SENTENZA
     nei  giudizi  riuniti di legittimita' costituzionale dell'art. 570,
 primo comma, del codice penale, promossi con le seguenti ordinanze:
     1) ordinanza emessa il 23 febbraio 1970 dal pretore di  Forli'  nel
 procedimento  penale  a  carico di Serra Duilio, iscritta al n. 278 del
 registro ordinanze 1970 e pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 267 del 21 ottobre 1970;
     2)  ordinanza  emessa il 10 luglio 1970 dal pretore di Rogliano nel
 procedimento penale a carico di Perri Concetta, iscritta al n. 319  del
 registro  ordinanze  1970  e  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 299 del 25 novembre 1970;
     3) ordinanza emessa il 31 ottobre  1970  dal  pretore  di  Borgo  a
 Mozzano  nel procedimento penale a carico di Maggenti Santino, iscritta
 al n. 66 del  registro  ordinanze  1971  e  puhblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 99 del 21 aprile 1971.
     Udito  nella  camera  di  consiglio  del 13 gennaio 1972 il Giudice
 relatore Costantino Mortati.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Nel corso del procedimento penale avanti il pretore di  Forli'
 contro  Serra Duilio, la difesa dell'imputato ha sollevato questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 570, codice penale,  nella  parte
 in  cui stabilisce la perseguibilita' d'ufficio del reato di violazione
 degli  obblighi  di  assistenza  familiare,  in riferimento all'art. 29
 della Costituzione, ed il pretore  l'ha  rimessa  a  questa  Corte  con
 l'ordinanza  in  data  23 febbraio 1970, nella quale richiama l'istanza
 della parte privata senza svolgere una vera  e  propria  motivazione  e
 senza  spiegare  perche'  sia stata disattesa l'eccezione d'irrilevanza
 sollevata dalla parte civile, la quale aveva segnalato che nella specie
 la querela era stata comunque proposta.
     L'ordinanza  e'  stata   regolamente   notificata,   comunicata   e
 pubblicata, ma nessuno si e' costituito nel processo costituzionale.
     2.  -  Nel  corso  del  procedimento  penale contro Perri Concetta,
 pendente avanti al pretore di  Rogliano,  il  giudicante  ha  sollevato
 d'ufficio,  con  l'ordinanza  in  data  10  luglio  1970,  questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 570, primo comma, codice  penale,
 nella  parte  in  cui punisce il coniuge che, abbandonando il domicilio
 domestico, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti a  tale  sua
 qualita',  in  riferimento agli artt. 13, primo comma, 16, primo comma,
 25, secondo comma, e 29, secondo comma, della Costituzione.
     Nell'ordinanza si fa presente che  l'impugnazione  viene  proposta,
 sia  al  fine  di  ottenere il riesame delle questioni decise nel senso
 dell'infondatezza con la sentenza di questa Corte n. 107 del 1964,  sia
 per  proporre  per  la  prima volta la censura relativa alla violazione
 dell'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
     Sotto il primo  profilo  l'ordinanza  muove  dall'osservazione  che
 l'interpretazione  dell'art.  570  accolta  dalla Corte costituzionale,
 secondo la quale l'abbandono del domicilio domestico  non  integrerebbe
 da solo la fattispecie penale, non e' accettabile poiche', se e' vero -
 come  la  giurisprudenza  penale  afferma  -  che l'"assistenza" di cui
 tratta il primo comma dell'art. 570  del  codice  penale,  e'  soltanto
 quella morale, comprensiva degli obblighi di convivenza, di protezione,
 di  rispetto,  ecc., l'abbandono del tetto coniugale viene per forza di
 cose a realizzare la violazione della norma penale, poiche'  il  dovere
 di  coabitazione  comprende  e riassume in se', assorbendoli, tutti gli
 obblighi suddetti. Contro l'interpretazione accolta nella  sentenza  n.
 107  del  1964  il  pretore  adduce  altresi'  argomenti  desunti dalla
 relazione ministeriale e dalla sentenza n. 46 del 1970 di questa  Corte
 che  si  e'  occupata sotto altro aspetto dello stesso art. 570, codice
 penale.
     Sulla base dell'interpretazione della  norma  impugnata,  rifiutata
 dalla  sentenza n. 107 del 1964, il pretore ripropone quindi le censure
 di violazione della liberta' personale e di circolazione  del  coniuge,
 conseguenti  all'obbligo  che su di lui incombe di non allontanarsi dal
 domicilio coniugale anche quando la comunita' che ha tratto origine dal
 matrimonio e' ormai in crisi.
     A confutazione della contraria tesi, riconducibile all'esigenza  di
 difesa  dell'unita'  familiare  recepita  dall'art.  29, secondo comma,
 della Costituzione, egli  si  richiama  quindi  alla  evoluzione  della
 realta'  sociale  che  ha  imposto quella trasformazione del diritto di
 famiglia di cui alcune sentenze di questa Corte, richiamate e  valutate
 nell'ordinanza, costituiscono tappe salienti.
     Sotto  il  secondo  profilo,  l'ordinanza  denuncia poi l'art. 570,
 primo comma, codice penale, in riferimento all'art. 25, secondo  comma,
 Cost.,  in  considerazione  del  fatto  che  il concetto di "assistenza
 morale", inteso nel senso sopra indicato, per la sua indeterminatezza e
 genericita',  lascia  largo margine di discrezionalita' agli operatori,
 laddove  il  precetto  penale  deve  corrispondere  alle  esigenze   di
 concretezza e di specificita' cui si ispira il principio costituzionale
 di cui denuncia la violazione.
     L'ordinanza   e'   stata   regolarmente  notificata,  comunicata  e
 pubblicata, ma nessuno si e' costituito dinanzi a questa Corte.
     3. - Altre censure sono state mosse, nei confronti  dell'art.  570,
 codice  penale,  dal pretore di Borgo a Mozzano con l'ordinanza in data
 31 ottobre 1970, emessa d'ufficio nel  corso  del  procedimento  penale
 contro Maggenti Santino.
     In  primo luogo, questo giudice propone la stessa censura esaminata
 per  ultima  dal  pretore  di  Rogliano,  riferendosi  pero',  anziche'
 all'art. 25, secondo comma, all'art. 3 della Costituzione.
     La  disposizione  di  cui  all'art.  570,  codice  penale, sanziona
 l'illiceita' penale dell'abbandono  del  domicilio  domestico  e  della
 condotta  contraria  all'ordine o alla morale delle famiglie, in quanto
 da essa derivi la violazione degli obblighi di assistenza inerenti alla
 patria potesta' o alla qualita' di coniuge.
     Di conseguenza, viene rimessa all'esclusiva e personale valutazione
 dell'interprete l'incidenza del dovere di  assistenza  che  in  ciascun
 caso possa dirsi violato e l'idoneita' delle modalita' di comportamento
 concretamente osservato ai fini della violazione medesima.
     In tal modo, pero', secondo il pretore, il legislatore non fornisce
 all'interprete  una  norma  il  cui parametro, ai fini ermeneutici, sia
 costituito da dati obbiettivi ed escluda la possibilita' di intervento,
 anche inconscio, di fattori soggettivi o emozionali, per cui la formula
 risulta talmente vaga da determinare una violazione  del  principio  di
 eguaglianza.
     In  secondo  luogo il pretore solleva la stessa questione di cui si
 e'  occupata  l'ordinanza  del  pretore  di  Forli'  sopra   ricordata,
 corredandola  peraltro  di  una motivazione che tiene conto anche della
 sentenza di questa Corte n. 46 del 1970 con  la  quale  essa  e'  stata
 dichiarata infondata.
     Nel  chiederne  il  riesame  egli  segnala  in  particolare come il
 riconoscimento costituzionale delle societa' intermedie,  ed  in  primo
 luogo  della  famiglia,  faccia  si'  che  l'ingerenza  statale in tali
 organismi debba essere obbiettivamente giustificata dalla esistenza  di
 un  interesse  generale  e  pubblico  da salvaguardare (come ad esempio
 quello rappresentato dall'unita' familiare).
     Ora  la  previsione  dell'intervento   statale   realizzato   dalla
 procedibilita'   d'ufficio  viene  a  ledere  il  diritto  dei  coniugi
 all'autodeterminazione  dei  loro  rapporti  ed  all'autoorganizzazione
 della  famiglia  anche  dopo  la commissione da parte di uno di essi di
 alcuno dei fatti previsti dalla norma in  esame,  senza  che  cio'  sia
 giustificato dall'esigenza di perseguire il fine dell'unita' familiare,
 che  in  questo  caso  deve  ritenersi  istituzionalmente  rimesso alla
 valutazione dei coniugi.
     Anche questa ordinanza e' stata regolarmente notificata, comunicata
 e pubblicata, ma nessuno si e' costituito nel processo costituzionale.
                         Considerato in diritto:
     1. - I tre giudizi sollevano la stessa  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  570,  primo  comma,  del  codice penale, che
 sancisce la perseguibilita' di ufficio del delitto di violazione  degli
 obblighi  di  assistenza  familiare,  sicche'  se ne rende opportuna la
 riunione  e la decisione con unica sentenza, che viene emessa in camera
 di consiglio, non essendosi nessuna delle parti costituita in giudizio.
     2. - La questione proposta con l'ordinanza del  pretore  di  Forli'
 deve  essere  dichiarata inammissibile poiche' risulta che nel giudizio
 in cui e' stata emessa era stata proposta querela da parte del  coniuge
 che lamentava il mancato adempimento degli obblighi di assistenza posti
 a  carico  dell'altro  coniuge,  sicche'  la  eccezione  fondata  sulla
 incostituzionalita' del promuovimento di ufficio dell'azione penale  ai
 sensi  dell'art.  570  del  codice  penale  non  poteva assumere alcuna
 rilevanza, dato che l'eventuale suo accoglimento non  avrebbe  influito
 sull'esito del processo.
     3.  -  Le  nuove  deduzioni che l'ordinanza del pretore di Rogliano
 pone a fondamento della richiesta di riesame della sentenza  di  questa
 Corte n. 107 del 1964, che aveva ritenuto l'infondatezza della eccepita
 violazione  degli artt. 13, primo comma, 16, primo comma, e 29, secondo
 comma, della Costituzione, piuttosto che contrastare con  la  soluzione
 allora data alla questione, in certo modo ne confermano l'esattezza. Si
 era  allora ritenuto che all'insorgenza del reato ex art. 570 c.p.  non
 e' sufficiente il solo fatto del sottrarsi  di  un  coniuge  al  dovere
 della  coabitazione con l'altro, occorrendo invece che l'abbandono, pel
 suo carattere ingiustificato e definitivo, riveli la  volonta'  di  non
 piu'  adempiere  gli obblighi dell'assistenza; da intendere pertanto in
 un senso specifico, non identificantesi necessariamente con l'omissione
 di qualcuno dei vari comportamenti imposti dagli artt. 143  e  seguenti
 del  codice civile. Dal che si deduceva che deve rimanere affidato alla
 discrezionalita' del legislatore sottoporre a  diverso  trattamento  la
 violazione  dell'uno  o  dell'altro  degli  obblighi  stessi.  Non puo'
 pertanto essere ritenuto paradossale,  come  l'ordinanza  afferma,  che
 alle   relazioni   adulterine   (le  quali  pure  possono  considerarsi
 contrastanti con il dovere di assistenza, se inteso in senso ampio)  si
 facciano corrispondere solo sanzioni civili, per effetto delle sentenze
 di questa Corte n. 126 del 1968 e n. 147 del 1969, le quali hanno fatto
 cadere  gli  articoli 559 e 560 del codice penale; e cio' fino a quando
 la  legge  non  dovesse  disporre   diversamente.   L'autonomia   della
 fattispecie   delittuosa  contemplata  dall'art.  570  risulta  appunto
 confermata   dalla   considerazione   dell'ovvia   applicabilita'    di
 quest'ultimo,  ove  alla infedelta' si accompagnasse il non adempimento
 dell'assistenza.
     Consegue da quanto si e' detto che non puo'  ritenersi  sussistente
 ne'  la  violazione  degli  artt.  13 e 16 Cost. denunciati, dato che i
 limiti alla liberta' personale e di circolazione  derivano  in  questo,
 come  in  ogni  altro  caso  di assoggettamento a ordinamenti speciali,
 dalla necessita' di adempimento  dei  doveri  ad  esso  assoggettamento
 inerenti;  e  neppure  l'altra  dell'art.  29  per l'evidente contrasto
 dell'abbandono con l'esigenza  dell'unita'  della  famiglia.  Ne'  vale
 asserire  in  contrario  che  l'abbandono attesta l'avvenuta rottura di
 tale unita' spirituale, di fronte alla quale non ha senso l'imposizione
 dell'obbligo della  coabitazione,  poiche'  proprio  in  considerazione
 dell'insorgenza  di  siffatte  situazioni  sono dettate le disposizioni
 degli artt. 150 e  seguenti  relative  all'istituto  della  separazione
 personale.
     Quanto   poi   al   nuovo  motivo  fatto  discendere  dall'allegata
 violazione  dell'art.  25  Cost.,  sotto   la   specie   dell'eccessiva
 discrezionalita'  che  sarebbe  rilasciata al giudice per effetto della
 vaghezza e genericita' del  concetto  di  "assistenza  morale"  di  cui
 all'art.  570,  e'  da  osservare,  anzitutto, che la fattispecie quivi
 considerata non e' raffigurata con la formula  riferita  nell'ordinanza
 ma  con altra ben piu' specifica ed articolata, e che, in ogni caso, la
 costante giurisprudenza della Corte,  riaffermata  per  ultimo  con  la
 sentenza  n. 191 del 1970, ha ritenuto che non contraddice al principio
 di legalita' della pena il fatto che il legislatore, anziche' procedere
 ad una rigorosa e tassativa descrizione di un fatto-reato, ricorra  per
 la  sua individuazione a concetti extragiuridici diffusi e generalmente
 compresi nella collettivita' in cui il giudice opera.
     4.  -  Le  considerazioni  esposte  per  ultimo  valgono  anche  ad
 escludere  la  fondatezza dell'analoga censura contenuta nell'ordinanza
 del pretore di Borgo a Mozzano, sotto la diversa  prospettazione  della
 violazione  dell'art.  3  Cost.  per l'ineguaglianza di trattamento che
 discenderebbe dall'assoluta indeterminatezza dell'oggetto  della  norma
 dell'art.  570.
     Anche  riguardo all'altra censura di violazione degli artt. 2 e 29,
 interpretati  nel  senso  che  sarebbe   da   rilasciare   ai   coniugi
 l'autodeterminazione dei propri rapporti e l'autoorganizzazione da essi
 ritenuta  meglio  idonea  ad  assicurare  l'unita' della famiglia, e di
 conseguenza escludersi la procedibilita' di ufficio  sancita  dall'art.
 570,  deve  farsi  riferimento  a  quanto  dedotto  in precedenza sulla
 discrezionalita' del legislatore nello stabilire i modi e le forme  del
 perseguimento  delle  violazioni  degli obblighi di assistenza verso la
 famiglia, rimanendo al giudice costituzionale solo  l'accertamento  che
 gli uni e le altre non contrastino con l'esigenza della ragionevolezza.
 Che  questa  sia  nella specie rispettata, in quanto la sanzione penale
 prevista  dalla  norma  in  esame  trova  sufficiente   giustificazione
 nell'interesse  pubblico  all'osservanza  dei comportamenti necessari a
 mantenere integra la compagine familiare, e' stato ampiamente messo  in
 rilievo  nella  sentenza n. 46 del 1970, dalla quale pertanto non vi e'
 motivo di discostarsi.