SENTENZA
     nei  giudizi  riuniti  di legittimita' costituzionale dell'art. 13,
 comma terzo, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (t.u. delle norme sul
 trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato)
 promossi con le seguenti ordinanze:
     1) ordinanza emessa il 31 marzo 1976  dalla  Corte  dei  conti  sul
 ricorso  proposto  da  Cuonzo  Lorenzo, iscritta al n. 196 del registro
 ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
 n. 172 dell'anno 1978;
     2) ordinanza emessa il 19 gennaio 1982 dal TAR per la Lombardia sul
 ricorso proposto da Orlando Camillo contro Presidente del Consiglio dei
 ministri  ed  altro,  iscritta  al n. 184 del registro ordinanze 1982 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  248  dell'anno
 1982;
     3)  ordinanza emessa il 18 giugno 1982 dal TAR per la Lombardia sul
 ricorso proposto da Porqueddu Giuseppe contro Presidente del  Consiglio
 dei ministri ed altro, iscritta al n. 709 del registro ordinanze 1982 e
 pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  67 dell'anno
 1983.
     Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
     udito  nell'udienza  pubblica  del  15  novembre  1983  il  Giudice
 relatore Antonino De Stefano;
     udito l'Avvocato dello Stato Renato Carafa per  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  -  Con  ordinanza  in  data  31 marzo 1976, la Corte dei conti,
 Sezione III  giurisdizionale  per  le  pensioni  civili,  ha  sollevato
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma terzo, del
 testo  unico  delle  norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti
 civili e militari dello Stato, approvato con d.P.R. 29  dicembre  1973,
 n. 1092, nella parte in cui, nel prevedere la possibilita' di riscatto,
 agli  effetti  del trattamento di quiescenza, dei periodi di iscrizione
 ad  albi  professionali,  se  richiesti  come condizione necessaria per
 l'ammissione in servizio, e dei periodi di  pratica  necessari  per  il
 conseguimento  dell'abilitazione  professionale,  determina il relativo
 contributo, anziche' nella misura del 6 per  cento  dell'80  per  cento
 dello  stipendio,  in  quella  del  18 per cento dell'intero stipendio.
 Nella motivazione del provvedimento, la  Corte  dei  conti  rappresenta
 anche la possibilita', ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953,
 n.  87,  di una eventuale declaratoria di illegittimita' conseguenziale
 di un'altra disposizione del  testo  unico  n.  1092  del  1973,  ossia
 dell'art.  260,  "nella  parte  in  cui prevede, in via transitoria, la
 stessa aliquota del 18 per cento dello stipendio per  il  riscatto  dei
 periodi  di  iscrizione agli albi professionali da parte del dipendente
 gia' cessato dal servizio alla data di  entrata  in  vigore  del  testo
 unico medesimo".
     La  questione  e'  stata  sollevata, in riferimento all'art 3 della
 Costituzione, nel corso di un giudizio vertente fra  il  dott.  Lorenzo
 Cuonzo  (primo  referendario  del  Consiglio  di  Stato e gia' aggiunto
 procuratore  dello  Stato  di  seconda  classe)  e  la  Presidenza  del
 Consiglio  dei ministri, sulla richiesta (avanzata dal primo e respinta
 dalla seconda) di riscatto, ai fini  della  pensione,  del  periodo  di
 durata  della pratica legale compiuta a suo tempo (dal 10 gennaio al 31
 ottobre 1948) dal  dott.  Cuonzo,  e  necessaria  per  l'ammissione  al
 concorso,  cui  aveva partecipato, per aggiunto procuratore dello Stato
 di seconda classe.
     Nel ricorso (presentato il 29 settembre  1969)  il  dott.    Cuonzo
 fondava  la  sua  doglianza  sulla  norma  dell'art.  7  della legge 15
 febbraio 1958, n. 46, che, a suo avviso, consentendo  il  riscatto  dei
 periodi  di  studi universitari e di corsi di perfezionamento, anche se
 non contemplava  espressamente  i  periodi  di  pratica  professionale,
 avrebbe dovuto ritenersi estensibile a questi (come del resto la stessa
 Corte dei conti, in una decisione del 1967, aveva riconosciuto) quando,
 come  nel  caso,  al  pari  degli  studi universitari, anche la pratica
 professionale  costituisse  titolo  inderogabile  per   l'ingresso   in
 carriera.  In  via  subordinata, tuttavia, nell'ipotesi in cui l'art. 7
 della  legge  n.  46  del  1958,  non   fosse   stato   piu'   ritenuto
 interpretabile  in  tal senso, il ricorrente deduceva la illegittimita'
 costituzionale dello stesso art. 7, per contrasto con  l'art.  3  della
 Costituzione,  non  giustificandosi  a  suo  avviso  la  disparita'  di
 trattamento cui la norma in questione, ammettendo  il  riscatto  per  i
 corsi  di  specializzazione, e negandolo, invece, riguardo alla pratica
 professionale, avrebbe dato luogo.
     Secondo   il   Procuratore   generale,   invece,   la   prospettata
 interpretazione  estensiva  dell'art.  7  della  legge  n. 46 del 1958,
 disattesa ormai dalla giurisprudenza della Corte dei  conti  successiva
 alla  su citata decisione, non poteva essere condivisa. A sua volta, la
 eccezione  di  illegittimita'  costituzionale  avrebbe  dovuto   essere
 dichiarata manifestamente infondata.
     Nell'ulteriore  corso  del  giudizio,  essendo  stato  emanato  nel
 frattempo il citato testo unico approvato con d.P.R. n. 1092 del  1973,
 la  difesa  del ricorrente, dopo avere in un primo tempo sostenuto - in
 contrasto col Procuratore generale - che la norma  dettata  in  materia
 dall'art. 13, comma terzo (con la quale i periodi di iscrizione ad albi
 professionali   richiesti  per  l'ammissione  in  servizio  sono  stati
 riconosciuti riscattabili), data la maggior misura del  contributo  (18
 per cento dell'intero stipendio) da essa fissata, non sarebbe stata nel
 caso applicabile, abbandonava successivamente questa tesi, riconoscendo
 che  la  controversia  doveva  risolversi  alla stregua, appunto, della
 disposizione sopravvenuta; ma sollevava, tuttavia, nei confronti  della
 medesima,   nella   parte  relativa  alla  misura  del  contributo,  in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione,  questione  di  legittimita'
 costituzionale.   Questione che la Corte dei conti, con la su ricordata
 ordinanza, dichiarava, oltre che rilevante ai fini  del  decidere,  non
 manifestamente infondata, ordinando la trasmissione degli atti a questa
 Corte.
     In  punto  di  rilevanza,  nella  motivazione  del provvedimento di
 rimessione si osserva che l'applicazione, nel caso, in via retroattiva,
 dell'art. 13, comma terzo, del testo  unico  approvato  con  d.P.R.  n.
 1092  del  1973 - applicazione conseguente (una volta abrogato l'art. 7
 della legge n. 46 del 1958 dall'art. 254 dello stesso testo unico) alla
 disposizione transitoria dettata, per i casi in corso  di  trattazione,
 dall'art. 256 comma primo - comporterebbe senz'altro (considerato che a
 norma  dell'art.  32  del  r.d.  30 ottobre 1933, n.   1611, la pratica
 necessaria per conseguire  l'abilitazione  professionale  era,  per  il
 dott.  Cuonzo,  condizione  necessaria  per  l'ammissione al menzionato
 concorso per  aggiunto  procuratore  dello  Stato  di  seconda  classe)
 l'accoglimento  della  istanza  di  riscatto,  da  lui  presentata, del
 periodo relativo. Tale accoglimento, tuttavia - prosegue il  giudice  a
 quo  -  dato  il  notevolissimo  onere del contributo del 18 per cento,
 rispetto al 6 per cento fissato dall'art. 7 della legge n. 46 del 1958,
 al quale l'interessato aveva inizialmente fatto richiamo,  non  sarebbe
 integrale.  Lo sarebbe, invece - e in cio' la rilevanza della questione
 -  ove  della  nuova  norma  fosse  dichiarata,  in   parte   qua,   la
 illegittimita' costituzionale.
     Sotto  l'aspetto  della  non  manifesta  infondatezza, la Corte dei
 conti osserva che dall'esame del testo unico n.  1092 del 1973, come da
 quello di tutta la normativa previgente, accanto ad  alcune  previsioni
 che in via d'eccezione riducono o aumentano la misura del contributo in
 considerazione di circostanze particolari, si desume l'esistenza di una
 previsione  normale che, per tutti i riscatti, stabilisce un contributo
 pari  al  6  per  cento  dell'80  per  cento  dello  stipendio  massimo
 pensionabile.    Dalle  fondamentali norme contenute nell'art. 9 del d.
 lgs. C.p.S. 7 aprile 1948, n. 262 e nell'art. 2 del d.P.R.  11  gennaio
 1956,  n.  20,  e',  inoltre,  agevole cogliere anche una equiparazione
 sempre mantenuta tra la misura del  contributo  di  riscatto  e  quella
 della  "ritenuta in conto entrate del Tesoro", applicata sugli stipendi
 del personale di ruolo. Equiparazione riaffermata,  del  resto,  in  un
 progetto  di  legge  in  corso  di  approvazione (divenuto poi legge 29
 aprile 1976, n. 177) nel quale, salve le "diverse misure" previste  per
 i  casi particolari, l'aliquota normale viene egualmente elevata (dal 6
 al 7 per cento) sia per la ritenuta in conto entrate Tesoro  (art.  13)
 sia per il contributo di riscatto (art. 14).
     Nel  fissare  il  contributo  di  riscatto  al  18  per cento dello
 stipendio, "corrispondente  al  21,  6  per  cento  della  comune  base
 pensionabile",  la  norma  impugnata  si  discosta nettamente da queste
 regole. E benche' non si possa negare che il legislatore e'  pienamente
 libero  di stabilire le aliquote di contribuzione ed i casi eccezionali
 che meritino particolari trattamenti di favore o  di  sfavore  riguardo
 alla  misura  del  contributo normale, e' anche indispensabile che, per
 evitare  disparita'  di  trattamento  in  violazione  dell'art. 3 della
 Costituzione, ogni eccezione abbia una congrua base di  giustificazione
 logica e giuridica. Il che non sembra ricorra nel caso in questione. In
 una  sola  altra  ipotesi,  infatti,  il contributo appare fissato, nel
 testo unico n.  1092 del 1973, nella misura  del  18  per  cento  dello
 stipendio,  ed e' quella, concernente i "servizi di ruolo prestati alle
 dipendenze delle assemblee legislative o di enti pubblici... sottoposti
 a  tutela  o  vigilanza  dello  Stato",  prevista  in  via  transitoria
 dall'art.  261.  Ma mentre per questa ipotesi, nella quale (come emerge
 nel secondo comma dell'articolo)  si  riconosce  ai  destinatari  della
 norma  il beneficio della "doppia pensionabilita'" dello stesso periodo
 riscattato,  una  misura  cosi'  elevata   di   contributo,   date   le
 particolarita'   di   quelle   situazioni,  puo'  senz'altro  ritenersi
 giustificata, non altrettanto potrebbe dirsi, secondo il giudice a quo,
 per i periodi di praticantato professionale richiesti per  l'ammissione
 in carriera, oggetto della disposizione impugnata, e che con i suddetti
 servizi non hanno nulla di comune.
     Al  tempo  stesso nulla sembra dare ragione della differenziazione,
 che con la determinazione del contributo di riscatto  del  praticantato
 professionale  al  18  per cento dello stipendio, per effetto dell'art.
 13, comma terzo, del testo unico n. 1092 del  1973,  si  determina  fra
 questa  e le altre situazioni (segnatamente quelle dei periodi di corsi
 di specializzazione post-universitari), a  cui  invece  si  applica  la
 regola  del  6  per  cento  dell'80  per cento dello stipendio, vano al
 riguardo risultando,  secondo  il  giudice  a  quo,  il  richiamo  alla
 distinzione  fra  "periodi  di  tempo"  e  "servizi",  ed  a quella fra
 "acquisizioni teoriche" e "acquisizioni pratiche", o alla  misura  piu'
 elevata  delle  retribuzioni  di  alcuni  (e  non  del resto tutti) dei
 destinatari della norma  (magistrati,  dirigenti  generali,  professori
 universitari),  tenuto  conto,  fra  l'altro,  che mai il contributo di
 riscatto e' stato concepito come un'imposta di  carattere  progressivo,
 come  alla  circostanza  che, durante il periodo di iscrizione all'albo
 professionale, l'interessato abbia potuto conseguire un certo lucro.
     Sembra chiaro, invece, che la norma impugnata, la' dove, ammettendo
 la possibilita' del  riscatto  dei  periodi  d'iscrizione  ad  un  albo
 professionale,  impone  poi,  senza  concedere alcuna contropartita, un
 onere di contribuzione talmente gravoso, da rendere  spesso  inoperante
 il  previsto  beneficio,  viene  a  frustrare  in pratica la essenziale
 finalita' di questi riscatti, in quanto diretti  a  mettere  sul  piano
 della  uguaglianza, ai fini del conseguimento dei diritti di quiescenza
 e delle relative anzianita', tutti gli impiegati che siano  entrati  in
 servizio  con  un ritardo piu' o meno sensibile a causa della richiesta
 preparazione professionale.
     2. - Notificata, comunicata, e pubblicata  l'ordinanza  di  rinvio,
 innanzi  alla Corte e' intervenuta, per il Presidente del Consiglio dei
 ministri, con atto depositato  l'11  luglio  1978,  l'Avvocatura  dello
 Stato,  chiedendo  che  la  sollevata questione sia dichiarata priva di
 fondamento.
     Ricordato  il   carattere,   non   obbligatorio   ma   facoltativo,
 dell'istituto del riscatto, che gia' di per se' porterebbe ad escludere
 la  possibilita'  di  ravvisare nella denunciata differenziazione nella
 misura dei contributi  un  profilo  di  illegittimita'  costituzionale,
 l'Avvocatura   osserva   che  il  richiedere  o  meno,  nei  vari  casi
 (esercitando, o rinunciando ad esercitare, la  concessa  facolta'),  il
 riscatto, dipende da valutazioni di convenienza degli interessati, che,
 per  quanto  piu' particolarmente attiene, in concreto, al riscatto dei
 periodi di pratica forense, normalmente sono legate a ragioni di  minor
 rilievo  di  quelle  su  cui si fonda l'interesse per il riscatto degli
 anni  di  corsi  universitari  e  di  specializzazione,  che  di  fatto
 comportano un ritardato inizio dell'attivita' lavorativa. Si aggiunga -
 prosegue l'atto di intervento - che, al contrario di quanto avviene per
 la  pratica  forense, i corsi speciali di perfezionamento comportano la
 frequenza e si concludono con il conferimento di un apposito diploma; e
 che, peraltro, l'iscrizione nell'albo dei praticanti procuratori legali
 legittima   l'esercizio   di   un'attivita'   forense,   giudiziale   e
 stragiudiziale,   la  quale,  a  differenza  dall'attivita'  di  studio
 connessa con i periodi dei corsi universitari e di specializzazione, e'
 remunerabile. Per cui, sotto questo aspetto,  al  contrario  di  quanto
 ritenuto  nell'ordinanza  di rinvio, fra la situazione disciplinata nel
 terzo comma dell'art. 13 del testo unico n.  1092  del  1973  e  quelle
 (servizi  di  ruolo  presso  enti  diversi  dallo Stato), per cui nello
 stesso testo unico la  misura  del  contributo  di  riscatto  e'  anche
 fissata  nella  misura  del  18 per cento dello stipendio, sussiste una
 sostanziale identita', sia l'una che l'altra norma avendo  riferimento,
 appunto, ad attivita' remunerabili, e di regola remunerate. Cosicche' -
 conclude  l'Avvocatura  -  anche  il maggior contributo richiesto dalla
 disposizione impugnata per il riscatto dei  periodi  di  iscrizione  in
 albi   professionali,   risulta   giustificato   dalla  intenzione  del
 legislatore  di  non   annullare   eventuali   posizioni   assicurative
 precostituite  con  le  attivita' esercitate, addossando l'intero onere
 del riscatto agli interessati. La evidente  diversita',  invece,  delle
 altre  situazioni  che  la  Corte  dei conti ha posto a raffronto, come
 regola  ad  eccezione,  con  quella  che  e'  oggetto  della  norma  in
 questione,   giustifica   pienamente   la   denunciata   diversita'  di
 disciplina.
     3. - Nella parte in cui determina nella misura  del  18  per  cento
 dell'intero  stipendio,  anziche'  nella diversa misura del 6 per cento
 sull'80 per cento dello stipendio, il  contributo  dovuto  dall'istante
 per  il  riscatto  dei  periodi di iscrizione in albi professionali, lo
 stesso art.  13, comma terzo, del testo unico approvato con d.P.R.   n.
 1092   del  1973,  e'  stato  impugnato  innanzi  a  questa  Corte,  in
 riferimento all'art. 3 della Costituzione, anche con due ordinanze,  di
 motivazione  in gran parte identica (in data 19 gennaio 1982, la prima,
 e 18 giugno 1982, la seconda), del TAR Lombardia, Sezione di Brescia.
     Sia l'una che l'altra ordinanza sono  state  emesse  nel  corso  di
 giudizi  promossi con ricorsi notificati, il 3 dicembre 1981, il primo,
 e il  31  maggio  1982,  il  secondo,  vertenti,  rispettivamente,  fra
 l'avvocato  Camillo  Orlando  e l'avvocato Giuseppe Porqueddu (entrambi
 appartenenti all'Avvocatura dello Stato) e la Presidenza del  Consiglio
 dei  ministri,  sul  riconoscimento,  ai  fini pensionistici, in base a
 riscatto, dei periodi di pratica forense.
     In entrambi i giudizi l'eccezione di illegittimita' costituzionale,
 sollevata, in termini identici, dai ricorrenti, nei confronti dell'art.
 13, comma terzo, del testo unico approvato con d.P.R. n. 1092 del 1973,
 per violazione dell'art. 3 Cost., "avuto riguardo alla  diversita'  del
 trattamento  ivi  stabilito",  quanto  alla  misura del contributo, "in
 raffronto alla minore percentuale del  6  per  cento,  stabilita  quale
 regola  generale  per  il  riscatto  a  fini  pensionistici del periodo
 relativo  agli  studi  universitari  e  ai  corsi di specializzazione",
 veniva ritenuta dal TAR, oltre che rilevante ai fini del decidere,  non
 manifestamente infondata.
     Il  riscatto  di  periodi  di  iscrizione  in  albi professionali -
 osserva il giudice  a  quo  -  per  il  periodo  di  tempo  minimo  per
 l'acquisizione  del  titolo  professionale  necessario  per  accedere a
 particolari  rapporti  di  impiego  statale,   appare   irrazionalmente
 disciplinato,  nella  evidente identita' della ratio legis, rispetto al
 riscatto degli anni relativi agli studi universitari  ed  ai  corsi  di
 specializzazione.  La  norma impugnata, percio', pur in presenza di una
 discrezionale  valutazione  da  parte  del  legislatore,  non   risulta
 conforme,   in   mancanza   di  ogni  plausibile  ragione  di  siffatta
 diversificata disciplina, al generale precetto di cui all'art. 3  della
 Costituzione.
     4. - Adempiute le formalita' di rito, sia nel primo che nel secondo
 dei  giudizi promossi con le ordinanze del TAR Lombardia, nessuna delle
 parti si e' costituita innanzi alla Corte, mentre solo nel  secondo  e'
 intervenuta,  per  il  Presidente  del Consiglio dei ministri, con atto
 depositato il 26 ottobre 1982, l'Avvocatura  dello  Stato,  concludendo
 per  l'infondatezza  della  questione. Secondo l'Avvocatura, che svolge
 argomenti del tutto analoghi a quelli  gia'  addotti  al  riguardo  nel
 giudizio  promosso  dalla  Corte  dei  conti,  la  maggior  misura  del
 contributo richiesta dalla denunciata disposizione dell'art. 13,  comma
 terzo,  del  testo  unico approvato con d.P.R. n. 1092 del 1973, per il
 riscatto dei periodi di iscrizione in albi  professionali,  rispetto  a
 quella  prevista, nel primo comma dello stesso art. 13, per il riscatto
 dei periodi di studi universitari e di corsi di specializzazione, trova
 piena giustificazione nella differenza che innegabilmente sussiste  fra
 le situazioni regolate.
     5.  -  All'udienza pubblica del 15 novembre 1983, dopo la relazione
 svolta dal Giudice Antonino De Stefano, l'avvocato dello  Stato  Renato
 Carafa, per i giudizi in cui e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei  ministri,  si  e'  richiamato agli argomenti svolti nelle memorie,
 insistendo per la dichiarazione di non fondatezza.
                         Considerato in diritto:
     1. - Il testo unico delle norme sul trattamento di  quiescenza  dei
 dipendenti  civili  e  militari  dello  Stato,  approvato con d.P.R. 29
 dicembre 1973, n. 1092, prevede, nel titolo II, capo II, il computo,  a
 domanda,  ai  fini  del  trattamento di quiescenza, di taluni servizi e
 periodi, anteriori alla nomina. In particolare, l'art. 13  dispone,  al
 primo  comma,  che  il dipendente civile, al quale sia stato richiesto,
 come condizione necessaria per l'ammissione in servizio, il diploma  di
 laurea  o,  in  aggiunta, quello di specializzazione rilasciato dopo la
 frequenza di corsi universitari di perfezionamento, puo' riscattare, in
 tutto o in parte, il periodo di tempo corrispondente alla durata legale
 degli studi universitari e dei corsi speciali di perfezionamento, verso
 corresponsione di un contributo pari al 6 per cento, commisurato all'80
 per cento dello stipendio spettante alla data  di  presentazione  della
 domanda,  in  relazione  alla  durata  del periodo riscattato. Il comma
 terzo dello  stesso  articolo  prevede  che,  se  per  l'ammissione  in
 servizio   sia   stato   richiesto,   come  condizione  necessaria,  un
 determinato periodo di iscrizione ad  albi  professionali,  e'  ammesso
 anche  il  riscatto,  totale  o parziale, di detto periodo, nonche' dei
 periodi di pratica necessaria per  il  conseguimento  dell'abilitazione
 professionale,  verso  corresponsione  di  un contributo pari al 18 per
 cento dell'intero stipendio spettante alla data di presentazione  della
 domanda, in relazione alla durata del periodo riscattato.
     Con  le  tre  ordinanze  di  cui  in narrativa (una della Corte dei
 conti, Sezione III giurisdizionale per le pensioni civili,  e  due  del
 Tribunale  amministrativo  regionale per la Lombardia, Sezione staccata
 di  Brescia)  e'  stata  deferita  a  questa  Corte  la  questione   di
 legittimita'   costituzionale,   in   riferimento   all'art.   3  della
 Costituzione, del citato comma terzo dell'art. 13, nella parte  in  cui
 determina  il  contributo  di  riscatto  nella  misura del 18 per cento
 dell'intero stipendio, anziche' nella misura del 6  per  cento  dell'80
 per cento dello stipendio medesimo.
     A  sostegno  della  non  manifesta  infondatezza della questione, i
 giudici a quibus pongono in evidenza la disparita'  di  trattamento,  a
 loro  avviso  irrazionale  ed  ingiustificata,  e  percio'  lesiva  del
 principio di eguaglianza, che si determina tra la  fattispecie  oggetto
 della norma impugnata e le altre ipotesi di riscatto (ed in particolare
 quella,  prevista  nel primo comma dello stesso art. 13, del periodo di
 tempo corrispondente alla durata legale degli studi universitari e  dei
 corsi  speciali  di  perfezionamento), alle quali si applica l'aliquota
 del 6 per cento dell'80 per cento dello stipendio.
     2. - Le ordinanze di rimessione  sottopongono  a  questa  Corte  la
 stessa  questione  di  legittimita' costituzionale; pertanto i relativi
 giudizi vengono riuniti per essere decisi con unica sentenza.
     3. - La questione non e' fondata.
     Il  dubbio  prospettato  muove  dall'assunto  che   dalla   vigente
 normativa  sarebbe  dato  desumere "l'esistenza di una regola generale"
 per tutti i riscatti di periodi e servizi ai fini  del  trattamento  di
 quiescenza  a  carico  dello  Stato:  la misura del relativo contributo
 cioe', sarebbe determinata nel 6 per  cento  dell'80  per  cento  dello
 stipendio,  mediante una costante equiparazione di essa con la identica
 misura della "ritenuta in conto entrate Tesoro", applicata, ai fini del
 trattamento di quiescenza, sugli stipendi del personale statale.
     Ora, non si nega che, tanto nel  t.u.  n.  1092  del  1973,  quanto
 nell'antecedente  normativa  (D.  Lgt. 7 aprile 1948, n. 262; d.P.R. 11
 gennaio 1956, n. 20), effettivamente il contributo di riscatto  risulti
 in  prevalenza determinato nella stessa misura della "ritenuta in conto
 entrate Tesoro", cui e' soggetto il dipendente quale suo contributo  ai
 fini   del   trattamento   di   quiescenza;   mentre   l'intero   onere
 pensionistico, come risulta dalla circolare del Ministero  del  Tesoro,
 Ragioneria  generale  dello  Stato,  n.  43  del  21  maggio  1975, che
 impartisce istruzioni circa la valutazione dei servizi in  applicazione
 del t.u. n. 1092 del 1973, si concreterebbe appunto nella misura del 18
 per  cento  dell'intero stipendio. In altri termini, cosi' operando, si
 farebbe pagare al dipendente esattamente quanto questi  avrebbe  pagato
 se  nel  periodo  riscattato  avesse  prestato  servizio  di ruolo alle
 dipendenze dello Stato, con la stessa retribuzione  percepita  all'atto
 della  presentazione della domanda di riscatto. Ed una conferma di tale
 orientamento del legislatore si trae anche dalla legge 29 aprile  1976,
 n.  177,  che,  elevando  dal  6 al 7 per cento dell'80 per cento dello
 stipendio  la  "ritenuta  in  conto  entrate  Tesoro"  (art.  13),   ha
 contemporaneamente   elevato  nella  stessa  misura  il  contributo  di
 riscatto del  6  per  cento  previsto  dall'art.  13,  comma  primo,  e
 dell'art.  14, comma secondo, del t.u. n. 1092 del 1973 (art. 14, comma
 primo).
     Ma  da  cio'  non puo' inferirsi che tale equiparazione costituisca
 una regola costante ed inderogabile, al segno  che  il  discostarsi  da
 essa  concreti di per se' una ingiustificata disparita' di trattamento.
 Deve,   invece,   riconoscersi   al   legislatore    un    ambito    di
 discrezionalita',  negli ovvi limiti della razionalita', non solo nello
 scegliere i periodi e servizi da ammettere al riscatto, ma anche  nello
 stabilire  se  porre a carico del dipendente tutto o parte del relativo
 onere.
     D'altronde, di siffatta discrezionalita' il legislatore si e'  gia'
 avvalso,  come  reso  palese dal secondo comma del citato art. 14 della
 legge n. 177 del 1976, che fa, appunto, salve "le  diverse  misure  del
 contributo  di  riscatto  previste dalle norme in vigore". Infatti, nel
 t.u.  n. 1092 del 1973, oltre il denunciato terzo comma  dell'art.  13,
 anche  l'art. 14, che contempla i servizi ammessi al riscatto, prevede,
 per alcune categorie (indicate alle lettere c, d ed e del primo comma),
 un  diverso  contributo  di  riscatto,  "pari  al  3  per  cento  dello
 stipendio,  della  paga  o della retribuzione spettante all'interessato
 all'atto della sua  assunzione  quale  dipendente  con  trattamento  di
 quiescenza  a carico del bilancio dello Stato". L'art. 261 offre poi al
 personale in servizio alla data di entrata in vigore del  testo  unico,
 la  facolta'  di  chiedere  entro  il  termine  di  un  anno dalla data
 medesima,  anziche'  il  computo,  senza  alcun  onere  a  carico   del
 dipendente,  come previsto dall'art. 12, dei "servizi di ruolo e non di
 ruolo prestati alle dipendenze delle  assemblee  legislative,  di  enti
 locali  territoriali,  di  enti  parastatali  o  di  enti e istituti di
 diritto pubblico sottoposti a vigilanza o a  tutela  dello  Stato",  il
 riscatto  totale  o parziale dei soli servizi di ruolo anzidetti "verso
 pagamento di un contributo pari al 18 per cento dello stipendio,  della
 paga  o  della  retribuzione spettante alla data di presentazione della
 domanda, in relazione  ai  periodi  riscattati"  (secondo  quanto  gia'
 previsto  dalla  legge  26 maggio 1966, n. 372): in questo secondo caso
 non applicandosi il primo comma dell'art.  6,  a  norma  del  quale  un
 periodo  di  attivita'  lavorativa,  che  sia  valutabile  ai  fini  di
 quiescenza secondo ordinamenti obbligatori  diversi,  e'  valutato  una
 sola  volta in base all'ordinamento prescelto dall'interessato. Ancora,
 l'art.  116 del d.P.R. 31 maggio 1974, n. 417 - norma emanata  in  base
 ai  criteri indicati nell'art. 14, comma secondo, della legge di delega
 30 luglio 1973, n. 477 - dopo aver rinviato, al  primo  comma,  per  la
 valutazione dei servizi o periodi ai fini del trattamento di quiescenza
 del  personale  docente,  direttivo  od ispettivo delle scuole materne,
 elementari, secondarie ed artistiche dello Stato, alle disposizioni del
 t.u. n. 1092 del 1973, fissa, al secondo comma,  per  il  riscatto  dei
 servizi prestati nelle scuole legalmente riconosciute, per i periodi in
 cui  i  servizi  stessi  siano stati retribuiti, il relativo contributo
 "nella misura del 18 per cento"; norma del tutto  analoga  e'  dettata,
 poi,  nell'art.  23, comma terzo (emanato in virtu' della stessa delega
 legislativa) del coevo d.P.R. 31 maggio 1974, n. 420, per il  personale
 non docente delle scuole suddette.
     4.  -  Da  ultimo,  sempre in relazione alla pluralita' dei criteri
 adottati dal legislatore nel determinare la misura  del  contributo  di
 riscatto,  va  ricordato il d.l. 1 ottobre 1982, n. 694, recante misure
 per  il  contenimento  del   disavanzo   del   settore   previdenziale,
 convertito,  con  modificazioni,  in  legge  29  novembre 1982, n. 881.
 L'art.  2  di  tale  provvedimento,  come  modificato  dalla  legge  di
 conversione, al quarto comma, ha stabilito che  il  contributo  per  il
 riscatto  del  periodo di corso legale di laurea, da corrispondersi dal
 personale civile dello Stato, per le domande presentate  ai  sensi  del
 primo  comma  dell'art.  13  del t.u. n. 1092 del 1973, successivamente
 alla data di entrata in vigore  del  decreto  anzidetto,  e'  calcolato
 sulla  base  di coefficienti attuariali da determinarsi con decreto del
 Ministro del  tesoro,  e  deve  essere  non  inferiore,  a  parita'  di
 trattamento  retributivo,  a quello determinato per le analoghe domande
 di riscatto presentate nell'ordinamento pensionistico INPS. Il  decreto
 del  Ministro  del  tesoro,  emanato l'8 aprile 1983 e pubblicato nella
 Gazzetta Ufficiale n. 152 del 1983, applica, per la determinazione  del
 contributo  in  parola,  gli  stessi  coefficienti attuariali di cui al
 decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, emanato  il
 19  febbraio  1981 e pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta
 Ufficiale n. 129 del 1981. Nelle premesse del  menzionato  decreto  del
 Ministro  del  tesoro  si  pone  in evidenza "la necessita' di adottare
 criteri di ordine  tecnico-operativo  uniformi  a  quelli  seguiti  nel
 regime  previdenziale dell'assicurazione generale obbligatoria, al fine
 di assicurare la corrispondenza dell'importo del contributo di riscatto
 da porre a carico del personale civile dello Stato con l'importo  della
 riserva  matematica dovuta, per il riscatto del periodo di corso legale
 di  laurea,  nell'ordinamento  della  predetta  assicurazione  generale
 obbligatoria".
     5.  - Non compete, ovviamente, alla Corte, nell'ambito del presente
 giudizio, verificare se per ciascuna  delle  ricordate  fattispecie  il
 legislatore  abbia  fatto  buon uso dei suoi poteri discrezionali. Quel
 che conta, nell'attuale sede, ai fini del dedotto contrasto con  l'art.
 3 della Costituzione della norma che determina la misura del contributo
 per   il   riscatto  di  periodi  di  esercizio  professionale,  e'  la
 conclusione che puo' trarsi dalle norme passate in  rassegna,  e  cioe'
 che  non  appare  fondato il riferimento ad una presunta misura fissa e
 costante per tutti i periodi e servizi ammessi a riscatto:   parametro,
 questo,  che,  in  siffatti  termini rigidi, non e' dato desumere dalla
 normativa vigente.
     Il raffronto va allora condotto, seguendo  sotto  tale  profilo  le
 altre  argomentazioni  addotte  dai giudici a quibus, con la misura del
 contributo  stabilita  per  il  riscatto   di   quei   periodi   (studi
 universitari   e   corsi   speciali  di  perfezionamento)  che,  almeno
 apparentemente, si presentano come maggiormente affini  ai  periodi  di
 iscrizione ad albi professionali ed ai periodi di pratica necessari per
 il  conseguimento dell'abilitazione professionale, avendo, quanto meno,
 in comune la caratteristica di non presupporre  alcuna  prestazione  di
 servizio  resa  allo  Stato o ad altri enti, a differenza, appunto, dai
 servizi ammessi a riscatto.
     6.  -  Ma  anche  nel  piu'  ristretto  ambito  del  confronto  del
 denunciato  terzo  comma  dell'art. 13 del t.u. n. 1092 del 1973 con il
 primo comma dello  stesso  articolo,  non  risulta  violato  l'invocato
 precetto dell'art. 3 della Costituzione.
     Innanzi tutto va sottolineato che la misura del contributo prevista
 dal  primo comma dell'art. 13 a seguito dell'emanazione del citato d.l.
 n. 694 del 1982, come modificato dalla legge di conversione n. 881  del
 1982,  non e' piu' univoca per le fattispecie ivi considerate. Infatti,
 per le domande di riscatto del  periodo  di  corso  legale  di  laurea,
 presentate  successivamente  alla data di entrata in vigore del decreto
 anzidetto  (3  ottobre  1982),  il  relativo  contributo  non  e'  piu'
 determinato  in quella misura del 6 per cento (divenuto poi 7 per cento
 per effetto della legge n. 177  del  1976),  dell'80  per  cento  dello
 stipendio,  che  i  giudici  a  quibus avrebbero voluto fosse estesa al
 riscatto dei periodi di esercizio professionale; ma e' calcolato - come
 innanzi ricordato - sulla base dei ben diversi coefficienti attuariali,
 determinati con il menzionato decreto del Ministro del  tesoro.  Per  i
 corsi  speciali  di  perfezionamento, invece, e' rimasta applicabile la
 misura prevista dal primo comma dell'art.   13 del  t.u.  n.  1092  del
 1973,  come  modificata  dall'art.    14  della  legge n. 177 del 1976.
 Cosicche', avendo le ordinanze di rimessione fatto  riferimento,  nelle
 loro  motivazioni, ad entrambe le categorie, verrebbe meno, per effetto
 della piu' recente normativa, la necessaria  unitarieta'  dell'elemento
 dalle ordinanze stesse assunto a tertium comparationis.
     7.  -  Peraltro,  anche  facendo riferimento al periodo antecedente
 all'entrata in vigore del d.l.  n.  694  del  1982  (essendo  state  le
 istanze  di  riscatto,  che  hanno  dato  origine  ai ricorsi sui quali
 debbono pronunciare i giudici a quibus, tutte presentate prima di  tale
 data), allorquando, cioe', la misura del contributo, prevista dal primo
 comma  dell'art. 13 del t.u. n. 1092 del 1973, era eguale tanto per gli
 studi universitari quanto per  i  corsi  speciali  di  perfezionamento,
 essendo determinata nel 6 per cento (poi 7 per cento) dell'80 per cento
 dello  stipendio,  la  lamentata diversita', rispetto a tale misura, di
 quella (18 per cento dell'intero stipendio), determinata dal denunciato
 terzo comma dello stesso art. 13  per  il  contributo  di  riscatto  di
 periodi  di  esercizio  professionale,  non  appare in contrasto con il
 principio di eguaglianza.
     La Corte, infatti, non ravvisa  sussistere,  tra  i  periodi  degli
 studi universitari e dei corsi speciali di perfezionamento ed i periodi
 di  iscrizione  ad  albi  professionali,  e di pratica necessari per il
 conseguimento  dell'abilitazione  professionale,  quella  identita',  o
 almeno  omogeneita'  di  situazioni,  che  renderebbe ingiustificata la
 diversa  regolamentazione  adottata  dal  legislatore  in  ordine  alla
 determinazione della misura dei relativi contributi.
     Ben vero che - come ha affermato questa Corte nella sentenza n. 128
 del  1981  -  "la legislazione in materia di riscatto e' andata via via
 evolvendosi nel senso  di  concedere  alla  preparazione  professionale
 acquisita  ogni  considerazione  ai  fini  di  quiescenza,  onde  poter
 immettere, in vista del dettato dell'art. 97 della Costituzione,  nelle
 carriere   direttive  personale  idoneo  per  preparazione  e  cultura,
 altrimenti    svantaggiato    per    l'ingresso     nelle     pubbliche
 amministrazioni".  Ma  l'avere esteso, con il t.u. n. 1092 del 1973, la
 possibilita' di riscatto anche ai periodi di  esercizio  professionale,
 ove necessari per l'ammissione in servizio alle dipendenze dello Stato,
 non  comporta  necessariamente  che  ad essi debba applicarsi la stessa
 misura del contributo prevista per il riscatto dei periodi degli  studi
 universitari  e  dei  corsi  speciali  di perfezionamento. I primi ed i
 secondi, anche se teleologicamente accomunati ai  fini  dell'ammissione
 in  servizio,  presentano  innegabili  differenze  ontologiche,  che il
 legislatore, nella sua discrezionalita', ha voluto tener presenti nella
 determinazione della misura dei rispettivi  contributi.  In  proposito,
 per  tacer di altre caratteristiche peculiari agli uni o agli altri, e'
 sufficiente  considerare  -  come   giustamente   e'   stato   rilevato
 dall'Avvocatura  dello  Stato  -  che  l'attivita'  di studio ammessa a
 riscatto comporta un ritardo nell'inizio dell'attivita' lavorativa (se,
 invece,  quest'ultima  si  accompagnasse  alla  prima,  in   tal   caso
 troverebbe  applicazione il divieto della doppia valutazione ai fini di
 quiescenza, sancito dal secondo comma dell'art. 6 del t.u. n. 1092  del
 1973).  L'attivita'  professionale, invece, si concreta, ovviamente, in
 un'attivita' lavorativa, come tale suscettibile di remunerazione  e  di
 autonoma   tutela  assicurativa.    Pertanto,  la  scelta  operata  dal
 legislatore,  di  addossare  agl'interessati,  in  quest'ultimo   caso,
 l'intero  onere del riscatto, e di limitare l'onere medesimo nel primo,
 non appare palesemente irrazionale.
     Sotto  tutti  i  profili  dedotti,   percio',   la   questione   di
 legittimita'  costituzionale,  sottoposta a questa Corte, va dichiarata
 non fondata.