ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio sul conflitto di  competenza,  sollevato  dal  Giudice
 istruttore presso il tribunale di Roma, nei confronti della Commissione
 parlamentare inquirente per i giudizi d'accusa, con ordinanza emessa il
 28  giugno  1974  nel procedimento penale a carico di Scialotti Aldo ed
 altri.
     Udito nella camera di consiglio  del  9  gennaio  1975  il  Giudice
 relatore Vezio Crisafulli;
     uditi  l'on.  avv. prof. Giuseppe Codacci Pisanelli, rappresentante
 della Commissione parlamentare inquirente per i giudizi d'accusa, e  il
 dott.  Renato  Squillante,  Giudice  istruttore  presso il tribunale di
 Roma.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Con ordinanza emessa  il  28  giugno  1974  nel  corso  di  un
 procedimento  penale  a  carico  di Scialotti Aldo ed altri, il Giudice
 istruttore presso il tribunale  di  Roma  denunciava  un  conflitto  di
 giurisdizione-competenza,  ai  sensi dell'art. 13, secondo comma, della
 legge  25  gennaio  1962,  n.  20,  nei  confronti  della   Commissione
 parlamentare inquirente per i giudizi di accusa, assumendo che questa -
 ottenuto in visione l'incarto processuale relativo a quel procedimento,
 con   la  sola  eccezione  dei  documenti  acquisiti  in  sequestro  ed
 indispensabili  ad  indagini  peritali  gia'  commesse  -   dopo   aver
 successivamente  disatteso  un  invito a restituire anche solo in copia
 fotostatica gli stessi atti, comunicava attraverso una lettera  del  22
 maggio  1974,  a  firma  del  Presidente  della  Camera  dei  deputati,
 richiesta formale per la loro acquisizione, congiunta peraltro  ad  una
 autorizzazione   al  proprio  presidente  a  trasmettere  la  fotocopia
 autentica  degli  atti  necessari  all'autorita'  giudiziaria   e   gli
 originali  di  quelli  non pertinenti ai fini della propria competenza.
 Rimasta priva  di  esito  una  ulteriore  nota,  indirizzata  sia  alla
 Presidenza  della Camera dei deputati sia a quella della Commissione ed
 intesa  a  ricevere  la  materiale  restituzione  dell'intero   incarto
 processuale,  come  pure  copia  della motivazione dell'atto conclusivo
 della Commissione stessa, il Giudice istruttore ha rimesso  alla  Corte
 la risoluzione del conflitto cosi' insorto, chiedendo in via principale
 una   pronuncia   favorevole   alla   propria  giurisdizione-competenza
 nell'assunto della inapplicabilita' al caso  di  specie  dell'art.  13,
 primo  comma,  della legge n. 20 gia' ricordata, ed in via subordinata,
 per l'ipotesi cioe' che tale  norma  fosse  ritenuta  applicabile,  una
 dichiarazione di illegittimita' della stessa per violazione degli artt.
 101, secondo comma, 112, 102, primo comma, 24, secondo comma, 25, primo
 comma, e 3, primo comma, della Costituzione.
     2. - Il Consigliere istruttore presso il tribunale di Roma, con una
 successiva  ordinanza  del  3  luglio,  nell'assegnare  a  se' medesimo
 l'istruttoria  in  corso,  riservava  ogni  altra  decisione   per   la
 prosecuzione  della stessa all'esito delle delibere che sarebbero state
 prese  dalla  Commissione  inquirente  od  all'esito della pronuncia di
 questa Corte. Nella sua motivazione  tale  seconda  ordinanza  esprime,
 peraltro, il convincimento che non potesse ancora parlarsi di un vero e
 proprio  "contrasto",  risultando  che  la  Commissione  sarebbe  stata
 prossima  ad  evadere  l'ultima  richiesta   inoltratale   dall'ufficio
 istruzione  e  sussistendo cosi' le premesse per superare agevolmente e
 rapidamente la questione. Ed infatti lo stesso giorno 28  giugno,  data
 dell'ordinanza   che   elevava   il   conflitto,  il  Presidente  della
 Commissione inquirente aveva comunicato al Presidente  della  Camera  e
 per conoscenza al Consigliere istruttore che la Commissione, "accedendo
 alla  richiesta  del  Consigliere  istruttore" aveva deliberato che gli
 atti a suo  tempo  inviati  in  visione  venissero  restituiti,  appena
 ultimata  la  riproduzione  in  fotocopia  degli  stessi,  gia' in fase
 avanzata; al contempo la Commissione chiedeva copia dei  restanti  atti
 processuali.
     3.  -  Il  18  luglio successivo la Commissione inquirente, a norma
 dell'art. 13 della  legge  n.  20  del  1962  e  dell'art.  49  c.p.p.,
 "ritenuta opportuna la separazione del procedimento contro Scialotti ed
 altri" e richiamata la propria ordinanza del 21 maggio che veniva unita
 in  copia,  deliberava  di  trasmettere  all'autorita'  giudiziaria  il
 fascicolo  processuale  in  questione,  richiedendo  al   contempo   la
 restituzione  in  originale  di  alcuni  atti indicati in allegato alla
 delibera stessa, in ordine ai quali "la Commissione  ha  dichiarato  la
 propria  competenza  per i fatti da essi emergenti e configurabili come
 ipotesi di responsabilita' ministeriali". Decideva altresi' di chiedere
 all'autorita' giudiziaria copia della documentazione relativa agli atti
 medesimi.
     Le due delibere della Commissione inquirente, nonche' le  ordinanze
 del Giudice istruttore Squillante e del Consigliere Gallucci sono state
 trasmesse  alla  Corte dallo stesso Consigliere istruttore, con missiva
 in data 22 luglio.
     4. - Alla pubblica udienza del 9 ottobre 1974 questa  Corte,  prima
 di   procedere   al   sorteggio   dei  giudici  aggregati,  accogliendo
 un'eccezione proposta dalla difesa di una delle parti civili, sollevava
 innanzi  a  se'  medesima  questione  di  legittimita'   costituzionale
 dell'art. 11, secondo comma, della legge n. 20 del 1962, nella parte in
 cui  dispone  che la decisione sui conflitti tra Commissione inquirente
 per i procedimenti di accusa o Parlamento in seduta comune e  autorita'
 giudiziaria debba farsi dalla Corte nella composizione integrata di cui
 all'ultimo comma dell'art. 135 della Costituzione: e cio' per contrasto
 con   gli   artt.   134  e  135  della  Costituzione.  Altra  questione
 relativamente alla stessa disposizione, nella parte  in  cui  prescrive
 che   la   decisione   sul   conflitto   debba   avvenire  "sentito  un
 rappresentante della Commissione inquirente", e non  anche  l'autorita'
 giudiziaria,  veniva poi sollevata d'ufficio, in riferimento agli artt.
 24 e 134 della Costituzione. Entrambe le questioni erano  poi  discusse
 alla  pubblica  udienza  del 6 novembre e decise con la sentenza n. 259
 del 1974, che dichiarava la illegittimita' delle norme impugnate.
     5. - Il 9 gennaio 1975, la Corte riunita  in  camera  di  consiglio
 sentiti  il  Giudice  istruttore  dott.  Squillante e il rappresentante
 della  Commissione  inquirente,  on.   Codacci   Pisanelli,   esaminava
 preliminarmente  il problema relativo all'asserito diritto del pubblico
 ministero del processo a quo di prender parte alla  udienza  nella  sua
 qualita'   di  rappresentante  dell'autorita'  giudiziaria  insieme  al
 Giudice istruttore, emanando al riguardo la  seguente  ordinanza  della
 quale veniva data immediata lettura:
     "La Corte
     "Ritenuto che il contraddittorio innanzi a questa Corte deve essere
 limitato al rappresentante della Commissione parlamentare inquirente ed
 all'autorita' giudiziaria legittimata a sollevare il conflitto;
     "che  nel  corso di una istruttoria formale legittimato a sollevare
 il  conflitto  e'  il  Giudice  istruttore  e  non  anche  il  pubblico
 ministero;
     "che  pertanto  nell'attuale procedimento legittimato a partecipare
 al contraddittorio  e'  il  Giudice  istruttore  che  ha  sollevato  il
 conflitto,
     respinge
     l'istanza del Giudice istruttore".
     Nel  corso  della  discussione  successiva  il  Giudice  istruttore
 insisteva  per   l'accoglimento   delle   conclusioni   principali   ed
 eventualmente  di  quelle subordinate contenute nella sua ordinanza del
 28 giugno, mentre il rappresentante della  Commissione  inquirente,  in
 via  preliminare, sollevava eccezione di illegittimita' costituzionale:
 a) in riferimento agli artt. 96 e 134 Cost., dell'art. 13  della  legge
 n.  20  del 1962, nella parte in cui stabilisce che, solo quando vi sia
 un procedimento dinanzi all'autorita' giudiziaria ordinaria a carico di
 alcune delle persone indicate negli artt. 90 e 96  della  Costituzione,
 la Commissione inquirente puo' informare il Presidente della Camera dei
 deputati  perche'  richieda  all'autorita'  giudiziaria  gli  atti  del
 processo; b) in riferimento agli artt. 3,24 e 134 Cost.,  dell'art.  11
 della  stessa  legge,  nella  parte  in cui tale disposizione legittima
 l'autorita' giudiziaria, e  non  anche  la  Commissione  inquirente,  a
 sollevare  conflitto innanzi alla Corte costituzionale per la decisione
 sulle rispettive competenze. Sulla prima delle due questioni il Giudice
 istruttore esprimeva l'avviso che fosse rilevante e non  manifestamente
 infondata;  sulla  seconda,  che  fosse  anch'essa  non  manifestamente
 infondata, ma, a differenza della precedente, irrilevante  nell'attuale
 giudizio.
     In  pari  tempo,  il  rappresentante  della  Commissione inquirente
 chiedeva declaratoria  della  avvenuta  cessazione  della  materia  del
 contendere  deducendo  che  tutti  gli  atti del procedimento Scialotti
 erano stati ormai restituiti all'autorita' giudiziaria, conformemente a
 quanto risulta dalla lettera del Presidente della Commissione  in  data
 28  giugno  1974.  La tesi era contestata dal Giudice istruttore, sulla
 base della richiesta, contenuta  nell'ordinanza  del  18  luglio  della
 Commissione  inquirente,  di restituzione "in originale" di alcuni atti
 del procedimento.
                         Considerato in diritto:
     1. - Conviene anzitutto prendere in esame le richieste avanzate dal
 rappresentante della Commissione inquirente nel corso della discussione
 in camera di consiglio, che hanno carattere  pregiudiziale  o  comunque
 assorbente.
     Viene per prima in considerazione, in ordine logico, la tesi stando
 alla quale, a seguito della disposta - e poi materialmente effettuata -
 restituzione  degli  atti  dell'intero procedimento contro Scialotti ed
 altri all'Ufficio istruzione, come dalla nota a  firma  del  Presidente
 della  Commissione  inquirente  in  data  28  giugno  1974,  inviata al
 Presidente   della  Camera  e  per  conoscenza  all'Ufficio  istruzione
 medesimo, dovrebbe dichiararsi cessata la ragione del contendere.
     Ma all'accoglimento di siffatta tesi osta, se non altro,  il  testo
 della  successiva ordinanza della stessa Commissione in data 18 luglio,
 contenente  la  richiesta  "in  originale"  di  determinati  atti   del
 procedimento,    unitamente    alla   deliberazione   "di   trasmettere
 all'autorita' giudiziaria ordinaria il fascicolo processuale  relativo"
 al  (restante)  procedimento  contro  Scialotti ed altri, del quale era
 ritenuta - in premessa - "opportuna separazione". Per effetto  di  tale
 deliberazione,  l'area  del  conflitto  risulta,  bensi',  ridotta, nei
 confronti di quella emergente  dalle  precedenti  determinazioni  della
 Commissione,   senza   tuttavia  che  possano  dirsene  venuti  meno  i
 presupposti  e  l'oggetto:  quest'ultimo  circoscrivendosi,  ora,  alla
 legittima  sussistenza  o meno di un obbligo dell'Ufficio istruzione di
 rimettere alla Commissione,  ed  in  originale,  quei  tali  documenti,
 spogliandosi con cio' stesso, ed almeno temporaneamente, di ogni potere
 in merito ai fatti cui gli stessi hanno riferimento.
     Ne'  vale  obiettare,  come  ha  fatto  nella  discussione orale il
 rappresentante della Commissione inquirente,  che  l'ordinanza  del  18
 luglio  sarebbe  atto meramente "interno", non essendo stata comunicata
 all'autorita' giudiziaria per il tramite del Presidente  della  Camera,
 cosi'  come  sarebbe previsto in genere dall'art. 13 della legge n. 20,
 poiche' non vi ha dubbio che essa sia  stata  portata  ufficialmente  a
 conoscenza  dell'autorita'  giudiziaria,  che ne era, anzi, la naturale
 destinataria, nulla rilevando ai fini  che  qui  interessano  eventuali
 irregolarita' formali della procedura seguita per la comunicazione.
     Che  la  situazione sulla quale la Corte e' chiamata a pronunciarsi
 si atteggi, dunque, al momento attuale, nei termini  teste'  descritti,
 e'  ulteriormente  confermato dalla circostanza che anche la piu' volte
 ricordata ordinanza del  18  luglio  della  Commissione  inquirente  e'
 inclusa nel fascicolo degli atti del conflitto trasmessi a questa Corte
 dal  Consigliere  istruttore  dott. Gallucci con la nota del 22 luglio,
 nella quale viene espressamente precisato  che  entrambe  le  ordinanze
 della Commissione (e cioe', cosi' quella del 21 maggio come l'altra del
 18  luglio)  sono  allegate in copia "per l'integrazione degli elementi
 necessari alla formazione del giudizio" di spettanza della Corte. Tanto
 piu' che lo stesso Consigliere istruttore nella  sua  ordinanza  del  3
 luglio  riteneva,  "onde  fornire  alla  Corte  costituzionale una piu'
 completa motivazione", che la precedente ordinanza in data  28  giugno,
 con   cui   il  Giudice  istruttore  aveva  inizialmente  sollevato  il
 conflitto, potesse utilmente essere integrata dalle determinazioni  che
 la  Commissione  inquirente,  secondo quanto frattanto preannunciato in
 una lettera del suo Presidente, era sul punto di adottare, e adotto' in
 effetti con l'ordinanza del 18 luglio.
     La richiesta del rappresentante della  Commissione  inquirente  che
 sia dichiarata la cessazione della ragione del contendere deve pertanto
 essere disattesa.
     2.  -  In alternativa, il predetto rappresentante della Commissione
 inquirente ha sollevato questioni di  legittimita'  costituzionale:  a)
 dell'art.  13  della  legge  n. 20, nella parte in cui limita il potere
 della Commissione di richiedere (o di  provocare  la  richiesta)  degli
 atti  di  un procedimento penale davanti all'autorita' giudiziaria alla
 sola ipotesi che  detto  procedimento  senza  carico  di  alcune  delle
 persone  indicate negli artt. 90 e 96 della Costituzione", derivandone,
 secondo  l'assunto,  violazione del principio dello stesso art. 96 (per
 quanto rileva nel caso  in  oggetto),  che  riserva  al  Parlamento  il
 promovimento  dell'accusa nei confronti dei ministri per reati commessi
 nell'esercizio  delle  loro  funzioni;  b)  dell'art.  11  della  legge
 medesima,  nella  parte in cui legittima l'autorita' giudiziaria, e non
 anche la Commissione inquirente, a  sollevare  conflitto  dinanzi  alla
 Corte  costituzionale per la delimitazione delle rispettive competenze,
 con violazione (come si afferma) degli artt. 3 e 24  Cost.,  stante  la
 disparita'  di  trattamento che ne risulterebbe tra i due poteri quanto
 ai mezzi esperibili a tutela delle proprie ragioni.
     Quest'ultima eccezione e' manifestamente irrilevante, non dovendosi
 nel presente giudizio fare  applicazione  dell'art.  11,  che  concerne
 l'ipotesi   di  due  procedimenti  simultaneamente  pendenti,  in  sede
 parlamentare e davanti ad una autorita'  giudiziaria,  per  gli  stessi
 fatti:  laddove nella specie, non risulta, ne' viene comunque sostenuto
 dalla Commissione inquirente, che anteriormente all'ordinanza  da  essa
 adottata il 21 maggio, dalla quale trae origine il sollevato conflitto,
 fosse pendente davanti alla Commissione medesima, e sia pure nella fase
 delle indagini preliminari, alcun procedimento per gli stessi fatti che
 erano  e  sono  oggetto del procedimento in corso di istruttoria contro
 Scialotti ed altri.
     Rilevante sarebbe, invece, la questione concernente l'articolo  13,
 poiche'  su questo esplicitamente dichiarano di fondarsi l'ordinanza 21
 maggio della Commissione  inquirente  e  la  conseguente  richiesta  di
 trasmissione  degli  atti  inviata  il giorno successivo dal Presidente
 della Camera all'Ufficio istruzione, nonche' la piu' recente  ordinanza
 della  Commissione  medesima  del  18  luglio; e d'altro canto, proprio
 muovendo dall'assunto di una  errata  applicazione  della  disposizione
 stessa,  il conflitto e' stato sollevato dal Giudice istruttore. Al che
 nulla toglie qualche  oscillazione,  ravvisabile  nelle  determinazioni
 della  Commissione  susseguitesi  lungo l'arco dell'intera vicenda, tra
 l'ipotesi dell'art 13 e quella di connessione di procedimenti, regolata
 dall'art. 16 della legge  n.  20  (richiamato,  ad  esempio,  sia  pure
 collateralmente, nella ordinanza 21 maggio, insieme agli artt. 45, 49 e
 50  cod.  proc.   pen.; mentre la stessa "separazione" del procedimento
 Scialotti, di cui all'ultima ordinanza del 18 luglio, sembra  suggerita
 da  quanto  previsto nel secondo comma dell'art. 16 e nel testo di tale
 ordinanza si fa d'altronde riferimento, oltre che all'articolo 13 della
 legge, all'art. 49 del codice predetto, disciplinante  tra  l'altro  la
 competenza  della  cessata Alta Corte di giustizia a conoscere di reati
 connessi.
     Ma la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13,  anche
 se  rilevante  (non potendosi da tale disposizione comunque prescindere
 nel presente  giudizio),  ne  presuppone  una  angusta  e  formalistica
 lettura,  omettendo  di  inquadrarla  - come si deve, secondo guanto si
 verra' mostrando in prosieguo - nel sistema complessivo tracciato dalla
 legge n.  20: da ricondursi armonicamente, a sua volta, ai principi  di
 grado  costituzionale  che  presiedono alla disciplina della materia in
 oggetto.
     3.   -   Parimenti   inadeguata,   per   identiche   ragioni,    e'
 l'interpretazione  da  cui  muove l'ordinanza del Giudice istruttore, a
 cominciare da quel  che  concerne,  prima  ancora  che  l'art.  13,  le
 condizioni alle quali sarebbe subordinata la facolta' della Commissione
 di   attivarsi   in   presenza   di  possibili  reati  ministeriali  (o
 presidenziali)  sostenendosi  - in ordine a questo primo punto - che ad
 essa  sarebbe  preclusa  qualsiasi  iniziativa  ove   non   sia   stata
 sollecitata  da  una  notitia criminis qualificata, a norma dell'art. 2
 della legge e degli artt. 13 e 14 del regolamento parlamentare,  ovvero
 non  sia stata investita da un'autorita' giudiziaria, a norma dell'art.
 10 della legge.
     Siffatta impostazione e' contraddetta, peraltro, dal secondo  comma
 dell'art.  3  della legge, alla stregua del quale la Commissione, oltre
 ad avere gli stessi poteri  "compresi  quelli  coercitivi  e  cautelari
 attribuiti  dal  codice  di  procedura  penale  al  pubblico  ministero
 nell'istruzione sommaria", come afferma il primo comma, "esercita anche
 gli altri poteri attribuiti al pubblico ministero dallo stesso  codice,
 salvo  che  sia  diversamente disposto dalla presente legge". Non vi ha
 dubbio, invero, che tra i poteri del pubblico ministero, rientri, e sia
 anzi fondamentale, quello di promuovere l'azione penale,  a  norma  del
 combinato  disposto  degli artt. 74 e 1 cod.  proc. pen. (e cioe', come
 previsto da quest'ultimo, in seguito a rapporto, referto,  denuncia  "o
 ad  altra  notizia  del  reato")  e  di compiere gli atti di istruzione
 preliminare strumentalmente necessari (art. 2321;  ne'  si  rinvengono,
 nel  testo  della  legge  n.   20, norme che possa ritenersi dispongano
 "diversamente", realizzando cosi'  l'eccezione  ipotizzata  dall'inciso
 finale del citato art. 3, secondo comma, della legge stessa.
     Sembrano,  a  prima impressione, avere una portata piu' restrittiva
 gli artt.  13  e  14  del  regolamento,  nei  quali  (diversamente  dal
 menzionato  art. 1 cod. proc. pen.) non si accenna ad altra notizia del
 reato, all'infuori del rapporto, referto o denuncia,  e  sono  regolate
 poi  analiticamente  le  modalita' con cui rapporto, referto o denuncia
 sono dal Presidente della  Camera  (che  ne  accerta,  "se  del  caso",
 l'autenticita') trasmessi alla Commissione, estendendosi tali modalita'
 anche all'ipotesi di cui all'art. 10 della legge.
     Ma,  anche  a  prescindere  dal  problema  se  limiti ai poteri del
 pubblico  ministero  spettanti  alla  Commissione  inquirente   possano
 validamente  essere introdotti da fonte diversa da quella stessa legge,
 che testualmente li consente in quanto risultanti  da  disposizioni  in
 essa  ricomprese,  una piu' attenta riflessione induce a concludere che
 il regolamento ha semplicemente inteso disciplinare i rapporti  interni
 tra  Presidente  della Camera e Commissione inquirente, avendo presente
 l'id quod plerunque accidit e senza escludere ipotesi diverse: come, ad
 esempio, quella di denuncia pervenuta direttamente alla  Commissione  o
 come  quella  di  notizie  di  fatti  suscettibili  di  adombrare reati
 ministeriali,  di  pubblico  dominio,  perche'  apparse  sulla   stampa
 quotidiana  e  periodica,  ed  aventi  -  per  di  piu' - riferimento a
 procedimenti giudiziari in corso.
     4. - In secondo luogo, ed in  stretto  collegamento  con  il  primo
 rilievo  che  si e' preso in esame al punto precedente, l'ordinanza del
 Giudice  istruttore  contesta  che  la  Commissione  inquirente   possa
 disporre  l'avocazione  di  un  procedimento o chiederne in visione gli
 atti (fuori  dei  casi  di  connessione  con  altro,  dinanzi  ad  essa
 pendente),  se  non  si tratti di procedimento "a carico" di taluno dei
 soggetti di cui  all'articolo  96  Cost.,  poiche'  soltanto  a  questa
 specifica ipotesi avrebbe riguardo l'art. 13 della legge. Viene percio'
 in   considerazione,  a  questo  punto,  il  problema  del  significato
 sistematicamente  attribuibile  al  detto  art.  13,  coinvolgendo  sia
 l'eccezione   di  incostituzionalita'  dello  stesso  (ove  se  ne  dia
 l'interpretazione   letterale   e  restrittiva  accolta  dal  Giudice),
 proposta dal rappresentante  della  Commissione  sia  le  questioni  di
 legittimita'   costituzionale  prospettate,  in  ordine  alla  medesima
 disposizione, nell'ordinanza del Giudice istruttore, subordinatamente -
 invece - all'opposta ipotesi, di una interpretazione  estensiva,  quale
 sarebbe  implicita  nelle  determinazioni  adottate e nei comportamenti
 posti in essere dalla Commissione inquirente.
     Al riguardo deve muoversi dalla sicura premessa che, a norma  degli
 artt.  90,  96, 134 e 135 Cost., esclusivamente competente a promuovere
 l'azione penale contro i ministri per i reati  commessi  nell'esercizio
 delle  loro  funzioni (cosi' come contro il Presidente della Repubblica
 per alto tradimento e attentato alla Costituzione) e' il Parlamento  in
 seduta  comune  al  quale e' altresi' riservato di compiere le indagini
 istruttorie a tal fine  necessarie  (come  risulta  anche  testualmente
 dall'articolo  12  della legge cost. n. 1 del 1953, laddove prevede che
 l'accusa  sia  deliberata  a  Camere  riunite  "su  relazione  di   una
 Commissione  costituita di dieci deputati e di dieci senatori eletti da
 ciascuna  Camera  ogni  volta  che  si   rinnova,   con   deliberazione
 adottata...  in  conformita'  del  proprio regolamento"); mentre, a sua
 volta,  esclusivamente  competente  a  giudicare  delle  accuse   cosi'
 promosse  e'  la  Corte  costituzionale,  nella  speciale  composizione
 "integrata" di cui all'ultimo comma dell'art. 135. E' dunque la  stessa
 Costituzione  che  deroga,  cosi',  ai  principi richiamati dal Giudice
 istruttore, contenuti nel Titolo IV della sua Parte  seconda,  relativi
 alla  indipendenza  dei  giudici,  ed  in  particolare alla autonomia e
 indipendenza dell'ordine giudiziario  da  ogni  altro  potere,  nonche'
 della  obbligatorieta'  dell'azione  penale,  esercitata  dal  pubblico
 ministero (che non significa, tuttavia, come questa Corte ha gia' avuto
 occasione di rilevare, ed e' riconosciuto nella ordinanza  del  Giudice
 istruttore,  esclusiva  spettanza  della stessa a quest'organo), e cio'
 allo scopo  di  garantire  d'altro  lato  la  indipendenza  del  potere
 politico  contro  ogni  indebita  ingerenza suscettibile di alterare la
 reciproca parita' e la necessaria distinzione tra i poteri dello Stato.
     Discende, in  primo  luogo,  dalla  premessa  che  procedimenti  "a
 carico"  delle  persone indicate negli artt. 90 e 96 Cost., neppure nel
 piu' ampio senso che a questa formula  deve  darsi  per  effetto  delle
 modifiche  al  codice,  successive alla legge n.20, di cui alle leggi 5
 dicembre 1969, n.  932,  e  15  dicembre  1972,  n.  773,  non  possono
 essercene,   salvo   che   nella  circoscritta  ipotesi  di  reati  non
 ministeriali  (o  non   ritenuti   tali   dall'aurorita'   giudiziaria)
 soggettivamente   riferibili  a  taluna  di  quelle  persone,  prevista
 nell'art. 12 della legge nonche', nella sua  dizione  letterale,  dallo
 stesso  art.  13.  Del  che  si  ha  conferma  a  livello di normazione
 ordinaria nell'art. 2 della legge de qua. prescrivente che  l'autorita'
 (qualunque  essa  sia,  compresa  una  autorita'  giudiziaria,  a norma
 dell'art. 7  cod.    proc.  pen.),  alla  quale  sia  stato  presentato
 rapporto,  referto o denuncia relativamente ad un fatto di cui all'art.
 96 e all'art.   90 Cost., "deve  curarne  l'immediata  trasmissione  al
 Presidente"  della  Camera,  che  dovra'  a  sua  volta  investirne  la
 Commissione inquirente (art. 14, reg. parl.).
     Dal  coordinamento  degli  artt.  12  e  13  della  legge  si  trae
 ulteriormente  con sicurezza che, se la Commissione, andando in diverso
 avviso, "ritiene che il fatto integra  alcuna  delle  ipotesi  previste
 dagli  stessi articoli" (90 e 96 Cost.), ne informa il Presidente della
 Camera  dei  deputati,  il  quale richiede all'autorita' giudiziaria la
 trasmissione    degli    atti;    quest'ultima     potendo     esimersi
 dall'ottemperare,  soltanto sollevando conflitto dinanzi a questa Corte
 per rivendicare la propria competenza.  Ma,  affinche'  la  Commissione
 inquirente  sia  in  grado  di  ritenere  che  il  reato  abbia  natura
 ministeriale (o rientri nell'art. 90), deve poter  prendere  conoscenza
 degli  atti  del  procedimento, anche chiedendone copia, in tutto od in
 parte, secondo le circostanze. La possibilita', quindi, di  una  simile
 richiesta  della Commissione e' da ritenersi implicitamente presupposta
 dall'art. 13, anche ad assumerne il significato piu' restrittivo.
     5. -  Dalla  premessa  di  ordine  costituzionale  sopra  affermata
 discende  altresi'  un  secondo  corollario,  e precisamente che poteri
 analoghi a quelli  teste'  descritti  non  possono  non  spettare  alla
 Commissione  inquirente, sempre con l'onere dell'autorita' giudiziaria,
 che non intenda aderire, di sollevare conflitto, anche  in  ogni  altra
 ipotesi  di  fatti  suscettibili  di  integrare  gli  estremi  di reati
 ministeriali, dei quali  la  Commissione  abbia  notizia  e  che  siano
 comunque   emersi   nel   corso  di  procedimenti  giudiziari,  pur  se
 originariamente non "a carico" di ministri. Se cosi' non fosse,  coloro
 che  tale ufficio ricoprono od hanno ricoperto potrebbero eventualmente
 essere sottratti ad ogni responsabilita', non essendo lecito  -  da  un
 lato  -  ad  alcuna  autorita'  giudiziaria  (ordinaria  o militare) di
 compiere nei loro confronti, per fatti  inerenti  alle  loro  funzioni,
 atti  istruttori  ne'  tanto  meno  di  promuovere  azione  penale e di
 giudicarli per accertarne le responsabilita'; ed essendo - d'altro lato
 - inibita al Parlamento, e per esso anche alla Commissione  inquirente,
 qualsiasi  iniziativa  a  cio'  rivolta:  che  non  e',  certamente, il
 risultato  che  la  riserva  costituzionale  agli  organi  parlamentari
 (quanto all'accusa) ed alla Corte costituzionale (quanto al giudizio su
 di essa) e' diretta a conseguire.
     Passando  ora  alla legge n. 20, alla luce dei predetti criteri, e'
 da rilevarsi anzitutto che soltanto negli artt. 12 e 13 detta legge  ha
 testuale   riferimento  all'elemento  soggettivo  (necessario,  ma  non
 sufficiente, ad integrare le ipotesi degli artt. 90  e  96  Cost.);  in
 tutte  le  altre sue disposizioni che interessano il punto in esame, si
 parla invece  di  "fatto"  (o  di  "fatti",  al  plurale),  oggetto  di
 rapporto,  referto  o  denuncia  (art.  2), o di un procedimento penale
 pendente, in qualsiasi fase, davanti ad un'autorita' giudiziaria  (art.
 10),   ovvero   di   un  simultaneo  processo  in  sede  giudiziaria  e
 parlamentare (art.   11); o  in  relazione  al  quale  sia  intervenuta
 dichiarazione  di  incompetenza  del  Parlamento  o  della Commissione,
 perche' "diverso" da quelli di cui agli artt. 90 e  96.  Ed  e'  ancora
 agli  "stessi  fatti"  che ha riguardo l'art. 15 nello stabilire che la
 definizione del procedimento di  accusa  per  una  causa  che  non  sia
 l'incompetenza ha efficacia preclusiva dell'azione penale.
     E'  da  rilevare,  in  secondo  luogo,  che  il potere di sollevare
 conflitto  a  tutela  della  propria  competenza   e'   dato   soltanto
 all'autorita'   giudiziaria;   ma  la  situazione,  che  sarebbe  cosi'
 sbilanciata a svantaggio degli organi parlamentari ed in contrasto  con
 la  sopra ricordata normativa costituzionale, puo' essere riequilibrata
 considerando che a questi ultimi e' riconosciuto, invece, il potere  di
 richiedere  gli atti del procedimento, ponendo l'autorita' giudiziaria,
 destinataria della richiesta, nell'alternativa di soddisfarla oppure di
 sollevare il conflitto.
     Ma  e'  chiaro che a tali conclusioni puo' giungersi soltanto se si
 ammette che il congegno previsto dall'art. 13 sia del pari  applicabile
 nelle  ipotesi  degli  artt.  10 e 11, quando la Commissione inquirente
 abbia motivo di ritenere che l'autorita' giudiziaria possa avere omesso
 di provvedere d'ufficio in conformita' a quanto ivi  prescritto:  fermo
 restando,  ovviamente,  il controllo di questa Corte, qualora sia adita
 dietro ricorso dell'autorita' giudiziaria medesima.
     Cosi' rettamente interpretato, l'art. 13 si sottrae alle censure di
 incostituzionalita' proposte dal rappresentante della Commissione,  che
 devono percio' ritenersi manifestamente infondate.
     6.   -  Accertato,  dunque,  che  la  Commissione  inquirente  puo'
 attivarsi per svolgere indagini sulla  base  di  notizie  di  possibili
 reati  di  sua  competenza,  ancorche' non tipiche o qualificate, e che
 puo'  altresi',  a  tal  fine,  richiedere  all'autorita'   giudiziaria
 ordinaria  o  militare,  in  visione,  gli  atti  o parte degli atti di
 procedimenti in  corso  anche  fuori  della  specifica  e  circoscritta
 ipotesi  ivi  letteralmente  denunciata,  di  guisa  che,  sotto questi
 aspetti, le  doglianze  del  Giudice  istruttore  sono  da  respingere,
 bisogna   peraltro   soggiungere   che   alla  Commissione  non  spetta
 l'ulteriore potere di avocare procedimenti,  precludendo  all'autorita'
 giudiziaria   dinanzi   alla   quale   essi   pendono   di   proseguire
 nell'assolvimento dei suoi  doveri  istituzionali,  senza  prima  avere
 affermato  in concreto la propria competenza, dichiarando, formalmente,
 aperta l'inchiesta, a norma dell'art. 19 del regolamento  parlamentare,
 o comunque personalizzando le indagini preliminari di cui al precedente
 art. 17, nei confronti di taluno dei soggetti indicati negli artt. 90 e
 96 della Costituzione.
     Se,  infatti, dai principi costituzionali sopra richiamati al punto
 4 si ricava l'esigenza di garantire che la Commissione inquirente ed il
 Parlamento siano messi in grado di esplicare  i  poteri  istruttori  ed
 accusatori ad essi riservati senza essere condizionati da discrezionali
 valutazioni    dell'autorita'   giudiziaria,   dagli   altri   principi
 costituzionali,  cui  pure  si  e'  in  quel  luogo  fatto  cenno,  che
 disciplinano  la  funzione giurisdizionale e le competenze degli organi
 che concorrono ad esercitarla, si trae parimenti, per altro verso,  che
 il  normale  corso della giustizia penale non puo' essere paralizzato a
 mera  discrezione  degli  organi  parlamentari,   potendo   e   dovendo
 arrestarsi unicamente nel momento in cui l'esercizio di questa verrebbe
 illegittimamente ad incidere su fatti soggettivamente ed oggettivamente
 ad essa sottratti e in ordine ai quali sia stata ritenuta la competenza
 degli organi parlamentari.
     Ne'  sarebbe  sufficiente,  al riguardo, richiamare l'art. 14 della
 legge, che prevede l'eventuale declaratoria di incompetenza  di  questi
 ultimi,  con  la  conseguente  restituzione  degli  atti  all'autorita'
 giudiziaria (ipotesi, questa, che non  contraddice  a  quanto  sin  qui
 osservato,  ben  potendo  accadere  che,  in  esito  agli  accertamenti
 istruttori compiuti, la competenza inizialmente affermata si riveli poi
 insussistente), poiche'  non  e'  da  escludere,  stante  l'assenza  di
 qualsiasi  prescrizione  in proposito, che, per un qualunque motivo, le
 indagini abbiano a protrarsi per un tempo cosi'  lungo  da  determinare
 conseguenze non riparabili.
     Cosi'   ulteriormente   precisato  il  significato  da  darsi  alla
 disposizione dell'art. 13, anche le censure prospettate  nell'ordinanza
 28  giugno del Giudice istruttore, subordinatamente all'accoglimento di
 una piu' lata  interpretazione,  che  con  quanto  precede  si  e'  qui
 disattesa, risultano assorbite e manifestamente infondate.
     7.  - Consegue dalle considerazioni precedenti che le doglianze del
 Giudice istruttore  vanno  accolte,  invece,  nella  parte  in  cui  si
 riferiscono  alla  richiesta,  contenuta  nell'ordinanza  del 18 luglio
 della Commissione inquirente, degli  atti  elencati  in  allegato  alla
 stessa,  in  originale,  disponendo  la  separazione  dei  medesimi dal
 procedimento contro Scialotti ed altri.
     Con tale  ordinanza,  infatti,  la  Commissione,  dopo  aver  avuto
 visione  degli atti dell'intero procedimento, non ha adottato una nuova
 e  specifica  declaratoria  di  competenza  "in  concreto",  sia   pure
 limitatamente  ad  una  parte  soltanto  del  detto procedimento, ma ha
 semplicemente  richiamato  e   confermato,   entro   un   ambito   piu'
 circoscritto,  la  dichiarazione  di  competenza  gia' risultante dalla
 precedente ordinanza del 21 maggio: che  era,  peraltro,  genericamente
 ipotetica, e poteva quindi giustificare la presa in visione degli atti,
 ma  non anche la loro acquisizione formale (o l'acquisizione formale di
 alcuni  tra  essi),  e   cioe'   l'avocazione   (totale   o   parziale)
 dell'istruttoria  sui  fatti  da  essi  emergenti.  Che  questo  sia il
 significato dell'ordinanza del 18 luglio si evince cosi'  dall'uso  del
 verbo  al  passato  ("in  ordine  ai  quali  ha  dichiarato  la propria
 competenza"), come dal puntuale richiamo all'ordinanza del  21  maggio,
 contestualmente trasmessa all'Ufficio istruzione del tribunale di Roma.
     Le  due successive delibere si integrano, cioe', a vicenda e devono
 qui essere valutate nella loro correlazione,  d'altronde  espressamente
 affermata. La competenza di cui e' parola - al passato - nell'ordinanza
 del  18  luglio  e'  dunque di compiere "tutti gli accertamenti utili a
 verificare la reale  sussistenza  dell'ipotesi"  che  "siano  adombrate
 responsabilita'  a  carico  di  persone  indicate  nell'art.  96  della
 Costituzione" (come si legge nell'ordinanza del 21 maggio), e solo se e
 quando siffatta verificazione sara' stata compiuta e avra'  dato  esito
 positivo,  potra'  porsi  un  problema  di  avocazione  degli  atti, ed
 eventualmente - poi - di connessione tra il procedimento  cosi'  aperto
 davanti   alla  Commissione  e  quello  frattanto  proseguito  in  sede
 giudiziaria.