di
 valutazione  del  giudice,  perche'  altro  e' l'interpretazione di una
 prova, altro e' la sua formazione, che costituisce il  vero  e  proprio
 oggetto  del  presente  giudizio.  La difesa del Martellozzo, dopo aver
 sintetizzato la questione in due fondamentali interrogativi (se, cioe',
 gli atti disciplinati dalle norme impugnate abbiano incidenza sul corso
 del processo e sulla decisione e se durante la  loro  formazione  siano
 tutelati i diritti della difesa), conclude chiedendone l'accoglimento.
    4. - Con ordinanza 5 novembre 1968, n. 249 - emessa nel procedimento
 penale  a  carico  di Carola Vincenzo ed altri - il pretore di Barra ha
 denunziato, in riferimento all'art. 24  della  Costituzione,  l'art.  1
 della legge 30 aprile 1962, n. 283 (nel testo modificato dalla legge 26
 febbraio  1963,  n.  441),  concernente  la  "disciplina igienica della
 produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle  bevande",
 nei  limiti in cui tale norma consente ad organi di polizia giudiziaria
 lo  svolgimento  di  attivita'  istruttorie  senza  il  rispetto  delle
 garanzie di difesa dell'indiziato.
    Basandosi  soprattutto  sui principi affermati da questa Corte nella
 sentenza n. 86 del  1968,  il  pretore  sostiene  che  il  procedimento
 relativo  alle  analisi,  posto  in  essere  da  ufficiali ed agenti di
 polizia giudiziaria (tali a norma dell'art. 3 della stessa legge),  non
 si  colloca  prima  ed  al  di fuori del processo, perche' si tratta di
 indagini preordinate ad una pronuncia penale.  Ne'  varrebbe  obiettare
 che   il  giudice  puo'  disporre  una  nuova  perizia  o  disattendere
 motivatamente i risultati delle analisi: cio'  e'  vero  anche  per  il
 giudice del dibattimento, e tuttavia la novella del 1955 e le pronunzie
 della  Corte,  in  osservanza  del  precetto della inviolabilita' della
 difesa, hanno a questo  adeguato  il  regime  giuridico  della  perizia
 espletata  nella  fase  istruttoria.  Se  si  aggiunge - cosi' prosegue
 l'ordinanza -  che  talvolta  una  perizia  giudiziaria  puo'  riuscire
 impossibile   per   deterioramento   o   esaurimento  dei  campioni  e,
 ciononostante,  il  giudice  puo'  basare  il  suo  convincimento   sui
 risultati  delle  analisi,  si perviene al risultato che vere e proprie
 perizie, spesso irripetibili, vengono preordinate ad un processo penale
 senza alcuna garanzia ne' di  contraddittorio  ne'  di  difesa  tecnico
 professionale.  Riguardo  alle  norme  concernenti la comunicazione del
 risultato delle analisi e la facolta'  di  chiederne  la  revisione  il
 pretore  osserva  che esse creano solo un'apparenza di contraddittorio:
 sia perche' non e' sempre possibile stabilire in anticipo  chi  sia  il
 vero  responsabile della produzione dell'alimento sia perche', comunque
 agli indiziati non e' consentita  alcuna  partecipazione  difensiva  in
 questa delicatissima e spesso irreversibile fase delle indagini.
    5. - L'Avvocatura dello Stato, costituitasi in difesa del Presidente
 del  Consiglio  (atto 24 dicembre 1968), sostiene che tra le situazioni
 esaminate nella  sentenza  n.  86  e  quelle  prese  in  considerazione
 dall'attuale  ordinanza di rinvio esistono profonde differenze, perche'
 mentre allora si discuteva di casi nei quali gia' traspariva lo  status
 di  indiziato  di  reato, qui si verte in una ipotesi di accertamenti i
 quali, sia  per  quanto  riguarda  le  prime  analisi  sia  per  quelle
 effettuate   in   sede   di   revisione,   tutt'al  piu'  possono,  non
 necessariamente debbono risolversi in una denuncia penale:  e  giacche'
 al  tempo  di  tali  accertamenti  non  vi  e'  status di imputato o di
 indiziato che consenta od imponga la nomina del difensore (art. 390 del
 Cod. proc. pen.), non e' dato vedere come si potrebbe ad essi estendere
 l'art. 304 bis del Codice di procedura  penale.  L'Avvocatura  prosegue
 mettendo  in  rilievo  che  l'eventualita'  della impossibilita' di una
 perizia giudiziaria a causa della irreperibilita' di campioni eguali  a
 quelli   analizzati   e'   irrilevante   non  tanto  in  considerazione
 dell'affidamento  che  danno  gli  istituti   altamente   specializzati
 indicati  dalla  legge, quanto per la possibilita' che l'interessato ha
 di procedere al prelievo ed alla conservazione di  altro  campione  sul
 quale  si possa, nel corso del processo, disporre un'indagine peritale.
 Sulla base di tali considerazioni la difesa dello Stato chiede  che  la
 questione sia dichiarata non fondata.
    6.  -  La  stessa  questione di legittimita' costituzionale e' stata
 proposta da altre sei ordinanze (n. 48 e n. 49,  pretore  di  S.  Maria
 Capua   Vetere;   n.   61,   pretore  di  Chiusa;  n.  84,  pretore  di
 Frattamaggiore; n. 98, pretore di Gonzaga; n. 127, pretore di Canosa di
 Puglia)  in  riferimento  all'art.  24  della  Costituzione  e  da  due
 ordinanze  (n. 90 del 1969 e n. 123 del 1969, pretore di Camposampiero)
 in riferimento anche all'art.  3  della  Costituzione.    Tutti  questi
 provvedimenti  impugnano  l'art.  1 della legge 30 aprile 1962, n. 283,
 nella parte relativa alle modalita' di analisi dei prodotti  alimentari
 e  nei  limiti in cui esso consente ad organi di polizia giudiziaria lo
 svolgimento di attivita' istruttoria senza il rispetto  delle  garanzie
 di   difesa   dell'indiziato,   adducendo  motivazioni  sostanzialmente
 analoghe a quelle svolte dall'ordinanza n. 249 del 1968 del pretore  di
 Barra.  Va  peraltro  rilevato:  a) che il pretore di Camposampiero, in
 aggiunta ad esse, denunzia corni ingiustificato il diverso  trattamento
 fatto  dalla  legge  speciale  rispetto  al  trattamento assicurato, in
 generale, dal Codice di procedura penale, dopo la sentenza  n.  86  del
 1968   di   questa   Corte;  b)  che  il  pretore  di  Gonzaga  ritiene
 manifestamente infondata  la  questione  nella  parte  che  attiene  ai
 prelievi  dei  campioni, giacche' l'eventuale introduzione dell'obbligo
 di preventivo avviso degli interessati vanificherebbe l'efficacia della
 relativa operazione.
    7. - Nell'udienza pubblica le parti costituite hanno  illustrato  le
 rispettive tesi e conclusioni.
                         Considerato in diritto:
    1.  -  Le  ordinanze  indicate  in  epigrafe  propongono identiche o
 analoghe questioni di legittimita' costituzionale e pertanto i relativi
 giudizi, congiuntamente discussi nell'udienza pubblica, vengono riuniti
 e decisi con unica sentenza.
    2. - Un primo gruppo di ordinanze denunzia  la  disciplina  che  gli
 artt.  41-46  del  R.D.  legge  15 ottobre 1925, n. 2033 (convertito in
 legge 18 marzo 1926, n. 562, e modificato dalla legge 27 febbraio 1958,
 n. 190), concernente la repressione delle frodi  nella  preparazione  e
 nel  commercio di sostanze di uso agrario e di prodotti agrari, dettano
 per il prelievo dei campioni, per la loro analisi e per la revisione di
 questa. Tali disposizioni vengono impugnate in riferimento all'art.  24
 della  Costituzione  -  e  da  alcune  ordinanze  anche  in riferimento
 all'art. 3 - in quanto precludono all'interessato  l'esercizio  di  una
 qualsiasi  difesa  in  relazione  alla formazione di atti che, posti in
 essere dalla polizia giudiziaria e preordinati ad un  processo  penale,
 possono in questo venir utilizzati per una pronuncia di colpevolezza.
    La  Corte  ha avuto modo di esaminare gli artt. 44 e 45 dello stesso
 decreto in due precedenti occasioni: nella prima (sent. n. 63 del 1963)
 al fine di accertare  se  la  revisione  delle  analisi,  demandata  ad
 istituti  tassativamente  indicati  dalla  legge,  vincoli  il  giudice
 all'accertamento compiuto dal perito,  con  conseguente  compromissione
 sia  del  diritto  di  difesa che della funzione giurisdizionale; nella
 seconda (sent.  n.  6  del  1965)  per  verificare  se  l'onere  di  un
 preventivo deposito imposto a chi chieda la revisione contrasti con gli
 artt. 3, 24 e 113 della Costituzione.
    Risulta  evidente  che  le  due  questioni,  nonostante  la parziale
 identita' delle disposizioni impugnate e delle norme costituzionali  di
 raffronto,  ebbero un contenuto diverso da quella ora in esame, sicche'
 le dichiarazioni di infondatezza allora pronunciate  non  costituiscono
 precedenti   ai  quali  utilmente  si  possa  far  riferimento  per  la
 definizione degli attuali giudizi.
    3.  -  Il  profilo  di  costituzionalita'  sul quale la Corte ora e'
 chiamata a pronunziarsi richiede, in primo luogo, che si accerti se  la
 complessa  attivita'  che  la  legge demanda alla pubblica autorita' in
 tema di prelievo dei campioni, di analisi e  di  revisione  di  analisi
 delle  sostanze di uso agrario e dei prodotti agrari possa rientrare in
 quel procedimento nel quale  il  secondo  comma  dell'art.    24  della
 Costituzione vuole sia garantita la difesa come diritto inviolabile.
    A tal proposito la Corte, richiamando in modo particolare i principi
 affermati  nella  sentenza n. 86 del 1968 o da essa desumibili, ritiene
 che se al termine "procedimento" si desse un  significato  restrittivo,
 con  conseguente esclusione di tutte le attivita' poste in essere al di
 fuori del normale intervento del giudice, il  principio  costituzionale
 di  cui  si  discorre  perderebbe gran parte della sua effettivita'. Ed
 invero in un sistema processuale,  quale  e'  quello  vigente,  in  cui
 l'assunzione  di  vere  e  proprie  prove  di  reita'  -  e, quindi, la
 formazione di atti che nel  giudizio  non  hanno  minore  efficacia  di
 quelli  tipicamente  istruttori - puo' avvenire in una fase anteriore o
 preliminare rispetto al  processo,  l'esclusione  della  partecipazione
 difensiva   dell'interessato  non  puo'  non  essere  considerata  come
 illegittima  preclusione  dell'esercizio   di   un   diritto   che   la
 Costituzione   definisce   "inviolabile".  Sembra  indubbio,  in  altri
 termini, che se la legge  ordinaria,  collocando  la  formazione  delle
 prove  a  carico  di  un  soggetto, ad opera di una pubblica autorita',
 fuori  del  vero  e  proprio   processo,   potesse   farne   discendere
 l'inapplicabilita' delle garanzie difensive, il principio vigorosamente
 affermato  dall'art.  24  della  Costituzione  correrebbe il rischio di
 essere sostanzialmente eluso.
    Queste ragioni gia' indussero la Corte, nella citata sentenza  dello
 scorso  anno,  a  ritenere che nel concetto di "procedimento" rientrino
 anche gli atti di polizia giudiziaria. Va  tuttavia  ricordato  che  in
 quella  occasione  fu  ben  chiarito  che  la dichiarazione di parziale
 illegittimita' dell'art.  225  del  Codice  di  procedura  penale  "non
 preclude  alla  polizia giudiziaria lo svolgimento di proprie indagini,
 ma pone limiti a  quelle  che  si  risolvono  in  veri  e  propri  atti
 istruttori".  Deve  ora esser ribadito che la linea di demarcazione fra
 indagini generiche ed atti istruttori si identifica necessariamente col
 momento in cui, in qualsiasi modo, un  soggetto  risulti  indiziato  di
 reita'.  Questa  demarcazione  e' da considerare essenziale per evitare
 che la nozione di procedimento si dilati al di la' di quei confini  che
 sono  da  ritenere  necessari  e  sufficienti  per garantire a tutti il
 diritto di difesa: il quale, come e' ovvio, non  puo'  essere  operante
 prima  che un indizio di reato ci sia e prima che esso si soggettivizzi
 nei confronti di una determinata persona. A partire da quel  momento  -
 gia'  rilevante  per  la  vigente  legge  processuale (art. 78, secondo
 comma, Cod. proc. pen.), che proprio ai fini della tutela dell'imputato
 da' di questo una definizione estesa a chi  "e'  indicato  come  reo  o
 risulta  indiziato  di  reita'"  - devono operare i meccanismi idonei a
 garantire almeno un minimo  di  contraddittorio,  di  assistenza  e  di
 difesa.
    4.  -  Applicando  gli  anzidetti principi all'attuale questione, si
 deve ritenere che  sono  infondate  le  censure  che  investono  quelle
 disposizioni  (artt.  41, 42, 43 e 46) che si riferiscono all'attivita'
 di prelievo dei campioni ed alla prima  analisi:  conclusione  negativa
 che discende dalla considerazione che finche' l'indagine tecnica non ha
 portato alla conclusione che "le sostanze analizzate non rispondono, in
 tutto  o  in parte, alle condizioni o ai requisiti prescritti" non c'e'
 ne' indizio di reato ne' indiziato di reita'.  Prelievo di campioni  ed
 analisi  rientrano  in una tipica attivita' amministrativa di controllo
 alla quale - anche al fine di una rigorosa e  necessaria  tutela  della
 salute  pubblica  e,  cioe',  di  un  diritto  dell'individuo  e  di un
 interesse  della  collettivita'  che  l'art.  32   della   Costituzione
 considera fondamentali - sono assoggettati tutti coloro che preparano e
 commerciano sostanze di uso agrario e prodotti agrari. I relativi atti,
 che  non  presuppongono  affatto  un  indizio  di  reato, sono, dunque,
 espressione di un potere formalmente e sostanzialmente amministrativo.
    La  dichiarazione  di  infondatezza  si  estende  anche  ad   alcune
 disposizioni legislative di integrazione o di modificazione del decreto
 n. 2033 del 1925 che si riferiscono ai prelievi dei campioni e che sono
 state  impugnate  dal pretore di S. Maria Capua Vetere (ord.  n. 50 del
 1969) congiuntamente ed in relazione all'art. 41 del predetto  decreto.
 Si  tratta dell'art. 1 della legge 18 ottobre 1959, n. 945, che abilita
 i funzionari e gli agenti delegati dalle  amministrazioni  a  procedere
 direttamente  al  sequestro  della  merce  ed al prelievo dei campioni;
 dell'articolo unico della legge 30 dicembre 1959, n. 1234, che consente
 ai funzionari ed agenti di accedere liberamente ed anche di  notte  nei
 locali di produzione e di commercio delle sostanze agrarie; e dell'art.
 13  della  legge  13  novembre  1960, n. 1407, contenente "norme per la
 classificazione e la vendita di oli di oliva", nella parte in cui rende
 applicabili alla materia sia l'art. 41 del  decreto  del  1925  sia  le
 altre disposizioni legislative innanzi indicate. Ai poteri di vigilanza
 e  di  prelievo dei campioni si riferiscono anche gli artt. 93 e 94 del
 R.D. 1 luglio 1926, n.  1361, ma la relativa questione, proposta  dalla
 stessa  ordinanza,  deve essere dichiarata inammissibile in quanto essa
 investe un regolamento di esecuzione e,  quindi,  un  atto  non  avente
 forza di legge.
    5.  -  Passando  all'esame  dell'art. 44 che disciplina la revisione
 dell'analisi, si  deve  osservare  che  se  durante  le  operazioni  di
 prelievo  e  di  prima  analisi manca il presupposto necessario perche'
 possa venire in  discussione  il  diritto  di  difesa,  diversa  e'  la
 situazione  a  partire  dal  momento in cui l'analisi stessa abbia dato
 esito sfavorevole.
    La legge dispone (art. 44, primo comma) in proposito che il capo del
 laboratorio  trasmetta   una   denuncia   alla   competente   autorita'
 giudiziaria e, nel contempo, dia comunicazione dell'esito dell'indagine
 all'interessato:  quest'ultimo potra' impugnarlo inoltrando alla stessa
 autorita' una richiesta di revisione (art. 44, terzo comma), che  sara'
 espletata da uno degli istituti indicati nell'art. 45.
    E'  evidente  che  nel momento stesso in cui risulta che le sostanze
 non rispondono alle condizioni ed ai requisiti  previsti  dalla  legge,
 colui  al quale viene addebitato il reato deve essere messo in grado di
 difendersi. E se e' vero  che  il  potere  di  chiedere  la  revisione,
 accordatogli  dalla  legge,  rappresenta di per se' un mezzo di difesa,
 non e' men vero che la fase di revisione -  nonostante  che  si  svolga
 quando  un  indizio  di  reita'  e'  gia'  sorto e, per di piu', quando
 l'autorita' giudiziaria e' gia' stata investita dalla denuncia - non e'
 assistita da quelle garanzie che gli artt. 304 bis, ter  e  quater  del
 Codice    di    procedura    penale    (col    necessario   presupposto
 dell'applicazione dell'art. 390  per  quanto  riguarda  la  nomina  del
 difensore) stabiliscono per gli atti peritali che vengono assunti nella
 fase istruttoria, formale o sommaria, del processo.
    Queste  carenze  inducono  a  ritenere  che  la  disciplina in esame
 incorra in una parziale illegittimita' costituzionale. Per  contrastare
 siffatta  conclusione  non  vale rilevare che l'istanza viene inoltrata
 all'autorita giudiziaria ne' che questa conserva i  normali  poteri  di
 libera  valutazione dei risultati della revisione e puo', se lo ritiene
 opportuno, disporre una nuova perizia. Per  quanto  riguarda  il  primo
 punto,  l'innovazione  introdotta  dall'art.  1 della legge 27 febbraio
 1958,  n.  190,  ha  ben  scarso  significato  sotto  il  profilo   qui
 considerato,  perche'  non  e'  dato  vedere  in che modo il diritto di
 difesa dell'interessato si arricchisca per il solo fatto che  l'istanza
 di  revisione  non  e'  direttamente rivolta agli istituti competenti a
 norma  di  legge,  ma  all'autorita'  giudiziaria.  Piu'   approfondita
 considerazione  merita  il  secondo argomento. Ad avviso della Corte e'
 certo che il giudice, non vincolato  nel  suo  giudizio  dai  risultati
 dell'analisi  o  della  sua revisione (cfr. sent. n. 63 del 1963), puo'
 motivatamente discostarsene  tenendo  anche  conto  degli  elementi  di
 valutazione  critica  offertigli dall'imputato e puo' anche nominare un
 perito per nuove indagini: in questi sensi, del resto, e' costantemente
 orientata la giurisprudenza  ordinaria.  Questi  complessi  poteri  del
 giudice,  tuttavia,  dimostrano  solo  che  la  disciplina in esame non
 intacca il principio costituzionale secondo il  quale  "il  giudice  e'
 soggetto  soltanto alla legge" (art. 102 Cost.). Ma tale principio, che
 pur costituisce cardine essenziale di un ordinamento  che  riconosca  e
 garantisca  il  diritto  di difesa (che, ovviamente, sarebbe gravemente
 pregiudicato ove a chi giudica non venisse garantita la  piu'  assoluta
 indipendenza), non e' di per se' sufficiente a soddisfare quel diritto:
 occorre  che  la  parte  sia  titolare di adeguati poteri processuali e
 possa esser presente la' dove si assumono quelle prove che  il  giudice
 poi  valutera'  e  prendera'  a  base  del  suo convincimento. Nel caso
 attuale non conta che il giudice possa disattendere i  risultati  della
 revisione.  Conta,  invece,  che,  fondandosi  su  di  essi, egli possa
 pervenire ad una pronunzia di colpevolezza, nonostante  che  l'imputato
 non  abbia  potuto  partecipare  alle  relative  operazioni  con quelle
 facolta' difensive che la stessa legge processuale considera essenziali
 nella fase istruttoria: facolta', giova aggiungere, che il  legislatore
 non  ha  ritenuto  affatto  superflue  per  il fatto che il giudice del
 dibattimento conserva di fronte alle perizie istruttorie i suoi  poteri
 di valutazione e di nuove indagini peritali (art. 314, ultimo comma).
    L'art.   44   deve  essere  pertanto  dichiarato  costituzionalmente
 illegittimo nella parte in cui per  la  revisione  delle  analisi  esso
 esclude  le garanzie di difesa previste dagli artt. 390, 304 bis, ter e
 quater del Codice di procedura penale.
    La questione avente ad oggetto l'art. 45 dello stesso  decreto  deve
 essere  invece  dichiarata non fondata, perche' quella disposizione non
 riguarda le modalita' del procedimento di revisione, ma  si  limita  ad
 indicare  gli  istituti  competenti ad effettuarla e ad imporre l'onere
 della cauzione.
    6.  -  Le  conclusioni  ora  raggiunte  in  ordine   alla   parziale
 illegittimita' costituzionale dell'art. 44 del R.D.L. n. 2033 del 1925,
 l'analoga  pronunzia  alla quale infra (n. 7) si perverra' per l'art. 1
 della  legge  30  aprile  1962,  n.  283,  e,   infine,   la   parziale
 illegittimita'  del  secondo  comma  dell'art.  222  e  del primo comma
 dell'art. 223 del Codice di procedura penale dichiarata con la sentenza
 n. 148 pronunziata in data  di  oggi  fanno  considerare  assorbito  il
 profilo  di  illegittimita'  per  violazione  dell'art.  3 proposto dal
 pretore di Brescia (ord. n. 163 del 1968), dal pretore di Camposampiero
 (ord n. 260 del 1968) e dal pretore di Castelfranco Veneto (ord. n.  86
 del   1969).   Ed   infatti,  a  seguito  delle  suddette  statuizioni,
 all'indiziato di  reato  -  si  tratta  delle  procedure  di  revisione
 previste  dalle due leggi speciali o delle operazioni tecniche affidate
 dal codice alla polizia giudiziaria -  spetteranno  tutte  le  garanzie
 predisposte per le perizie assunte nella fase istruttoria.
    7.  - Le ragioni esposte a proposito del R.D. legge 15 ottobre 1925,
 n.  2033,   conducono   ad   un'analoga   dichiarazione   di   parziale
 illegittimita'  costituzionale  dell'art. 1 della legge 30 aprile 1962,
 n. 283, concernente la disciplina igienica della produzione  e  vendita
 delle  sostanze  alimentari  e  delle  bevande, impugnato da un secondo
 gruppo di ordinanze. Anche qui le ispezioni, i prelievi dei campioni  e
 la  loro  prima  analisi si inquadrano nella vigilanza amministrativa a
 tutela della salute pubblica e, in quanto intervengono prima che ci sia
 un indiziato di reato, non possono essere considerati atti  processuali
 di  istruttoria:  la revisione delle analisi, invece, per i motivi gia'
 innanzi  illustrati,  deve  essere  assistita  dalle  normali  garanzie
 difensive.  Rispetto  al  decreto  del  1925  non costituisce rilevante
 differenza la circostanza che nella procedura prevista dalla  legge  in
 esame  -  salvo il caso di frode tossica o comunque dannosa alla salute
 (art. 1, ultimo comma, nel testo risultante dalle  modifiche  apportate
 dalla  legge  26  febbraio  1963,  n.  441) - la denuncia all'autorita'
 giudiziaria avviene solo in caso di inutile decorrenza del termine  per
 la  richiesta  di  revisione  e quando quest'ultima abbia confermato il
 risultato  della  prima  analisi.  Ed   infatti,   sulla   base   delle
 considerazioni  svolte  nel  n.  3 e secondo i principi affermati nella
 sentenza n. 86 del 1968, l'esercizio del diritto  di  difesa  non  puo'
 dipendere   dal  fatto  che  l'autorita'  giudiziaria  sia  stata  gia'
 investita dalla denuncia o dal rapporto.   Del resto  val  la  pena  di
 rilevare  che il confronto tra la disciplina dettata dal R.D.L. n. 2033
 del 1925 e quella contenuta nella legge  n.    283  del  1962  conferma
 l'esattezza di tale impostazione: sarebbe infatti del tutto illogico ed
 irrazionale  applicare  le  garanzie  di  difesa  quando  l'istanza  di
 revisione segue alla denuncia e viene rivolta all'autorita' giudiziaria
 e negarle quando, pur  spiegando  lo  stesso  grado  di  efficacia  nel
 successivo  processo,  l'esito  della revisione condiziona l'obbligo di
 denuncia.
    8. - Le stesse considerazioni fin qui svolte valgono a giustificare,
 in identici termini e sempre limitatamente alla revisione  della  prima
 analisi,  la  dichiarazione  di  parziale illegittimita' costituzionale
 dell'art. 42  della  legge  4  luglio  1967,  n.  580  (concernente  la
 disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati,
 del   pane  e  delle  paste  alimentari),  denunziato  dal  pretore  di
 Sant'Elpidio a Mare (ord. n. 185 del 1969).   Anche a  proposito  della
 disciplina  contenuta in questa legge non puo' influire sulla decisione
 qualche particolarita' ad essa peculiare.    Tanto  e'  a  dirsi  della
 facolta'  che  -  nei casi di denuncie immediate di delitti contemplati
 dagli artt. 438-452 del Codice penale - l'ottavo  comma  dell'impugnato
 art.  42 attribuisce all'autorita' giudiziaria, alla quale si lascia la
 scelta di disporre la revisione nei modi previsti  dalla  legge  stessa
 ovvero  la  perizia  ai  sensi degli artt. 314, 391 e 398 del Codice di
 procedura penale. Ed invero se la predetta autorita' puo' optare per la
 revisione da eseguire a cura dell'Istituto superiore di sanita', non si
 possono  negare  all'interessato  quelle  garanzie  delle  quali   egli
 indubbiamente  godrebbe  ove si procedesse alle normali perizie. Ancora
 una volta si puo' constatare quanto sarebbe arbitrario far dipendere da
 una diversita' di meccanismi procedurali la presenza o l'assenza  della
 difesa nella formazione di atti istruttori di identica efficacia.