ORDINANZA
     nei  giudizi riuniti di legittimita' costituzionale della legge  18
 dicembre 1973, n. 877  (Nuove  norme  per  la  tutela  del    lavoro  a
 domicilio), promossi con ordinanze emesse dalla  Corte di cassazione il
 14  luglio  1977,  dal  Pretore di   Sansepolcro il 20 febbraio e il 13
 marzo 1978, dalla  Corte di cassazione il 4 maggio 1978 e  dai  Pretori
 di:   Arezzo il 20 marzo 1978, Pistoia il 30 ottobre 1978,  Poppi il 15
 novembre 1978, Varallo il 6 novembre 1978,  Pistoia il 21  marzo  1979,
 Pieve  di Cadore il 21 luglio  1979, Treviglio il 20 giugno 1979, Pieve
 di Cadore il 19  settembre 1979, Monsummano Terme il 5 novembre   1979,
 Pistoia  il  7  novembre  1979,  Monsummano  Terme   il 5 ottobre 1979,
 Isernia il 12 dicembre 1979,  rispettivamente iscritte al  n.  551  del
 registro  ordinanze    1977,  ai  nn.  254, 255, 443, 667, 674, 678 del
 registro ordinanze 1978, ai nn.  292,  438,  650,  788,  852,  961  del
 registro  ordinanze  1979  ed ai nn. 5, 53 e 79 del registro  ordinanze
 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale   della Repubblica  nn.  39,
 222  e 347 del 1978, nn. 59, 168,  210 e 310 del 1979 e nn. 8, 22, 57 e
 71 del 1980.
     Visti l'atto di costituzione di  Soldini  Gustavo  e  gli  atti  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
     udito  nell'udienza  pubblica  del  15  ottobre  1980  il   Giudice
 relatore Livio Paladin;
     uditi l'avvocato Aldo Aranguren per Soldini  Gustavo  e  l'avvocato
 dello  Stato  Giorgio  Azzariti,  per il Presidente   del Consiglio dei
 ministri.
     Ritenuto che le sedici ordinanze indicate in epigrafe  hanno  tutte
 impugnato  - nei medesimi termini - la legge  18 dicembre 1973, n.  877
 ("Nuove norme per la tutela   del lavoro  a  domicilio"),  per  pretesa
 violazione  degli  artt.    70,  72  e 73 Cost.; che nelle ordinanze in
 questione si   contesta la corrispondenza fra  il  testo  dell'art.  1,
 primo    comma,  della  legge predetta, quale era stato approvato dalla
 Camera dei deputati, e quello successivamente  approvato dal Senato  (e
 promulgato  dal  Presidente  della  Repubblica):  data  la sostituzione
 della particella "e" alla particella "o", operata nella parte    finale
 dell'espressione "utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature
 proprie o dello stesso  imprenditore", senza pero' che sul punto vi sia
 stata  una   nuova deliberazione della Camera; e che di conseguenza  si
 desume  -  da  tutti  i  giudici  a  quibus  -   l'illegittimita'   del
 procedimento  legislativo  di approvazione e  promulgazione della legge
 in esame;
     ritenuto che in tutti i giudizi e' intervenuto il Presidente    del
 Consiglio  dei  ministri, chiedendo che la Corte  dichiari infondata la
 proposta questione, in quanto  all'indiscutibile diversita' formale dei
 due testi - quello   approvato dalla  Camera  e  quello  approvato  dal
 Senato  -    non  corrisponderebbe  una  diversita' sostanziale; che in
 entrambe  le  Camere   -   stando   ai   lavori   preparatori   addotti
 dall'Avvocatura dello Stato il problema della definizione  del lavoro a
 domicilio  sarebbe  stato  affrontato  da un   medesimo angolo visuale,
 nonostante la ricordata   sostituzione della  disgiuntiva  "o"  con  la
 congiuntiva  "e";    che lo stesso Senato avrebbe infatti operato nella
 convinzione che l'art. 1  "contenesse  la  medesima  disposizione  gia'
 approvata dalla Camera dei deputati"; e  che la formulazione definitiva
 dell'art.  1,  primo comma,  ben potrebbe significare che vi e' "lavoro
 subordinato  a    domicilio  se  sia  utilizzato  macchinario   (ovvero
 materiale)  del  lavoratore  ed  anche  se sia utilizzato   macchinario
 dell'imprenditore"; sicche'  spetterebbe  alla    Corte  far  prevalere
 "sulla constatazione meramente  formale della insignificante diversita'
 del  testo legislativo  approvato" - per effetto di un errore materiale
 - "la  considerazione sostanziale della identita' della norma    voluta
 ed approvata dai due rami del Parlamento";
     ritenuto, altresi', che nel primo dei due giudizi pendenti  dinanzi
 al  Pretore  di  Sansepolcro  (reg. ord. n. 254/1978),   e' intervenuto
 l'imputato  Gustavo  Soldini,  chiedendo  per    contro  l'accoglimento
 dell'impugnativa  promossa  dal    giudice  a  quo;  che  nell'atto  di
 intervento (e in una  successiva memoria) si nega che la  promulgazione
 abbia  potuto sanare il vizio in esame ed anzi si osserva che il  vizio
 stesso  avrebbe effetti tanto piu' gravi, in quanto la  definizione del
 lavoro a domicilio  costituirebbe  la  "chiave  di  volta"  dell'intera
 legge n. 877 del 1973.
     Considerato  che  nei  procedimenti  - sia penali sia civili -  nel
 corso dei quali e' stata messa in dubbio la legittimita' costituzionale
 della legge 18 dicembre 1973, n. 877, si  tratta anzitutto di applicare
 l'art. 1, primo comma,  della    legge  stessa,  per  stabilire  se  le
 controversie   in  esame    vadano  o  meno  assoggettate  all'apposita
 disciplina del  lavoro a domicilio: sicche' la  proposta  questione  si
 appalesa  con  certezza rilevante - alla data di emissione  delle varie
 ordinanze di rinvio -  limitatamente  a  questa  sola  parte  dell'atto
 legislativo impugnato; che, d'altro  canto, il vizio denunciato sarebbe
 precisamente    imputabile alla discordanza del testo dell'art. 1, gia'
 approvato dalla Camera dei deputati, rispetto al testo   approvato  dal
 Senato e quindi promulgato dal Presidente  della Repubblica; che, nella
 prospettazione  delle  ordinanze  di rinvio e degli atti di intervento,
 tale    discordanza  andrebbe  attribuita  ad  un   errore   materiale,
 verificatosi  nella  trascrizione  dell'art. 1, dopo  l'approvazione da
 parte  della  Camera  dei  deputati  e  prima    della   corrispondente
 approvazione da parte dell'altro  ramo del Parlamento;
     considerato, pero', che nel corso del presente giudizio e'  entrata
 in   vigore   la   legge   16  dicembre  1980,  n.  858     (intitolata
 "Interpretazione autentica e modificazione  dell'art. 1 della legge  18
 dicembre  1973, n. 877, recante  nuove norme per la tutela del lavoro a
 domicilio"):  l'art.  1 della quale ha riaffermato - con effetto "dalla
 data di  entrata in vigore della precedente legge 18 dicembre  1973, n.
 877", secondo l'espressa disposizione dell'art. 3 - che "e'  lavoratore
 a domicilio chiunque, con vincolo di subordinazione, esegue nel proprio
 domicilio o in locale di cui abbia disponibilita' ... lavoro retribuito
 per  conto  di  uno  o  piu'  imprenditori, utilizzando materie prime o
 accessorie e attrezzature proprie e dello   stesso imprenditore,  anche
 se fornite per il tramite di terzi"  (mentre l'art. 2 reinserisce nella
 parte  finale della definizione del lavoro a domicilio - ma con effetto
 per il solo avvenire -  la disgiuntiva "o" in luogo  della  congiuntiva
 "e");  e  che,  pertanto,  si  rende  necessario restituire gli atti ai
 giudici a quibus, affinche' accertino se  la  sollevata  questione  sia
 tuttora rilevante.