SENTENZA
     nei giudizi riuniti di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,
 commi   primo   e  secondo,  del  r.d.l.  13  novembre  1924,  n.  1825
 (Disposizioni relative al contratto d'impiego privato)  e  dell'art.  2
 d.l.C.p.S.  13  settembre  1946,  n.  303  (Conservazione  del posto ai
 lavoratori chiamati alle armi per servizio di  leva)  promossi  con  le
 seguenti ordinanze:
     1)  ordinanza  emessa  il 14 gennaio 1977 dalla Corte di Cassazione
 sul ricorso proposto da Orsi Basilio c.  S.p.A. Italcable, iscritta  al
 n.  259  del  registro  ordinanze  1977  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 183 dell'anno 1977;
     2) ordinanza emessa il 12 aprile 1977 dal  Pretore  di  Genova  nel
 procedimento  civile  di  lavoro vertente tra Gentile Antonino e S.a.s.
 Archieco, iscritta al n. 265 del registro ordinanze 1977  e  pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 183 dell'anno 1977;
     3)  ordinanza  emessa il 9 novembre 1977 dal Pretore di Caltagirone
 nel procedimento civile di lavoro vertente tra Balata Giacomo  c/S.p.A.
 Ceramiche  di  Caltagirone,  iscritta  al n. 601 del registro ordinanze
 1977 e pubblicata nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  67
 dell'anno 1978;
     4)  ordinanza  emessa  il  26  aprile  1979 dal Pretore di Lodi sul
 ricorso  proposto  da  Mirabelli  Cesare  c/  Congregazione  di  Muzza,
 iscritta  al  n.  908  del  registro  ordinanze 1979 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43 dell'anno 1980;
     5) ordinanza emessa il 9 maggio 1980 dalla Corte di Cassazione  sul
 ricorso  proposto da Felisari Armando c/ S.p.A. Esso Italiana, iscritta
 al n. 880 del registro  ordinanze  1980  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 63 dell'anno 1981.
     Visti gli atti di costituzione di Orsi Basilio, della Congregazione
 di Muzza, di Felisari Armando e della Societa' Esso nonche' gli atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
     udito  nell'udienza  pubblica  del  28  febbraio  1984  il  Giudice
 relatore Ettore Gallo;
     uditi gli avvocati Luciano Ventura per Orsi ed Enrico Biamonti  per
 Felisari  e  l'avvocato dello Stato Benedetto Baccari per il Presidente
 del Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Tutte le ordinanze sollevano questioni che si  riferiscono  al
 problema concernente la conservazione del posto di lavoro al dipendente
 chiamato alle armi; vanno, pero', tenute distinte le due ordinanze (nn.
 265  e 601/77) che investono la legittimita' costituzionale dell'art. 2
 d. legisl. C.p.S.  13 settembre 1946 n. 303,  in  quanto  pacificamente
 concernono rapporti di lavoro recenti, sicuramente sorti e disciplinati
 da  norme  ordinarie  tuttora  vigenti,  dalle residue tre (nn. 259/77;
 908/79 e 880/80) che, riferendosi, invece, a rapporti  sorti  sotto  il
 precedente  ordinamento, hanno impugnato l'art. 6 primo comma r.d.l. 13
 novembre 1924 n. 1825, conv. nella l. 18 marzo 1926 n. 562.
     In effetti,  poi,  oltre  alla  ovvia  diversita'  delle  questioni
 inerenti  alle  norme  impugnate,  le  tre ultime ordinanze coinvolgono
 altresi' problemi di "efficacia" e di "applicazione" di leggi abrogate.
     2. - Il primo gruppo e' costituito dall'ord.  12  aprile  1977  del
 Pretore di Genova (n. 265/77 Reg. ord.) e dall'ord. 9 novembre 1977 del
 Pretore di Caltagirone (n.  601/77 Reg. ord.).
     In  ambo i casi il prestatore di lavoro era stato licenziato (l'uno
 nell'agosto 1975, l'altro nel maggio 1977) all'atto della chiamata alle
 armi per il servizio di leva; e cio' in quanto, pur appartenendo essi a
 classi dal 1924 in poi -  come  prescrive  la  norma  impugnata  -  non
 avevano  ancora  superato  il  minimo  di  tre  mesi  di servizio, pure
 prescritto dal Decreto come condizione per il godimento del beneficio.
     Le due ordinanze ravvisano contrasto di siffatta limitazione con il
 disposto  degli artt. 52 e 3 Cost..  Quanto al primo, perche' il chiaro
 precetto costituzionale  non  sembra  ammettere  deroghe  di  sorta  al
 principio secondo cui il servizio militare "non pregiudica la posizione
 di  lavoro  del  cittadino".  Quanto al secondo, perche' una durata del
 servizio inferiore a tre mesi non e' situazione  tale  da  giustificare
 cosi' grave disparita' di trattamento.
     In  ambo  i  giudizi  ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri, rappresentato  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato.
     Secondo  l'Avvocatura, l'art. 52 dev'essere interpretato in modo da
 estendere il richiamo alla legge ordinaria anche per ogni altro effetto
 della prestazione del servizio militare, oltre  ai  limiti  e  ai  modi
 della  sua  prestazione. Ben puo', percio', il legislatore disciplinare
 anche il "non - pregiudizio" alla posizione di  lavoro  del  cittadino,
 attraverso scelte discrezionali variabili nel tempo.
     Quanto  poi  al  preteso  contrasto  coll'art.  3  Cost., obiettava
 l'Avvocatura che l'avere fissato in un tempo superiore  ad  almeno  tre
 mesi  di  servizio  il  periodo  minimo  per conseguire il diritto alla
 conservazione del posto, rappresenta una scelta attentamente  ponderata
 tra  piu'  alternative astrattamente configurabili: e si tratterebbe di
 scelta che, in definitiva, andrebbe a tutto vantaggio  del  lavoratore.
 D'altra  parte,  nessuna  anzianita'  oppure tre mesi di anzianita' non
 rappresentano un'identica posizione nell'azienda in fatto di esperienze
 vissute, ed e' quindi giustificata la diversita' di trattamento.
     3. - Del secondo gruppo fanno parte le  due  ordinanze  14  gennaio
 1977  (n.  259/77 Reg. ord.) e 9 maggio 1980 (n. 880/80 Reg. ord), ambo
 della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione nonche' l'ord. 26 aprile
 1979 del Pretore di Lodi, in funzione di Giudice del lavoro (n.  908/79
 Reg. ord.).
     Per  la  sostanziale  identita'  delle  motivazioni,  le  questioni
 sollevate dalle  due  ordinanze  della  Suprema  Corte  possono  essere
 esaminate congiuntamente.
     In  ambo  i casi, come del resto si e' gia' accennato, si tratta di
 rapporti di lavoro sorti sotto  il  precedente  ordinamento.  Nel  caso
 della  prima  ordinanza,  il  lavoratore,  tale Basilio Orsi, era stato
 assunto il 1 ottobre 1926 e licenziato il 28 aprile  1927,  al  momento
 della  chiamata  alle  armi  per  il  servizio di leva: era stato, poi,
 riassunto dalla stessa Ditta (Italcable S.p.A.) al termine del servizio
 il 5 dicembre 1927 e vi era rimasto al  lavoro  fino  alla  quiescenza,
 raggiunta  il  31 gennaio 1967. Nell'altro caso, il lavoratore, Armando
 Felisari, assunto il 13 novembre 1931, era stato licenziato 1'11 maggio
 1937 per chiamata alle armi: ma poi  la  stessa  Ditta  (Esso  Italiana
 S.p.A.,  che  aveva  frattanto  assorbito  precedenti Aziende) lo aveva
 riassunto al  termine  del  servizio  militare  il  22  settembre  1938
 mantenendolo  fino  alla  definitiva  cessazione  del  rapporto  il  15
 febbraio 1973.
     Entrambi hanno incontrato la resistenza dei  rispettivi  datori  di
 lavoro  alla  loro  pretesa  di  ricevere l'indennita' di fine rapporto
 commisurata agli anni di lavoro prestati fin dal  momento  della  prima
 assunzione.  Essi sostenevano, infatti, che non si dovesse tenere alcun
 conto del fatto che si era verificato  un  licenziamento  in  occasione
 della  loro  chiamata alle armi, in quanto la disposizione di legge che
 in allora lo aveva legittimato
  (art.  6,  primo  comma,  d.l.  n.  1825  del 1924) era stata travolta
 dapprima dal d. legisl. C.p.S.  13  settembre  1946  n.  303  e  poscia
 comunque sicuramente dall'art. 52, secondo comma, Cost..
     Le  ordinanze  della Corte di Cassazione ritenevano rilevante e non
 infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale   del   d.l.
 1825/1924  art.  6,  primo  comma, con riferimento all'art. 52, secondo
 comma, Cost., tenendo anche conto della sent. n. 8/1963 di questa Corte
 che aveva chiarito doversi ritenere incluso nel concetto di  "posizione
 di  lavoro"  anche  il diritto all'indennita' di anzianita'. Secondo le
 dette ordinanze, pur dovendosi riconoscere perfettamente  legittimo  il
 licenziamento  avvenuto  in  allora  a  causa della chiamata alle armi,
 l'operativita' dell'art. 6, primo comma, del d.l.    impugnato  non  si
 sarebbe,  pero',  esaurita  colla  conclusione  di quel primo rapporto.
 Dato,  infatti,  che  il  diritto  all'indennita'  di   anzianita'   si
 perfeziona soltanto al momento della definitiva estinzione del rapporto
 di lavoro subordinato, i due lavoratori non potevano esercitare, se non
 appunto  in  questo  momento,  la loro pretesa che, in forza del citato
 disposto costituzionale, i datori di lavoro  avessero  a  corrispondere
 l'indennita'  in  relazione  ad un unico rapporto di lavoro a far epoca
 dalla prima assunzione.
     Non si tratterebbe, percio', ad avviso  della  Cassazione,  di  far
 perdere  effetto  alla  risoluzione  del rapporto avvenuta ipso iure in
 forza  dell'art.  6,  secondo  comma,  del  decreto,  ma  piuttosto  di
 constatare  che  tale  norma  ancor oggi impedisce, ai fini del computo
 dell'anzianita' nelle specie in esame, di tener conto  del  periodo  di
 assenza  per  servizio  di leva. La posizione di lavoro del dipendente,
 garantita dall'art. 52, secondo comma, Cost., viene percio' a risentire
 ancor oggi degli effetti di detta  norma  che,  in  tal  senso,  appare
 tuttora  operante  e  discriminante, e quindi contrastante col precetto
 costituzionale.
     Con atto 3 giugno 1977 si costituiva in giudizio, in rappresentanza
 della  parte  Basilio  Orsi,   l'avv.   Luciano   Ventura   il   quale,
 nell'associarsi  agli  argomenti  addotti dall'ordinanza di rimessione,
 poneva  in  luce  un  particolare  profilo.  E  cioe'  che  il  decreto
 impugnato,  assegnando  col  secondo  e  terzo  comma  dell'art.  6  un
 trattamento diverso e piu' favorevole  per  i  "richiamati"  alle  armi
 rispetto  ai  "chiamati  di  leva",  pone  in essere una ingiustificata
 discriminazione.
     E' intervenuto nello stesso giudizio, e soltanto  in  questo  (ord.
 259/77),  anche il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
 e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
     Questa sosteneva, al contrario, che il fatto della riassunzione  da
 parte  dello stesso datore di lavoro e' occasionale, e determina, anzi,
 ingiustificata  disparita'  di  trattamento  nei  confronti   di   quei
 lavoratori  che,  trovandosi  in  situazione  analoga,  non possano far
 valere le stesse pretese. Vero e' che il primo rapporto si e'  esaurito
 definitivamente  e  legittimamente  molto  prima  che  la  Costituzione
 entrasse in vigore, e non puo' essere richiamato in vita  col  pretesto
 che  il secondo rapporto si e' esaurito solo di recente e che, percio',
 solo ora possono essere  avanzate  le  conseguenti  pretese.    Chiede,
 quindi,   l'Avvocatura   che  la  sollevata  questione  sia  dichiarata
 improponibile per assoluta irrilevanza nel giudizio.
     Nell'altro giudizio (ord. 880/80) si costituivano soltanto le parti
 private: Armando Felisari, rappresentato e difeso dagli  avv.ti  Enrico
 Biamonti  e  Francesco  Saverio Galeoni e la S.p.A. Esso Italiana cogli
 avv.ti Gino Mensi di Genova e Gian Paolo  Zanchini  di  Roma.  L'una  e
 l'altra   parte,   oltre   alle  deduzioni  in  sede  di  costituzione,
 presentavano anche "memoria".
     Il Felisari sosteneva che la norma dell'art. 6 del r.d.l.  n.  1825
 del  1924  conserva  il  suo  contrasto  colla  Costituzione,  e che la
 questione e', percio', rilevante in quanto  la  Carta  fondamentale  e'
 entrata in vigore in pendenza del rapporto di lavoro che si e' concluso
 nel   febbraio   1973:   e  ritiene  che,  dichiarata  l'illegittimita'
 dell'articolo di legge impugnato, debba  applicarsi  il  d.l.C.p.S.  13
 settembre  1946  n. 303 nell'interpretazione data da questa Corte colla
 sent. 16 febbraio 1963 n. 8.
     Per il resto, ribadiva gli argomenti dell'ordinanza di rimessione.
     La S.p.A. Esso Italiana opponeva, invece, che non e' questione  che
 riguardi   l'applicazione  di  norma  incostituzionale,  ma  bensi'  la
 verifica se la stessa avesse  o  non  prodotto  effetti  definitivi  ed
 irreversibili  gia'  prima  che  la  Costituzione  entrasse  in vigore.
 Pretendere che il Felisari possa oggi esercitare i diritti  concernenti
 la  situazione  definita significherebbe far rivivere cio' che e' stato
 in allora chiuso in modo insuscettibile di modificazioni.
     Ne' esatto  -  osservava  la  Esso,  polemizzando  con  un  rilievo
 dell'ordinanza   -   che,   cio'   opponendo,  si  sia  sostanzialmente
 riconosciuto da parte degli stessi resistenti l'attualita' nel giudizio
 odierno  della  norma  impugnata.  La  Esso  ha   soltanto   richiamato
 l'attenzione sul "fatto" dell'avvenuta effettiva e legittima estinzione
 del  rapporto  giuridico  tra  il Felisari e il primo datore di lavoro.
 Concludeva, pertanto,  la  parte  resistente  per  l'irrilevanza  della
 sollevata questione.
     Tali  argomenti  venivano  ribaditi  nella memoria depositata il 15
 febbraio 1984.
     3.1. - La questione sollevata dal  Pretore  di  Lodi  coll'ord.  26
 aprile   1979   n.   908  presenta  qualche  profilo  particolare,  pur
 attestandosi  sull'impugnazione  della  stessa  norma  e  sugli  stessi
 problemi di fondo.
     Tale Cesare Mirabelli, infatti, era stato assunto il 1 ottobre 1940
 dalla  Congregazione di Muzza, Consorzio di miglioramento fondiario, ed
 era stato licenziato di diritto e di fatto, come accerta il Pretore  (e
 non  fittiziamente  come  sosteneva  il Mirabelli), il 24 agosto 1943 a
 seguito della sua chiamata alle armi, in base  alla  nota  disposizione
 del  r.d.l.  1825/1924  allora  vigente.  Il  Mirabelli,  pero', rimase
 pochissimi giorni alle armi, in quanto  si  eclisso'  a  seguito  della
 situazione  creatasi  1'8  settembre 1943. Secondo gli accertamenti del
 Pretore, la riassunzione avvenne l'1 maggio  1944  ed  il  rapporto  si
 concluse definitivamente il 30 aprile 1977.
     Il  Pretore,  sollevando  questione identica a quella portata dalle
 ordinanze della Cassazione di cui s'e' detto sopra,  riconosce  che  il
 primo  rapporto e' da considerarsi definitivamente risolto, non potendo
 dispiegare su di esso alcun effetto ne' il successivo d.l.    303/1946,
 ne'  l'art.  52,  secondo  comma,  Cost..   Richiama, anzi il Pretore a
 questo proposito la sent. 29 luglio 1976 n. 194 di questa Corte (che la
 Cassazione ignora nelle sue ordinanze) proprio nel passo dove e'  stato
 deciso  che sui rapporti interrotti anteriormente all'entrata in vigore
 del d.l. 3 settembre 1946 n. 303, da  considerarsi,  percio',  esauriti
 "non  possono  avere  incidenza e forza retroattiva ne' la disposizione
 successiva del Decreto n. 303/46, che ha  concesso  ampio  spazio  alla
 tutela   di   conservazione   del   posto   di  lavoro  ed  al  computo
 dell'indennita' di anzianita', ne' la solenne  dichiarazione  dell'art.
 52  Cost.".  Ma il richiamo e' espresso a fini polemici, giacche' opina
 il Pretore che la sentenza di questa Corte non abbia tenuto conto della
 disparita' di trattamento che viene per tal  modo  a  determinarsi  fra
 chi,  alla  fine  del  rapporto  di lavoro, gode di un trattamento piu'
 favorevole rispetto a chi vede limitati i  suoi  diritti  per  il  solo
 fatto di avere espletato il servizio militare anteriormente al 1946.
     Secondo  il Pretore, poi, non avrebbe pregio il rilievo concernente
 la  gia'  avvenuta  corresponsione  dell'indennita'  di  anzianita'  al
 momento  della  chiusura  di  quel  primo  rapporto  giacche',  anche a
 prescindere dal computo del periodo  trascorso  alle  armi,  la  misura
 dell'indennita',   calcolata   sulla  base  dell'ultimo  stipendio,  e'
 certamente  superiore  a  quella  percepita   all'epoca   della   prima
 risoluzione.
     Ritiene,  percio',  il  rimettente  che  la  questione debba essere
 soprattutto orientata in relazione all'art. 3 Cost., e  che  lo  stesso
 art  52,  secondo comma, vada letto alla luce dell'art. 36, primo comma
 Cost., in quanto  soltanto  dal  combinato  disposto  delle  due  norme
 emergerebbe  quell'aspetto  della  "posizione  di  lavoro",  riferibile
 all'indennita'  di   anzianita'   che,   quale   forma   differita   di
 retribuzione,  deve  risultare  proporzionata alla quantita' e qualita'
 del lavoro svolto. Ed e' proprio  dell'elemento  "qualitativo"  che  il
 Pretore fa un punto di forza del suo argomentare, in quanto ritiene che
 il  frazionamento  della  "posizione  di  lavoro"  di chi e' stato alle
 dipendenze dello stesso datore, non correlando per un certo periodo  la
 liquidazione all'ultima qualifica e all'ultima retribuzione, si risolva
 in un patente contrasto col precetto costituzionale.
     L'impugnazione  della  stessa  norma,  contemplata  dalle ordinanze
 della Cassazione, e' qui riferita,  percio',  oltre  che  all'art.  52,
 secondo  comma Cost., anche ai parametri di cui agli artt. 3 e 36 primo
 comma Cost..
     Interveniva nel giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato.
     L'Avvocatura,   ribadendo   l'impossibilita'  di  far  rivivere  il
 rapporto estinto col pretesto che la pretesa diventa  attuale  soltanto
 ora  colla cessazione del secondo rapporto, contestava anche il profilo
 di illegittimita' riferito all'art. 3 Cost.  L'uguaglianza  sancita  da
 quest'ultima  norma  non  e'  - osserva l'Avvocatura - un egualitarismo
 assoluto di tutti i soggetti in qualunque  situazione  ma  richiede  la
 verifica delle situazioni di fatto in cui versano i vari soggetti.
     E  nella  specie rileva proprio la differenziazione temporale nella
 formazione  dei  rapporti   considerati   dall'ordinamento,   che   ben
 giustifica il diverso trattamento.
     Ne'  vale  obbiettare  -  secondo  l'Avvocatura  - quanto rileva il
 Pretore nell'ordinanza, secondo cui l'ultimo  stipendio  percepito  dal
 Mirabelli  nel  secondo  rapporto sarebbe certamente superiore a quello
 base liquidato alla chiusura del primo. Innanzitutto perche'  anche  se
 fosse,  la  circostanza  non  potrebbe  incidere  sulla  sostanza della
 questione, e poi perche' in termini reali  l'obbiezione  e'  infondata.
 Ragguagliate  ai  corrispettivi  valori, e' vero, invece, il contrario:
 l'indennita' percepita nel 1943 aveva valore  sicuramente  superiore  a
 quella  liquidabile  nel 1977 per il periodo 1940-1943.  Che', anzi, se
 il  lavoratore  dovesse  davvero  percepirle   entrambe   conseguirebbe
 ingiusta locupletazione.
     Chiedeva,  percio', l'Avvocatura che la sollevata questione venisse
 dichiarata irrilevante, o comunque infondata.
     Anche  la  Congregazione  di  Muzza  si  costituiva  in   giudizio,
 rappresentata  e  difesa  dagli  avvocati  Franco De Amicis di Milano e
 Giorgio Villa di Roma.
     Nelle  deduzioni   i   legali,   concludendo   nei   sensi   stessi
 dell'Avvocatura,   sottolineavano,   pero',   che   il   Pretore  aveva
 insindacabilmente accertato in fatto che soltanto dal 24  agosto  all'8
 settembre il Mirabelli aveva prestato servizio militare. Per il periodo
 successivo,  essendosi  disciolte  le  FF.AA.  dello  Stato,  egli  non
 potrebbe comunque  essere  considerato  in  servizio  militare,  e  non
 potrebbe,  percio',  considerarsi  coperto dalla tutela costituzionale,
 quand'anche questa fosse ritenuta estensibile a rapporti precedenti  la
 sua entrata in vigore.
     Infatti,  dopo  l'8 settembre, la posizione di lavoro del Mirabelli
 non subi' i pregiudizi derivanti dal servizio di leva, ma bensi' quelli
 dipendenti dai gravi avvenimenti bellici e politici che  afflissero  in
 quell'epoca il Paese.
     Il  Pretore  avrebbe  inoltre  accertato - secondo quanto riferisce
 parte resistente - che per circa otto mesi le parti si accordarono  nel
 senso  che il Mirabelli forniva al consorzio il frutto di un suo lavoro
 autonomo, e soltanto coll'1 maggio 1944 si ebbe un nuovo  contratto  di
 lavoro subordinato.
     Comunque,  la  Congregazione  di  Muzza  si richiamava al contenuto
 della sent. 28 luglio 1976 n.  194 di questa Corte, che  le  obbiezioni
 del Pretore non avrebbero certo superata.
                         Considerato in diritto:
     1.  -  Nonostante  il  particolare  profilo  sotto cui le questioni
 vengono sollevate da ciascuno dei due gruppi di ordinanze,  riferendosi
 comunque  tutte  al problema della conservazione del posto di lavoro al
 dipendente privato chiamato alle armi, possono essere riunite in  unico
 giudizio.
     2.  -  La  questione  sollevata  dalle ordinanze 12 aprile 1977 del
 Pretore di Genova (n. 265/77 Reg. ord.) e 9 novembre 1977  del  Pretore
 di Caltagirone (n. 601/77 Reg. ord.) e' fondata.
     In realta' la limitazione apposta dall'art. 2 d. legisl.  C.p.S. 13
 settembre  1946  n.  303  alla non pregiudicabilita' della posizione di
 lavoro del cittadino, a causa della prestazione del  servizio  militare
 per chiamata alle armi, e' incompatibile gia' colla disposizione di cui
 all'art. 3 Cost..
     Premesso  che  correttamente i giudici remittenti hanno escluso che
 la  limitazione  potesse  essere  riferita   soltanto   ai   lavoratori
 "rinviati"  alla  chiamata  della  classe  1924  (per le esatte ragioni
 letterali e logiche indicate nella motivazione), e osservato che non e'
 rilevante il limite rappresentato dalla  classe  indicata  dal  decreto
 perche'  i lavoratori interessati alla sollevata questione appartengono
 entrambi  a  tale  classe  di  leva,  l'ulteriore  condizione   apposta
 dall'art.  2  del  decreto  determina  ingiustificata  disparita' fra i
 giovani lavoratori che si vedono negato o riconosciuto il beneficio  in
 relazione  alla  circostanza  di  avere  o  non  superato i tre mesi di
 anzianita'.
     Non    sembra,    infatti,    che    questa   discriminazione   sia
 sufficientemente   giustificata   sul   piano   razionale.      Secondo
 l'Avvocatura,  il  legislatore  avrebbe  inteso evitare che le aziende,
 preoccupate  per  i  loro  bilanci,  finissero  per   escludere   dalle
 assunzioni i giovani prossimi alla chiamata, in quanto avrebbero dovuto
 altrimenti  sopportare  due costi: quello del lavoratore da assumere in
 sostituzione del lavoratore alle  armi,  e  quello  della  retribuzione
 differita  che  avrebbero  dovuto, a suo tempo, corrispondere, mediante
 l'indennita' di anzianita', al lavoratore militare anche per  il  tempo
 in cui il rapporto era rimasto sospeso.
     Ma   il  ragionamento  non  convince.  Il  salario  del  lavoratore
 sostituto, infatti, equivale comunque a quello che avrebbe percepito il
 lavoratore chiamato alle  armi,  se  fosse  rimasto  al  lavoro.  Tutto
 l'onere,  pertanto, si riduce ad un mese di salario da corrispondere al
 lavoratore sostituto, quale indennita' di fine lavoro  al  rientro  dal
 servizio  di  leva  del  lavoratore  militare:    troppo  poco per dare
 ragionevole giustificazione  alla  detta  sperequazione.  Ne'  si  puo'
 concordare sull'ulteriore argomento secondo cui il lavoratore che abbia
 superato  di  un  giorno  i  tre  mesi di anzianita' abbia tali vissute
 esperienze nell'azienda da meritare un trattamento  cosi'  privilegiato
 rispetto a colui che stia per raggiungere i tre mesi o abbia solo pochi
 giorni di anzianita'.
     Ma  e'  particolarmente  nei  riguardi dell'art. 52, secondo comma,
 Cost. che la costituzionale illegittimita' della disposizione in parola
 appare ancor piu' evidente.
     In proposito, non puo' essere  accolta  l'opinione  dell'Avvocatura
 dello Stato, secondo cui la riserva di legge, concessa nel primo inciso
 del  detto  comma  alla delineazione dei limiti e dei modi entro cui e'
 operativa l'obbligatorieta' del servizio militare, sarebbe  estensibile
 ad ogni altro effetto della prestazione dal servizio: e percio' anche a
 quelli  del  secondo  inciso.    Senonche' quest'ultima disposizione e'
 categorica proprio nel proclamare senza riserve che almeno gli  effetti
 relativi  alla  posizione  di lavoro del cittadino (e all'esercizio dei
 diritti  politici)  non  possono  assolutamente   essere   pregiudicati
 dall'adempimento  di  quel  servizio. Se si ammettesse che anche queste
 situazioni sono rimesse alla  discrezione  del  legislatore  ordinario,
 facultato  addirittura ad apporre limiti al completo godimento da parte
 del cittadino del diritto costituzionalmente garantito, il precetto  ne
 uscirebbe  diminuito  nella  sua  portata ed esposto ad una sostanziale
 vanificazione.
     Cio' che appunto si e' verificato con la disposizione denunziata la
 quale, oltre a limitare l'operativita' del precetto  costituzionale  ai
 lavoratori  delle  classi  1924  e  successive (nonche' a quelli la cui
 chiamata fosse stata comunque rinviata a  quella  della  classe  1924),
 sottopone  il  godimento  del  diritto all'ulteriore condizione secondo
 cui, anteriormente alla chiamata, il lavoratore dev'essere  stato  alle
 dipendenze dello stesso imprenditore da oltre tre mesi.
     L'illegittimita' costituzionale della norma va pertanto dichiarata,
 in  parte  qua,  in  riferimento  ad  ambo  i  parametri indicati dalle
 ordinanze.
     3. - Ben diversa e', invece, la conclusione in ordine alle  residue
 questioni,  sollevate  dalle  due ordinanze della Corte di Cassazione -
 Sezione lavoro - e da quella del Pretore di Lodi (nn. 259/77; 908/79  e
 880/80 reg. ord.).
     Nelle  fattispecie  ivi  contemplate  il primo rapporto di lavoro -
 come gia' si e' rilevato - e' sorto e si e' esaurito sotto l'impero del
 precedente ordinamento e segnatamente del r.d.l. 13  novembre  1924  n.
 1825,  la  cui  disposizione  dell'art.  6, primo comma, trovava poscia
 conferma nell'art.  2111  cod.  civ..  Secondo  tale  legislazione,  la
 chiamata  alle  armi  per adempiere agli obblighi di leva comportava la
 risoluzione del contratto di lavoro privato.
     I giudici remittenti  riconoscono  la  definitiva  risoluzione  del
 primo  rapporto  sulla  base  della  legislazione  allora  vigente,  ma
 sostengono che l'operativita'  del  r.d.l.  1825/1924  non  si  sarebbe
 esaurita   nel   periodo   anteriore   all'entrata   in   vigore  della
 Costituzione: e cio' in quanto, essendo la  definitiva  cessazione  del
 rapporto  avvenuta invece successivamente ed in epoca recente, soltanto
 in quel momento -  quando  cioe',  la  Costituzione  e  le  leggi  piu'
 favorevoli  erano  ormai in vigore - il lavoratore poteva esercitare il
 diritto a pretendere il pagamento dell'indennita' di anzianita', intesa
 come retribuzione differita, per l'intero periodo di servizio  prestato
 alle dipendenze dello stesso imprenditore.
     Non  si  tratterebbe,  pertanto, secondo la Corte di Cassazione, di
 far perdere effetto alla risoluzione  del  rapporto  incontestabilmente
 verificatasi  prima  dell'avvento della nuova legislazione, ma soltanto
 di constatare che tale norma impedirebbe  tuttora  il  riferimento  del
 computo  dell'indennita'  all'intero rapporto di lavoro. Ma un siffatto
 ragionamento da' per dimostrato  proprio  cio'  che  e'  oggetto  della
 dimostrazione.
     Affermare,  infatti  che  il  lavoratore  solo  ora, al termine del
 rapporto di lavoro, e' ammesso  a  rivendicare  le  spettanze  relative
 all'indennita'   di  anzianita'  dell'intero  rapporto  intercorso  col
 medesimo imprenditore, presuppone appunto che si  tratti  di  un  unico
 rapporto. In realta', il rapporto che si conclude in momento successivo
 all'entrata  in vigore della Costituzione e' soltanto quello instaurato
 al termine del servizio militare.  L'altro,  per  riconoscimento  delle
 stesse  ordinanze  di rimessione, si era concluso e definito al momento
 della chiamata alle armi, colla liquidazione,  e  coll'accettazione  da
 parte del lavoratore, della relativa indennita' di anzianita'.
     Prendere  atto,  sul piano conoscitivo, che un certo rapporto si e'
 definitivamente concluso nella vigenza di tramontata  legislazione  non
 puo'  significare  far  rivivere  la  legge  abrogata.  Se cosi' fosse,
 d'altra parte, non ci sarebbe ragione  per  non  attribuire  lo  stesso
 effetto   al   rapporto   estinto,   e  bisognerebbe,  percio',  allora
 riconoscere che, per tal modo, si farebbe rivivere anche il rapporto di
 lavoro concluso: il che le ordinanze  di  rimessione  negano  di  voler
 fare.
     Non  e'  esatto,  quindi, che sia quella lontana norma, non piu' in
 vigore, ad impedire  al  lavoratore  il  riconoscimento  del  suo  buon
 diritto.  In  realta',  il  problema  va impostato e risolto secondo le
 indicazioni della sentenza 28 luglio 1976 n. 194 di questa Corte che le
 ordinanze della Cassazione nemmeno richiamano, ma da cui la  Corte  non
 trova ragioni per discostarsi.
     In  quella  occasione,  e  in presenza di fattispecie assolutamente
 identica, in relazione alla quale la questione sollevata concerneva  la
 stessa  norma  impugnata  e si riferiva ugualmente all'art. 52, secondo
 comma, Cost. (oltre che all'art. 36, primo comma, Cost.), questa  Corte
 cosi'  aveva  deciso.  Dato  atto che, per effetto della risoluzione al
 momento della chiamata alle armi  del  dipendente,  il  primo  rapporto
 doveva  ritenersi  definitivamente  chiuso,  come riconosceva la stessa
 ordinanza di rimessione, avvertiva la sentenza  che  "sul  rapporto  da
 considerarsi  in  tal modo esaurito non possono avere incidenza e forza
 retroattiva ne' la disposizione successiva del Decreto n. 303 del 1946,
 che ha concesso ampio spazio alla tutela di conservazione del posto  di
 lavoro  ed  al  computo  dell'indennita'  di anzianita', ne' la solenne
 dichiarazione dell'art. 52 Cost."
     Vero e' che il Pretore di Lodi, il quale invece non ha ignorato  la
 riportata  decisione,  ritiene  di poterla tuttavia superare osservando
 che la motivazione della Corte, formalmente ineccepibile,  non  avrebbe
 pero'  tenuto  conto  della  disparita'  di  trattamento  che  viene  a
 verificarsi fra chi gode di indennita' di anzianita' senza soluzione di
 continuo fra i due periodi, per aver prestato servizio militare dopo il
 1946, e chi invece si vede negata tale possibilita' per avere adempiuto
 al servizio di leva in epoca  precedente.  Ma  non  rileva  il  Pretore
 innanzitutto  che  la  Corte non avrebbe potuto espressamente esaminare
 siffatto profilo per la semplice ragione che il primo giudice  (Pretore
 di  Aosta)  non  aveva  fatto  alcun  riferimento  al  parametro di cui
 all'art.  3 Cost., ma soltanto a quelli di cui agli artt.  52,  secondo
 comma, e 36, primo comma, Cost..
     Il   Pretore   di  Lodi,  invece,  non  soltanto  chiama  in  causa
 effettivamente, assieme all'art. 52, l'art. 3 Cost., ma estende, a  sua
 volta,  il riferimento anche all'art. 36, primo comma, Cost., alla luce
 del quale - sostiene - dev'essere letto il principio  di  cui  all'art.
 52, secondo comma, Cost..
     Ebbene,  quanto  all'art.  3  Cost., deve dirsi che non puo' essere
 negata la diversita' di trattamento che viene a determinarsi fra chi ha
 intrattenuto il primo rapporto di lavoro sotto la vigenza  del  vecchio
 ordinamento,  e  chi  invece  ha  iniziatola sua prima dipendenza sotto
 l'impero del d.l. n. 303/1946 e nella vigenza  della  Costituzione.  Ma
 evidentemente  cio'  non  basta, agli effetti dell'incompatibilita' nei
 confronti del detto parametro,  se  non  si  dimostri  che  il  diverso
 trattamento e' privo di qualsiasi ragionevole giustificazione.
     Al contrario, la stessa motivazione della sentenza n.  194/76 sopra
 riportata  risponde  implicitamente  anche  al possibile riferimento al
 principio di uguaglianza: infatti, mentre l'una situazione concerne  un
 precedente  rapporto  concluso  e  definito,  per reciproca intesa, con
 liquidazione e accettazione delle indennita', in legittima aderenza  al
 diritto   dell'epoca,  l'altra  riguarda  un  unico  rapporto,  rimasto
 soltanto "sospeso" ope legis durante la  prestazione  del  servizio  di
 leva.
     Quanto,  infine,  all'art.  36, primo comma, Cost., questa Corte ha
 gia' implicitamente riconosciuto colla sent. 16  febbraio  1963  n.  8,
 piu'  volte  richiamata  dalle  ordinanze di rimessione, i riflessi che
 esso comporta sull'interpretazione dell'art. 52, secondo comma,  Cost.:
 ed  infatti  ha  chiarito  che  il concetto di "posizione di lavoro" e'
 molto piu' ampio di quello concernente la  sola  tutela  del  posto  di
 lavoro,  e  percio' deve ricomprendere anche il diritto alla indennita'
 di anzianita'.
     E da escludersi, pero', che - come invece  sostiene  il  Pretore  -
 tutto  questo  autorizzi  a  ritenere  che  si  sia cosi' introdotto un
 elemento "qualitativo" di computo dell'anzianita',  nel  senso  che  la
 liquidazione   dovrebbe   essere,   percio',   "riferita   al  duraturo
 inserimento    del    lavoratore    nell'organizzazione    di    lavoro
 indipendentemente  da sopravvenute impossibilita' della prestazione non
 imputabili  al  lavoratore  stesso".  Un  tale  assunto,  infatti,  che
 peraltro   mostra   un   rilevante  salto  logico  fra  la  premessa  e
 l'illazione,  e'  ad  ogni  modo  resistito  sempre   dalla   riportata
 motivazione  della sent.  n. 194/76 la quale ha appunto esaminato anche
 il profilo di cui all' art. 36 Cost.. Infatti, non si  tratta  di  mere
 sopravvenute impossibilita' della prestazione nel corso di un "duraturo
 inserimento  del  lavoratore  nell'organizzazione",  ma  bensi', da una
 parte, di un precedente rapporto legittimamente definito e concluso  in
 tutti i suoi effetti, indennita' compresa e, dall'altra, di un rapporto
 nuovo,  sorto  in epoca successiva e protrattosi sotto la vigenza di un
 diverso ordinamento.
     La questione sollevata dalle tre ordinanze  riportate  va,  quindi,
 dichiarata inammissibile.