SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  2122,  terzo
 comma,  del codice civile, promosso con ordinanza emessa il 14 novembre
 1969 dal tribunale di  Milano  nel  procedimento  civile  vertente  tra
 l'Amministrazione  delle  finanze  dello Stato e l'Ospedale Maggiore di
 Milano, iscritta al n. 123 del registro  ordinanze  1970  e  pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 113 del 6 maggio 1970.
     Udito  nella  camera  di  consiglio del 25 novembre 1971 il Giudice
 relatore Vincenzo Michele Trimarchi.
                           Ritenuto in fatto:
     Nel  procedimento  civile  vertente  tra  l'Amministrazione   delle
 finanze   dello  Stato  e  l'Ospedale  Maggiore  di  Milano  in  ordine
 all'appartenenza  delle  somme   corrisposte   dalla   Philips   S.p.a.
 all'Ospedale   quale   erede  testamentario  di  Roberto  Salici,  gia'
 dipendente della societa' stessa e  deceduto  durante  il  rapporto  di
 lavoro,  il  tribunale  di  Milano, con ordinanza del 14 novembre 1969,
 premesso che le dette somme costituivano l'importo  dell'indennita'  di
 anzianita'  e  di  mancato  preavviso  dovute  in  caso  di  morte  del
 lavoratore,  sollevava   d'ufficio   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  2122,  comma  terzo,  del  codice  civile in
 riferimento agli artt. 3 e 42 della Costituzione.
     Ad  avviso  del  tribunale  le  dette indennita' apparterrebbero al
 patrimonio del lavoratore alla stregua del salario, atteso il carattere
 retributivo che alle stesse sarebbe ormai universalmente riconosciuto.
     E siccome relativamente ad esse, in mancanza delle persone  di  cui
 al  primo  comma  dell'art.  2122,  e'  disposta, col terzo comma dello
 stesso articolo, la successione legittima con la esclusione  di  quella
 testamentaria,  quest'ultimo  divieto darebbe vita ad una disparita' di
 trattamento in danno dei prestatori di lavoro e nei confronti di  tutti
 gli  altri  cittadini, con violazione del principio di eguaglianza. Del
 resto  la  disparita'  di  trattamento  non  sarebbe  sostenuta   dalla
 esistenza e prevalenza di altri interessi.
     Sempre  secondo il tribunale, l'attribuzione delle somme allo Stato
 si risolverebbe in una espropriazione senza indennizzo non giustificata
 da alcun interesse generale: la  qualita'  di  erede  necessario  dello
 Stato  non  avrebbe  ragione  se  non  formale di essere invocata nella
 specie. Conseguentemente la norma sarebbe in contrasto  con  l'art.  42
 della Costituzione.
     L'ordinanza   e'   stata   ritualmente   comunicata,  notificata  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
     Davanti a questa Corte non si e' costituita alcuna delle parti  ne'
 ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del Consiglio dei ministri. E
 pertanto la causa viene decisa, ai sensi dell'art. 26,  secondo  comma,
 della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  con  la procedura di camera di
 consiglio.
                         Considerato in diritto:
     1. - Con l'ordinanza di cui in epigrafe,  il  tribunale  di  Milano
 sostiene  che  l'art. 2122, comma terzo, del codice civile, nella parte
 in cui  esclude  che  il  lavoratore  subordinato  possa  disporre  per
 testamento  delle  indennita'  ivi  indicate,  sia  in contrasto con il
 principio di eguaglianza perche'  pone  in  essere  una  ingiustificata
 disparita'  di  trattamento  in  danno dei lavoratori subordinati e nei
 confronti di tutti gli altri cittadini; e che lo stesso  articolo,  la'
 ove  prevede  che, in mancanza di eredi legittimi entro il sesto grado,
 le dette indennita' vadano attribuite allo  Stato,  violi  l'art.    42
 della  Costituzione,  perche'  da'  luogo  ad  una espropriazione senza
 indennizzo e nella carenza di motivi di interesse generale.
     2. - Con il  terzo  comma  dell'art.  2122  del  codice  civile  il
 legislatore  presuppone  che  il diritto alle indennita' indicate dagli
 artt. 2118 e 2120 dello stesso codice e dovute in  caso  di  morte  del
 lavoratore, faccia parte del di lui patrimonio.
     Tali  indennita',  infatti, "sono attribuite secondo le norme della
 successione legittima", e cioe' il diritto  ad  esse  relativo  spetta,
 jure successionis, agli eredi legittimi del lavoratore.
     Intesa  in  questi  termini l'anzidetta norma, la questione risulta
 fondata.
     Con  la  disposizione  sopra  richiamata  e'   ammessa,   ai   fini
 dell'attribuzione  mortis  causa,  la  sola delazione legittima: quella
 testamentaria  e'  implicitamente  esclusa,  e  correlativamente  nella
 specie,  siccome anche ritiene il giudice a quo, non trova applicazione
 l'art. 457 del codice  civile,  secondo  cui  "non  si  fa  luogo  alla
 successione  legittima se non quando manca, in tutto o in parte, quella
 testamentaria".
     Ora  nell'esclusione  della  delazione  testamentaria,  risiede  la
 particolarita'  della  disciplina de qua nei confronti della regola per
 cui, nel rispetto delle norme sulla successione dei  legittimari,  ogni
 cittadino  puo' disporre, "per il tempo in cui avra' cessato di vivere,
 di  tutte  le  proprie  sostanze  o  di parte di esse" (art. 587, comma
 primo, del codice civile).
     In relazione al diritto alle ripetute indennita'  e  nei  confronti
 del   lavoratore   subordinato,  e'  percio'  previsto  un  trattamento
 differenziato in danno di una categoria di cittadini.
     E codesta disparita', d'altro  canto,  non  trova  una  adeguata  e
 razionale  giustificazione.  E' evidente, anzi, che con il disposto del
 terzo comma dell'art. 2122 non e' stata convenientemente considerata la
 funzione previdenziale (che  invece  e'  stata  tenuta  presente  nella
 disciplina  di  cui ai primi due commi dello stesso articolo) e che non
 puo' non essere collegata alle indennita' in  oggetto,  atteso  che  di
 esse, in sostanza, la parte piu' cospicua e' quella corrispondente alla
 indennita'  di  anzianita'.  Con  l'esclusione,  in  particolare, della
 possibilita' per il lavoratore di destinare le dette indennita' a  dati
 soggetti, diversi da quelli previsti dalla legge, si nega, tra l'altro,
 nell'ipotesi  in  esame, che persone facenti parte del nucleo familiare
 latamente inteso del  lavoratore  possano,  con  la  riscossione  delle
 indennita',  affrontare le difficolta' immediatamente connesse al venir
 meno, per morte, di chi comunque provvedeva al loro sostentamento.
     Ricorre pertanto  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2122
 comma  terzo  nella  parte in cui esclude che il lavoratore subordinato
 possa per testamento disporre in ordine alle indennita' dovute in  caso
 di morte.
     E  ne  consegue  che  al  lavoratore  e' consentito di destinare le
 ripetute indennita' in favore di qualsiasi soggetto e  sempre  che  non
 gli sopravvivano le persone di cui al primo comma dell'art. 2122.
     3.  -  Dichiarata  la  fondatezza  della  questione  in riferimento
 all'art. 3 della Costituzione, non e' necessario accertare se  sussista
 o  meno  l'asserito  contrasto  con l'art. 42 della stessa Carta, della
 norma che prevede l'attribuzione delle ripetute indennita' allo Stato.
     Infatti, la seconda questione e' stata in sostanza  prospettata  in
 via  subordinata,  per  il  caso  in  cui  la Corte non avesse ritenuta
 sussistente la denunciata violazione dell'art. 3.
     Ad ogni modo, dato che, invece, ricorre  codesta  illegittimita'  e
 puo'  di conseguenza il lavoratore subordinato disporre per testamento,
 nei  modi  e  limiti   sopra   precisati,   delle   dette   indennita',
 l'attribuzione  delle  stesse  allo  Stato  non darebbe luogo ad alcuna
 ablazione espropriativa, e sarebbe affatto conforme alla norma  di  cui
 all'art.   586   del   codice   civile,   che  prevede  la  devoluzione
 dell'eredita' allo Stato in mancanza di altri successibili.