ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 21, terzo
 comma, della legge 21 luglio 1965,  n.  903;  36,  secondo  comma,  del
 d.P.R. 27 aprile 1968, n. 488; 43, secondo comma, della legge 30 aprile
 1969,  n.  153;  e  6,  primo  comma,  del d.l. 30 giugno 1972, n. 267,
 convertito  in  legge  11  agosto  1972,  n.   485,   sui   trattamenti
 pensionistici  ed  assistenziali,  promosso  con ordinanza emessa il 28
 ottobre 1972 dal tribunale di Rieti nel  procedimento  civile  vertente
 tra  Lucantoni Antonio e l'Istituto nazionale della previdenza sociale,
 iscritta al n.   19 del registro  ordinanze  1973  e  pubblicata  nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 55 del 28 febbraio 1973.
     Visto   l'atto   di   costituzione  dell'Istituto  nazionale  della
 previdenza sociale;
     udito nell'udienza pubblica del 5 marzo 1975  il  Giudice  relatore
 Guido Astuti;
     udito l'avv. Giovanni Battista Rossi Doria, per l'INPS.
                           Ritenuto in fatto:
     Nella  causa civile vertente tra Lucantoni Antonio e l'INPS, avente
 ad oggetto maggiorazione della pensione  per  familiare  a  carico,  il
 tribunale  di Rieti ha sollevato, di ufficio, in riferimento agli artt.
 3, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione,  la  questione
 di legittimita' costituzionale degli artt. 21, terzo comma, della legge
 21  luglio  1965, n. 903, 36, secondo comma, del d.P.R. 27 aprile 1968,
 n. 488, 43, secondo comma, della legge 30 aprile 1969,  n.  153,  e  6,
 primo  comma,  del  d.l. 30 giugno 1972, n. 267, convertito in legge 11
 agosto 1972, n. 485.
     Secondo  l'ordinanza  di  rinvio,  la  normativa   impugnata,   nel
 prevedere  un minor limite massimo di reddito del coniuge a carico, non
 ostativo all'aumento della pensione dell'altro coniuge, nell'ipotesi di
 redditi non derivanti esclusivamente da pensione, urterebbe  contro  il
 principio  di  eguaglianza  e  lederebbe  il  diritto del lavoratore ad
 ottenere per il caso di vecchiaia,  mezzi  adeguati  alle  esigenze  di
 vita.
     Si  e' costituito in giudizio l'Istituto nazionale della previdenza
 sociale, deducendo l'infondatezza della questione proposta.
                         Considerato in diritto:
     1. - L'ordinanza di rimessione solleva, in riferimento  agli  artt.
 38,  secondo  comma, e 3, primo comma, della Costituzione, la questione
 di legittimita' costituzionale degli artt. 21, terzo comma, della legge
 21 luglio 1965, n.  903; 36, secondo comma, del d.P.R. 27 aprile  1968,
 n.    488; 43, secondo comma, della legge 30 aprile 1969, n.  153, e 6,
 primo comma del decreto legge 30 giugno 1972,  n.  267,  convertito  in
 legge  11  agosto  1972, n. 485, "nella parte in cui prevedono un minor
 limite massimo di reddito del coniuge a carico non ostativo all'aumento
 della pensione dell'altro coniuge nell'ipotesi di redditi non derivanti
 esclusivamente da pensione".
     Osserva il giudice a quo che l'aumento della pensione  INPS  quando
 il  titolare abbia il coniuge convivente a carico costituisce una forma
 di integrazione del trattamento previdenziale dei  lavoratori,  mirante
 ad  assicurarne,  per  quanto  possibile,  l'adeguamento  alle esigenze
 normali di vita, tra le quali non possono non comprendersi, - ancorche'
 la formulazione dell'art. 38, secondo  comma,  della  Costituzione  sia
 diversa  da  quella  dell'art.  36,  primo  comma  -  ,  "anche  quelle
 particolari derivanti  dalla  posizione  di  capo  della  famiglia  del
 lavoratore  pensionato,  e  dal  carico  che su di lui eventualmente si
 riversa  per  il  sostentamento  del  coniuge".  Pertanto,  dopo   aver
 attribuito  tale  diritto  e  riconosciuto  che  un determinato reddito
 personale e' insufficiente all'autonomo  sostentamento  del  coniuge  a
 carico, il legislatore non potrebbe negare il diritto all'aumento della
 pensione,  quando  il  coniuge  a carico goda di un reddito inferiore a
 quello  gia'   ritenuto,   in   identiche   condizioni,   insufficiente
 all'autonomo   sostentamento,   solo   per  la  sua  diversa  natura  o
 provenienza. In  tal  guisa  sarebbe  violato  anche  il  principio  di
 eguaglianza, "perche' il fondamento e la natura del diritto all'aumento
 della  pensione per il coniuge a carico non puo' che indurre a ritenere
 irrilevante la provenienza del reddito del familiare stesso al fine  di
 discriminare   il  diritto  del  pensionato  all'ottenimento  di  mezzi
 adeguati alle esigenze di vita sue e del coniuge a carico".
     2. - La questione, sulla cui rilevanza ai fini della decisione  del
 giudizio  di  merito  l'ordinanza  fornisce  esauriente motivazione, e'
 fondata. La prima delle disposizioni denunciate (art. 21, terzo  comma,
 della  legge  21  luglio  1965, n. 903), ha riconosciuto ai titolari di
 pensioni INPS determinati aumenti delle loro pensioni, per la moglie  a
 carico  o  per il marito a carico invalido al lavoro, "purche' essi non
 abbiano proventi di qualsiasi natura superiori  nel  complesso  a  lire
 17.000  mensili,  o  a  lire  24.500  mensili  ove si tratti di redditi
 derivanti esclusivamente da trattamento di pensione"; e le disposizioni
 successive sopra ricordate  hanno  con  analoghe  formule  gradualmente
 elevato  questi  limiti  di  reddito  personale  del  coniuge a carico,
 mantenendo ferma la distinzione tra i redditi derivanti da  trattamento
 di  pensione  e  gli  altri  proventi  di qualsiasi natura. Solo con il
 decreto legge 30 giugno 1972, n. 267, convertito  in  legge  11  agosto
 1972,  n.  485,  la  distinzione,  ancora  conservata  dal  primo comma
 dell'art. 6 fino al 30 giugno 1972,  e'  stata  eliminata  dal  secondo
 comma  del medesimo art. 6, a decorrere dal 1 luglio dello stesso anno,
 con riferimento ad una nuova, unica misura di "redditi  e  proventi  di
 qualsiasi  natura,  ivi  compresi  quelli  derivanti  esclusivamente da
 trattamento di pensione".
     Sono  evidenti  i  motivi  che  hanno indotto il legislatore, nella
 progressiva attuazione del principio sancito  dall'art.    38,  secondo
 comma,  della  Costituzione,  a realizzare con gradualita' nel tempo il
 miglioramento  dei  trattamenti  pensionistici  e   assistenziali   con
 riguardo   all'esistenza  di  un  coniuge  a  carico,  subordinando  la
 concessione dell'aumento  delle  pensioni  alla  condizione  che  detto
 coniuge  non  avesse un proprio reddito personale superiore ad un certo
 importo, aumentato poi con successive  disposizioni.  Ma  sembra  ovvio
 osservare  che, una volta stabilito tale importo come indice di reddito
 insufficiente all'autonomo sostentamento del coniuge a carico,  e  cio'
 con riferimento ad esigenze minime di vita, date le misure sempre molto
 modeste  fissate  dalle diverse disposizioni succedutesi nel tempo, non
 poteva ragionevolmente  il  legislatore  istituire  una  differenza  di
 trattamento  in  rapporto  alla  origine o provenienza di quel reddito,
 accordando o negando l'aumento  delle  pensioni  INPS  secondo  che  il
 coniuge  del  pensionato  avesse  solo  un  reddito di pensione, ovvero
 proventi diversi "di qualsiasi natura", inferiori a detto reddito.
     3. - L'Istituto della previdenza sociale, nelle sue  deduzioni,  ha
 sostenuto che la legge del 1965 non avrebbe stabilito in lire 24.500 il
 minimo  indispensabile  per  il mantenimento in proprio del coniuge del
 pensionato, bensi' avrebbe fissato tale limite  nella  misura  di  lire
 17.000  mensili,  apportando  una  eccezione alla regola per il caso di
 reddito proveniente esclusivamente da  trattamento  di  pensione.    Ma
 l'assunto dell'Istituto appare infondato, perche' non esiste plausibile
 motivo  che  possa  ragionevolmente  spiegare  la  pretesa eccezione in
 rapporto   all'origine   pensionistica   del   reddito,   come    causa
 giustificativa di una elevazione del limite di legge. Se il legislatore
 ha  ritenuto che una pensione di lire 24.500 mensili goduta dal coniuge
 a carico non e' sufficiente per il suo autonomo mantenimento e pertanto
 e' compatibile con l'aumento  della  pensione  dell'altro  coniuge,  e'
 evidente che questa e' la misura limite, richiesta quale condizione per
 riconoscere  il  diritto  all'aumento,  e  che  non  vi  e'  motivo per
 disconoscere il medesimo diritto quando il coniuge  a  carico  goda  di
 altri proventi inferiori, ma, anche solo in parte, di diversa natura.
     L'affermazione  dell'Istituto di previdenza, per cui "il pensionato
 che non abbia redditi di  altra  natura  si  trova  in  una  situazione
 soggettiva  di  bisogno non equiparabile a quella di chiunque altro sia
 possessore di reddito dello stesso importo ma di diversa  provenienza",
 non  e'  sorretta  da alcun valido argomento. Tale non e' certamente il
 richiamo alle norme vigenti sulla incedibilita',  insequestrabilita'  e
 impignorabilita',    imprescrittibilita',    irrenunziabilita'    delle
 pensioni,  o  sulla  loro   limitata   tassabilita',   che   dimostrano
 precisamente  come i proventi delle pensioni siano semmai piu' sicuri o
 meglio garantiti di quelli derivanti dal reddito  di  piccoli  capitali
 immobiliari  o mobiliari, o di modeste attivita' economiche, e comunque
 non tali da giustificare uno  speciale  trattamento  sotto  il  profilo
 della   pretesa  minore  idoneita'  a  soddisfare  esigenze  minime  di
 sostentamento e di vita.
     In altri termini, il riconoscimento del diritto  all'aumento  delle
 pensioni INPS quando il titolare abbia un coniuge considerato a carico,
 in  quanto  fornito  di redditi non superiori a un determinato importo,
 ritenuto di per se' insufficiente al suo mantenimento, rende del  tutto
 irrilevante il riferimento alla natura e provenienza di tali redditi; e
 pertanto  ne consegue la irrazionalita' del diverso trattamento attuato
 dalle  disposizioni  denunciate,  con  la  distinzione  tra  i  redditi
 derivanti  esclusivamente  da  pensione  e  quelli  di  altra  natura o
 provenienza, distinzione che lo stesso legislatore  ha  ormai  abolito,
 richiedendo,  con il secondo comma dell'art. 6 della legge ora vigente,
 un'unica misura- limite per i "redditi e proventi di qualsiasi  natura,
 ivi   compresi   quelli  derivanti  esclusivamente  da  trattamento  di
 pensione".  Deve   conseguentemente   dichiararsi   la   illegittimita'
 costituzionale parziale della preesistente normativa, per contrasto con
 il  principio di eguaglianza sancito dall'art.  3 della Costituzione; e
 questa pronuncia e' assorbente di ogni altra  considerazione  circa  il
 diritto  dei  lavoratori  ad un trattamento di quiescenza adeguato alle
 loro esigenze di vita, secondo il disposto dell'art. 38, secondo comma,
 della Costituzione.