SENTENZA
     nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale dell'art. 9,  n.
 2,  lett.  a,  del  d.P.R.  4 giugno 1966, n. 332, e dell'art. 4, n. 2,
 lett. a, del d.P.R. 22 maggio 1970, n.  283 (Concessione di amnistia  e
 di  indulto),  promossi  con  ordinanze emesse il 19 aprile 1972, il 16
 giugno  1972  ed  il  9  aprile  dalla  Corte  d'appello  di  Bari  nei
 procedimenti  di esecuzione penale rispettivamente a carico di Di Palma
 Lorenzo, Di Palma Vito  ed  altri,  Pellegrini  Giovanni  e  Cassanelli
 Leonardo,  iscritte  ai nn. 261 e 288 del registro ordinanze 1972 ed al
 n.  231  del  registro  ordinanze  1973  e  pubblicate  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della Repubblica n. 240 del 13 settembre 1972, n. 247 del 20
 settembre 1972 e n. 198 del 1 agosto 1973.
     Visti gli  atti  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri e di costituzione di Di Palma Vito ed altri;
     udito  nell'udienza  pubblica del 3 aprile 1974 il Giudice relatore
 Guido Astuti;
     uditi l'avv. Gustavo Thiery, per Di Palma  Vito  ed  altri,  ed  il
 sostituto  avvocato  generale  dello  Stato  Giorgio  Azzariti,  per il
 Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     Nel corso di un  giudizio  incidentale  di  esecuzione  penale  nei
 confronti  di  Di  Palma  Lorenzo,  Di Palma Vito, Scamarcio Salvatore,
 Scamarcio Antonio, Fucci Domenico e Sinisi Fedele, la  Corte  d'appello
 di  Bari  ha  sollevato,  accogliendo  l'eccezione  proposta  da questi
 ultimi, questione di legittimita' costituzionale degli artt.  9, n.  2,
 lett.  a,  del  d.P.R.  4 giugno 1966, n. 332, e 4, n.  2, lett. a, del
 d.P.R. 22 maggio 1970, n. 283,  in  riferimento  agli  artt.  3,  primo
 comma, e 27, secondo comma, della Costituzione.
     Si  sostiene  nell'ordinanza  di rimessione che le norme impugnate,
 subordinando la concessione dell'amnistia e dell'indulto  per  i  reati
 finanziari  alla  condizione  che  il pagamento dei diritti evasi abbia
 luogo entro il termine di centoventi giorni dall'entrata in vigore  del
 provvedimento  di  clemenza,  indipendentemente dall'esistenza o meno a
 tale data di  una  sentenza  irrevocabile  di  condanna,  sarebbero  in
 contrasto  con  i  principi  di  eguaglianza  e di non colpevolezza. In
 particolare  il  principio  di  eguaglianza  sarebbe  violato  per   la
 ingiustificata  assimilazione  nel  trattamento tra colui che sia stato
 condannato con sentenza divenuta irrevocabile e chi alla  scadenza  del
 termine  ancora  non lo sia stato, restando quest'ultimo esposto ad una
 limitazione del diritto alla libera determinazione  e  ad  un  ingiusto
 sacrificio economico nel caso di assoluzione.
     Il  principio di non colpevolezza sarebbe a sua volta violato dalla
 circostanza che, non essendo ripetibili  le  somme  versate  per  poter
 beneficiare  del  provvedimento  di clemenza, il pagamento dei presunti
 diritti evasi diverrebbe, nella realta', adempimento della obbligazione
 tributaria, quale dovrebbe conseguire ad un definitivo accertamento  di
 colpevolezza.
     Identica   questione   di   legittimita'  costituzionale  e'  stata
 sollevata, sempre dalla Corte di appello di Bari, anche nel corso degli
 incidenti di esecuzione proposti da Pellegrini  Giovanni  e  Cassanelli
 Leonardo.
     Si  sono costituiti in giudizio, innanzi alla Corte costituzionale,
 Di  Palma  Lorenzo,  Di  Palma  Vito,  Scamarcio   Antonio,   Scamarcio
 Salvatore,   Fucci   Domenico   e   Sinisi   Fedele,   chiedendo  tutti
 l'accoglimento della questione proposta.
     E' altresi' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei  ministri,
 deducendo, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, l'infondatezza
 della questione.
                         Considerato in diritto:
     1.  -  Le tre ordinanze della Corte di appello di Bari, di identico
 contenuto sostanziale, sollevano, in riferimento agli  artt.  3,  primo
 comma,  e  27,  secondo  comma,  della  Costituzione,  la  questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 9, n. 2, lett. a, del d.P.R.  4
 giugno 1966, n.  332, e 4, n. 2, lett. a, del d.P.R. 22 maggio 1970, n.
 283,  nella  parte  in  cui  dette  norme  condizionano  l'applicazione
 dell'indulto al pagamento dei diritti o tributi evasi, e  dei  relativi
 interessi  di mora, entro il termine di centoventi giorni dalla data di
 entrata in vigore dei rispettivi decreti, anche per l'imputato che alla
 scadenza del termine sia  stato  condannato  con  sentenza  non  ancora
 definitiva.
     Trattandosi  della  medesima  questione,  i  giudizi possono essere
 riuniti e decisi con unica sentenza.
     2. - La questione non e' fondata. Giova anzitutto ricordare che per
 i reati finanziari (di regola  esclusi  dai  benefici  dell'amnistia  e
 dell'indulto   concessi  con  provvedimenti  di  ordine  generale),  la
 concessione  di  detti  benefici  e'   comunemente   subordinata   alla
 condizione del pagamento dei diritti o tributi "evasi", in quanto per i
 reati  in  questione  il legislatore considera costantemente prevalente
 sull'interesse  generale  all'esercizio  della  straordinaria  clemenza
 l'interesse  della  pubblica  finanza  alla soddisfazione della pretesa
 tributaria con la immediata riscossione.
     Questa Corte ha gia' avuto occasione di rilevare  al  riguardo  che
 "tale  costante orientamento legislativo non puo' essere considerato in
 contrasto col  principio  di  eguaglianza",  perche'  se  e'  vero  che
 l'obbligo  di  pagare  il  tributo  sorge  prima che l'accertamento del
 debito tributario e della misura di esso sia diventato inoppugnabile, e
 quindi un soggetto puo' essere legittimamente sottoposto a procedimento
 penale  per  essersi sottratto al pagamento di un tributo prima che sia
 irrevocabilmente certo ch'egli sia un evasore fiscale, "come  non  puo'
 plausibilmente  affermarsi  che  il  far sorgere l'anzidetto obbligo in
 quel certo momento - cosa che ha la sua giustificazione nelle superiori
 e indilazionabili esigenze  della  finanza  pubblica  -  contrasti  col
 principio  di  eguaglianza, del pari non puo' plausibilmente affermarsi
 che con quest'ultimo contrasti il fatto che, per  i  reati  consistenti
 nell'essersi  sottratti  a  quell'obbligo,  il beneficio della clemenza
 straordinaria dello Stato sia condizionato, per  tutti  indistintamente
 coloro  che  avevano  da rispettarlo, alla osservanza, sia pur tardiva,
 dell'obbligo stesso" (sentenza n. 5 del 1964).
     Sotto questo profilo, non  puo'  ravvisarsi  alcuna  illegittimita'
 nemmeno  nelle  norme  che  impongono  la  condizione del pagamento dei
 diritti o tributi evasi entro il termine  di  centoventi  giorni  dalla
 data  di  entrata in vigore dei provvedimenti di clemenza. Il contrasto
 con i principi sanciti dagli artt. 3 e 27 della  Costituzione,  che  le
 ordinanze di rimessione scorgono nella indifferenziata previsione di un
 unico  dies  a quo per la decorrenza del termine, senza distinzione tra
 l'ipotesi di condanna con sentenza irrevocabile  (indulto  proprio),  e
 quella di condanna con sentenza non definitiva (indulto improprio), non
 sussiste,  perche'  sebbene  la situazione processuale degli imputati a
 condannati con sentenza non ancora definitiva sia diversa da quella  di
 coloro  che abbiano subito una condanna irrevocabile, tuttavia identica
 e'  la  loro  situazione  ai  fini  della  concessione  del   beneficio
 dell'indulto,  in  quanto il pagamento tempestivo dei diritti e tributi
 "evasi" costituisce, per entrambe le categorie, la condicio  iuris  per
 l'applicazione   del  provvedimento  di  clemenza.  E'  necessario  non
 dimenticare, al riguardo,  che  l'indulto  concerne  esclusivamente  la
 pena,  ossia  comporta  il  condono,  in  tutto  o in parte, della pena
 inflitta (art. 174 codice penale),  non  gia'  dei  diritti  o  tributi
 pretesi  dall'Amministrazione finanziaria come evasi. E non v'e' dubbio
 circa la piena potesta' del legislatore di sottoporre  l'indulto,  come
 l'amnistia,  a  condizioni o ad obblighi, secondo le disposizioni degli
 artt. 151, quarto comma, e 174, terzo comma, del  codice  penale  (cfr.
 artt. 591 e 596 del codice di procedura penale).
     3.  -  Nell'ipotesi  di  indulto  improprio,  le  norme  denunciate
 avrebbero  per  effetto,  secondo  le  ordinanze  di   rimessione,   di
 "costringere   l'imputato,   assistito   da   una  presunzione  di  non
 colpevolezza sino alla  condanna  definitiva,  a  pagare  i  diritti  o
 tributi  evasi  in relazione ad un fatto-reato in via di accertamento".
 Ma l'onere di adempimento della  condizione imposta  dal  provvedimento
 di  clemenza,  entro  il termine perentorio ivi stabilito, non comporta
 costrizione, giacche' l'applicazione dell'indulto, come  dell'amnistia,
 e'  sempre suscettibile di rinuncia da parte dell'interessato, al quale
 e' lasciata la libera scelta di procedere al pagamento per  assicurarsi
 il   beneficio   del   condono   della   pena   che   potra'   essergli
 irrevocabilmente  inflitta,  ovvero  di   rinunciare   all'applicazione
 dell'indulto,  confidando  nella definitiva assoluzione. La circostanza
 che il  pagamento  sia  o  non  sia  stato  effettuato  non  condiziona
 psicologicamente  ne' l'imputato ne' il giudice, e non puo' influenzare
 l'esito definitivo del giudizio  penale.  Nemmeno  puo'  ravvisarsi  un
 "ingiustificato sacrificio economico nel caso di successiva assoluzione
 totale  o parziale", perche' l'onere di pagamento dei diritti o tributi
 pretesi  dall'Amministrazione  finanziaria   non   puo'   dirsi   senza
 fondamento,  sia  in  rapporto  all'esigenza  primaria  della  pubblica
 finanza alla soddisfazione  della  pretesa  tributaria,  sia  anche  in
 rapporto  al  conseguente esonero degli interessati dall'alea di subire
 la temuta sanzione penale, nell'eventualita' di condanna irrevocabile.
     E' superfluo aggiungere che la  medesima  alternativa  si  presenta
 costantemente anche nel caso di applicazione dell'amnistia condizionata
 agli  imputati,  i  quali  debbono  del  pari  effettuare  nel  termine
 stabilito  la  propria  scelta,  rimanendo  rimesso  alla  loro  libera
 determinazione  di  conseguire,  con  lo  adempimento della condizione,
 l'estinzione del reato e della  azione  penale,  ovvero  di  affrontare
 l'alea del processo, con tutte le possibili conseguenze.
     4.  - Le ordinanze di rimessione sottolineano la pretesa disparita'
 e ingiustizia di trattamento col richiamo alle disposizioni dei decreti
 in questione, per cui "i tributi, i diritti,  le  maggiorazioni  e  gli
 interessi   di   mora,  corrisposti  per  beneficiare  dell'amnistia  e
 dell'indulto per i reati in materia tributaria, non sono in nessun caso
 ripetibili" (art. 12 d.P.R. 4 giugno 1966, n.    332;  art.  4,  ultimo
 comma, d.P.R. 22 maggio 1970, n.  283). Effettivamente, nell'ipotesi di
 indulto  improprio,  l'imputato  colpito da condanna non definitiva che
 abbia   pagato   nel   termine   i   diritti    o    tributi    pretesi
 dall'Amministrazione  finanziaria,  e venga poi definitivamente assolto
 dal reato ascrittogli, con  l'accertamento  dell'inesistenza,  o  della
 minor  misura,  del debito d'imposta, avra' effettuato un pagamento non
 dovuto, e ciononostante non ripetibile. Ma tale  pagamento  non  potra'
 tuttavia  ritenersi privo di causa motiva o finale, dal momento che con
 esso l'interessato si era proposto di conseguire il condono della  pena
 nell'ipotesi  di  condanna  irrevocabile,  e  che  pertanto l'acquisita
 sicurezza  di  poter  ottenere  l'eventuale  applicazione  dell'indulto
 costituisce  di  per se' una sufficiente giustificazione. Occorre anche
 qui tener presente che l'indulto concerne il reato  finanziario,  quale
 causa  estintiva  della  pena, e non il debito di imposta, di cui viene
 preteso  il   pagamento   come   condizione   di   applicabilita'   del
 provvedimento  di clemenza straordinaria. Analogamente, la legge penale
 prescrive che possa beneficiare  delle  circostanze  attenuanti  comuni
 chi,  "prima del giudizio", abbia provveduto all'integrale risarcimento
 del danno (art. 62, n. 6, del codice penale), e non consente che, a tal
 fine, il risarcimento possa essere differito  sin  dopo  l'accertamento
 definitivo della responsabilita' dell'imputato.
     D'altra  parte, il principio della irrepetibilita' dell'imposta, di
 cui siasi verificata la riscossione nei modi e termini prescritti dalla
 legge, e' oggetto di larga applicazione nel vigente diritto tributario,
 non soltanto nell'ipotesi di amnistia o indulto condizionato per  reati
 finanziari,  ma  anche  in una serie di diverse fattispecie, nonostante
 l'eventuale difetto dei presupposti per l'applicazione del  tributo,  o
 il   successivo   verificarsi   di  fatti  estintivi  dell'obbligazione
 tributaria.   Senza   indagare   qui   il   fondamento   e   i   limiti
 d'applicabilita'  del  principio,  sara' sufficiente constatare come in
 materia tributaria sia ammessa  solo  eccezionalmente  la  possibilita'
 della  ripetizione  di  indebito  secondo  le norme del diritto comune.
 Anche sotto quest'ultimo profilo la questione deve  pertanto  ritenersi
 infondata.