SENTENZA
     nel  giudizio di legittimita' costituzionale della legge 18 ottobre
 1950, n. 920,  concernente  la  proroga  dei  termini  assegnati  dalle
 disposizioni di attuazione del codice civile nei riguardi di societa' e
 di  consorzi,  promosso  con  ordinanza  emessa  il 29 ottobre 1970 dal
 tribunale  di  Milano  nel  procedimento  civile  vertente  tra  Rebora
 Gianguglielmo  e la societa' Montecatini-Edison, iscritta al n. 395 del
 registro ordinanze 1970 e pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 42 del 17 febbraio 1971.
     Visti  gli  atti  di  costituzione  di Rebora Gianguglielmo e della
 societa' Montecatini-Edison e l'atto d'intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
     udito  nell'udienza pubblica del 24 maggio 1972 il Giudice relatore
 Ercole Rocchetti;
     uditi  l'avv.  Edoardo  Clerici,  per  il  Rebora,  l'avv.  Rosario
 Nicolo',  per  la societa' Montecatini-Edison, ed il sostituto avvocato
 generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del  Consiglio
 dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  - Con ordinanza 29 ottobre 1970, emessa nel procedimento civile
 vertente   tra   Rebora    Gianguglielmo    e    la    societa'    p.a.
 Montecatini-Edison,  il tribunale di Milano ha ritenuto rilevante e non
 manifestamente   infondata,   in   relazione   all'articolo   3   della
 Costituzione,  la  questione di legittimita' costituzionale della legge
 18 ottobre 1950, n. 920, avente  ad  oggetto  la  proroga  dei  termini
 assegnati  dalle  disposizioni  di  attuazione  del  codice  civile nei
 riguardi di societa' e di consorzi.
     Nella ordinanza di  rinvio  si  osserva  che  la  legge  impugnata,
 prorogando  i  termini  relativi  agli adempimenti previsti dagli artt.
 204, secondo comma, 206, 209, secondo comma, 213, 215,  secondo  comma,
 216, 217, secondo comma, 221 e 223 delle disposizioni di attuazione del
 codice  civile vigente "fino alla attuazione della revisione del codice
 civile", pone in essere una disciplina che non e' circoscritta, secondo
 le caratteristiche delle norme transitorie,  ad  un  periodo  di  tempo
 limitato  e  predeterminato,  ma  si  affianca,  in  via definitiva, al
 sistema previsto dagli artt. 2368 e 2369 del codice civile.
     La contemporanea esistenza, per un periodo di tempo  indeterminato,
 di   due   diverse  discipline  legislative  applicabili  a  situazioni
 sostanzialmente eguali e' in contrasto, secondo il tribunale di Milano,
 con il principio della parita'  di  trattamento,  sancito  dall'art.  3
 della Costituzione.
     L'ordinanza   e'   stata   ritualmente   notificata,  comunicata  e
 pubblicata.
     2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte si sono costituite entrambe le
 parti. Il  Rebora,  con  deduzioni  depositate  in  cancelleria  il  14
 dicembre  1970,  condivide  le  censure  prospettate nella ordinanza di
 rinvio, sostenendo che la  legge  impugnata  pone  in  essere,  per  le
 societa' costituite anteriormente al 1942, un sistema di privilegio che
 consente  di  adottare,  in  deroga alle disposizioni del codice civile
 relative ai quorum  assembleari,  deliberazioni  anche  gravissime  con
 maggioranza  irrisoria, e quindi senza alcuna garanzia di serieta' e di
 ponderatezza.
     La societa' Montecatini-Edison, invece, con atto del 3 marzo  1971,
 deduce  la infondatezza della questione di legittimita' costituzionale,
 osservando che il tribunale di Milano avrebbe dovuto, nel denunciare la
 violazione  del  principio  di  eguaglianza,   escludere   l'obbiettiva
 diversita'  delle situazioni diversamente disciplinate, oppure assumere
 che  la  differenza  di  disciplina   sarebbe   informata   a   criteri
 assolutamente irrazionali.
     Secondo la societa', nessuna di tali affermazioni sarebbe possibile
 nel  caso  di  specie  perche'  il  legislatore, nell'esercizio del suo
 potere discrezionale, avrebbe tenuto conto proprio della diversita'  di
 situazioni  obbiettive  con riferimento alla data di costituzione delle
 societa', e le avrebbe regolate in base a un criterio che  si  presenta
 razionale,  in  quanto  collegato  ad  un contesto sociale nuovo e piu'
 complesso di quello operante, per le societa' per  azioni,  al  momento
 della entrata in vigore del codice.
     3.  -  E' intervenuto in giudizio anche il Presidente del Consiglio
 dei ministri a mezzo dell'Avvocatura generale dello  Stato,  la  quale,
 con  deduzioni  del  3  marzo  1971,  ha  chiesto che la Corte dichiari
 infondata la  questione  di  legittimita'  proposta  dal  tribunale  di
 Milano.    Dopo  aver  premesso  che l'efficacia limitata nel tempo non
 costituisce carattere essenziale e necessario della norma  transitoria,
 l'Avvocatura  osserva  che  la  legittimita' costituzionale della norma
 impugnata va  verificata  non  gia'  sulla  base  della  sua  efficacia
 temporanea o definitiva, bensi' esaminando in concreto se la disciplina
 dettata  dalla  legge  sia  o  meno  in  contrasto  con il principio di
 eguaglianza invocato dal giudice a quo. Ora, secondo  la  difesa  dello
 Stato,  la  legge  n.  920  del  1950,  che  si  riferisce alla data di
 costituzione delle societa' per stabilire una diversa  regolamentazione
 tra le societa' costituite prima e quelle costituite dopo la entrata in
 vigore del codice civile, non costituirebbe una deviazione dalla logica
 del  sistema,  perche'  altre  norme,  di  sui non si pone in dubbio la
 leggittimita'  costituzionale,  attribuiscono  rilevanza  al   medesimo
 fatto;  inoltre,  la  discriminazione  tra  societa' costituite prima e
 societa' costituite dopo l'entrata in vigore del codice civile  sarebbe
 del   tutto   ragionevole   perche'   troverebbe   la   sua  obbiettiva
 giustificazione nelle ragioni che indussero il legislatore  a  rinviare
 la  modifica  degli  atti  costitutivi  e  degli statuti delle societa'
 costituite prima della entrata in vigore del codice vigente,  dopo  che
 si  era  manifestata  la  necessita'  di  addivenire  ad una profonda e
 radicale revisione delle disposizioni del codice regolanti le  societa'
 commerciali.
     4.  -  All'udienza  le parti si sono riportate, illustrandole, alle
 precedenti deduzioni.
                         Considerato in diritto:
     1. - Gli artt. 2368 e 2369 del vigente codice civile  stabiliscono,
 per   la   costituzione  delle  assemblee  e  per  la  validita'  delle
 deliberazioni  delle  societa'  per  azioni,  determinate  maggioranze;
 inderogabili  nel minimo, in cio' innovando alla disciplina dispositiva
 e suppletiva del  codice  di  commercio  del  1882,  in  cui  i  quorum
 assembleari  previsti  dal  legislatore  erano  applicabili  solo se le
 societa',  nell'atto  costituitivo  o  nello  statuto,   non   avessero
 diversamente disposto (artt. 157 e 158).
     Per  l'adeguamento degli anteriori atti statutari alle nuove norme,
 l'art. 206 delle disposizioni di attuazione del codice civile (r.d.  30
 marzo  1942,  n.  318)  concedeva  termine fino al 30 giugno 1945. Tale
 termine, con vari provvedimenti legislativi, fu piu' volte  rinviato  a
 scadenze determinate, fin quando, con la legge 18 ottobre 1950, n. 920,
 esso  venne ulteriormente prorogato con una formula che ne disponeva il
 differimento "fino all'attuazione della revisione del codice civile".
     Il tribunale di  Milano,  considerato  che  la  proroga  da  ultimo
 stabilita   e'   collegata   alla  stessa  revisione  della  disciplina
 attualmente  vigente  per  le  societa'  per  azioni,  ritiene  che  la
 disposizione  che  la  sancisce  sia  incompatibile  con  un sistema di
 diritto transitorio  perche'  in  realta'  essa  darebbe  luogo  a  due
 regolamentazioni  definitive,  diverse  e  contrastanti,  della  stessa
 materia, a seconda che le societa' siano state costituite anteriormente
 o  posteriormente  all'entrata  in  vigore  del  nuovo   codice.   Tale
 duplicita'   di  regolamentazione  e'  assunta  dal  giudice  a  quo  a
 fondamento della  dedotta  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1
 della  citata  legge del 1950, per violazione dell'art. 3, primo comma,
 della Costituzione.
     2. - Come e' noto, l'originario termine entro il quale le  societa'
 regolarmente  costituite  al  giorno della entrata in vigore del codice
 dovevano provvedere ad uniformare allo stesso l'atto costitutivo  e  lo
 statuto,  aveva  lo  scopo  di  evitare  che  quelle societa' potessero
 risentire danno dall'applicazione troppo precipitosa di una innovazione
 che  aveva  riflessi  sulla  loro  organizzazione   interna   e   sulla
 regolarita'   del   loro   funzionamento.   Scaduto   quel  termine,  a
 sollecitarne di volta in volta la  proroga  contribuirono  da  un  lato
 talune  esigenze di carattere temporaneo, connesse allo stato di guerra
 (d.l.lgt. 4 gennaio 1945,  n.  11);  dall'altro  ragioni  di  carattere
 sostanziale  che  investivano  le stesse scelte di politica legislativa
 adottate dal codice del 1942, nella materia in esame.  In  particolare,
 si  profilava,  negli  ambienti politici ed economici, il dubbio che la
 ratio, che ispira il codice vigente, di rendere piu' rigido il  sistema
 mediante   la   previsione   di   quorum   costitutivi  e  deliberativi
 inderogabili,  non costituisse effettivamente lo strumento piu' idoneo,
 nel mutato contesto politico-sociale, per tutelare le minoranze  e  per
 garantire   in   misura  adeguata  la  posizione  dei  soci  assenti  e
 dissenzienti.
     Tali perplessita',  alimentate  dalla  impossibilita'  di  valutare
 criticamente,  nella  difficile  situazione  del  Paese impegnato nella
 ricostruzione,  tutti  gli  aspetti,  politici  ed   economici,   delle
 innovazioni  del  codice  vigente in materia di societa' e di consorzi,
 indussero il legislatore a prorogare ulteriormente i  relativi  termini
 previsti dalle disposizioni di attuazione, dapprima a tempo determinato
 (d.l.C.P.S.  29  marzo 1947, n. 361; d.lg. 25 marzo 1948, n. 484; 1. 19
 dicembre 1949, n. 1051), e poi fino all'attuazione della revisione  del
 codice civile (1. 18 ottobre 1950, n. 920).
     3.  -  Cosi'  precisate  le  finalita'  delle  leggi di proroga, va
 rilevato, preliminarmente, che nessuna influenza riveste, ai fini della
 decisione, la formulazione della norma  impugnata,  gia'  censurata  in
 sede di lavori preparatori e, successivamente, da parte della dottrina.
 Ne'   alcun   contributo   puo'  recare  alla  soluzione  del  problema
 l'indagine, necessariamente astratta, delle caratteristiche delle norme
 di diritto c.d.  transitorio: come gia' questa Corte ha avuto occasione
 di rilevare (sentenza n. 101 del 1967), "la definizione  di  una  norma
 come  transitoria implica solo che, nel passaggio da una vecchia ad una
 nuova disciplina, alcuni fatti o rapporti, in considerazione della loro
 collocazione cronologica,  sono  sottratti  alla  efficacia  del  nuovo
 regolamento,  ma  non  esclude che la norma possa trovare applicazione,
 per un tempo indefinito, tutte le  volte  in  cui  quei  fatti  e  quei
 rapporti siano oggetto di valutazione giuridica".
     Cio'  posto,  occorre esaminare se l'espressione secondo la quale i
 termini in esame a sono ulteriormente prorogati  sino  alla  attuazione
 della revisione del codice civile" volesse introdurre semplicemente una
 proroga  sine  die,  diretta  a  mantenere in vita a tempo praticamente
 indeterminato, per le societa' costituite anteriormente alla entrata in
 vigore del codice civile, le disposizioni dell'atto costitutivo e dello
 statuto che non fossero ad esso conformi, oppure se quella  espressione
 servisse,  nelle  intenzioni  del  legislatore,  a fissare nel tempo un
 termine finale alla durata del differimento della efficacia  di  quelle
 disposizioni.
     A  questo  proposito  va  sottolineato  che  il collegamento tra la
 proroga e la  modifica  delle  norme  del  libro  V  del  codice  trova
 esplicito   riferimento   non   solo  nella  formulazione  della  legge
 impugnata, ma anche nei lavori preparatori dell'ultima delle  leggi  di
 proroga  a  termine,  la  legge  19  dicembre 1949, n. 1051, con cui il
 legislatore  provvide  a  rinviare  di  un  anno   l'estensione   delle
 disposizioni del codice civile in tema di societa' e di consorzi.
     Quest'ultimo   rilievo   permette   di   valutare   esattamente  il
 significato della espressione contenuta  nell'art.  1  della  legge  18
 ottobre  1950, n. 920, nel senso che essa aveva la funzione di indicare
 il  termine  finale  della  proroga,  che  il  legislatore  aveva  gia'
 preventivamente   determinato   nell'an  e,  ragionevolmente,  ritenuto
 determinabile nel quando (cfr. sent. n. 16 del 1968).
     Di conseguenza, non puo' essere condiviso l'assunto del  giudice  a
 quo,  secondo  cui  la  legge  n.  920  del  1950 attribuisce carattere
 definitivo al sistema di diritto transitorio, previsto dalle  norme  di
 attuazione;  deve,  al  contrario,  ritenersi  che  la  proroga di tale
 sistema   e'   riferita  ad  un  termine  finale  che  il  legislatore,
 nell'ambito del  suo  potere  discrezionale,  ha  determinato  in  modo
 elastico  e  flessibile,  collegandolo  ad  un avvenimento che si aveva
 ragione di ritenere, se non imminente, quanto meno prossimo.
     4. - Decisivo e', comunque, il rilievo  che  la  previsione  di  un
 duplice  sistema  di  regolamentazione delle societa' commerciali e dei
 consorzi in tema di quorum assembleari si presentava, al momento in cui
 fu disposta la  proroga,  perfettamente  corrispondente  alle  esigenze
 prese  in considerazione dal legislatore. In effetti, in una situazione
 politica  caratterizzata  da  non  poche  incertezze  in  ordine   agli
 strumenti  giuridici  adeguati alle necessita' del momento per regolare
 istituti fondamentali per lo sviluppo economico  del  Paese,  quali  le
 societa'  per  azioni,  non  puo'  non apparire razionale la scelta del
 Parlamento di evitare l'applicazione di quelle norme del  nuovo  codice
 di cui si prevedeva, sin d'allora, una modificazione.
     D'altra  parte,  che  tale  previsione  fosse aderente alla realta'
 politica e sociale, e' dimostrato dagli avvenimenti verificatisi  negli
 anni   successivi,   in   cui,   anche   per   effetto   della   rapida
 industrializzazione del Paese e della diffusione  dell'azionariato,  il
 problema  della  riforma  della disciplina delle societa' per azioni e'
 stato sempre considerato una esigenza viva, sia  dagli  studiosi  della
 materia che da parte dei rappresentanti politici.
     A questo proposito, merita di essere ricordato che, dopo precedenti
 studi  e  proposte,  il  Governo,  nel  novembre  1963, assunse impegno
 dinanzi al Parlamento di portare a compimento  quella  riforma  e  che,
 sulla  base  di  un'ampia elaborazione effettuata da una commissione di
 studio particolarmente qualificata, nel gennaio 1967 fu diramato per il
 parere uno schema di disegno di legge, che, per diverse ragioni, che in
 questa sede  non  e'  il  caso  di  valutare,  non  fu  poi  presentato
 all'approvazione degli organi parlamentari.
     Nel  frattempo,  delineatasi,  a livello comunitario, l'esigenza di
 eliminare taluni contrasti esistenti nella  disciplina  delle  societa'
 per  azioni nei diversi paesi della C.e.e., il Governo emanava la legge
 delegata 29 dicembre 1969,  n.  1127,  con  cui,  in  attuazione  della
 direttiva  della  C.e.e.  9  marzo  1968,  n.  151, venivano introdotte
 parziali modifiche al regime delle societa'.
     Attualmente, il problema relativo ad una piu' incisiva  e  generale
 riforma  della  disciplina  societaria  e'  tuttora  aperto  e non puo'
 considerarsi  ne'  risolto  ne'  superato.  Infatti,   nel   "documento
 programmatico  preliminare", contenente elementi per l'impostazione del
 programma economico nazionale per il quinquennio  1971-1975,  e'  stata
 ancora una volta sottolineata l'urgenza di adottare "misure legislative
 idonee  a rendere la struttura societaria piu' funzionale tanto ai fini
 dello sviluppo economico generale, quanto  a  quelli  di  una  corretta
 raccolta e canalizzazione del risparmio".
     In questa prospettiva, ritiene la Corte che il collegamento operato
 dalla  legge  impugnata  tra  il  differimento  della  applicazione  di
 determinate norme del  codice  e  la  riforma  della  disciplina  delle
 societa',  resta  tuttora  valido  nel  suo  presupposto  di  fatto. Di
 conseguenza, in materia di maggioranze assembleari,  la  diversita'  di
 regolamentazione  esistente  tra le societa' costituite anteriormente o
 posteriormente alla entrata in vigore del codice  civile,  trova  anche
 oggi  una  valida  giustificazione,  nell'attesa  della disciplina che,
 tenendo    conto    dei    rilevanti    mutamenti    della   situazione
 economico-sociale, regoli in modo unitario il  regime  giuridico  delle
 societa'.