ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale degli artt.  24,
 98, 99, 100, 101, 103 e seguenti del r.d. 16 marzo 1942, n. 267  (legge
 fallimentare), promossi con ordinanze emesse il 18 marzo, il 6 maggio e
 il  6  luglio  1972  dal  tribunale  di Roma in sei procedimenti civili
 vertenti tra l'Esattoria comunale delle imposte  dirette  di  Randazzo,
 Gasperoni   Alberto,  l'Esattoria  delle  imposte  dirette  di  Ortona,
 Monteduro Nicola, Castellano Giovanni, la societa'  Costruzioni  Cassia
 contro  Ghella  Giovanni  ed  altri,  iscritte  al  n. 376 del registro
 ordinanze 1972 e ai nn. 102, 103, 152, 153 e 154 del registro ordinanze
 1973 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3 del  3
 gennaio 1973, n. 126 del 16 maggio 1973 e n. 169 del 4 luglio 1973.
     Visti  gli  atti  d'intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri e di costituzione di Castellano Giovanni;
     udito nell'udienza pubblica del 6 novembre 1974 il Giudice relatore
 Guido Astuti;
     udito il sostituto avvocato generale dello Stato Renato Carafa, per
 il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     Nel  corso  del  procedimento  relativo  al  fallimento di Giovanni
 Ghella,  l'Esattoria  comunale  delle  imposte  dirette   di   Randazzo
 proponeva  istanza  tardiva  per  la  ammissione di un proprio credito.
 Chiusosi il fallimento con  sentenza  omologativa  del  concordato,  in
 forza  del  quale Domenico Ghella e la soc. Salpe divenivano garanti ed
 assuntori  del  concordato  stesso,  il  procedimento   relativo   alla
 insinuazione    tardiva    era    dichiarato    interrotto.   Riassunto
 dall'Esattoria, con istanza al giudice delegato,  il  procedimento  per
 l'insinuazione  tardiva, il tribunale di Roma, accogliendo le eccezioni
 proposte da Giovanni e Domenico Ghella, costituitisi  in  giudizio,  ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 24, 98 e
 seguenti,  101  e  103  e  seguenti  del  r.d.  16 marzo 1942, n.   267
 (Disciplina    del    fallimento,    del     concordato     preventivo,
 dell'amministrazione    controllata   e   della   liquidazione   coatta
 amministrativa),  in  riferimento  agli  artt.  3,  24   e   25   della
 Costituzione.
     Identiche  questioni  di  legittimita'  costituzionale  sono  state
 sollevate dallo stesso tribunale di Roma in altri  cinque  procedimenti
 civili,  tutti dipendenti dal fallimento di Giovanni Ghella, e vertenti
 tra  quest'ultimo  e  Alberto  Gasperoni,  Nicola  Monteduro,  Giovanni
 Castellano,  la societa' Costruzioni Cassia e l'Esattoria delle imposte
 dirette di Ortona.
                         Considerato in diritto:
     1. - Con  le  sei  ordinanze  elencate  in  epigrafe,  di  identico
 contenuto,  il  tribunale  civile  di  Roma  - sezione fallimentare, ha
 sollevato, accogliendo istanze di parte, la questione  di  legittimita'
 costituzionale,   in   riferimento   agli   artt.  3,  24  e  25  della
 Costituzione, degli artt. 24, 98 e seguenti, 101, 103  e  seguenti  del
 r.d.  16  marzo 1942, n.  267 (Disciplina del fallimento, ecc.), "nella
 parte in cui consentono la riassunzione davanti al giudice fallimentare
 dei procedimenti di opposizione allo  stato  passivo,  di  insinuazione
 tardiva  di  crediti,  e  delle  domande  di  rivendica, restituzione e
 separazione di cose mobili, interrotti a seguito dell'omologazione  del
 concordato,  e  regolano  il  successivo  svolgimento dei giudizi cosi'
 riassunti".
     I giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.
     2. - Le ordinanze di rimessione impugnano,  per  il  tramite  delle
 norme    denunciate,    il   diritto   vivente,   ossia   il   "sistema
 giurisprudenziale" formatosi,  nel  difetto  di  espresse  disposizioni
 della  vigente  legge  fallimentare,  circa  la  disciplina dei giudizi
 derivanti dal fallimento, interrotti per effetto della  chiusura  dello
 stesso,  a  seguito  del  passaggio  in  giudicato  della  sentenza  di
 omologazione del concordato. In base a tale sistema, la  giurisprudenza
 riconosce  tanto al creditore che aveva promosso il giudizio, quanto al
 debitore ritornato in bonis, ed all'assuntore o garante del concordato,
 la facolta' di riassumere il processo interrotto,  ovvero,  scaduto  il
 termine   di   legge   per   la  riassunzione,  di  iniziare  un  nuovo
 procedimento, sempre davanti al tribunale fallimentare. Nel primo  caso
 continua  ad applicarsi il rito speciale, nel secondo invece si ritiene
 che debba seguirsi il rito ordinario.
     Le ordinanze prospettano la incostituzionalita' di questo  sistema,
 sotto  un  tre'lice  profilo.  Esso  contrasterebbe con l'art. 24 della
 Costituzione, per la limitazione del diritto di difesa conseguente alla
 "ultrattivita' del sistema speciale fallimentare pur dopo  la  chiusura
 della  procedura  concursuale";  con  l'art. 25, per la sottrazione dei
 processi al giudice  naturale,  causa  la  persistente  competenza  del
 tribunale  fallimentare; con l'art. 3, per la disparita' di trattamento
 che deriverebbe dall'essere rimessa alla libera  scelta  di  una  delle
 parti   private  interessate  l'alternativa  tra  la  prosecuzione  del
 giudizio col rito speciale, e l'instaurazione di un nuovo giudizio  col
 rito ordinario.
     3.  -  La  questione non e' fondata. Il sistema di diritto vivente,
 elaborato dalla giurisprudenza, corrisponde ai criteri cui  si  informa
 la  disciplina della materia fallimentare, e non contrasta con principi
 o precetti costituzionali.
     La chiusura del fallimento, per effetto del passaggio in  giudicato
 della   sentenza  di  omologazione  del  concordato,  determina  bensi'
 l'interruzione dei giudizi pendenti di opposizione allo stato  passivo,
 di  ammissione  tardiva  di  crediti, di rivendicazione, restituzione o
 separazione di cose mobili: ma i creditori ed i terzi  riacquistano  il
 libero  esercizio  delle  azioni verso il debitore restituito in bonis,
 nonche' verso gli eventuali assuntori o garanti  del  concordato  (cfr.
 art.  120,  secondo  comma,  della  legge  fallimentare).  Ne  consegue
 necessariamente la facolta' di riassumere i  processi  interrotti,  nel
 termine  perentorio di legge, nei confronti del debitore come di coloro
 che abbiano assunto o garantito  gli  obblighi  del  concordato;  e  ne
 consegue  altresi',  quando siasi verificata la estinzione del processo
 per  mancata  riassunzione  entro  il  termine,  la   possibilita'   di
 promuovere   un   nuovo   giudizio,   dal  momento  che  la  perenzione
 dell'istanza e del processo non comporta prescrizione o estinzione  del
 diritto   di  azione.    Poiche'  trattasi  di  azioni  dipendenti  dal
 fallimento, appare non  contestabile,  anche  dopo  il  concordato,  la
 competenza del tribunale fallimentare, sancita dall'art. 24 del r.d. 16
 marzo  1942,  n.  267;  ed e' coerente ai principi che riassumendosi il
 giudizio interrotto questo  debba  continuare  con  il  medesimo  rito,
 mentre  instaurando  un nuovo giudizio dovra' invece applicarsi il rito
 ordinario.
     4. - Il riconoscimento della permanente competenza  funzionale  del
 tribunale  fallimentare  non integra contrasto con il principio sancito
 dall'art. 25 della Costituzione, giacche' per le azioni di cui  qui  si
 discorre  detto  tribunale  e' il giudice precostituito in via generale
 dalla legge, e cio', in conformita' di consolidata  giurisprudenza,  e'
 sufficiente  per escludere la violazione della norma costituzionale. Va
 peraltro  aggiunto  che  le  azioni  in  questione  conservano   natura
 fallimentare anche dopo l'omologazione del concordato e la chiusura del
 fallimento,  data  la connessione del concordato e della sua esecuzione
 con  la  procedura  concursuale  sottostante;  ne'  si  puo'  ravvisare
 sottrazione  al  giudice  naturale  nemmeno  per  quanto  concerne  gli
 eventuali assuntori o garanti del concordato, in correlazione  con  gli
 obblighi  ad essi incombenti per l'esecuzione del concordato stesso nei
 confronti di tutti i creditori.
     Questa Corte ha gia' avuto occasione di dichiarare piu'  volte  che
 il precetto costituzionale circa il diritto alla tutela giudiziaria non
 impone  che  questa debba essere sempre accordata nella stessa misura e
 con le stesse modalita' di procedimento;  e  che,  in  particolare,  la
 normativa speciale prevista dalla legge per i giudizi di competenza del
 tribunale  fallimentare  ha una logica giustificazione in rapporto alle
 esigenze e finalita' della procedura concursuale, - perduranti anche in
 ordine all'esecuzione del concordato - , e non comporta, di regola, una
 sostanziale  menomazione  della  tutela  giurisdizionale, configurabile
 come violazione della garanzia fornita dall'art. 24 della Costituzione.
 Cio' appare incontestabile anche rispetto  ai  giudizi  interrotti  per
 effetto  della  chiusura  del  fallimento:    dopo  l'omologazione  del
 concordato  gli  organi  fallimentari  conservano  precise  funzioni  e
 responsabilita'  in  or  dine  alla  esecuzione  degli obblighi da esso
 derivanti, sia per il fallito restituito in bonis, sia  anche  per  gli
 assuntori  o  garanti  del concordato, egualmente soggetti al controllo
 del tribunale, cui compete di sorvegliare l'adempimento degli obblighi,
 con il potere  di  pronunziare  la  risoluzione  o  l'annullamento  del
 concordato stesso.
     Non  sussiste  nemmeno  la  prospettata violazione del principio di
 eguaglianza, perche' la  facolta'  di  riassumere  tempestivamente  una
 causa  fallimentare  interrotta  a  seguito  della  d  omologazione del
 concordato e' offerta  dal  vigente  sistema,  in  regime  di  perfetta
 parita',  a  tutte  le  parti  interessate,  cosi'  come,  verificatasi
 l'estinzione di quel  processo,  rimane  a  tutte  la  possibilita'  di
 riproporre la stessa domanda in un nuovo giudizio, e rispettivamente di
 proporre  domanda  di accertamento negativo sul medesimo oggetto. Ed e'
 superfluo aggiungere  che  tale  liberta'  di  iniziativa  si  verifica
 sempre,  in  egual  misura  per  ambo  le  parti,  in  ogni  ipotesi di
 interruzione o di successiva estinzione  del  processo,  in  base  alle
 disposizioni degli artt. 299 e seguenti del codice di procedura civile,
 potendo  ciascuno prevenire la parte avversa con la propria iniziativa,
 o riparare alla sua inerzia processuale.