ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nei  giudizi  riuniti  di legittimita' costituzionale degli artt. 4
 della legge 25 marzo 1971, n. 213 (Soppressione dei compensi fissi  per
 i  ricoveri  ospedalieri),  e  50  del  d.P.R.  30  giugno 1972, n. 748
 (Disciplina delle funzioni  dirigenziali  nelle  Amministrazioni  dello
 Stato,  anche  ad  ordinamento  autonomo),  promossi  con  le  seguenti
 ordinanze:
     1) ordinanza emessa il 17 marzo 1976  dal  TAR  per  il  Lazio  nel
 procedimento   civile  vertente  tra  Andreani  Francesco  ed  altri  e
 l'Universita' degli Studi di Roma ed altro,  iscritta  al  n.  581  del
 registro  ordinanze  1976  e  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 274 del 13 ottobre 1976;
     2) ordinanza emessa il 14  luglio  1977  dal  TAR  dell'Umbria  nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Larizza Paolo ed il Ministro della
 pubblica istruzione ed altri, iscritta al n. 511 del registro ordinanze
 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  18  del
 18 gennaio 1978;
     3)  ordinanza  emessa il 22 marzo 1979 dal TAR per la Lombardia nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Burgio   Giuseppe   ed   altri   e
 l'Universita'  degli  Studi  di  Pavia ed altri, iscritta al n. 594 del
 registro ordinanze 1979 e pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 291 del 24 ottobre 4979;
     4)  ordinanze  emesse il 22 febbraio 1979 dal TAR della Liguria nei
 procedimenti civili vertenti tra Giampalmo Antonio ed  altri,  De  Toni
 Ettore  ed  altro,  Scopinaro  Domenico  ed altro ed il Ministero della
 pubblica istruzione ed altri, iscritte  ai  nn.  713,  714  e  715  del
 registro  ordinanze  1979  e  pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 345 del 19 dicembre 1979.
     Visti gli atti di costituzione di Andreani Francesco ed altri,  del
 Pio  Istituto  di S. Spirito, di Larizza Paolo e dell'Universita' degli
 Studi  di  Roma,  nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del
 Consiglio dei ministri;
     udito nell'udienza pubblica del 15 ottobre 1980 il Giudice relatore
 Guglielmo Roehrssen;
     uditi  gli  avvocati Aldo Sandulli per Andreani Francesco ed altri,
 Mario Nigro per il Pio  Istituto  di  S.  Spirito,  Rinaldo  Ricci  per
 Larizza  Paolo e l'avvocato dello Stato Renato Carafa per l'Universita'
 degli Studi di Roma e per il Presidente del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1. -  A  seguito  dell'impugnativa  proposta  dal  prof.  Francesco
 Andreani  e  da  altri  docenti  della Facolta' di medicina e chirurgia
 dell'Universita' di Roma avverso il  diniego  opposto  dall'Universita'
 alla   richiesta   di  percepire,  in  aggiunta  alla  retribuzione  di
 professore universitario, quella inerente  alle  funzioni  di  primario
 ospedaliero  a  tempo  definito  da  essi  espletate  oltre  ai compiti
 didattici e scientifici, il TAR del Lazio, con ordinanza 17 marzo 1976,
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale,  in  riferimento
 agli  artt.  3, 36 e 38 della Costituzione, dell'art. 4, commi secondo,
 terzo e quarto, della legge 25 marzo 1971, n. 213.
     L'ordinanza rileva che, a norma dell'art. 1 del d.P.R. n.  129  del
 1969  "l'ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche e
 degli istituti universitari di ricovero e  cura  deve  essere  adeguato
 all'ordinamento  interno  dei  servizi  ospedalieri  e  deve  prevedere
 un'organizzazione  analoga  a   quella   dei   corrispondenti   servizi
 ospedalieri",  mentre  l'art. 3 del medesimo d.P.R. n. 129, prevede che
 "i professori    universitari  di  ruolo,  i  professori  aggregati,  i
 professori   incaricati, in quanto responsabili di un servizio speciale
 di  diagnosi  e  cura assumono, a tali effetti, la qualifica di primari
 ospedalieri e conseguentemente, nei confronti dell'ente ospedaliero,  i
 diritti  e  i  doveri  dei  primari,  in  quanto  applicabili". Analoga
 disposizione e' prevista per gli aiuti e  gli  assistenti  universitari
 dal successivo comma dello stesso art. 3.
     Nell'ambito  di  questa  disciplina  l'art.  4 della legge 25 marzo
 1971, n. 213, dopo avere soppresso con l'art.  1  i  compensi  fissi  e
 addizionali  per  i ricoveri ospedalieri previsti dall'art. 82 del r.d.
 30 settembre 1938, n. 1631, che  stabilisce  che,  a  decorrere  dal  1
 gennaio  1971,  al  personale medico universitario che svolge attivita'
 assistenziale  negli  istituti  clinici  gestiti   direttamente   dalle
 Universita'  o  gestiti  dagli  enti  ospedalieri  sia  corrisposta una
 indennita', non utile ai fini  previdenziali,  che  non  potra'  essere
 superiore  a quella necessaria per  equiparare il trattamento economico
 del detto personale medico  universitario a quello del personale medico
 ospedaliero di pari funzione e anzianita'.
     Il TAR del Lazio osserva che la suddetta normativa comporta  per  i
 professori  universitari, i quali in qualita' di primari prestano anche
 servizio ospedaliero, lo svolgimento di  una  attivita'  sanitaria,  in
 aggiunta  a  quella  didattica  e  di  ricerca  che  essi sono tenuti a
 svolgere in base al loro status, secondo quanto prevedono l'art. 62 del
 testo unico n. 1592 del 1933, sull'istruzione  superiore,  e  l'art.  6
 della  legge  n.  311  del  1958,  con  un  compenso  che,  globalmente
 considerando entrambe le attivita', non puo'  superare  il  trattamento
 economico dei primari ospedalieri con pari funzioni e anzianita'.
     Tale  situazione  normativa, inoltre, - secondo quanto ritenuto dal
 TAR del Lazio - risulta aggravata dall'art. 12 del d.l. 1 ottobre 1973,
 n. 580 (convertito, con modificazioni, nella legge 30 novembre 1973, n.
 766), il quale, nel prevedere il trattamento  economico  del  personale
 docente  universitario,  e  nello  stabilire  la  corresponsione  di un
 assegno (sostitutivo dell'indennita' di ricerca scientifica) nonche' di
 altri assegni speciali, precisa, all'ottavo comma,  che  "il  personale
 medico  universitario  che  fruisce degli assegni previsti dal presente
 articolo, continua a beneficiare  dell'indennita'  di  cui  all'art.  4
 della  legge  25 marzo 1971, n. 213, per la parte eccedente gli assegni
 medesimi". Con la conseguenza che, o l'indennita', o gli assegni di cui
 sinora  si  e'  detto,  risultano,  in  buona   parte,   reciprocamente
 assorbiti.
     Ne  deriva  -  secondo  l'ordinanza  di  rimessione  -  che  con le
 disposizioni anzidette si sarebbe operata una sostanziale equiparazione
 del trattamento economico dei medici docenti universitari a quello  dei
 medici  ospedalieri,  senza  che  si  sia tenuto conto della essenziale
 diversita'  degli  status  funzionali  delle  due   categorie   ed   in
 particolare  che in base al r.d.  31 agosto 1933, n. 1592, i professori
 universitari medici hanno compiti essenzialmente didattici e di ricerca
 scientifica, nei  confronti  dei  quali  l'attivita'  assistenziale  si
 atteggia  come  funzione strumentale, mentre i medici ospedalieri hanno
 come funzione istituzionale la cura e l'assistenza degli infermi.
     Sulla base di tali considerazioni,  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  4  della  legge  25  marzo  1971,  n. 213 e'
 sollevata innanzi tutto sotto il profilo della violazione del principio
 di uguaglianza,  in  quanto  detto  articolo  porrebbe  in  essere  una
 disparita' di trattamento a danno dei professori universitari:
     1)  nei  confronti  dei primari ospedalieri (medici ospedalieri), i
 quali percepiscono lo stesso compenso per l'assolvimento degli obblighi
 di sola assistenza, con esclusione degli obblighi  di  didattica  e  di
 ricerca,  compenso  totalmente  utile  sotto il profilo previdenziale e
 assistenziale, che in aggiunta viene  aumentato  ove  i  detti  primari
 ospedalieri vogliano svolgere attivita' didattica;
     2)  nei  confronti degli altri professori universitari, ai quali e'
 consentito  il  cumulo  dei  diversi  rapporti  di  lavoro,  che  viene
 retribuito,  anche  se con una decurtazione prevista ex lege (r.d.l. n.
 2960 del 1923, art. 99 e d.P.R. n. 19 del 1956, art. 16).
     Inoltre, secondo il TAR del Lazio, il suddetto art. 4  si  porrebbe
 in  contrasto  anche  con  l'art. 36 della Costituzione, non essendo la
 retribuzione che  ne  deriva  per  i  professori  universitari  primari
 ospedalieri  proporzionata  alla  qualita' e quantita' del loro lavoro,
 nonche' con l'art. 38 della Costituzione, nella parte  in  cui  prevede
 che la indennita' di che trattasi non sia utile ai fini previdenziali e
 assistenziali.
     2.  - Dinanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri e si e' costituita  l'Universita'  degli  Studi  di  Roma,
 entrambi  rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo
 che la questione sia dichiarata non fondata.
     Nelle difese si rileva che l'art. 4 ha funzione    perequativa  fra
 primari  ospedalieri  che  non  siano professori universitari e primari
 ospedalieri che siano anche professori universitari e si osserva che la
 "duplicita'" di  funzioni  di  questi  ultimi  e'  piu'  apparente  che
 sostanziale  in  quanto  il  legislatore  ha statuito (art. 3 d.P.R. n.
 129/1969) che la loro attivita' didattico-scientifica ed  assistenziale
 si   svolga   nei   limiti   della   compatibilita'  e  col  necessario
 contemperamento. Si richiamano altresi'  i  lavori  parlamentari  sulla
 legge  n.  213 del 1971, dai quali si evincerebbe la razionalita' della
 ratio dell'art. 4, diretta a  parificare  i  trattamenti  economici  di
 tutti  coloro  che  abbiano  la  qualifica  di primari ospedalieri, per
 evitare esodi dalle universita'  o  dagli  ospedali  verso  l'attivita'
 meglio retribuita.
     Quanto  alla  violazione  degli  artt.  36 e 38 della Costituzione,
 secondo l'Avvocatura dello Stato ne' il  primo  viene  vulnerato  dalla
 norma  impugnata,  una  volta che l'attivita' assistenziale e didattica
 viene considerata nella sua globalita', ne' il secondo  una  volta  che
 non  e'  precluso  al legislatore ordinario attribuire una "indennita'"
 non  utile  ai  fini  previdenziali  e  assistenziali  ad  un  pubblico
 dipendente  che  gia'  gode  di  un  suo  trattamento  previdenziale ed
 assistenziale.
     Si e' costituito pure il Pio Istituto di S. Spirito ed OO.RR.    di
 Roma, chiedendo anch'esso che la questione sia ritenuta non fondata.
     Nelle   deduzioni  depositate  si  osserva  che  la  disparita'  di
 trattamento non esiste perche' l'indennita' ex art. 4  ha  soltanto  il
 fine  di  compensare  l'attivita'  che i professori universitari che si
 trovano in questa situazione svolgono in  piu'  rispetto  a  tutti  gli
 altri  professori  universitari  per il fatto di essere preposti ad una
 unita' ospedaliera.
     Professori universitari preposti ad unita'  ospedaliere  e  primari
 per  cosi'  dire  "puri"  non si trovano - secondo le note depositate -
 sotto il profilo dello svolgimento  dell'attivita'  di  assistenza,  in
 posizione  paritaria, perche' i secondi fanno soltanto i primari mentre
 i professori universitari preposti ad unita' ospedaliere svolgono anche
 ed,  anzitutto,  le  attivita'  cui li obbligano le leggi universitarie
 (art. 84 testo unico n. 1592/1933; art. 6 legge n. 311/1958), cosicche'
 i professori universitari svolgono come tali e solo in forma  e  misura
 dipendenti dall'attivita' didattica e di ricerca compiti di assistenza;
 pertanto    la  retribuzione che percepiscono quali professori varrebbe
 anche  a compensarli della attivita' di assistenza.
     Neppure  sarebbero  comparabili   la   posizione   del   professore
 universitario  primario,  per  il  quale  la  duplicita' di funzioni e'
 istituzionale, e quella del  primario  che  occasionalmente  assuma  un
 incarico universitario.
     Quanto  alla  disparita'  di  trattamento nei confronti degli altri
 professori universitari, ai quali  e'  consentito  il  cumulo  di  piu'
 rapporti  di lavoro con retribuzioni decurtate in misura prevista dalla
 legge, si deduce che l'art. 4 ha proprio la funzione di  compensare  il
 professore  universitario  del  di  piu' di lavoro che gli deriva dalla
 contemporanea qualifica di  primario,  essendosi  fuori  dal  campo  di
 cumulo  d'impieghi,  tanto  e'  vero  che  l'assegno  ex  art.  4 viene
 corrisposto dall'Universita' (e non dall'ospedale).
     La questione non sarebbe fondata neppure in relazione agli artt. 36
 e 38 della Costituzione, non essendo dimostrato che la retribuzione dei
 professori universitari-primari non sia proporzionata alla  qualita'  e
 quantita'  del  loro lavoro e godendo essi di trattamento previdenziale
 ed assicurativo sulla base dello stipendio di professori.
     3. - Si sono costituiti anche i docenti  universitari  che  avevano
 proposto ricorso dinanzi al TAR del Lazio, chiedendo che l'art. 4 della
 legge n. 213 del 1971 sia dichiarato costituzionalmente illegittimo "in
 quanto  esclude  che  i  docenti  universitari  investiti  anche  delle
 funzioni di primario ospedaliero abbiano il  diritto  di  ottenere,  in
 aggiunta  al  trattamento  ad  essi spettante - in corrispondenza della
 qualifica, del coefficiente e della anzianita' di ciascuno - in  quanto
 professori  universitari,  altresi'  la  retribuzione dovuta ai primari
 ospedalieri di pari anzianita', o, quanto meno, quella ridotta parte di
 essa che risulti corrispondente alle ulteriori (prevalenti) prestazioni
 che i ricorrenti sono tenuti ad effettuare (in  aggiunta  all'attivita'
 di professori universitari) in quanto preposti a reparti ospedalieri in
 qualita' di primari, con decorrenza dalla entrata in vigore della legge
 n.  213/1971,  e  comunque  dal  cumulo  dei  due  servizi  da parte di
 ciascuno".
     Si osserva nelle  note  depositate  che  dall'art.  7  del  decreto
 interministeriale 24 giugno 1971 (Gazzetta Ufficiale 20 luglio 1971, n.
 182)  risulta che il tempo che il cattedratico responsabile del reparto
 e' tenuto a dedicare alla direzione di esso  deve  corrispondere  (dato
 che  il  responsabile e' lui: art. 3 d.P.R. n. 129/1969) a quello di un
 primario ospedaliero a tempo definito.
     Comunque  -  si  deduce  -  l'attivita'   sanitaria   si   aggiunge
 all'attivita'  di insegnamento e tale aspetto addizionale appare ancora
 manifesto quando si raffronti la posizione dei cennati  professori  con
 quella dei professori di altre facolta' e degli stessi professori delle
 facolta' mediche che non abbiano responsabilita' ospedaliera.
     Detta  attivita'  addizionale,  in  forza  dell'art.  4, resterebbe
 sostanzialmente priva di retribuzione, tenuto anche conto che  in  base
 alla  sentenza  n.  129  del  1975  di  questa  Corte,  essendo stati i
 professori universitari della classe piu' alta di stipendio  (parametro
 825)   agganciati   ai   dirigenti  generali  della  qualifica  A)  con
 trattamento omnicomprensivo, tale trattamento comporta per i professori
 universitari della classe piu' alta di stipendio che nessuna indennita'
 viene percepita ex art. 4.
     Ne   deriverebbe   lesione  dell'art.  3  della  Costituzione,  per
 l'ingiustificato trattamento deteriore fatto ai professori universitari
 primari ospedalieri rispetto ai  docenti  universitari  che  non  siano
 anche primari ospedalieri, in quanto l'impugnato art. 4:
     -  o  esclude  ogni  compenso  (come  per  i professori che abbiano
 diritto al trattamento  di  dirigenti  generali  di  qualifica  A)  per
 l'attivita' ospedaliera;
     -  o  prevede  un  compenso,  il  quale, anziche' commisurarsi alla
 qualita' e quantita'  del  lavoro  addizionale  prestato  (e  riferirsi
 percio' alla retribuzione dei sanitari ospedalieri, in correlazione col
 tempo  -  aggiuntivo  -  effettivamente  dedicato  all'attivita' di cui
 trattasi), e' invece pari alla differenza per  portare  il  trattamento
 complessivo   ad   un  livello  che  non  superi  quello  dei  sanitari
 ospedalieri di pari funzioni (sanitarie) e anzianita'.
     Ulteriore sperequazione deriverebbe - secondo le  parti  private  -
 dal  fatto  che  l'"indennita'" prevista dalla legge n. 213/1971 non e'
 utile ai fini previdenziali e assistenziali.
     A sostegno della fondatezza della questione  si  sostiene  altresi'
 che,  per  quanto  riguarda  il  servizio  sanitario,  fra i professori
 universitari - impiegati statali - e le  Universita',  si  instaura  un
 nuovo  rapporto di servizio, diverso da quello esistente fra professori
 e Stato. La  duplicita'  e  diversita'  di  tali  rapporti,  renderebbe
 pertinente  il  richiamo,  a  fondamento  della  dedotta illegittimita'
 costituzionale della norma impugnata, della  giurisprudenza  di  questa
 Corte  in  materia  di cumulo d'impieghi e di retribuzioni (sentenze n.
 152/1970; n. 10/1973; n. 11 del 1973) secondo la quale il  legislatore,
 in  caso  di  cumulo d'impieghi, non puo' ridurre la retribuzione della
 seconda attivita' senza attenersi a criteri  ragionevoli,  come  invece
 avrebbe fatto la norma impugnata.
     Altra  disparita'  di  trattamento  deriverebbe  da  tale norma nei
 confronti dei primari ospedalieri che, pur non cumulando  gli  obblighi
 didattici  e  di  ricerca dei professori universitari, riceverebbero un
 pari  trattamento   e,   se   titolari   di   incarico   universitario,
 riceverebbero anche una distinta retribuzione per tale incarico.
     Altra  disparita'  di  trattamento sarebbe ancora da ravvisarsi fra
 professori universitari che siano anche  primari  ospedalieri,  perche'
 l'indennita'  prevista  per l'attivita' ospedaliera varia a seconda del
 maggiore o minore stipendio  del  docente  sino  ad  annullarsi  per  i
 professori piu' anziani.
     La  questione, infine, sarebbe fondata anche sotto il profilo della
 violazione  dell'art.  36  della  Costituzione,  comportando  la  norma
 impugnata una retribuzione non corrispondente alla qualita' e quantita'
 del lavoro prestato.
     4. - il TAR dell'Umbria, con ordinanza emessa il 14 luglio 1977 nel
 corso di un giudizio promosso dal prof. Paolo Larizza nei confronti del
 Ministero della pubblica istruzione per far dichiarare l'illegittimita'
 del  provvedimento col quale era stato disposto il recupero delle somme
 corrispostegli a titolo d'indennita' ex art. 4 legge n.  213/1971,  non
 ostante  che egli godesse del trattamento dirigenziale omnicomprensivo,
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale,  in  riferimento
 all'art.  3 della Costituzione, dell'art. 50 del d.P.R. 30 giugno 1972,
 n.  748,  nella  parte  in cui il principio della omnicomprensivita' e'
 riferito anche ai professori universitari con trattamento  dirigenziale
 ed operanti in unita' ospedaliere.
     Il   TAR,  ritenuta  la  preclusione  del  cumulo  fra  trattamento
 dirigenziale omnicomprensivo e l'indennita' su detta, ha  sollevato  la
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art.  50, in riferimento
 all'art. 3 della Costituzione, sotto il  profilo,  innanzi  tutto,  che
 "darebbe  vita  ad  una  irragionevole  rottura  con la logica volta ad
 assoggettare  il  sanitario  universitario  agli  stessi  obblighi   di
 servizio  e,  quindi,  allo  stesso  trattamento  economico  dei medici
 ospedalieri  un  regime,  qual  e'  quello  della   omnicomprensivita',
 destinato ad assicurare ai clinici universitari in posizioni di vertice
 un  trattamento  economico  deteriore rispetto a quello riconosciuto ai
 medici ospedalieri, ai quali i sanitari universitari risultano,  per  i
 profili passivi, interamente assimilati".
     Ulteriore   vizio   di  illegittimita'  costituzionale  emergerebbe
 ponendo a raffronto la posizione dei clinici  universitari  al  vertice
 della  scala  retributiva con quella dei clinici universitari collocati
 in posizione parametrale inferiore; mentre per i  primi  la  disciplina
 dirigenziale  comporta  l'assegnazione  del  solo trattamento tabellare
 (corrispondente al livello  A)  della  dirigenza  statale)  ai  secondi
 risulta, invece, accordata la indennita' integrativa prevista dall'art.
 4  della  legge n. 213 del 1971, destinata a condurre al raggiungimento
 del  trattamento  economico  proprio  del  sanitario   ospedaliero   di
 corrispondente qualifica.
     Una  disciplina siffatta condurrebbe all'irragionevole risultato di
 non  assicurare  al  medico  universitario  di  maggiore   livello   un
 trattamento economico proporzionatamente maggiore a quello riservato ai
 clinici   universitari   di   parametro   inferiore,   determinando  un
 irragionevole  sconvolgimento  del  sistema  di  sviluppo  dei  livelli
 retributivi connessi al diverso parametro posseduto.
     Davanti  a questa Corte si e' costituito il prof. Larizza chiedendo
 che la questione sollevata sia dichiarata fondata.
     5. - Questione analoga alla precedente e' stata sollevata anche dal
 TAR  della  Liguria  nel  corso  di  giudizi  promossi  da   professori
 universitari   avverso  provvedimenti  i  quali  attribuivano  loro  lo
 stipendio dirigenziale di livello  A)  e  statuivano  il  contemporaneo
 assorbimento  di  tutte  le  altre  indennita'  gia' da essi percepite,
 comprese quelle di cui all'art. 4 della legge n. 213/1971.
     Il TAR della  Liguria  con  ordinanze  del  22  febbraio  1979,  ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli
 artt.  3,  36, 38 e 97 della Costituzione, degli artt. 50 del d.P.R. 30
 giugno 1972, n. 748 e 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213.
     Secondo tali  ordinanze,  la  disciplina  della  omnicomprensivita'
 stabilita  dall'art.  50  del  d.P.R.  n.  748,  riferita  ai  sanitari
 universitari pervenuti all'ultima classe di stipendio, i quali svolgano
 attivita'  assistenziale   in   unita'   ospedaliere   clinicizzate   o
 convenzionate,   sarebbe  in  contrasto  con  i  detti  articoli  della
 Costituzione, in quanto i professori con parametro  825,  che  svolgono
 attivita'  assistenziale  sanitaria, verrebbero ad avere un trattamento
 ingiustificatamente indiscriminato non  soltanto  nei  confronti  degli
 altri docenti con eguale parametro e dei sanitari ospedalieri, ma anche
 nei  confronti dei sanitari universitari con parametro inferiore a 825,
 i quali, continuando a percepire l'indennita' ex art. 4 della legge  n.
 213/1971   ed   i   compensi   per  altre  prestazioni  aggiuntive,  si
 troverebbero ad avere un  trattamento  economico  globale  superiore  a
 quello  attribuito  ai  docenti  con le stesse funzioni e con qualifica
 superiore.
     Unitamente a tale questione e  subordinatamente  alla  declaratoria
 d'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  50 anzidetto, il TAR della
 Liguria ha sollevato anche  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.    4  della legge n. 213 del 1971, in relazione agli artt. 3,
 36, 38 e 97 della Costituzione, con motivazione identica a  quella  del
 TAR del Lazio.
     In tale giudizio non vi e' stata costituzione di parti.
     6.   -  Questione  di  legittimita'  costituzionale,  analoga  alle
 precedenti, dell'art.  50  del  d.P.R.  30  giugno  1972,  n.  748,  in
 riferimento  agli  artt.  3 e 36 della Costituzione, e' stata sollevata
 anche dal TAR della Lombardia, con ordinanza 22 marzo 1979.
     Neanche nel giudizio di legittimita' costituzionale cosi'  promosso
 vi sono state costituzioni di parte.
                         Considerato in diritto:
     1.  -  Con le ordinanze di rimessione di cui in epigrafe sono state
 sottoposte all'esame della Corte due  questioni  riguardanti  l'art.  4
 della legge 25 marzo 1971, n. 213 (recante:  "Soppressione dei compensi
 fissi  per  i ricoveri ospedalieri di cui all'art. 82 del regio decreto
 30 settembre 1938, n. 1631, e della Cassa nazionale  di  conguaglio  di
 cui  al decreto-legge 18 novembre 1967, n. 1044, convertito in legge 17
 gennaio 1968, n. 4") ed una terza questione riguardante l'art.  50  del
 d.P.R.  30  giugno  1972,  n.  748 (recante: "Disciplina delle funzioni
 dirigenziali nelle Amministrazioni dello Stato,  anche  ad  ordinamento
 autonomo"): tali questioni attengono tutte al trattamento economico dei
 professori  universitari  delle  facolta'  di  medicina e chirurgia che
 operino in unita' ospedaliere ed involgono l'esame di problemi analoghi
 o connessi. I relativi giudizi vanno  pertanto  riuniti  e  decisi  con
 unica sentenza.
     2.  - Con la prima questione (prospettata dal TAR della Liguria) si
 denuncia la illegittimita' costituzionale dell'art. 4  della  legge  25
 marzo  1971,  n.  213,  con  riferimento  agli  artt.  3, 36 e 97 della
 Costituzione, in quanto in forza di esso ai professori universitari,  i
 quali  abbiano  anche  la qualifica di primari ospedalieri, spetterebbe
 una retribuzione non proporzionata alla quantita' e qualita'  del  loro
 lavoro,  nonche'  una  ingiustificata  disparita'  di  trattamento  nei
 confronti:
     a)  dei  primari  che  non  siano  anche  professori  universitari,
 percependo   i  professori  universitari  per  una  (doppia  attivita',
 assistenziale e didattica uno stipendio  non  maggiore  di  quello  dei
 primari non professori, i quali esplicano solo attivita' assistenziale;
     b) nei confronti dei primari che abbiano un incarico universitario,
 perche' costoro sono retribuiti per tale seconda attivita';
     c)  nei  confronti degli altri professori universitari, essendo per
 essi consentito il cumulo delle retribuzioni in relazione al cumulo dei
 rapporti di lavoro.
     La seconda questione (sollevata dal TAR del Lazio) denuncia  l'art.
 4  della  legge  n.  213  del  1971,  per violazione dell'art. 38 della
 Costituzione, nella parte in cui statuisce  che  l'indennita'  in  esso
 prevista non e' utile ai fini previdenziali ed assistenziali.
     Con  la  terza  questione,  infine  (sollevata dai TAR dell'Umbria,
 della Liguria e della Lombardia) si dubita, in riferimento agli artt. 3
 e 36 della Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 50
 del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, nella parte in cui stabilisce che il
 principio dell'omnicomprensivita' retributiva  si  riferisce  anche  ai
 professori universitari con trattamento dirigenziale operanti in unita'
 ospedaliere,  in  quanto  l'applicazione  ad  essi  di  tale  principio
 comporterebbe:
     a) un deteriore trattamento per i clinici universitari rispetto  ai
 medici ospedalieri;
     b)   una  ingiustificata  differenza  di  trattamento  fra  clinici
 universitari, a seconda che usufruiscano del trattamento dirigenziale e
 omnicomprensivo ovvero non ne usufruiscano, potendo in tale ultimo caso
 usufruire di altre indennita';
     c) una ingiustificata differenza di trattamento  rispetto  a  tutti
 gli  altri  professori universitari, che hanno uguale trattamento e non
 svolgono attivita' di assistenza sanitaria;
     d) una retribuzione non proporzionata alla qualita' e quantita' del
 lavoro.
     3. - La prima delle questioni sottoposte alla Corte investe  l'art.
 4,  secondo  comma,  della legge 213 del 1971, partendo dal presupposto
 che i professori universitari  operanti  nelle  cliniche  universitarie
 sarebbero  titolari  di  un  duplice rapporto d'impiego o, quanto meno,
 sarebbero tenuti ad una pluralita' di prestazioni lavorative  la  quale
 imporrebbe  una  retribuzione diversa e maggiore di quella posta con la
 norma in parola.
     Cio'  richiede  che  la  Corte  accerti  preliminarmente  la  reale
 situazione  giuridica  dei  professori  universitari  che  siano  anche
 direttori di cliniche universitarie o' piu' in generale, dei professori
 universitari che operino nelle cliniche stesse.
     Questa Corte, con la sentenza n 103 del 1977 ha  gia'  riconosciuto
 che  l'attivita'  che  viene  svolta  dai  docenti  universitari  nelle
 cliniche  e  negli  istituti  di  ricovero  e  cura  non  solo  non  e'
 incompatibile  con l'attivita' didattico-scientifica, ma, al contrario,
 che esse sono "suscettibili  di  ottimale  collegamento  o  addirittura
 compenetrazione".  Ed  infatti,  come e' noto, le cliniche annesse alla
 Facolta' di medicina e chirurgia forniscono i mezzi  necessari  per  lo
 svolgimento  delle  lezioni e delle esercitazioni universitarie nonche'
 per  le  indagini  scientifiche  alle  quali  e'  tenuto  il  personale
 insegnante   ed   assistente  delle  Facolta'  medesime,  sicche'  loro
 caratteristica e'  la  preminenza  del  fine  didattico-scientifico  su
 quello  meramente  assistenziale.  Da  cio'  discende  che  le cliniche
 costituiscono organi delle Universita' e che l'attivita'  assistenziale
 dei docenti predetti si inquadra senz'altro nella attivita' propria dei
 docenti universitari.
     Sulla  base  di  questa  premessa  sia l'art. 84 del r.d. 31 agosto
 1933, n. 1592 ("Testo unico delle  leggi  sull'istruzione  superiore"),
 sia l'art. 6, ultimo comma, della legge 18 marzo 1958, n. 311 (recante:
 "Norme sullo stato giuridico ed economico dei professori universitari")
 hanno  chiarito  che  fra  gli  obblighi  dei  professori  universitari
 rientrano anche quelli di attendere alla direzione o alla  esplicazione
 della  propria  attivita'  di  collaborazione  nei gabinetti, istituti,
 cliniche, laboratori e simili, cioe' in tutte  quelle  istituzioni  che
 concorrono in vario modo allo svolgimento delle attivita' proprie delle
 Universita':  in  altri  termini,  il  servizio  prestato  dai  docenti
 universitari  nei  reparti  clinico-ospedalieri fa parte integrante dei
 doveri inerenti al loro status, alla pari di qualsiasi altra  forma  di
 partecipazione alla vita universitaria in genere (laboratori, istituti,
 ecc.).  Di  conseguenza  tale  servizio  non puo' non essere ricompreso
 nella normale retribuzione spettante ai docenti medesimi.
     Il carattere proprio  delle  cliniche  universitarie  e  la  natura
 dell'opera  ivi  espletata  dai  professori addetti non e' stata mutata
 dalla riforma ospedaliera del 1968.
     L'art. 1, terzo comma,  della  legge  12  febbraio  1968,  n.  132,
 infatti,  si  limita  a  constatare  che l'assistenza ospedaliera viene
 svolta anche nelle cliniche universitarie, aggiungendo che ad  esse  si
 applicano  le  norme  di detta legge "limitatamente all'esercizio della
 attivita' assistenziale".
     Come questa Corte ha osservato nella citata  sentenza  n.  103  del
 1977,   con   le  disposizioni  in  parola  il  legislatore  ha  inteso
 mobilitare,  per  l'assolvimento  del  servizio  in  cui  si   concreta
 l'assistenza  ospedaliera  pubblica,  anche  gli istituti di ricovero e
 cura a carattere scientifico, le cliniche e gli istituti  universitari,
 dichiarandoli  soggetti,  per  la  parte assistenziale, alla disciplina
 unitaria posta dalla stessa legge di riforma:  ma  cio'  se  ha  inciso
 sull'ordinamento  interno dei servizi di assistenza delle cliniche, non
 ha  operato  sulla  posizione  giuridica   dei   docenti   universitari
 incaricati  nei  cennati  istituti  e  cliniche, posizione giuridica la
 quale rimane soggetta alle norme precedentemente ricordate.
     Di conseguenza modifiche non sono state apportate, su questo punto,
 neppure dalle  norme  contenute  nel  d.P.R.  27  marzo  1969,  n.  129
 (recante: "Ordinamento interno dei servizi di assistenza delle cliniche
 e  degli  istituti  universitari  di  ricovero  e  cura"),  emanato  in
 attuazione della delega di cui agli artt. 40 e 42 della  legge  n.  132
 del  1968  e  destinato  a  dare  applicazione  al  principio affermato
 nell'art. 1, terzo comma, gia' citato.
     In  particolare  l'art.  3,  quando  stabilisce  che  i  professori
 universitari  di  ruolo  (nonche'  gli  aggregati  e gli incaricati) in
 quanto responsabili di una divisione  o  di  un  servizio  speciale  di
 diagnosi  e  cura,  assumono  "a tali effetti", la qualifica di primari
 ospedalieri e, conseguentemente, nei confronti dell'ente ospedaliero, i
 diritti ed i doveri dei primari "in quanto applicabili", altro  non  fa
 che meglio chiarire e precisare la posizione del professore in rapporto
 alla  attivita'  assistenziale che si svolge nell'ambito della clinica,
 non essendo da dubitare che anche prima  della  riforma  detti  docenti
 fossero   soggetti  agli  obblighi  ed  alle  responsabilita'  inerenti
 all'esercizio delle relative funzioni.
     Non diversamente dispone il secondo comma del medesimo art.  3  per
 quel che riguarda gli aiuti e gli assistenti.
     Il  concetto  e'  stato  ripreso integralmente dall'art. 102, primo
 comma, del d.P.R. il luglio 1980,  n.  382  (recante:    "Riordinamento
 della  docenza  universitaria,  relativa  fascia  di formazione nonche'
 sperimentazione  organizzativa   e   didattica"),   aggiungendosi   che
 dell'adempimento  dei  doveri inerenti alle   funzioni assistenziali il
 personale  universitario  "risponde   alle      autorita'   accademiche
 competenti", il che sottolinea la unicita'  del rapporto di impiego dei
 detti professori.
     Consegue   da   quanto  si  e'  detto  che  gli  stessi  professori
 universitari inseriti nelle cliniche ed istituti di ricovero e di  cura
 non sono soggetti ad un duplice rapporto di impiego e neppure che essi,
 in quanto operino in dette cliniche ed istituti, svolgano una attivita'
 la quale abbia caratteristiche diverse da quella loro propria.
     Al  piu' e' possibile parlare di un'attivita' la quale puo' rendere
 e di fatto rende piu'  oneroso  il  lavoro  dei  docenti  addetti  agli
 istituti  in  parola  ed e' certamente in considerazione di cio' che il
 legislatore, fin ab antiquo, ha rivolto una  particolare  attenzione  a
 questa  situazione  prevedendo  qualche  speciale  compenso. Ne e' gia'
 parola nel r.d. 13 novembre 1859, n. 3725 (comunemente conosciuto  come
 "legge  Casati"):  nella  nota  alla  tabella  B)  ivi allegata si dice
 infatti che "i professori i quali oltre le lezioni hanno od una clinica
 o uno stabilimento cui prestar la loro  cura  e  sorveglianza  godranno
 dell'aumento determinato dalla relativa pianta".
     Contrariamente  a  quanto  si afferma dalle parti private, il testo
 unico n. 1592 del 1933, non parla espressamente di compensi del  genere
 (limitandosi,  nell'art.  59,  che  prevede  prestazioni a pagamento, a
 rinviare al regolamento di esecuzione circa la  loro  utilizzazione:  e
 l'art.  133 del r.d. 6 aprile 1924, n. 674, che approvo' il regolamento
 generale  universitario,  a  sua  volta,  parla   genericamente   della
 destinazione delle somme provenienti da dette prestazioni, fra l'altro,
 a  compensi  al  personale). Invece con l'art. 82 del r.d. 30 settembre
 1938, n. 1631 (recante: "Norme generali per l'ordinamento  dei  servizi
 sanitari  e  del  personale sanitario degli ospedali") si introdusse la
 facolta' di imporre un compenso fisso per  ogni  ricoverato  in  corsia
 comune  a  carico  di enti mutualistici, compenso che sarebbe stato poi
 devoluto ai sanitari curanti.
     Ma con la legge 25 marzo 1971, n. 213, il  legislatore,  nella  sua
 discrezionalita'  e  per  scopi chiaramente perequativi, ha ritenuto di
 mutare sistema, sopprimendo i compensi fissi previsti dal r.d. n.  1631
 del  1938  e  stabilendo  con l'art. 4 (ora riprodotto nell'art. 31 del
 d.P.R.  20  dicembre  1979,  n.  761,  recante:  "Stato  giuridico  del
 personale  delle  unita'  sanitarie  locali")  che gli enti ospedalieri
 versino alle Universita' la somma corrispondente  al  costo  necessario
 per dotare di personale medico ospedaliero a tempo definito ogni unita'
 a  direzione universitaria. E' poi l'Universita' che destina tale somma
 alla corresponsione al  personale  medico  universitario  che    svolga
 comunque  attivita' assistenziale di una indennita' che non puo' essere
 superiore, nel suo ammontare, a quanto  occorrente  per  equiparare  il
 trattamento economico a quello del personale medico ospedaliero di pari
 funzioni  ed  anzianita';  in  tal  modo  si e' voluto fondamentalmente
 addivenire alla equiparazione  economica  fra  sanitari  ospedalieri  e
 docenti  universitari  che  operino  nelle  cliniche  universitarie, ma
 rispettando la posizione  dei docenti universitari i quali ricevono  la
 indennita'   non   dall'ente   ospedaliero   ma  dalla  Amministrazione
 universitaria.
     Il legislatore, pertanto, ha preso in considerazione  la  posizione
 degli universitari inseriti nelle cliniche, ma ha piu' volte variato il
 criterio in base al quale calcolare l'emolumento: da ultimo ha ritenuto
 di  dovere  seguire  il criterio, certo non irrazionale, di equiparare,
 nei  limiti  del  possibile,  la  posizione  economica   dei   sanitari
 ospedalieri e dei docenti universitari operanti nelle cliniche.
     4.  -  Da  tutto  quanto  si e' venuto fin qui esponendo emerge, ad
 avviso della Corte, che per i docenti universitari dei quali si  tratta
 non  e'  possibile  parlare di un duplice rapporto di impiego ne' di un
 lavoro supplementare o aggiuntivo che sia da considerare  al  di  fuori
 dei  doveri  inerenti  allo  status  di  professore  universitario:  il
 compenso per il piu' oneroso svolgimento  della  loro  attivita'  trova
 tradizionalmente base in una valutazione discrezionale del legislatore,
 la  quale soprattutto non deve trascurare la posizione dei professori a
 tempo pieno.
     Ma  se  cosi'  e',  nessuno  dei  profili  di   incostituzionalita'
 denunciati dalle ordinanze di rimessione risulta fondato.
     Infatti per quanto attiene alla pretesa violazione del principio di
 uguaglianza (art. 3 Cost.) si osserva che:
     a)   non  puo'  parlarsi  di  disparita'  di  trattamento  con  gli
 ospedalieri che non siano docenti universitari e  che  percepiscono  il
 medesimo stipendio pure svolgendo solo attivita' assistenziale, poiche'
 per  i professori dei quali qui si tratta la attivita' assistenziale si
 compenetra con quella didattico-scientifica;
     b) non esiste possibilita' di operare un confronto fra i professori
 in parola e gli ospedalieri cui sia conferito un qualsiasi incarico  di
 insegnamento universitario, in quanto questi ultimi svolgono in effetti
 due lavori separati e distinti e sono titolari di due distinti rapporti
 di impiego;
     c)  infine  non  puo'  parlarsi  di disparita' di trattamento con i
 docenti universitari  appartenenti  ad  altre  facolta'  ai  quali  sia
 consentito  il cumulo di piu' rapporti di impiego, sempre perche' per i
 docenti in questione non si ha alcun cumulo ma, ripetesi,  soltanto  la
 esplicazione di una attivita' sostanzialmente unitaria.
     Ne'  puo'  ritenersi violato l'art. 36 della Costituzione, poiche',
 come si e' veduto, la legge riconosce ai professori in parola,  proprio
 per  il  maggior  lavoro  al quale essi sono assoggettati, uno speciale
 compenso, la cui entita' rientra, come gia'  detto,  nell'apprezzamento
 discrezionale del legislatore.
     Quanto,   infine,   alla  pretesa  violazione  dell'art.  97  della
 Costituzione, l'ordinanza di rimessione non precisa in  alcun  modo  il
 contenuto della violazione stessa.
     5.  -  Fondata,  invece,  appare  la  seconda  questione sottoposta
 all'esame della Corte.
     Invero la indennita' che viene  corrisposta  a  norma  dell'art.  4
 costituisce  pur  sempre  una  componente  del  complessivo trattamento
 economico spettante al professore universitario quando svolga attivita'
 assistenziale sanitaria e come tale essa non puo' non essere  utile  ai
 fini assistenziali e previdenziali, in applicazione dell'art. 38 Cost.:
 il divieto all'uopo posto nell'art. 4 viola, di conseguenza, tale norma
 costituzionale, tanto piu' che gli enti assistenziali, nel versare alle
 Universita'  le  somme di cui al ripetuto secondo comma dell'art. 4, vi
 comprendono anche i contributi previdenziali, i quali non  possono  poi
 rimanere  nelle  casse  universitarie  e  non  produrre,  quindi, alcun
 benefico effetto nei riguardi dei soggetti ai quali si riferiscono.
     Deve, di conseguenza, dichiararsi la illegittimita'  costituzionale
 del  citato  art.  4, secondo comma, nella parte nella quale stabilisce
 "non utile ai fini previdenziali ed  assistenziali"  la  indennita'  de
 qua.
     6.   -   In   conseguenza   della  declaratoria  di  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 4, secondo comma, nella parte or  ora  citata,
 la  Corte,  avvalendosi  dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87,
 deve dichiarare la illegittimita' costituzionale  anche  dell'art.  31,
 primo  comma,  del  d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, nella parte in cui
 stabilisce che la indennita' ivi  preveduta,  identica  a  quella  gia'
 preveduta  dall'art.  4  suddetto, non e utile ai fini previdenziali ed
 assistenziali.
     7. - Fondata e', infine, anche la terza delle questioni  sottoposte
 a  questa  Corte,  che  investe  il disposto dell'art. 50 del d.P.R. 30
 giugno 1972, n. 748.
     Questa  disposizione,  come  e'  noto,  ha  posto  il  divieto   di
 corrispondere   ai  "funzionari  dirigenti",  oltre  all'indennita'  di
 funzione, ulteriori "indennita', proventi o compensi a qualsiasi titolo
 in  connessione  con  la  carica,  salvo  che  abbiano   carattere   di
 generalita'  per  tutti gl'impiegati civili dello Stato". Tale divieto,
 in conseguenza di quanto statuito nella sentenza n.  219  del  1975  di
 questa Corte, si applica anche ai professori universitari con parametro
 825,  ancorche'  prestino  la  loro  opera  in  cliniche universitarie,
 cosicche' essi non possono usufruire dell'indennita' prevista dall'art.
 4 della legge 25 marzo 1971, n. 213.
     Ma il suddetto divieto, nei limiti in cui si estende all'indennita'
 prevista dall'art. 4 sopra citato, appare irragionevole, ove  si  tenga
 conto  della  particolare  finalita'  della  indennita'  in  questione,
 diretta a perequare il  trattamento  dei  professori  universitari  con
 quella dei medici ospedalieri di pari funzioni e anzianita'.
     La   circostanza  che  un  professore  universitario  raggiunga  il
 parametro  825,  non  elimina  l'esigenza  di  perequazione,  ove   per
 qualunque  ragione  il suo stipendio venga ad essere inferiore a quello
 del medico ospedaliero di pari funzioni ed anzianita'.
     L'art.  50  del  d.P.R.  50  giugno  1972  va  pertanto  dichiarato
 costituzionalmente   illegittimo,   in  riferimento  all'art.  3  della
 Costituzione, nella parte in cui esclude che  ai  docenti  universitari
 che operino in cliniche universitarie ed abbiano raggiunto il parametro
 825  possa  essere  corrisposta  l'indennita' prevista gia' dall'art. 4
 della legge 25 marzo 1971, n. 213 ed ora dall'art. 31 del citato d.P.R.
 20 dicembre 1979, n. 761.
     Rimane  assorbita  la  dedotta  violazione   dell'art.   36   della
 Costituzione.