ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nel giudizio di legittimita' costituzionale del combinato  disposto
 degli artt. 1, 183 e 195 del d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, in relazione
 alla  legge 14 aprile 1975, n. 103 e all'art. 2 della legge 10 dicembre
 1975, n. 693 (Monopolio  pubblico  delle  trasmissioni  televisive  via
 etere  a  carattere  nazionale),  promosso  con  ordinanza emessa il 18
 novembre 1980 dal pretore di Roma,  sul  ricorso  proposto  dalla  RAI,
 Radiotelevisione  Italiana  S.p.a., contro la Rizzoli Editore S.p.a. ed
 altri, con l'intervento dell'AGIS ed  altri,  iscritta  al  n.  37  del
 registro  ordinanze  1981  e  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 27 del 28 gennaio 1981.
     Visti gli atti  di  costituzione  della  S.p.a.  Teletevere,  della
 S.p.a.,  SIT,  Societa'  Impianti  televisivi,  ed  altre, della S.p.a.
 Rizzoli  Editore,  della  Associazione  Nazionale   Teleradiodiffusioni
 Indipendenti,  della  RAI,  Radiotelevisione  Italiana  S.p.a., nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
     udito nell'udienza pubblica del 29 aprile 1981 il Giudice  relatore
 Arnaldo Maccarone;
     uditi  gli  avvocati  Dario  Di  Gravio  per la S..p.a. Teletevere,
 Pasquale Russo e  Carlo  Vichi  per  la  S.p.a.  SIT,  ed  altri,  Aldo
 Sandulli,  Carmine Punzi, Franco Gaetano Scoca e Stefano Varvesi per la
 S.p.a.  Rizzoli  Editore,  Paolo  Barile,  Vezio  Crisafulli,  Giuseppe
 Guarino  e  Alessandro  Pace  per  la  S.p.a.    RAI,  Radiotelevisione
 Italiana, e l'avvocato Sergio Laporta, per il Presidente del  Consiglio
 dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     La  RAI  TV,  Radiotelevisione  Italiana  S.p.a.,  premesso  che ad
 iniziativa  della  Rizzoli  Editore  S.p.a.  stava  per   iniziare   la
 trasmissione  via  etere su scala nazionale di un telegiornale ed altri
 programmi  televisivi  utilizzando  una  rete  di  trasmissione  e   di
 collegamento  di  proprieta'  delle  societa'  SIT,  Societa'  Impianti
 Televisivi S.p.a., SET s.r.l. e Royal  Editrice  s.r.l.    correnti  in
 Castelvecchio  Pascoli consistente in circa 18 stazioni sparse in tutta
 Italia ed interconnesse fra loro; che  la  riferita  iniziativa  doveva
 ritenersi  illecita  in  quanto la diffusione di dette trasmissioni era
 lesiva degli interessi di essa RAI, estendendosi oltre l'ambito locale,
 posto  dalla  Corte  costituzionale  (sentenza  202/1976)  come  limite
 dell'impresa  economica privata   in materia, e in violazione dell'art.
 195 del Cod. postale nonche' della  legge  14  aprile  1975  n.  103  e
 successivo  d.P.R.  11  agosto 1975 n. 452, concernenti la riserva allo
 Stato del servizio radiotelevisivo su scala nazionale e del correlativo
 diritto  di  esclusiva  di essa RAI concessionaria del servizio stesso;
 che,  infine,  la  trasmissione  era  illecita  amministrativamente  in
 difetto della necessaria autorizzazione e dell'assegnazione della banda
 di frequenza da parte del Ministero delle Poste, chiedeva al Pretore di
 Roma  di  inibire  alle  dette  societa'  ogni ulteriore atto diretto a
 condurre ad effetto le illecite iniziative denunciate.
     Il Pretore con decreto 14 ottobre 1980 emesso  ai  sensi  dell'art.
 700  cod.  proc.  civ.  accoglieva la richiesta e inibiva alle societa'
 intimate di diffondere programmi televisivi su scala nazionale.
     All'udienza di comparizione delle parti disposta ai sensi dell'art.
 702 in relazione all'art. 690 cod. proc. civ. per la conferma, modifica
 o revoca del provvedimento suddetto oltre  alle  societa'  intimate  si
 costituivano   l'Amministrazione   delle   Poste   e   telecomunazioni,
 l'Associazione  generale  dello   spettacolo   (AGIS),   l'Associazione
 Nazionale    Esercenti    Cinema   (ANEC),   l'Associazione   Nazionale
 Teleradio-diffusione Indipendenti (ANTI), nonche' la soc. Teletevere.
     Tanto la soc. Rizzoli che la SIT,  SET  e  Royal,  eccepivano,  fra
 l'altro,  l'illegittimita'  costituzionale delle norme che disciplinano
 il monopolio statale televisivo, per assunto contrasto con gli artt. 3,
 10, 21, 43 Costituzione.
     L'amministrazione delle Poste, l'AGIS, l'ANEC  e  l'ANTI  aderivano
 alle tesi della RAI TV mentre la societa' Teletevere, quale titolare di
 una    emittente    televisiva    privata,   prospettava   l'illiceita'
 dell'attivita' delle societa' intimate in quanto  diretta  a  istituire
 una  rete  di  trasmissione  in  contrasto  con i criteri sanciti dalla
 citata sentenza n. 202 della Corte e, in subordine, proponeva le stesse
 questioni  di  illegittimita'  costituzionale  prospettate  dalla  soc.
 Rizzoli, e dalle altre menzionate societa'.
     Il   Pretore,   con   ordinanza   18   novembre  1980,  dopo  avere
 espressamente affermato che il provvedimento di  inibizione  era  stato
 emesso   in   presenza  di  un  complesso  di  elementi  probatori  che
 chiaramente evidenziavano l'esistenza di una situazione pregiudizievole
 in danno  della  ricorrente  e  che  il  provvedimento  stesso  trovava
 comunque   titolo   nella  normativa  in  atto  vigente  nonche'  nella
 prospettiva  costituzionale  che  di   essa   e'   stata   data   dalla
 giurisprudenza  della Corte costituzionale, ha ritenuto rilevante e non
 manifestamente  infondata,  in  relazione  agli  artt.  3,  21   e   43
 Costituzione,  la questione di legittimita' "della normativa risultante
 dal combinato disposto degli artt. 1, 183 e 195 d.P.R. 29  marzo  1973,
 n. 156, in relazione a quanto prescritto dalla legge 14 aprile 1975, n.
 103,  con  particolare riferimento per quest'ultima all'art. 45 nonche'
 all'art. 2 legge n. 693 del 1975, ed agli artt.  1,  2  e  segg.  della
 citata  legge  n.  103  del  1975, "nella parte in cui questa normativa
 legittimando il monopolio pubblico delle  trasmissioni  televisive  via
 etere   a   carattere  nazionale,  preclude  alle  imprese  private  la
 possibilita' di istituire e  gestire  attivita'  televisive  aventi  lo
 stesso  carattere  nazionale e conferisce alla pubblica Amministrazione
 una  potesta'  discrezionale  nella   determinazione   dell'ambito   di
 utilizzazione delle frequenze".
     Il  Pretore  osserva  preliminarmente  che  la  circostanza  che le
 societa'  intimate  non   sono   in   possesso   della   autorizzazione
 amministrativa  all'esercizio  delle  trasmissioni,  non puo' valere ad
 escludere la rilevanza della questione, come vorrebbe la  RAI,  poiche'
 al  fine  di  valutare  la sussistenza del detto requisito occorre fare
 riferimento  al  contenuto  del  potere  giurisdizionale nella concreta
 fattispecie al fine di accertare se la decisione debba  essere  fondata
 sulla norma della cui legittimita' si dubita. E, secondo il Pretore, il
 presupposto  del  provvedimento  de  quo, va individuato nell'esercizio
 dell'attivita'  radiotelevisiva  su  scala  nazionale  in   regime   di
 monopolio,  che proprio la stessa RAI afferma per chiedere la tutela ai
 sensi dell'art. 700 cod. proc. civ.
     Pertanto, ove la normativa  censurata  risultasse  illegittima,  il
 ricorso  dovrebbe  essere  ritenuto  infondato ed il provvedimento dato
 quindi dovrebbe essere revocato, mentre, in  caso  contrario,  dovrebbe
 essere confermato.
     La  situazione amministrativa delle societa' intimate non potrebbe,
 quindi, comunque incidere ai fini della  pronunzia  del  giudice  nella
 fase  del giudizio sommario attualmente in corso ex art. 700 cod. proc.
 civ.
     Nel  merito  il  giudice  a  quo  osserva  poi  che,   secondo   la
 giurisprudenza  della  Corte costituzionale, il monopolio statale nella
 subiecta materia garantisce la liberta' di manifestazione del  pensiero
 dal  pericolo  di  restrizioni  che  deriverebbe dall'instaurarsi di un
 monopolio od oligopolio privato dell'informazione, in conseguenza della
 limitatezza dei canali di trasmissione  utilizzabili  e  dell'eccessivo
 costo degli impianti e della gestione degli stessi. Ove pertanto questi
 dati  di  fatto,  storicamente  verificabili,  dovessero  mutare peso e
 consistenza, potrebbe anche  mutare  il  giudizio  sulla  funzione  del
 monopolio   pubblico   dell'informazione   e,  conseguentemente,  sulla
 legittimita' delle norme che  lo  sorreggono.  Cio'  posto  il  Pretore
 afferma  che  dalla  documentazione  esibita  dalle  societa'  intimate
 "potrebbe ragionevolmente desumersi" che la situazione di fatto su  cui
 poggiano le precedenti pronunzie della Corte sarebbe mutata per effetto
 dei  progressi  tecnici  conseguiti, ne' il giudice del merito potrebbe
 spingere  la  sua  indagine  di  fatto  oltre  l'ambito  del   giudizio
 delibativo  rimesso  alla sua competenza, tanto piu' che tali argomenti
 attengono direttamente alle motivazioni  adottate  a  suo  tempo  dalla
 Corte,  per  cui    spetterebbe  a  quest'ultima valutare se, ed in che
 misura, la  diversa realta' tecnologica possa incidere sul giudizio  di
 legittimita'  delle  norme  che,  allo  stato,  sorreggono il monopolio
 pubblico  delle  trasmissioni  televisive  su  scala  nazionale.  E  in
 proposito  il  giudice a quo precisa che, anche indipendentemente dalla
 distinzione   fra   liberta'   di   manifestazione   del   pensiero   e
 disponibilita'  dei  mezzi  o  strumenti  idonei  allo  scopo,  cui  fa
 riferimento la RAI per affermare che l'art. 21  Cost.  garantirebbe  in
 ogni  caso  la  detta  liberta'  ma  non la disponibilita' dei mezzi di
 trasmissione, ove si ritenga che attualmente la tecnica consente  entro
 limiti assai ampi la possibilita' di accesso dei privati agli strumenti
 di  trasmissione  via  etere  a  carattere  nazionale,  non  potrebbero
 ritenersi  legittime   le   attuali   norme   restrittive,   non   piu'
 giustificabili ai sensi dell'art. 43 Costituzione.
     Inoltre,  il  prospettato  profilo di illegittimita' evidenzierebbe
 anche il dubbio circa  il  contrasto  della  normativa  denunziata  con
 l'art. 3 Cost. Infatti la posizione di privilegio attribuita allo Stato
 concreterebbe  una  disparita'  di trattamento non sorretta da adeguata
 giustificazione, e cio'  tanto  piu'  che  attraverso  il  sistema  dei
 ripetitori  le  reti  televisive  estere  possono  irradiare  programmi
 sull'intero  territorio  nazionale,  acquisendo  cosi'  anch'esse   una
 posizione di privilegio rispetto alle emittenti televisive nazionali.
     Inoltre,  secondo  il  giudice  a  quo,  dovendosi  riconoscere  la
 operativita'  della  normativa  sul  monopolio  pubblico  televisivo  a
 carattere  nazionale  in  relazione  alle  trasmissioni  effettuate  da
 emittenti locali ma estese a tutto il territorio nazionale per  effetto
 della   cosi'   detta   interconnessione   fra  emittenti,  poiche'  si
 tratterebbe comunque di  trasmissioni  estese  a  tutto  il  territorio
 nazionale   la   Corte   dovrebbe  altresi'  valutare  la  legittimita'
 costituzionale  della   normativa   denunziata   anche   sotto   questo
 particolare profilo.
     Il  giudice a quo infine, in relazione alla richiesta di revoca del
 provvedimento di inibizione avanzata dalla SIT, SET e  Royal  Editrice,
 ritiene  di  dover  precisare che la portata del provvedimento concerne
 esclusivamente la diffusione di programmi su scala nazionale, o  aventi
 originariamente   tale   ambito   o  risultanti  tali  per  effetto  di
 accorgimenti tecnici quali  l'interconnessione  fra  emittenti  locali,
 restandone  quindi  libera  l'irradiazione di programmi locali anche se
 operata da piu' emittenti in tempi diversi. Pertanto  il  provvedimento
 in  esame  non inciderebbe in alcun modo sull'attivita' imprenditoriale
 delle menzionate societa', che  si  definiscono  titolari  di  impianti
 aventi  ambito  esclusivamente  locale  e  le  relative doglianze entro
 questi limiti sarebbero infondate.
     Si e' costituita  la  soc.  Rizzoli  Editore  in  persona  del  suo
 presidente Amministratore delegato e legale rappresentante dott. Angelo
 Rizzoli rappresentato e difeso dagli avv.ti Stefano Varvesi, prof. Aldo
 Sandulli,  prof.  Carmine  Punzi,  prof.    Gaetano  Scoca,  che  hanno
 tempestivamente depositato le proprie deduzioni.
     La difesa della soc. Rizzoli richiama anzitutto  la  giurisprudenza
 della  Corte  in  materia  e  ribadisce  che  la liceita' del monopolio
 pubblico sarebbe stata ravvisata in base alla riconosciuta  sussistenza
 del  fine  di  utilita'  generale  richiesto  al  riguardo dall'art. 43
 Costituzione  per  l'avocazione  allo   Stato   di   servizi   pubblici
 essenziali,  fine che la Corte avrebbe identificato nella necessita' di
 salvaguardare  la  completezza,   l'obbiettivita'   e   l'imparzialita'
 nell'uso  del  piu'  importante  mezzo  di  diffusione del pensiero che
 avrebbero potuto essere  compromesse  dalla  limitata  utilizzabilita',
 all'epoca, dell'etere sia per la limitata disponibilita' delle bande di
 trasmissione,  sia  per  gli  alti  costi  degli impianti che avrebbero
 condotto alla instaurazione di monopoli o di oligopoli  privati.  E  la
 liberalizzazione  delle  trasmissioni straniere su scala nazionale e di
 quelle  private  via  cavo  su  scala  locale  sarebbe  stata   appunto
 conseguenza   di   tale  orientamento,  dovendosi  escludere  per  tali
 trasmissioni la sussistenza del  pericolo  di  monopolio  o  oligopolio
 sopra menzionato.
     La  legge  n.  103  del  1975,  pur  muovendosi  apparentemente  in
 conformita' della ricordata giurisprudenza costituzionale, non  avrebbe
 considerato  che  il  progresso  tecnico consentiva oramai una ben piu'
 vasta utilizzazione delle bande di frequenza anche per le  trasmissioni
 via etere. Circostanza della quale invece avrebbe tenuto conto la Corte
 con  una  successiva  sentenza  (202/76),  con la quale, affrontando il
 problema limitatamente alle trasmissioni  via  etere  su  scala  locale
 riconosceva  l'esistenza di una disponibilita' sufficiente ad escludere
 il  pericolo  di  monopoli  od  oligopoli  privati  e   dichiarava   di
 conseguenza  l'illegittimita'  dell'estensione  del  monopolio pubblico
 alle   emissioni   su  scala  locale,  che,  costituiva  una  non  piu'
 giustificabile compressione  del  fondamentale  principio  di  liberta'
 garantito dall'art. 21 Costituzione.
     Cio'  premesso,  la  difesa  della  soc.  Rizzoli  afferma  che  la
 disponibilita' attuale delle frequenze utilizzabili per i  collegamenti
 televisivi   via  etere  sarebbe  di  tale  ampiezza  "anche  su  scala
 nazionale" da non  giustificare  ulteriormente  alcuna  limitazione  al
 principio   di   liberta'   di  manifestazione  del  pensiero,  il  che
 evidenzierebbe altresi' il contrasto dell'art. 1 della legge n.  103/75
 con  l'art.  43  Costituzione,  la'  dove  dopo  avere  premesso che la
 radiodiffusione e' un  servizio  pubblico  essenziale  a  carattere  di
 preminente  interesse  generale,  statuisce che "pertanto" e' riservato
 allo Stato senza tener conto  del  venir  meno  dei  fini  di  utilita'
 generale  pure  richiesti dall'art. 43 per la istituzione del monopolio
 pubblico, e  senza  tener  conto  neppure  che  con  tali  criteri,  si
 aprirebbe  la  strada  alla  riserva allo Stato anche dei giornali, del
 cinema, etc.
     La difesa della soc. Rizzoli  svolge  quindi  un'ampia  trattazione
 tecnica   dell'argomento,   dente   a  dimostrare  l'esistenza  di  una
 molteplicita' di canali di  trasmissione,  sia  all'interno  del  piano
 nazionale  delle  frequenze  approvate nel 1976 da 100 a 11700 MHZ, sia
 all'esterno di esso da 11700 MHZ a 400.000 MHZ.
     Anche sotto il profilo dei costi, la riserva di monopolio  pubblico
 non  troverebbe  piu'  alcuna  giustificazione,  poiche'  l'impiego dei
 transistors, e gli altri progressi tecnici in  materia  consentirebbero
 di realizzare una vasta copertura del territorio nazionale mediante una
 spesa  di non piu' di 1500 milioni, "sopportabile da qualunque impresa"
 e comunque ben inferiore a  quella  necessaria  per  l'impianto  di  un
 giornale.  Ed anche i costi di gestione sarebbero inferiori a quelli di
 un giornale, e comunque sarebbero ampiamente  condizionati  dai  ricavi
 della  pubblicita',  la cui gestione potenziata dalla emittenza privata
 avrebbe anche una funzione riequilibratrice del settore.
     La difesa poi, premesso un ampio ed analitico esame  della  attuale
 situazione  della  disponibilita'  delle frequenze di trasmissione, con
 riferimento al D.M. 3 dicembre 1976 relativo al piano  nazionale  delle
 frequenze,  afferma  che,  in forza di esso, sarebbe stato riservato al
 servizio pubblico  di  trasmissione  un  numero  eccessivo  di  canali,
 neppure  tutti  utilizzati,  ed  asserisce  che  sarebbe  ben possibile
 ridurre tale assegnazione allo scopo di aumentare la disponibilita' per
 i privati senza ridurre la resa tecnica dei servizio stesso. Il  citato
 D.M. 3 dicembre 1976 sarebbe anzi illegittimo appunto per l'irrazionale
 ed  eccessiva  assegnazione  di  frequenze  al  monopolio  pubblico ivi
 disposta, e sarebbe un atto interno della pubblica Amministrazione  che
 come  tale  non potrebbe essere tenuto presente in questa sede, ai fini
 di  valutare  la  obbiettiva  situazione  della  disponibilita'   delle
 frequenze  nei  confronti dei terzi. Il potere discrezionale esercitato
 col  decreto  in  esame,  comunque,  non  sarebbe  previsto  da  alcuna
 disposizione  legislativa  ne'  avrebbe  potuto  esserlo,  incidendo in
 materia di diritti costituzionalmente garantiti.
     La difesa infine dedica la parte conclusiva delle proprie deduzioni
 alla contestazione della necessita'  del  monopolio  pubblico  ai  fini
 dell'osservanza dell'art. 21 Costituzione affermando che la facolta' di
 utilizzare  l'etere  estesa  ai  soggetti  in  grado  di disporre degli
 appositi impianti non conculcherebbe detta liberta',  il  cui  rispetto
 esige soltanto che tutti coloro che abbiano la possibilita' di disporre
 di  un  mezzo  idoneo  possano  utilizzarlo  per  diffondere il proprio
 pensiero. Ove esista la possibilita' di un naturale pluralismo,  quello
 realizzato  attraverso il monopolio statale sarebbe in contrasto con la
 detta liberta', sul piano nazionale non meno che su  quello  locale,  e
 senza  che tale conclusione possa essere contraddetta ne' dal fatto che
 alla   Radiotelevisione   di   Stato   sovraintende   una   commissione
 parlamentare,  che  per  la  sua  natura politica sarebbe portatrice di
 interessi piu' ristretti di quelli culturali connessi  al  servizio  in
 esame,   ne'   dalla  asserita  possibilita'  che  su  scala  nazionale
 finirebbero con l'imporsi grossi gruppi economici,  in  quanto,  mentre
 cio' potrebbe egualmente affermarsi per la stampa, che nessuno pensa di
 sottoporre   a   monopolio  pubblico,  sarebbe  sufficiente  una  legge
 antitrust per eliminare tale pericolo, ne' dalla  paventata  esclusione
 dai  circuiti  televisivi    privati  delle zone di minore redditivita'
 pubblicitaria, giacche' anche ammesso che cio'  potesse  avvenire,  non
 sarebbe  argomento  sufficiente  ad  escludere il pluralismo, potendosi
 eventualmente rimediare attraverso  servizi  pubblici  a  carico  della
 collettivita',  ne'  infine  dalla  ventilata  minore  professionalita'
 dell'emittente privata rispetto a quella pubblica, che, se mai, sarebbe
 conseguenza solo dell'attuale illegittimo sistema.
     Si sono anche costituite: la soc. SIT  in  persona  del  presidente
 dr.ssa  Maria Lina Marcucci, la soc. SET in persona dell'amministratore
 unico dr. Giuseppe Pulvirenti e la soc.    Royal  Editrice  in  persona
 dell'amministratore  unico  dr.  Enzo  Mentasti,  tutti rappresentati e
 difesi dagli avv.ti prof. Pasquale Russo e  Carlo  Vichi  -  che  hanno
 depositato tempestivamente le proprie deduzioni.
     La  difesa delle soc. SIT, SET e Royal Editrice, richiamandosi alle
 deduzioni svolte in  sede  pretorile,  con  le  quali  aveva  affermato
 doversi  ritenere  ai  sensi  delle  norme impugnate pie namente lecita
 l'attivita' di trasmissione di piu'  emittenti  locali,  quali  appunto
 esse   deducenti,  avente  ad  oggetto  la  trasmissione  dello  stesso
 programma ciascuna nel proprio ambito locale, ribadisce che il fenomeno
 dell'interconnessione fra stazioni locali  o  il  ricorso  allo  stesso
 scopo  ai  ponti  radio o alle cassette non trasformerebbe le emittenti
 locali in emittenti ultralocali o nazionali, in quanto si realizzerebbe
 cosi' soltanto una  diffusione  in  diverse  localita'  di  uno  stesso
 programma,  mantenendo  peraltro  ogni  emittente  la  propria autonoma
 individualita', e la propria zona di competenza.
     La  limitazione  della  liberta'  di  emissione  non  riguarderebbe
 percio' i programmi che le varie emittenti trasmettono ciascuna per suo
 conto.  E  cio'  sarebbe  conforme  alla giurisprudenza della Corte che
 avrebbe inteso vietare l'oligopolio economico,  non  ravvisabile  nella
 diffusione   di   programmi   eguali   da   parte  di  piu'  emittenti,
 salvaguardando invece la diffusione pluralistica delle idee che sarebbe
 limitata dalla esclusione della possibilita' che una manifestazione del
 pensiero espressa in una regione possa circolare in un'altra. E d'altra
 parte i citati mezzi per la moltiplicazione  della  diffusione  di  uno
 stesso programma, offrendo una possibilita' di utenza senza limiti ed a
 bassissimo costo, non urterebbero contro il presupposto tecnico che sta
 alla  base  delle  decisioni  della  Corte,  cioe' la limitazione delle
 frequenze e gli alti costi di gestione.
     Cio'  premesso,  la  difesa  osserva  peraltro  che le questioni di
 legittimita' sollevate in relazione alle norme  impugnate  interpretate
 nel senso restrittivo adottato dal giudice a quo sarebbero fondate.
     Sarebbero  violati infatti l'art. 3 Costituzione, per l'irrazionale
 disparita' di trattamento  a  danno  delle  emittenti  locali,  che  si
 vedrebbero  costrette a trasmettere ciascuna in ambito limitato mentre,
 la concessionaria o le emittenti estere potrebbero farlo liberamente su
 scala nazionale;  l'art.  21  Costituzione  per  la  restrizione  della
 liberta'   di   manifestazione   del   pensiero  che  tale  limitazione
 comporterebbe; l'art. 43 Costituzione letto in riferimento all'art.  41
 Costituzione  perche'  resterebbe  soffocata  senza  motivo la liberta'
 d'impresa sia sotto il profilo della produzione  e  commercializzazione
 dei  programmi  sia  sotto  il profilo della scelta e dell'acquisto dei
 programmi  prodotti  in   ambiti   locali   diversi.   Ne'   l'astratta
 possibilita'  di  oligopolio collegata all'eventuale controllo di pochi
 gruppi di una  pluralita'  di  emittenti  varrebbe  a  giustificare  il
 monopolio statale, che non da questo potrebbe essere garantito,  bensi'
 da una idonea normativa regolatrice.
     D'altra  parte,  prosegue la difesa, non sussisterebbero ormai piu'
 le condizioni di limitatezza delle frequenze utilizzabili poste a  base
 della  ricordata  giurisprudenza della Corte, e cio' sarebbe dimostrato
 dalla attualita' di numerose emittenti nazionali  oltre  quelle  RAI  e
 costituite   dalle   emittenti   straniere   di  Montecarlo,  Svizzera,
 Capodistria e Francia  ricevute  in  Italia,  oltre  alle  possibilita'
 offerte  dalle  irradiazioni  via satellite.   Le stesse limitazioni di
 frequenza disposte col D.M. 3 dicembre 1976 sarebbero comunque superate
 dall'adozione della convenzione di Torremolinos, ratificata  con  legge
 n.  790 del 1977, mentre il giudice amministrativo avrebbe annullato il
 detto  decreto  del  1976  nella  parte  in  cui  privilegiava  la  RAI
 nell'assegnazione dei canali televisivi.
     Neppure  le  limitazioni economiche sarebbero realmente incisive ai
 fini  in  discorso  poiche'  la   costruzione   della   3   rete   RAI,
 particolarmente   complessa   secondo   le   ammissioni   della  stessa
 concessionaria, sarebbe costata meno di quattro miliardi, cioe' meno di
 quanto occorre per impiantare una casa  editrice  o  produrre  un  buon
 film.
     Si  sono  altresi' costituiti in questa sede la soc. Teletevere, in
 persona del legale rappresentante Pietro  Manno,  nonche'  di  Fabrizio
 Menghini,  in  proprio,  quale  direttore  editoriale,  rappresentati e
 difesi dall'avv. Dario di Gravio  che  ha  depositato  nei  termini  le
 proprie  deduzioni  con  cui si limita a richiamare le tesi gia' svolte
 nel giudizio avanti ai Pretore, e sopra ricordate.
     Si e' altresi' costituita la RAI Radiotelevisione Italiana S..p.a.,
 in persona del Presidente del Consiglio  di  amministrazione  e  legale
 rappresentante  dr.  Sergio Zavoli, rappresentato e difeso dagli avv.ti
 prof. Paolo Barile, prof.   Vezio Crisafulli, prof.  Giuseppe  Guarino,
 prof.  Natalino Irti, prof. Alessandro Pace e Attilio Zaccali che hanno
 tempestivamente depositato le proprie deduzioni.
     La difesa della RAI, richiamandosi alla giurisprudenza della  Corte
 costituzionale,  e  della Corte Suprema di Cassazione, pone in evidenza
 la necessita' di  una  autorizzazione  per  l'esercizio  dell'attivita'
 televisiva,  con  contestuale assegnazione della frequenza da parte dei
 Ministero delle Poste e Telecomunicazioni. Dato che  le  soc.  Rizzoli,
 SIT  e SET non hanno nemmeno chiesto tale autorizzazione, le stesse non
 avrebbero   titolo   ad   esercitare    l'attivita'    televisiva,    e
 conseguentemente,  non  avrebbero interesse a sollevare la questione di
 legittimita', che, pertanto, sarebbe inammissibile perche' irrilevante.
     D'altra  parte,  con  riferimento  al  profilo  di   illegittimita'
 prospettato  nell'ordinanza  di  rinvio  in  relazione  alle  norme che
 disciplinano il potere autorizzatorio (artt. 1 e  183  cod.    postale,
 cosi'  come  modificati  dall'art.  45  della  legge  n.  103 del 1975)
 censurate in quanto conferirebbero il detto potere con discrezionalita'
 assoluta senza specificare i criteri  per  la  concessione,  la  difesa
 osserva  che  l'affermazione sarebbe inesatta in quanto la assegnazione
 delle frequenze sarebbe disciplinata dalle norme internazionali (d.P.R.
 25 settembre 1967 n. 1525 e legge 7 ottobre 1977 n. 790),  la  concreta
 assegnazione  sarebbe  stata  legittimamente  effettuata con il D.M.  3
 dicembre 1976 ed i criteri relativi sarebbero desumibili  dai  principi
 costituzionali  quali  interpretati  dalla  Corte  con  la  sentenza n.
 202/1976. Secondo la difesa,  la  questione,  pertanto,  sarebbe  sotto
 questo   profilo   manifestamente   infondata   per   cui   "rimarrebbe
 insuperabile  l'eccezione  di  non  pertinenza  ed  irrilevanza   delle
 questioni proposte".
     Comunque la questione sarebbe infondata.
     Ed  a dimostrazione della sua tesi, la difesa osserva anzitutto che
 la disciplina della telediffusione nazionale  quale  servizio  pubblico
 essenziale  dettata  dalla  legge  n.  103  del  1975,  garantirebbe le
 esigenze   di   tutela   del   pluralismo,   dell'indipendenza,   della
 obiettivita'  e  della  completezza degli scopi culturali e sociali del
 mezzo pubblico televisivo sotto il controllo della apposita Commissione
 parlamentare,  caratteristiche  tutte  che  ovviamente  non  potrebbero
 essere   richieste   alle   trasmissioni   private.  D'altra  parte  la
 considerazione fondamentale che avrebbe indotto la Corte a  riconoscere
 la  liceita'  costituzionale  del  monopolio  pubblico  sarebbe  che la
 liberta'  di  antenna  su  scala   ultra   locale   si   trasformerebbe
 inevitabilmente    in  un  potere  privato, ancor piu' pericoloso di un
 analogo potere pubblico in quanto volto, a differenza di  quest'ultimo,
 allo  sfruttamento commerciale delle sole zone del Paese economicamente
 piu'  redditizie  tanto piu' che la riserva del monopolio non contrasta
 con l'art. 21 Cost., la  cui  garanzia  riguarderebbe  la  liberta'  di
 pianifestazione  del  pensiero nel suo contenuto, indipendentemente dai
 modi e dai mezzi di diffusione  e  dalla  astratta  disponibilita'  per
 tutti  di questi ultimi, e proteggerebbe comunque la manifestazione del
 pensiero individuale, mentre la attivita' della ricorrente, che e'  una
 societa'   commerciale,   meglio  dovrebbe  qualificarsi  attivita'  di
 impresa, e come tale  ricadrebbe  piu'  propriamente  sotto  la  tutela
 dell'art.  41  Costituzione. Ed appunto la soc. ricorrente intenderebbe
 svolgere essenzialmente attivita' commerciale incentrata  sul  profitto
 pubblicitario,  in  relazione al quale lo spettacolo sarebbe solo mezzo
 al fine di lucro.  Il  che  comporterebbe  la  crescita  dell'attivita'
 pubblicitaria  e  della  relativa spesa, con danno dei consumatori, sui
 quali ricadrebbe in ultima analisi l'incremento della spesa stessa, che
 la difesa quantifica  in  210  miliardi  prevedibili  per  il  1984.  E
 nell'ambito  di tale mercato gli imprenditori piu' forti agirebbero per
 la conquista del mercato, sfruttando  la  loro  maggiore  potenzialita'
 economica,  escludendo  prima  o  poi le concorrenti minori e giungendo
 necessariamente al monopolio od oligopolio con  le  implicazioni  anche
 politiche  che  una simile conclusione prospetta. Il che evidenzierebbe
 la necessita' di salvaguardare il servizio di  trasmissioni  televisive
 da  cosi'  pesanti  condizionamenti,    rendendo  lo  aderente alla sua
 funzione culturale, di dibattito, di informazione e di svago.
     Da ultimo, la difesa constata poi che, poggiando sostanzialmente le
 argomentazioni  del  giudice  a   quo   sull'elemento   tecnico   della
 supponibile   evoluzione   delle   condizioni   di   limitatezza  della
 disponibilita'  di  canali,  in    difetto  peraltro  di  un   rigoroso
 accertamento   al   riguardo,   e   pur  dovendosi  rilevare  che  piu'
 correttamente il giudice a quo avrebbe dovuto direttamente   effettuare
 le  necessarie  indagini,  in  quanto  i presupposti di fatto della non
 manifesta infondatezza debbono essere certi, e non solamente  probabili
 o  ragionevoli,  occorrerebbe  in  ogni  caso  disporre  una consulenza
 tecnica da espletare o a  cura  del  giudice  a  quo,  a  cui  all'uopo
 andrebbero  rimessi  gli atti, o, direttamente, dalla Corte in  base ai
 suoi poteri istruttori, allo scopo di accertare i  dati  tecnici  sulla
 disponibilita'  delle    radiofrequenze,  sui  costi  di  impianto e di
 esercizio, sulle possibili dimensioni degli introiti, nonche' tutti gli
 altri necessari dati di  carattere  tecnico  ed  economico  utili  alla
 decisione.
     La  difesa,  comunque,  ha  anche  depositato  una  seconda memoria
 specificamente illustrativa degli aspetti tecnici  ed  economici  delle
 questioni  in  esame,  con  la  quale  gli  argomenti sono diffusamente
 trattati al fine di dimostrare l'entita' delle spese di impianto  e  di
 gestione  delle  reti  su scala nazionale che, anche nella ipotesi meno
 costosa, ascenderebbero comunque a  decine  di  miliardi,  ed  analizza
 altresi'  la  disponibilita'  di canali su scala nazionale in forza del
 piano di Stoccolma del 1961, che sarebbe critica  per  quanto  riguarda
 gli impianti di copertura di grande potenza.
     Si  e'  costituito  anche il Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato  che  ha
 ritualmente depositato le proprie deduzioni.
     In  relazione  all'eccezione  di  irrilevanza  formulata  dalla RAI
 l'Avvocatura  osserva  che  nell'ambito  del  processo   cautelare   la
 qualificazione  della  situazione  giuridica  delle convenute in ordine
 all'esercizio dell'attivita' di trasmissione televisiva via  etere  non
 avrebbe  rilievo  ai  fini del provvedimento pretorile, presupposto del
 quale sarebbe solo l'eventuale riconoscimento alla RAI del  diritto  di
 escludere   altri   dall'attivita'   di  radiotelediffusione  su  scala
 nazionale  indipendentemente  dalla  situazione  amministrativa   delle
 societa' convenute.
     Quanto  al  merito,  l'Avvocatura,  dopo  avere  ricordato  che  la
 questione e' stata sollevata in vista  della  asserita  modifica  delle
 condizioni   di  fatto  (limitatezza  delle  frequenze)  che  avrebbero
 ispirato  le   pronunzie   precedenti   della   Corte,   afferma   che,
 dall'evoluzione  della  giurisprudenza  costituzionale, invece, sarebbe
 lecito ritenere superata tale prospettiva esclusiva in quanto la  Corte
 avrebbe  poi  anche  riconosciuto  che  l'attivita'  di  telediffusione
 attiene ad un servizio pubblico essenziale e che questa  condizione  in
 connessione   con   i   fini   di  utilita'  generale  ravvisati  nella
 peculiarita'   dell'attivita'   stessa,   consentirebbe   autonomamente
 l'istituzione   del   monopolio   pubblico   ai   sensi   dell'art.  43
 Costituzione.  Cio'  posto,  e  dopo  avere  affermato  che  l'asserita
 sopravvenuta  disponibilita'  delle  frequenze  troverebbe una smentita
 nelle clausole limitative in materia adottate  con  la  convenzione  di
 Malaga-Torremolinos   (legge   7  ottobre  1977  n.  790),  rileva  che
 permarrebbe comunque il rischio che possano accedere all'etere soltanto
 pochi gruppi economicamente piu' forti, che finirebbero con l'escludere
 gli   altri   eventuali   concorrenti  con  l'ovvia  prospettiva  della
 formazione di un oligopolio.
     Trattando  poi  specificamente  la  questione  con  riferimento  al
 problema   delle   interconnessioni   fra  stazioni  emittenti  locali,
 l'Avvocatura osserva che dovendosi porre in primo piano il carattere di
 servizio  pubblico  essenziale  quale   elemento   giustificativo   del
 monopolio pubblico della diffusione radiotelevisiva via etere, anche il
 fenomeno  delle interconnessioni andrebbe riguardato sotto tale profilo
 e la questione quindi dichiarata infondata.
     L'Avvocatura,   avviandosi   alla   conclusione    delle    proprie
 argomentazioni,   afferma  che,  rispetto  all'uso  di  quei  mezzi  di
 diffusione del pensiero, che, per  le  loro  caratteristiche  tecniche,
 consentano  di  compromettere  il  contemporaneo esercizio, da parte di
 altri, della liberta' di manifestazione  del  pensiero  con  l'identico
 mezzo,  non  potrebbe ritenersi sussistente una garanzia costituzionale
 assoluta ed incondizionata, onde la riserva allo Stato dei mezzi stessi
 sarebbe da ritenere compatibile con l'art. 21 Costituzione, che  per  i
 detti  motivi,  appunto,  non puo' garantire in identica misura ed allo
 stesso modo l'uso di tutti i mezzi di diffusione dd pensiero.
     Infine si e' anche costituita, depositando il relativo  atto  fuori
 termine,  l'Associazione Nazionale Teleradiodiffusione indipendenti, in
 persona del Presidente  avv.  Eugenio  Porta,  rappresentato  e  difeso
 dall'avv. prof. Paolo Stella Richter.
     Le  parti  costituite,  tranne  la  soc.  Teletevere,  hanno  tutte
 depositato memorie illustrative a sostegno delle tesi gia' svolte nella
 prima difesa.
     La soc. Rizzoli insiste nell'affermare la rilevanza della questione
 sollevata, ribadendo in sostanza le  argomentazioni  gia'  esposte  dal
 giudice a quo, nell'ordinanza di rinvio.
     Trattando  in particolare della normativa internazionale in materia
 afferma che essa avrebbe carattere indicativo, ma non imperativo per  i
 cittadini. Il Regolamento per le radiocomunicazioni approvato a Ginevra
 nel  1959  avrebbe  invero  natura  di  mero regolamento amministrativo
 interno, stante il regime di monopolio pubblico esistente in Italia,  e
 cio'  sarebbe  confermato dalla mancata pubblicazione dell'atto, idoneo
 a   stabilire soltanto impegni fra  gli  Stati  aderenti,  al  fine  di
 coordinare  le  trasmissioni  evitando  disturbi tra paese e paese.  Il
 Regolamento  internazionale non avrebbe comunque "imposto"  agli  Stati
 di  utilizzare  certe  frequenze  ma  le  avrebbe  solo indicativamente
 assegnate e pertanto non varrebbe richiamarsi ad esso per  giustificare
 il monopolio statale delle radioteletrasmissioni.
     La memoria si diffonde poi nel contestare la funzione del monopolio
 pubblico,  che  finirebbe  col  comprimere  il pluralismo informativo e
 culturale, in contrasto con l'art.  21  Costituzione.    Pertanto,  pur
 dovendosi  riconoscere  allo Stato il compito di regolare la materia al
 fine  di  evitare  l'istituirsi   di   monopoli   privati,   cio'   non
 comporterebbe   la   necessita'  di  un  monopolio  pubblico,  ma  solo
 evidenzierebbe l'esigenza di giungere ad una opportuna regolamentazione
 legislativa della materia.
     Comunque, in concreto, gia' esisterebbero ed avrebbero dato  ottima
 prova  catene  di  trasmissioni  a  livello  "quasi nazionale", mentre,
 d'altra parte, i costi di impianto e di gestione non potrebbero neppure
 giustificare   il   monopolio   statale,   poiche'   servizi    privati
 razionalmente   organizzati   e   condotti   attraverso   le  opportune
 interconnessioni consentirebbero di ridurre enormemente i costi stessi.
     La memoria passa poi ad illustrare aspetti tecnici del problema  in
 esame,  al  fine  di dimostrare che e' agevolmente possibile realizzare
 una  molteplicita'  di  reti  attraverso  collegamenti  per  mezzo   di
 ponti-radio,  e  conclude  insistendo  sulle  posizioni gia' illustrate
 nella prima difesa, ed affermando, in particolare,  che  le  conoscenze
 tecniche in materia sarebbero "diffuse" ed alla "portata di tutti", per
 cui  la  Corte  potrebbe  decidere senza bisogno di disporre consulenza
 tecnica. Ad ogni buon fine, comunque, risulta allegata alla memoria una
 relazione tecnica del prof. Angelo Bernardini tendente ad asseverare la
 possibilita' di coprire tutto il territorio  nazionale  con  catene  di
 trasmettitori privati di piccola potenza collegati per ponte-radio, che
 non  creerebbero turbamenti alle preesistenti assegnazioni del piano di
 Stoccolma.  Dato  l'elevato  numero  di  reti  di  collegamento   cosi'
 realizzabili, ed il relativamente basso costo di impianto e di gestione
 sarebbe  garantita la pluralita' dell'informazione e resterebbe escluso
 il pericolo del formarsi di oligopoli.
     Ha depositato una  memoria  anche  la  difesa  delle  societa'  SIT
 S.p.a., SET s.r.l. e Royal Editrice s.r.l.
     Si   afferma   ivi  anzitutto  l'infondatezza  della  eccezione  di
 irrilevanza della questione sollevata dalla  RAI,  e  si  sostiene  che
 l'oggetto  del  giudizio  principale e' limitato alla conferma o revoca
 del provvedimento cautelare emesso ai sensi dell'art.   700 cod.  proc.
 civ., per cui sarebbero del tutto inconferenti le argomentazioni svolte
 dalla  difesa  della RAI circa l'eventuale illiceita' dell'attivita' di
 emissione senza  autorizzazione,  che  comunque  attualmente,  dopo  la
 sentenza n.  202/76 della Corte, non sarebbe nemmeno piu' richiesta.
     Insiste   poi   nel   sostenere   la  insussistenza  in  base  alle
 disposizioni  vigenti  di  qualsiasi  divieto   per   quanto   riguarda
 l'interconnessione   fra  stazioni  locali  e,  sotto  questo  profilo,
 riafferma la pretesa irrilevanza della questione  per  quanto  riguarda
 appunto  tale tipo di trasmissione, ribadendo comunque che la questione
 riguarderebbe essenzialmente la liberta' di circolazione sul territorio
 nazionale dei programmi televisivi attraverso la ripetizione  da  parte
 di  piu'  emittenti con vari mezzi tecnici, ed indipendentemente quindi
 dalla disponibilita' delle frequenze. Ed in proposito si richiama  alla
 giurisprudenza della Corte (sentenza n. 202/76) con la quale si sarebbe
 dichiarata    l'illegittimita'   della   riserva   allo   Stato   della
 installazione e dell'esercizio degli impianti di trasmissione via etere
 di portata non eccedente l'ambito locale, senza coinvolgere peraltro la
 libera circolazione dei programmi.
     Nella memoria  si  torna  poi  a  contestare  la  fondatezza  della
 questione   facendo   particolarmente   riferimento  alla  liberta'  di
 manifestazione del pensiero ed alla esigenza di tutelarne l'osservanza,
 che  sarebbe  incompatibile  col  monopolio   pubblico   dell'emittenza
 televisiva  su scala nazionale anche perche' la garanzia costituzionale
 si estenderebbe alle manifestazioni del pensiero di gruppi  organizzati
 oltre  che  dei  singoli  individui ed alla manifestazione del pensiero
 altrui oltre che del proprio. Ed aggiunge che le garanzie di accesso al
 mezzo televisivo fornite dalle  vigenti  disposizioni  in  materia  non
 varrebbero  al fine di conseguire l'effettivo rispetto del principio di
 cui all'art. 21 Costituzione, per la incompleta e  parziale  attuazione
 delle garanzie stesse da parte degli organi competenti.
     Anche  la  RAI  TV  ha depositato una memoria illustrativa, con cui
 svolge ampiamente le tesi gia' sostenute nelle prime difese.
     Nella memoria si riafferma anzitutto che, ove si ritenesse  che  la
 questione  di  legittimita'  investe  anche  il  potere  della pubblica
 Amministrazione di formare il piano di  assegnazione  delle  frequenze,
 dovrebbe  ritenersi  inammissibile  perche'  irrilevante  in  quanto il
 potere  stesso  non  sarebbe  sorretto  dalle   norme   impugnate,   ma
 deriverebbe  dalla  regolamentazione  internazionale  della  materia  e
 particolarmente dal Regolamento internazionale delle radiocomunicazioni
 approvato a Ginevra nel 1959. Nella memoria poi si  svolgono  ulteriori
 argomenti  per negare la discrezionalita' assoluta del potere in esame,
 e per negare comunque che esista in materia  una  riserva  assoluta  di
 legge.
     Nella  memoria  poi  vengono ribadite le considerazioni gia' svolte
 circa  la  limitatezza  delle  frequenze  disponibili,  escludendo   in
 particolare  l'attualita'  delle trasmissioni via satellite, per la cui
 generizzazione ancora dovrebbero attendersi molti anni.
     Comunque, ove la Corte ritenesse di disporre al riguardo consulenza
 tecnica  occorrerebbe  precisare  la  nozione  di  ambito  locale   (in
 relazione al quale soltanto e' stata riconosciuta la illegittimita' del
 monopolio  pubblico)  e  stabilire  sia l'indisponibilita' da parte dei
 privati delle frequenze necessarie per il completamento delle tre  reti
 televisive  RAI,  sia  il necessario rispetto delle norme e dei vincoli
 internazionali per cio' che riguarda  la  qualita'  del  segnale  e  la
 percezione  delle  interferenze,    sia  infine  il  tipo  del  sistema
 ricevente.
     Nella  memoria  si  torna   ad   insistere   anche,   con   diffuse
 argomentazioni,  sulla  inevitabilita' dell'istituirsi di un oligopolio
 privato  per  effetto  dell'abolizione  del  monopolio  pubblico  e  in
 particolare  si pone in evidenza l'influenza di possibili finanziamenti
 privati sull'effettiva pluralita' e liberta' dell'informazione, nonche'
 la elevata spesa occorrente per l'istituzione e la gestione di stazioni
 emittenti televisive su scala nazionale.
     La memoria si sofferma poi su considerazioni volte a dimostrare che
 il  servizio  di  teletrasmissioni  ha  natura  di  servizio   pubblico
 essenziale  e di preminente interesse generale e che sussisterebbero le
 ragioni di utilita' generale  che  l'art.  43  Costituzione  pone  come
 condizione  per  il  monopolio  pubblico di un servizio di tale natura,
 ragioni identificabili essenzialmente nella necessita'  di  evitare  la
 concentrazione oligopolistica delle emittenti.
     Tale  concentrazione  oltretutto  ostacolerebbe  la  diffusione  di
 programmi  sollecitati  dalle  varie  ed  articolate  componenti  della
 complessa  realta'  sociale cui la RAI, quale concessionaria, e' invece
 tenuta in base alla  convenzione,  al  fine  di  garantire  l'interesse
 generale    alla    integrazione    della    collettivita'    nazionale
 nell'assolvimento  del  compito  dell'informazione  e   di   promozione
 culturale    locale    e    nazionale    proprio    del   servizio   di
 radiotelediffusione.
     Ribadite poi le argomentazioni gia' svolte circa gli  elementi  che
 caratterizzano la peculiarita' del servizio pubblico stesso, la memoria
 ne  evidenzia i punti di differenziazione dalla stampa, in funzione dei
 quali, quindi, non sarebbe  concepibile  un'estensione  a  quest'ultimi
 della  riserva  monopolistica pubblica.   E tali punti vengono indicati
 nella  minore  diffusione della stampa, e nella diversita' del mezzo di
 comunicazione,  sia  per  la  limitatezza  dell'etere  che  non   trova
 riscontro  per  quanto  riguarda la stampa, sia per la materialita' del
 veicolo che, avvalendosi essenzialmente di immagini, puo' avere effetti
 piu' penetranti e acriticamente recepibili che non la  parola  scritta.
 L'espressa  menzione  della  sola  stampa  nell'art.  21  Costituzione,
 evidenziando la particolare garanzia che il Costituente avrebbe  inteso
 apprestare  soltanto  a  tale  mezzo  di  manifestazione del pensiero a
 differenza degli altri confermerebbe la bonta' delle argomentazioni  di
 cui sopra.
     Nella   memoria,   inoltre,   si  tornano  a  prospettare  i  gravi
 inconvenienti che deriverebbero dall'abolizione del  monopolio  statale
 ponendo l'accento sulla preminenza dell'elemento del profitto economico
 nella  gestione  delle  imprese private emittenti, nonche' sui riflessi
 negativi di tale gestione sulle altre imprese del  settore  informativo
 culturale  (cinema,  stampa)  e  sulla mancanza di una idonea normativa
 antitrust.  Si riafferma, altresi', in base  alle  argomentazioni  gia'
 svolte la legittimita' del divieto della interconnessione tra emittenti
 locali,  ribadendo  il concetto che l'interconnessione stessa, comunque
 attuata, sarebbe in sostanza solo un modo  per  trasmettere  in  ambiti
 piu'  vasti  di  quelli  consentiti, eludendo oltre tutto la necessita'
 della concessione governativa.
     Si  tratta  poi  specificamente  il   profilo   di   illegittimita'
 prospettato  nell'ordinanza  di  rinvio  con  riferimento  alla pretesa
 violazione  dell'art.  3  Costituzione  per  effetto  del   trattamento
 privilegiato  che  sarebbe  usato  a  favore delle emittenti estere che
 potrebbero trasmettere in tutto il territorio  nazionale  a  differenza
 delle emittenti private italiane.
     Secondo  la  difesa  della  RAI  si  tratterebbe  di situazioni non
 comparabili in quanto differenziate per la specialita' della disciplina
 dei ripetitori, soggetti a norme particolari restrittive per l'impianto
 e la gestione.
     Nella  memoria  infine  si  espone  una  visione  panoramica  della
 situazione  giuridico-economica  del  servizio  radiotelevisivo in vani
 ordinamenti stranieri, concludendo che non esisterebbe un  sistema  nel
 quale  ci  sia  liberta' assoluta di impiantare ed utilizzare emittenti
 radiotelevisive.
     Allegata alla memoria la difesa della RAI ha altresi'  esibito  una
 relazione  tecnica  del  prof. Claudio Egidi del politecnico di Torino,
 presentata al Convegno della Fondazione Rizzoli tenutosi a Venezia  nel
 marzo  1981.  La  relazione, dopo un'ampia trattazione tecnica sostiene
 che attualmente la presenza massiccia di trasmettitori isolati  privati
 precluderebbe  la  possibilita'  di  installare  altre reti a copertura
 nazionale o anche regionale, e conclude affermando che  per  ovviare  a
 tale  inconveniente  occorrerebbe mettere ordine nel sistema attraverso
 una  gestione  "centralizzata  ed  agile"  della  disponibilita'  delle
 frequenze.
     Anche  l'Avvocatura  generale  dello Stato ha infine depositato una
 memoria  con  cui  formula  osservazioni  di   carattere   tecnico   ad
 integrazione di quanto gia' dedotto nella prima difesa e, richiamandosi
 anche  al  Regolamento  internazionale della radiodiffusione, riafferma
 che  la  limitatezza   dei   canali   non   potrebbe   consentire   una
 proliferazione di reti via etere a carattere nazionale.
     Nella  memoria  si  contesta  poi  anche  che  possa effettivamente
 conseguirsi  una  sufficiente  moltiplicazione  delle  possibilita'  di
 trasmissione  su  scala  nazionale  attraverso il collegamento tra loro
 degli impianti locali e si afferma che tale conclusione varrebbe  anche
 sotto  il  profilo  economico,  giacche'  la  spesa per effettuare tali
 collegamenti sarebbe    rilevante  e  comunque  dell'ordine  di  alcuni
 miliardi e accessibile quindi solo ad un limitato numero di soggetti.
                         Considerato in diritto:
     1. - La difesa della RAI TV, in via pregiudiziale, riproponendo una
 eccezione   gia'   disattesa  dal  Pretore,  sostiene  che,  stante  la
 necessita'  della   autorizzazione   amministrativa   per   l'esercizio
 dell'attivita'   televisiva,   ed   in  mancanza  della  autorizzazione
 medesima, che le societa' private parti in giudizio non  hanno  nemmeno
 richiesto,  le  stesse  non  avrebbero  titolo  e  quindi interesse per
 fondare la domanda avanzata davanti al giudice a quo,  e  la  questione
 sarebbe pertanto manifestamente irrilevante.
     A  riguardo  va  osservato che il giudice a quo, dopo aver ritenuto
 rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di costituzionalita'
 concernente  le  norme  costitutive  del  diritto  posto  dalla  RAI  a
 fondamento della sua pretesa, ha considerato non determinante in quella
 fase l'accertamento della legittimita', sul piano amministrativo, della
 condotta delle imprese private.
     In realta', ai fini dell'invocato provvedimento cautelare, appariva
 sufficiente la delibazione degli elementi anzidetti, dovendo ogni altra
 contestazione   essere   risolta   nella   sede   propria,   costituita
 dall'eventuale successivo giudizio di merito.
     Ne'  puo'  dubitarsi  che  il  punto  di  cui  si   discute   fosse
 controverso,  posto che appariva tutt'altro che pacifica tra le parti -
 che si richiamavano a contrastanti  decisioni  giurisprudenziali  -  la
 qualificazione  giuridica  da  attribuire  alla  posizione   soggettiva
 riconosciuta alle imprese private dalla sentenza n.  202  del  1976  di
 questa Corte.
     2.  - Cio' posto, e passando ad esaminare il merito, e' da rilevare
 che la Corte e' chiamata a decidere  se  il  combinato  disposto  degli
 artt.  1,  183,  195  del  d.P.R.  29  marzo  1973, n. 156, concernenti
 l'appartenenza in esclusiva allo Stato, tra  l'altro,  dei  servizi  di
 telecomunicazione,  modificati dall'art. 45 della legge 103/75, e posti
 in relazione sia con gli artt. 1 e 2 e  segg.  della  stessa  legge  n.
 103/75  (che  ribadiscono  la  riserva  allo  Stato  delle trasmissioni
 televisive e radiofoniche via etere su  scala  nazionale  definendo  il
 servizio  stesso  un  servizio  pubblico  essenziale  ed a carattere di
 preminente interesse  generale),  sia  con  l'art.  2  della  legge  10
 dicembre  1975 n. 693, (recante le attribuzioni del Consiglio superiore
 tecnico delle poste  e  delle  telecomunicazioni,  connesse  col  detto
 regime  di esclusiva) contrasti, anzitutto, con gli artt. 21 e 43 della
 Costituzione.
     Il giudice a quo prospetta il dubbio di  legittimita'  delle  dette
 norme  osservando che, diversamente da quanto considerato in precedenti
 pronunzie di questa Corte, attualmente, in seguito alle acquisizioni di
 carattere  tecnologico  sopravvenute  in  questi   ultimi   anni,   non
 sussisterebbero piu' quella limitatezza delle frequenze di trasmissione
 via   etere   delle   emissioni   radiotelevisive   e  l'elevato  costo
 dell'impianto e gestione di tali servizi che avrebbero  costituito  gli
 elementi  essenziali  in base ai quali, nella precedente giurisprudenza
 di questa Corte, era stata esclusa l'illegittimita' della riserva  allo
 Stato dei servizi radiotelevisivi; sicche' non potrebbe piu' sostenersi
 che  i  fattori  anzidetti  avrebbero  aperto  la  via  alla  possibile
 istaurazione di monopoli od oligopoli privati nel  caso  di  cessazione
 del  monopolio  statale,  ponendo  l'attivita' di radioteletrasmissione
 nella disponibilita' di uno o pochi soggetti  privati,  prevedibilmente
 mossi da interessi particolari, con le deprecabili conseguenze in danno
 della   obiettivita',  imparzialita',  completezza  e  continuita'  del
 servizio  in  tutto  il  territorio  nazionale  che   tale   situazione
 comporterebbe.
     Secondo  il  giudice  a  quo  la  nuova situazione di fatto e cioe'
 l'accresciuta disponibilita' dei mezzi di trasmissione e  il  diminuito
 onere del costo dei servizi    sarebbe ragionevolmente desumibile dagli
 atti  del  giudizio  principale,  che,  pur  senza  fornire certezze al
 riguardo, sarebbero pero' sufficientemente  significativi  al  fine  di
 giustificare  il dubbio sulla legittimita' delle norme impugnate, salvo
 migliore e definitivo accertamento da effettuare direttamente in questa
 sede.
     Va preliminarmente rilevato che, per le ragioni appresso  indicate,
 non  occorre  decidere  se  un  accertamento  di  tal genere competa al
 giudice a quo, riguardando  esso  i  fatti  costitutivi  della  pretesa
 dedotta  in  giudizio  ovvero,  come  sostiene  il Pretore, spetti alla
 Corte, in quanto rientrante nel giudizio di legittimita' della legge.
     Invero, ai fini della decisione,  soccorrono  ulteriori  argomenti,
 indipendentemente   dalla   verifica  della  attuale  situazione  della
 disponibilita'  delle  frequenze  di  trasmissione  e  dei   costi   da
 sopportare.
     A  riguardo  appare  anzitutto  opportuno  ricordare  le precedenti
 pronunzie  di  questa  Corte  cui  il  giudice  a  quo  fa  riferimento
 nell'ordinanza   di   rinvio,   onde   evidenziare   la   non  completa
 considerazione dei contenuti delle pronunzie stesse.
     Tra le sentenze da tenere presente va menzionata la n. 59 del  1960
 con cui questa Corte, nel collegare l'esigenza della riserva allo Stato
 del  servizio  di radiotelediffusione alla limitatezza delle frequenze,
 ha tuttavia riconosciuto in via generale che il monopolio  statale  del
 servizio   stesso  e'  la  migliore  garanzia  della  obbiettivita'  ed
 imparzialita'  nella  diffusione  del  pensiero  in  cui  si   concreta
 l'attivita'  di radioteletrasmissione, ed ha precisato che il monopolio
 stesso  costituisce  presupposto   idoneo   a   garantire,   attraverso
 l'adozione  di  adeguate  normative,   la possibilita' di avvalersi del
 mezzo radiotelevisivo a coloro che   ne abbiano  interesse.  E  con  la
 stessa  sentenza  e'  stato anche posto il principio basilare, ribadito
 successivamente, secondo cui non contrasta col principio di liberta' di
 manifestazione del pensiero l'avocazione allo Stato di quei   mezzi  di
 diffusione di esso che, in regime di libera iniziativa, siano destinati
 naturalmente  a  dar  luogo  a  situazioni di monopolio o di oligopolio
 (sentenze 46/61, 105/74, 225/74).
     Con la  sentenza  225/74,  pur  confermando  la  persistenza  della
 limitazione  delle  frequenze  disponibili,  la  Corte  ha sviluppato i
 concetti gia' espressi ribadendo non potersi minimamente dubitare  che,
 nell'attuale  contesto  storico,  la  radiotelediffusione  soddisfi  un
 bisogno essenziale della collettivita'  e  che,  pertanto,  essa  debba
 qualificarsi  un  servizio  pubblico essenziale, caratterizzato da quel
 preminente interesse generale  che la norma costituzionale dell'art. 43
 richiede perche' legittimamente possa esserne disposta la riserva  allo
 Stato,   senza   per   questo   essere   incompatibile  con  l'art.  21
 Costituzione,  dato che "il monopolio pubblico  deve  essere  inteso  e
 configurato  come  necessario  strumento  di allargamento della area di
 effettiva manifestazione della pluralita' delle  voci  esistenti  nella
 nostra  societa'". E la Corte ha invero approfondito la propria analisi
 al riguardo esplicitamente affermando:  1) che  la  radiotelediffusione
 adempie  a  fondamentali  compiti di informazione; 2) che concorre alla
 formazione culturale del paese; 3) che diffonde programmi che in  vario
 modo  incidono  sulla  pubblica opinione; ed ha concluso essere percio'
 necessario che essa non divenga strumento  di  parte.  Testualmente  la
 sentenza  afferma  al riguardo che "solo l'avocazione allo Stato puo' e
 deve  impedirlo".    Vero  e'  che,  in  quella  occasione,  la  Corte,
 occupandosi  dell'attivita'  dei  ripetitori  di  stazioni trasmittenti
 estere ha riconosciuto l'illegittimita' dell'estensione del monopolio a
 tale limitato settore, ma con cio' non vengono certamente  vulnerati  i
 principii   generali  sopra  enunciati,  poiche'  quella  decisione  si
 ispirava espressamente alla specificita' del settore  considerato  che,
 ove  sottoposto  a  riserva statale, avrebbe finito col "realizzare una
 specie di  autarchia  nazionale  delle  fonti  di  informazione"  senza
 apprezzabili  ragioni,  ed  in  contrasto  con  l'esigenza della libera
 circolazione delle idee anche sul piano internazionale.
     Una ulteriore conferma e precisamente del pensiero  teste'  esposto
 emerge poi dalla sentenza n. 226/74 con cui la Corte, occupandosi dello
 stesso  problema  riferito alle reti di radioteletrasmissione via cavo,
 in  ordine  alle  quali  si  sosteneva  l'insussistenza   dell'ostacolo
 derivante  dalla indisponibilita' di frequenze di trasmissione, data la
 particolarita' del mezzo adottato, ha ribadito i concetti  espressi  in
 precedenza    con    riferimento    alla    trasmissione   via   etere,
 indipendentemente dalla disponibilita' piu' o meno ampia di  frequenze,
 riconoscendo  che  il costo di un impianto televisivo via cavo il quale
 comprenda l'intero territorio nazionale, o comunque la massima parte di
 esso, potrebbe essere talmente elevato da dare luogo a  gravi  pericoli
 di  insorgenza  di situazioni monopolistiche od oligopolistiche qualora
 la sua  realizzazione  non  restasse  riservata  allo  Stato  ma  fosse
 intrapresa  da  privati.  Pertanto,  prosegue  la   sentenza "le stesse
 ragioni che in via di principio giustificano il monopolio statale della
 radiotelevisione via etere giustificano la  riserva  allo  Stato  degli
 analoghi  servizi via cavo quando questi assumono le dimensioni innanzi
 indicate".  E'  sempre  piu'  evidente,  in   tali   affermazioni,   la
 convinzione  della  Corte  che non solo l'elemento della disponibilita'
 delle frequenze di trasmissione sia decisivo ai fini  del  mantenimento
 del  monopolio   statale in materia, ma anche l'esistenza di condizioni
 tali da rendere possibile l'insorgenza di un monopolio  privato  in  un
 settore  tanto delicato della vita sociale. Su cio' si fondano i motivi
 di utilita' generale che, a norma degli artt.  21  e  43  Costituzione,
 autorizzano la riserva allo Stato.
     Nella  detta  pronuncia venne altresi' evidenziato un altro aspetto
 di indubbio interesse la' dove,  appunto,  la  sussistenza  dei  motivi
 teste'  enunciati a favore della conservazione della riserva allo Stato
 delle trasmissioni via cavo su scala nazionale fu esclusa invece per le
 trasmissioni con io stesso mezzo  su  scala  locale,  in  relazione  al
 ritenuto  basso  costo degli impianti di tal genere, con la conseguente
 insussistenza del pericolo di oligopolio. Veniva, pertanto,  meno,  con
 riguardo  all'ambito  locale,  quella finalita' di utilita' generale in
 base alla quale era stata inibita la realizzazione di una pluralita' di
 reti  televisive  locali via cavo; che, anzi - ebbe allora ad affermare
 la Corte - attraverso queste ultime  era  piu'  largamente  attuata  la
 liberta'   di   manifestazione   del   pensiero  sancita  dall'art.  21
 Costituzione.
     E' infine da considerare la  sentenza  n.  202/76,  la  quale,  pur
 richiamando  la  rilevanza della limitatezza dei canali disponibili, e,
 pur riconoscendo che, su scala locale, la disponibilita'  di  frequenze
 e'  tale da escludere il pericolo di monopolio od oligopolio privato, e
 se ne  renderebbe  pertanto  possibile  la  liberalizzazione,  conferma
 tuttavia  a  chiare lettere che cio' non comporta "che debba escludersi
 la legittimita' delle norme che riservano allo  Stato  le  trasmissioni
 radiofoniche e televisive su scala nazionale".
     Da  tutto  quanto  teste'  ricordato emerge pertanto la consolidata
 opinione  della  Corte  che  il   servizio   pubblico   essenziale   di
 radioteletrasmissione,  su  scala  nazionale,  di  preminente interesse
 generale, puo' essere  riservato  allo  Stato  in  vista  del  fine  di
 utilita'    generale    costituito    dalla   necessita'   di   evitare
 l'accentramento  dell'emittenza   radiotelevisiva   in   monopolio   od
 oligopolio privato. Necessita', va aggiunto, che non emerge soltanto in
 relazione  alla  maggiore  o  minore  disponibilita' delle frequenze di
 trasmissione, ma  attiene  altresi'  alla  natura  del  fenomeno  delle
 radioteletrasmissioni  visto nel contesto socioeconomico in cui esso e'
 destinato a svilupparsi.
     Va peraltro considerato che l'asserito aumento della disponibilita'
 delle  frequenze  non  appare  anche   per   altro   aspetto   elemento
 determinante  per  escludere  il pericolo di oligopoli privati. Invero,
 una serie di fattori di ordine  economico,  con  la  utilizzazione  del
 progresso  della  tecnologia,  fa  permanere i rischi di concentrazione
 oligopolistica attraverso lo strumento della interconnessione  e  degli
 altri  ben  noti mezzi di collegamento di vario tipo oggi esistenti per
 le trasmissioni televisive.
     Proprio per evitare tali inconvenienti sin da allora percepiti,  la
 sentenza  n.  202  del  1976, nel riconoscere il diritto  di iniziativa
 privata nelle trasmissioni via etere  in  ambito  locale,  segnalo'  al
 legislatore   la  necessita'  di  regolarne  l'esercizio,  in  modo  da
 armonizzarlo  con  il  connesso  servizio  pubblico  essenziale  e   di
 preminente  interesse  generale  costituito  dalla  diffusione su scala
 nazionale affidata al monopolio statale, al fine di realizzare,  cosi',
 nell'interesse  dell'utente,  una  equilibrata coesistenza tra servizio
 pubblico e iniziativa privata.
     Ma per la persistente inerzia del legislatore la situazione non  e'
 oggi  diversa  da  quella  sottoposta  a  suo  tempo  alla  verifica di
 costituzionalita' e pertanto non puo' la Corte  discostarsi  dalle  sue
 precedenti statuizioni.
     Dalle  esposte  considerazioni  deriva  la  irrilevanza ai fini del
 decidere di ogni indagine, anche  istruttoria,  volta  a  stabilire  se
 sussistano   l'asserito   aumento  delle  frequenze  disponibili  e  la
 diminuzione dei costi di impianto e gestione  dei  servizi  televisivi,
 non  essendo  gli  anzidetti  elementi  determinanti  e  risolutivi per
 escludere il pericolo di formazione di oligopoli privati.
     3.   -   Ne'   potrebbe    opporsi    al    riguardo    l'apparente
 contraddittorieta'  derivante  dalla  esclusione  dal monopolio statale
 delle trasmissioni locali in vista della natura  di  servizio  pubblico
 essenziale   attribuibile  anche  a  queste  ultime.  Tale  obbiezione,
 infatti,  prescinde  dalla  considerazione  di  quelli  che sono i dati
 caratteristici del mezzo di diffusione del pensiero in esame  che,  per
 la   sua  notoria  capacita'  di  immediata  e  capillare  penetrazione
 nell'ambito  sociale  attraverso  la  diffusione   nell'interno   delle
 abitazioni  e per la forza suggestiva della immagine unita alla parola,
 dispiega una peculiare capacita' di persuasione e  di  incidenza  sulla
 formazione    dell'opinione    pubblica    nonche'    sugli   indirizzi
 socio-culturali, di natura ben  diversa  da  quella  attribuibile  alla
 stampa.  L'emittenza  privata puo' essere  attualmente esercitata senza
 le conseguenze dannose di cui si e'  parlato solo in ambito locale  per
 la  oramai  ivi  acquisita  pluralita'  di altre emittenti di diversi e
 contrastanti  indirizzi,  mentre    largamente  travalicherebbe  questi
 limiti  qualora  si  estendesse  a tutto il territorio nazionale, ove i
 suoi  effetti  si    moltiplicherebbero  di  intensita'   finendo   con
 l'attribuire  al   soggetto privato, operante in regime di monopolio od
 oligopolio, una potenziale capacita' di influenza incompatibile con  le
 regole  del  sistema  democratico. Capacita' che si risolverebbe, oltre
 tutto, come del resto e' gia'  stato  sopra  ricordato,  proprio  nella
 violazione  di  quell'art.  21  Costituzione  che,  invece, si invoca a
 sostegno della tesi favorevole all'abolizione  del  monopolio  statale.
 Infatti,  come  e' evidente, la delineata posizione di preminenza di un
 soggetto o di un  gruppo  privato  non  potrebbe  non    comprimere  la
 liberta' di manifestazione del pensiero di tutti  quegli altri soggetti
 che,  non  trovandosi  a  disporre  delle  potenzialita'  economiche  e
 tecniche del primo, finirebbero  col  vedere  progressivamente  ridotto
 l'ambito di esercizio delle loro liberta'.
     Cio'  vale  ovviamente,  allo  stato attuale della legislazione, in
 base alla quale, per la permanente carenza di una normazione  adeguata,
 restano  appunto aperte le possibilita' di oligopolio o monopolio sopra
 delineate. A diverse conclusioni potrebbe eventualmente  giungersi  ove
 il  legislatore,  affrontando  in  modo  completo  ed  approfondito  il
 problema  della  regolamentazione  delle  TV  private,  apprestasse  un
 sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il
 realizzarsi  di  concentrazioni  monopolistiche  od oligopolistiche non
 solo nell'ambito delle connessioni fra le varie emittenti, ma anche  in
 quello  dei  collegamenti  tra  le  imprese  operanti  nei vari settori
 dell'informazione incluse quelle pubblicitarie.
     4. - In base alle considerazioni che precedono, non solo va esclusa
 la violazione degli  artt.  21  e  43  Costituzione  ma,  in  relazione
 all'art.   3   Costituzione   pure   invocato,   emerge  anche  la  non
 comparabilita'  fra  la  situazione  dell'impresa  concessionaria   del
 servizio  pubblico e la situazione dei privati imprenditori, che per le
 stesse  ragioni,  legittimamente  vedono  sottratto   l'esercizio   del
 servizio  stesso  alla loro sfera di disponibilita'. E, come pure si e'
 detto,  il  difetto  di  omogeneita'  e'  riscontrabile  anche  fra  la
 situazione  dei  privati, cui e' inibita la facolta' di trasmissione su
 scala nazionale, e le emittenti estere, cui  invece  tale  facolta'  e'
 stata  riconosciuta.  Invero  le  trasmissioni  provenienti dall'estero
 costituiscono, allo Stato, un fenomeno con  caratteristiche  del  tutto
 particolari,  non  paragonabile  sotto alcun profilo a quello cui lo si
 vorrebbe raffrontare.  Pertanto e' da  escludere  l'operativita'  nella
 specie del principio di eguaglianza.
     5.  -  Il giudice a quo, nell'ordinanza di rinvio, ha rappresentato
 altresi'  un  aspetto  particolare  della  problematica      sollevata,
 riferendosi  al  fenomeno  delle  interconnessioni  fra stazioni locali
 emittenti, effettuate in modo tale da estendere la diffusione  a  tutto
 il  territorio  nazionale.  Al  riguardo  il  giudice  osserva  che, in
 sostanza, l'interconnessione cosi' praticata involgerebbe  un  problema
 di  legittimita'  costituzionale  analogo a quello prospettato in linea
 principale, risolvendosi in una diffusione a carattere nazionale,  come
 tale riservata allo Stato dalle norme impugnate.
     In  proposito  e'  sufficiente  osservare  che  la  soluzione della
 questione scaturisce da tutto  quanto  gia'  detto  a  proposito  della
 liceita'   della   riserva  allo  Stato  delle  trasmissioni  su  scala
 nazionale.
     Il rilievo costituzionale della  questione,  invero,  si  esaurisce
 nell'aspetto  teste' menzionato, e', cioe', limitato all'ipotesi in cui
 la interconnessione conduca ad una trasmissione che travalichi i limiti
 di liberalizzazione delineati  da  questa  Corte  con  la  sentenza  n.
 202/76.  Ogni  diverso  aspetto del fenomeno, sia per quanto riguarda i
 mezzi usati, sia  per  quanto  riguarda  l'ambito  e  le  modalita'  di
 esercizio    delle    trasmissioni    sono    materia   devoluta   alla
 regolamentazione legislativa sulla cui  urgente    attuazione  e'  gia'
 stata richiamata l'attenzione degli organi  competenti.
     6.  -  Il  giudice a quo nella formulazione delle censure sollevate
 sembra  poi   identificare   un   ulteriore   specifico   elemento   di
 illegittimita'  nella  asserita discrezionalita' che sarebbe attribuita
 al Ministero delle Poste nella elaborazione del piano  di  assegnazione
 delle  frequenze ai privati autorizzati. Ma tale profilo   che concerne
 non gia' la sussistenza ma l'esercizio del  diritto  preteso  -  appare
 inammissibile   poiche',  al  di  la'  della  mera  enunciazione  della
 censurata discrezionalita', non si rinviene  nell'ordinanza  di  rinvio
 alcuna  motivazione  circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza
 della specifica questione,  elementi  entrambi  indispensabili  perche'
 possa   essere   validamente   promosso   il  giudizio  incidentale  di
 legittimita' costituzionale delle leggi.