ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 20, n. 2,
 28, 44, 50, primo comma, e 195 del  d.P.R.  30  giugno  1965,  n.  1124
 (testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro
 gli  infortuni  sul  lavoro e le malattie professionali); dell'art. 82,
 primo e secondo comma, del d.P.R.  30 maggio 1955,  n.  797;  dell'art.
 23,  primo  comma,  della  legge 4 aprile 1952, n. 218; degli artt. 11,
 secondo comma, e 36, primo comma, della legge 11 gennaio 1943, n.  138;
 e  dell'art.    11  della  legge  14 febbraio 1963, n. 60, promosso con
 ordinanza emessa il 1  febbraio  1974  dal  pretore  di  Avigliano  nel
 procedimento  penale a carico di Liberatore Vinicio, iscritta al n. 287
 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 250 del 25 settembre 1974.
     Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
     udito  nell'udienza  pubblica del 3 giugno 1976 il Giudice relatore
 Leonetto Amadei;
     udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio  Azzariti,
 per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  -  Nel  corso  del  procedimento  penale  a  carico  di Vinicio
 Liberatore, imputato di omesso versamento  di  contributi  assicurativi
 vari,  il  pretore  di  Avigliano  ha  sollevato d'ufficio questione di
 legittimita' costituzionale degli artt. 20, n. 2,  28,  44,  50,  primo
 comma, e 195 del d.P.R. 30 giugno 1965, n.  1124; dell'art. 82, primo e
 secondo  comma,  del  t.u.  30 maggio 1955, n. 797; dell'art. 23, primo
 comma, della legge 4 aprile 1952,  n.  218;  degli  artt.  11,  secondo
 comma,  e  36,  primo  comma,  della  legge  11 gennaio 1943, n.   138;
 dell'art. 11, penultimo comma, della legge 14 febbraio 1963, n. 60,  in
 riferimento all'art. 27 della Costituzione.
     L'incostituzionalita'  degli  articoli  di  legge impugnati sarebbe
 determinata dal fatto che  essi  non  prevederebbero  che  delle  varie
 omissioni  contemplate siano chiamati a rispondere penalmente, non gia'
 il titolare dell'impresa, ma i dipendenti o altri  soggetti,  ancorche'
 estranei   alla   azienda,   qualora  ad  essi  sia  stata  attribuita,
 nell'ambito delle rispettive competenze, l'osservanza  e  l'adempimento
 degli  obblighi  che,  in  tema di versamento degli oneri assicurativi,
 farebbero capo allo stesso titolare.
     2. - Nel giudizio davanti alla Corte vi e' stato il solo intervento
 del Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura dello Stato.
     3.  -  Sostiene  il  pretore  proponente  che il sistema in atto di
 addossare  al  titolare  dell'azienda  la  responsabilita'  penale  per
 l'omesso  pagamento  dei  contributi  assicurativi,  anche quando altri
 siano stati preposti  all'adempimento  degli  obblighi  previsti  dalla
 legge,  contrasterebbe  con  il  principio  della  " personalita' della
 pena", sancito dall'art. 27 della Costituzione, dando vita ad un  "tipo
 di colpevolezza" escluso dal nostro ordinamento costituzionale.
     Precisa,  a  riguardo,  che  se pur nell'ordine "meramente naturale
 delle  cose"  quanto  si  verifichi  nell'ambito   dell'azienda   debba
 riferirsi  direttamente  o indirettamente all'imprenditore, tuttavia da
 cio' non discenderebbe il  principio  che,  in  ogni  caso,  lo  stesso
 imprenditore  debba  rispondere  penalmente  di tutte quelle molteplici
 attivita' da lui affidate,  nell'ambito  amministrativo  e  nel  quadro
 delle  specifiche competenze, ad altri soggetti soprattutto quando tali
 attivita', per la loro natura tecnica, non  siano  riconducibili  nella
 sfera  del  potere  da  lui  in concreto esercitato. Significherebbe in
 sostanza addossargli una responsabilita'  che  sarebbe  priva  di  quel
 "connotato soggettivo", presupposto di ogni responsabilita' penale.
     4.  - Per l'Avvocatura dello Stato la questione non sarebbe fondata
 e poggerebbe in una non corretta interpretazione delle norme impugnate:
 rileva,  infatti,  che  la  stessa  giurisprudenza  ordinaria   avrebbe
 interpretato  la  normativa impugnata non nel senso rigoristico preteso
 dal giudice a quo, ma in modo ragionevole e aderente alla realta' delle
 cose, in quanto la responsabilita' del titolare dell'impresa,  in  tema
 di  rispetto  della  legislazione sociale, rimarrebbe pur sempre legata
 alla "accertata  sussistenza  degli  elementi  costitutivi,  di  natura
 obiettiva e subiettiva, della contravvenzione, tra cui, per lo meno, la
 colpa".   D'altra  parte,  nei  casi  delle  grandi  aziende  e  quando
 l'imprenditore abbia adottato determinate  cautele  la  responsabilita'
 penale dell'imprenditore rimarrebbe esclusa, il che sarebbe in perfetta
 armonia col principio sancito dall'art. 27 della Costituzione.
                         Considerato in diritto:
     1. - L'ordinanza del pretore di Avigliano sottopone all'esame della
 Corte  la  questione  di  legittimita'  costituzionale,  in riferimento
 all'art. 27 della Costituzione, degli artt. 20, n. 2, 28, 44, 50, primo
 comma, e 195 del d.P.R. 30 giugno 1965,  n.  1124  (testo  unico  delle
 disposizioni  per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
 lavoro e le malattie professionali),  dell'art.  82,  primo  e  secondo
 comma,  del  d.P.R.    30  maggio 1955, n. 797 (testo unico delle norme
 concernenti gli assegni familiari); dell'art. 23,  primo  comma,  della
 legge   4   aprile   1952,   n.   218   (riordinamento  delle  pensioni
 dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidita',  la  vecchiaia  e  i
 superstiti),  degli  artt.  11, secondo comma, e 36, primo comma, della
 legge  11  gennaio  1943,  n.  138  (costituzione   dell'istituto   per
 l'assistenza  di  malattia  ai lavoratori); dell'art. 11 della legge 14
 febbraio 1963,  n.  60  (liquidazione  del  patrimonio  edilizio  della
 gestione   INA   casa  e  istituzione  di  un  programma  decennale  di
 costruzione di alloggi per lavoratori).
     Si  assume,  dal  giudice  a  quo,  che  le  norme  impugnate,  con
 l'attribuire  la  responsabilita'  penale  al titolare dell'azienda per
 l'omesso pagamento dei contributi assicurativi da esse  previsti  anche
 quando  altri,  dipendenti  o  estranei, professionalmente qualificati,
 siano da esso  preposti  agli  adempimenti  relativi,  violerebbero  il
 principio  della  "personalita' della pena" previsto dall'art. 27 della
 Costituzione.
     La questione non e' fondata.
     2. - Se e' pur vero che, per il principio costituzionale, ognuno e'
 chiamato penalmente a rispondere per fatto proprio, tuttavia  colui  al
 quale  la  legge  penale  impone  obblighi specifici di fare o non fare
 risponde della inadempienza  dell'obbligo  stesso  quando  tra  la  sua
 omissione  e  l'evento  sussista  un  nesso di causalita' materiale, al
 quale si accompagni un nesso psichico  (art.  40  c.p.)  sufficiente  a
 conferire alla condotta il connotato della responsabilita'.
     Tale   principio   e'   stato  piu'  volte  enunciato  dalla  Corte
 costituzionale e, in  particolare,  sviluppato,  tra  le  altre,  nella
 sentenza n. 3 del 1956, in tema di responsabilita' penale del direttore
 del  giornale  configurata nell'art. 57, n. 1, del codice penale, prima
 della modifica ad esso apportata dall'art. 1 della legge 6 marzo  1958,
 n. 127.
     Le  disposizioni  impugnate  fanno  obbligo  al datore di lavoro di
 provvedere  al  versamento   dei   vari   contributi   assicurativi   e
 assistenziali  previsti  a  favore  del personale dipendente comminando
 sanzioni a carattere contravvenzionale in  caso  di  inadempimento.  Le
 norme  in questione non delineano affatto, nella loro formulazione, una
 responsabilita' oggettiva - come sembrerebbe ritenere il giudice a  quo
 -  per  cui  il titolare dell'azienda debba rispondere in ogni caso del
 mancato versamento dei contributi e, quindi,  anche  quando  affidi  ad
 altri,   nel   quadro   organizzativo   dell'azienda,   il  compito  di
 materialmente provvedervi. Sulla base  del  principio  affermato  dalla
 Corte,  il  titolare  dell'azienda  rispondera'  della omissione quando
 emerga, in relazione al fatto materialmente  commesso  dal  terzo,  che
 egli non ha esercitato quel controllo necessario diretto ad impedire il
 verificarsi  dell'evento  contravvenzionale pur sussistendo in concreto
 la possibilita' di impedirlo.  Del  resto  la  stessa    giurisprudenza
 ordinaria  ha  inquadrato  nei  giusti  limiti e per aspetti diversi la
 responsabilita' penale dell'imprenditore quando gli  obblighi  che,  in
 via  generale,  gli  fanno,  per  legge, carico, siano stati ripartiti,
 avuto soprattutto riguardo  alla  vastita'  dell'azienda,  tra  i  suoi
 collaboratori,  escludendola  quando  risulti che nell'assegnare i vari
 compiti a ciascun collaboratore abbia impartito precisi ordini e valide
 direttive  e,  potendolo,  abbia  esercitato   opportuni   e   adeguati
 controlli.
     Spettera', di conseguenza, al giudice di merito accertare, caso per
 caso,  se  la  omissione  in  materia di disposizioni sull'assistenza e
 sulla previdenza dei lavoratori sia o meno ricollegabile alla  mancanza
 di diligenza da parte del datore di lavoro per non aver controllato che
 gli  adempimenti affidati a terzi siano puntualmente osservati. Qualora
 il  collegamento  sussista,  v'e'  titolo  per  una   affermazione   di
 responsabilita'  per  fatto  proprio, riconducibile alla colpa. D'altra
 parte  vale  rilevare  che,  nel  caso  oggetto  della   questione   di
 legittimita' costituzionale, il reato e' di natura contravvenzionale.