SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 128  e  131
 del  codice  di  procedura  penale e della legge 14 marzo 1968, n. 157,
 tabella D, punto 13, lettere a) e b), recante la previsione di  diritti
 di  cancelleria per il rilascio di copie, promosso con ordinanza emessa
 il 29 ottobre 1970 dal pretore di Trieste  nel  procedimento  penale  a
 carico  di  Fabijanovic  Lajzija,  iscritta  al  n.  384  del  registro
 ordinanze 1970 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
 n. 49 del 24 febbraio 1971.
     Udita nella camera di consiglio dell'8 giugno 1972 la relazione del
 Presidente.
                           Ritenuto in fatto:
     Nel giudizio penale pendente davanti al pretore di Trieste a carico
 di  Fabijanovic Lajzija, residente all'estero, poiche' questi non aveva
 adempiuto  all'invito  di  eleggere  domicilio  in  Italia,  ne  veniva
 dichiarata la contumacia e si procedeva in stato di irreperibilita' del
 prevenuto.
     Nel  corso  del  procedimento,  il difensore d'ufficio affermava di
 essersi trovato nella impossibilita' di esplicare seriamente il mandato
 e di approfondire le questioni di fatto e di  diritto,  non  conoscendo
 gli atti della causa, per avere copia dei quali la legge 14 marzo 1968,
 n.  157,  Tab.  D,  punto  13, lett. a) e b), richiede il versamento in
 cancelleria dei  cosiddetti  diritti  di  copia  e  di  certificazione.
 Sollevava   quindi   questione  di  legittimita'  costituzionale  della
 predetta legge, in relazione agli artt.    128  e  131  del  codice  di
 procedura penale, per contrasto con vari articoli della Costituzione.
     Il  pretore,  ritenendo la questione rilevante e non manifestamente
 infondata, con ordinanza 29 ottobre 1970 rimetteva a  questa  Corte  la
 questione di legittimita' costituzionale degli artt. 128 e 131 c.p.p. e
 della  predetta legge 14 marzo 1968, n. 157, limitatamente alla Tabella
 D, punto 13, lett. a) e b),  in  riferimento  agli  artt.  3,  prima  e
 seconda  parte; 24, prima, seconda e terza parte; 35; 36; 38 e 53 della
 Costituzione.
     La causa e' stata decisa in camera di consiglio, a norma  dell'art.
 9   delle   Norme   integrative   per  i  giudizi  davanti  alla  Corte
 costituzionale 16 marzo  1956,  non  essendoci  stata  costituzione  di
 parti.
                         Considerato in diritto:
     1.   -   L'ordinanza   ripropone   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale degli artt. 128 e 131 del codice  di  procedura  penale,
 gia'  decisa  da  questa Corte, in riferimento agli artt.  3 e 35 della
 Costituzione, nella sentenza n. 114 del 1964  (ricordata  nella  stessa
 ordinanza).
     Prospetta  inoltre  un  nuovo profilo della questione, in relazione
 alla legge 14 marzo 1968, n. 157, Tab. D, punto 13, lett. a)  e  b),  e
 con riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma; 24, primo, secondo
 e terzo comma; 38 e 53 della Costituzione.
     2.  -  In  ordine  alla  prima  censura,  l'ordinanza  ritiene  che
 l'istituto della difesa d'ufficio,  che,  cosi'  come  oggi  opera,  e'
 gratuita  per  gli indigenti e quasi sempre rende difficile il recupero
 delle competenze del difensore negli altri casi, lede il  principio  di
 parita'  dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 Cost.) e quello del
 diritto alla retribuzione (artt. 35 e 36 Cost.).
     Ma gia' nella citata sentenza n.  114  del  1964  questa  Corte  ha
 rilevato,  per quanto attiene al gratuito patrocinio, che la tutela del
 lavoro non esclude "che, in base alla  legge,  possano  essere  imposte
 prestazioni  gratuite,  per  ragioni  di  interesse  generale,  a norma
 dell'art. 23 della Costituzione", ed ha affermato che  l'obbligo  degli
 esercenti  la  professione forense di  assumere gratuitamente la difesa
 dei non abbienti, trovando la sua ragione  nell'interesse  pubblico  di
 fornire  l'assistenza  giudiziaria  a questi ultimi ed avendo carattere
 saltuario  cosi'  da  non  alterare  la  disciplina   economica   della
 professione, non contrasta con i principi costituzionali di eguaglianza
 dei cittadini e di tutela del lavoro.
     Per   quanto   concerne,   poi,   l'obbligo   piu'   generale   dei
 professionisti forensi di assumere, con il rischio patrimoniale di  non
 essere  retribuiti,  la  difesa di ufficio anche dei cittadini abbienti
 (che sono tenuti, in base all'art. 4 disp. att. del codice di procedura
 penale, a corrispondere l'onorario al  difensore),  questa  Corte,  con
 decisione   n.  97  del  1970,  ha  ritenuto  che,  essendo  la  difesa
 dell'imputato, con o senza  retribuzione,  di  interesse  pubblico,  in
 quanto  attinente  alla  validita' del giudizio, puo' senz'altro essere
 imposta a  norma  dell'art.  23  della  Costituzione,  senza  che  cio'
 comporti, dato il suo carattere occasionale, violazione dell'art. 36.
     L'ordinanza di rinvio non contiene argomenti tali da potere indurre
 questa  Corte a mutare opinione, ne' ha rilevanza, ai fini del giudizio
 di costituzionalita', la constatazione, con  cui  la  stessa  ordinanza
 giustifica  la  riproposizione  della questione, che il legislatore non
 abbia ancora accolto il suggerimento, contenuto, de lege ferenda, nella
 sentenza n. 114 del 1964, di creare un sistema diretto ad assicurare in
 ogni caso un compenso al difensore d'ufficio.  Se, infatti,  sussistono
 tuttora   le   ragioni   per  cui  e'  auspicabile  una  rielaborazione
 legislativa della materia, il fatto che ad essa non  sia  stato  ancora
 provveduto  non  modifica  i  termini della gia' esaminata questione di
 legittimita' costituzionale.
     3.  -  Sotto  l'altro  profilo,  ora  per  la prima volta proposto,
 l'illegittimita'  costituzionale  delle  norme  impugnate   deriverebbe
 dall'obbligo  del  difensore  d'ufficio  di  corrispondere i cosiddetti
 "diritti di cancelleria", previsti dalla legge n.  157 del 1968, per il
 rilascio delle copie di atti processuali necessarie alla  difesa.  Cio'
 importerebbe   una  violazione  del  principio  della  rispondenza  del
 concorso alle spese pubbliche in ragione della capacita'  contributiva,
 di  cui  all'art. 53 della Costituzione; del principio, che deriverebbe
 dall'art. 38 Cost., secondo cui gli oneri di assistenza sociale sono  a
 carico  di  tutta  la  collettivita';  del diritto alla difesa (art. 24
 Cost.), in quanto la non gratuita' delle dette copie ostacolerebbe  una
 seria ed efficace attivita' difensiva; del principio di eguaglianza, in
 quanto il cittadino meno fortunato si troverebbe in condizione di dover
 rinunciare a una completa difesa, ove non possa pagare quel tributo.
     Ma le censure cosi' dedotte non hanno fondamento.
     La  legge  attribuisce al difensore la facolta' di prendere visione
 degli atti processuali depositati e di estrarne  copia  (articoli  201,
 304  quater,  320,  372, 407, n. 4, 410, 533 c.p.p.).  La possibilita',
 offerta al difensore, di chiederne copia alla cancelleria e'  un  mezzo
 per   agevolare   la  sua  opera,  e  il  versamento  dei  "diritti  di
 cancelleria" e' il corrispettivo di un servizio che il  difensore  puo'
 utilizzare,   ove   lo   ritenga   opportuno,  secondo  le  sue  libere
 valutazioni. Resta quindi escluso il raffronto delle  norme  impugnate,
 sia  con  l'art.  53 della Costituzione, di cui, del resto, la Corte ha
 gia' ritenuto la non applicabilita' agli oneri processuali (sentenze n.
 30 del 1964 e n. 23 del 1968), che con l'art. 38 della Costituzione, il
 quale, d'altra parte, non  esclude  che  oneri  di  assistenza  sociale
 possano  essere  posti  a  carico  di  determinate categorie e dei loro
 appartenenti.
     Del pari infondato e' il denunciato contrasto col diritto di difesa
 e con il principio di eguaglianza.
     La  ricordata  facolta'  del   difensore   di   prendere   visione,
 direttamente  o  a  mezzo  di persona di fiducia, degli atti depositati
 consente di adempiere al mandato con serieta' e coscienza.  I  vantaggi
 che indubbiamente offre, per il professionista, la disponibilita' nello
 studio degli atti processuali non vanno confusi con l'impossibilita' di
 adempiere  all'obbligo e all'onere di preparare una adeguata difesa ove
 non sia fornita dall'ufficio giudiziario copia degli atti.
     E' da escludere, di conseguenza, che la previsione dei "diritti  di
 cancelleria"  per  il rilascio di tali copie dia luogo a una disparita'
 di trattamento nell'esercizio del diritto di difesa.