ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
     nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale dell'art. 5, nn.
 3,  6,  8  e  9,  del  D.  Presid. Regione Sicilia 20 agosto 1960, n. 3
 (Approvazione del t.u.  per  l'elezione  dei  consigli  comunali  nella
 Regione siciliana) promossi con le seguenti ordinanze:
     1)  ordinanza  emessa  il 14 gennaio 1982 dalla Corte di cassazione
 sul ricorso proposto da Cannavo' Salvatore ed altro c/Oberto Pietro  ed
 altri,  iscritta  al  n.  610  del registro ordinanze 1982 e pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46 del 1983;
     2) ordinanza emessa il 9 novembre 1981 dalla  Corte  di  cassazione
 sul   ricorso  proposto  da  Morabito  Giuseppe  c/  Trimarchi  Tindaro
 Salvatore ed altro, iscritta al n. 682 del registro  ordinanze  1982  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 128 del 1983;
     3)  ordinanza  emessa il 26 ottobre 1983 dal Tribunale di Patti nel
 procedimento civile vertente  tra  Amodeo  Antonio  ed  altri  c/Sidoti
 Girolamo  Giuseppe,  iscritta al n.   203 del registro ordinanze 1984 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 231 del 1984;
     4)  ordinanza  emessa  il  22  dicembre  1983  dal   Tribunale   di
 Caltagirone  nel procedimento civile vertente tra Di Silvestro Giuseppe
 e D'Avola Antonino, iscritta al n. 421 del registro  ordinanze  1984  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 273 del 1984.
     Visti gli atti di intervento della Regione Sicilia;
     udito  nella  camera  di  consiglio del 20 febbraio 1985 il Giudice
 relatore Leopoldo Elia.
                           Ritenuto in fatto:
     1. - Nel corso di un giudizio  proposto  da  Salvatore  Cannavo'  e
 Francesco  Russo, e diretto a far dichiarare Pietro Oberto (imputato di
 interesse privato in atti d'ufficio per  il  rilascio  di  una  licenza
 edilizia)   ineleggibile   alla   carica  di  consigliere  comunale  di
 Caltanissetta per l'esistenza di una lite pendente col Comune (il quale
 peraltro non si era costituito parte civile nel  procedimento  penale),
 la Corte di cassazione, con ordinanza del 14 gennaio 1982 (reg. ord. n.
 610/1982),   ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 5, n. 6, d. Pres. reg. siciliana 20 agosto 1960,  n.  3,  per
 contrasto con gli artt. 3 e 51 Cost..
     Osserva  la  Suprema  Corte  che  tale  disposizione,  nel  sancire
 l'ineleggibilita' a consigliere comunale  di  "coloro  che  hanno  lite
 pendente  con  il Comune", trovava perfetta corrispondenza in quella di
 cui all'art. 15, n. 6, del d.P.R. 16 maggio  1960,  n.  570,  il  quale
 pero'  e' stato abrogato dalla legge 23 aprile 1981, n. 154, che, da un
 lato, ha inquadrato l'ipotesi di "lite pendente" fra le  situazioni  di
 incompatibilita'  (e  non  piu'  fra  quelle  di  ineleggibilita'),  e,
 dall'altro, l'ha circoscritta a "colui che ha lite pendente, in  quanto
 parte  in  un procedimento civile o amministrativo, rispettivamente con
 la regione, la provincia o il comune".    Avendo  tuttavia  la  Regione
 siciliana  potesta'  legislativa  esclusiva  in  materia  di elettorato
 passivo, nel caso di specie dovrebbe applicarsi la citata  disposizione
 regionale, la quale (cosi' come la corrispondente disposizione statale)
 e'  stata  sempre  interpretata  nel  senso che la generica espressione
 "lite pendente" comprende non solo la  lite  giudiziale,  ma  qualsiasi
 potenziale conflitto d'interessi tra l'eletto e il Comune (anche se non
 esteriorizzatosi in un processo), che presenti carattere di attualita',
 serieta' e concretezza, e quindi anche il procedimento penale nel quale
 il  Comune  non  sia  costituito  parte civile, purche' evidenziante il
 conflitto d'interessi. Senonche', osserva ancora la Suprema  Corte,  e'
 dubbio   che   la  norma  regionale  che  prevede  l'ineleggibilita'  a
 consigliere comunale  del  cittadino  siciliano  che  abbia  "contrasto
 d'interessi" col Comune, a differenza degli altri cittadini per i quali
 piu' non sussiste tale causa di nullita' dell'elezione, possa ritenersi
 conforme  a  Costituzione, giacche', sebbene la Regione siciliana abbia
 in materia potesta'  legislativa  esclusiva,  la  regolamentazione  dei
 diritti  elettorali deve essere il piu' possibile uniforme ed uguale su
 tutto il territorio nazionale, a meno che  una  disciplina  derogatoria
 non   trovi   razionale  giustificazione  nell'esigenza  di  tutela  di
 interessi propri dell'ordinamento regionale. Nella specie,  pero',  non
 sussiste  alcuna giustificazione della disparita' di trattamento che si
 e'  venuta  a  creare  a  seguito  della modificazione della disciplina
 statale, cui il legislatore regionale non si e' adeguato, cosicche'  la
 norma  regionale  appare  in  contrasto col principio costituzionale di
 uguaglianza nell'accesso alle cariche pubbliche ed elettive.
     2. - L'ordinanza e' stata  regolarmente  comunicata,  notificata  e
 pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte costituzionale
 e'  intervenuto  il  Presidente  della  Giunta   regionale   siciliana,
 rappresentato  e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, eccependo
 innanzitutto  l'inammissibilita'  della  questione  sollevata,  poiche'
 questa  ha  ad oggetto un atto che consiste in una mera compilazione di
 disposizioni contenute in precedenti leggi statali e regionali,  e  che
 quindi  e'  privo di forza di legge. Nel merito l'Avvocatura rileva che
 la questione di costituzionalita' si fonda su una interpretazione della
 disposizione impugnata che ha ampliato il significato  dell'espressione
 "lite  pendente"  a  causa  della "incerta dizione legislativa", mentre
 proprio la poca chiarezza della formulazione  legislativa  deve  invece
 portare   ad  una  interpretazione  adeguatrice  che  attribuisca  alla
 disposizione stessa un contenuto  conforme  a  Costituzione.  E  se  si
 compie  tale doverosa operazione ermeneutica, se cioe' si interpreta la
 disposizione de qua nel senso  che  l'ipotesi  di  "lite  pendente"  si
 realizza   solo   in   caso   di  pendenza  di  un  giudizio  civile  o
 amministrativo,  la  questione  sollevata  si  manifesta  da  un   lato
 infondata,  perche'  non  sussiste  disparita' di trattamento tra legge
 statale e regionale, e dall'altro irrilevante, perche'  nella  concreta
 fattispecie  all'esame  del  giudice  a  quo,  non  essendosi il Comune
 costituito nel procedimento penale, deve escludersi la  sussistenza  di
 una lite pendente.
     3.  -  Nel  corso  di  un  giudizio promosso da Salvatore Trimarchi
 Tindaro e diretto a far dichiarare Giuseppe Morabito ineleggibile  alla
 carica  di consigliere comunale di S. Teresa di Riva per l'esistenza di
 una  lite  pendente  con  il  Comune  (avendo  il  Morabito  realizzato
 abusivamente  alcune  opere  edilizie  per  le  quali era stata emanata
 ordinanza sindacale di demolizione, poi non  eseguita,  ed  essendo  in
 corso  un  procedimento  penale per violazione della legge urbanistica,
 nel quale peraltro il Comune non si era costituito  parte  civile),  la
 Corte  di  cassazione,  con ordinanza del 9 dicembre 1981 (reg. ord. n.
 682/1982),  ha  sollevato  questione  di  legittimita'   costituzionale
 dell'art.  5,  n. 6, d.   Pres. reg. siciliana 20 agosto 1960, n. 3, in
 riferimento agli artt. 3 e 51 Cost..
     Nel merito la Suprema Corte svolge considerazioni analoghe a quelle
 contenute    nell'ordinanza    del    14    gennaio    1982,     mentre
 sull'ammissibilita'  della  questione sottolinea che le disposizioni in
 materia di ineleggibilita' e di  incompatibilita'  raccolte  nel  testo
 unico  approvato  col  d.    Pres.  reg. siciliana n. 3 del 1960 furono
 emanate dalla Regione, nell'esercizio della  sua  potesta'  legislativa
 primaria,  con  la  legge reg. 5 aprile 1952, n. 11 (sia pure recependo
 norme statali), e contro tali disposizioni e' consentito  il  sindacato
 di legittimita' costituzionale.
     Le   precedenti   decisioni   di   inammissibilita'   della   Corte
 costituzionale,  invero,  riguardavano  in  realta'  disposizioni   del
 medesimo  Testo Unico che disciplinano il contenzioso o prevedono reati
 elettorali riproducendo norme statali, e  sono  state  determinate  dal
 fatto  che,  non  estendendosi a queste materie la potesta' legislativa
 regionale, non poteva attribuirsi efficacia normativa alla trascrizione
 di  tali  disposizioni  in un testo unico regionale, in quanto le norme
 statali non hanno  bisogno  di  ricezione  per  essere  efficaci  nella
 Regione.
     4.  -  L'ordinanza  e'  stata regolarmente comunicata, notificata e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte  costituzionale
 e'   intervenuto   il  Presidente  della  Giunta  regionale  siciliana,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato,  svolgendo
 le  medesime  richieste e considerazioni proposte nel giudizio promosso
 con l'ordinanza del 14 gennaio 1982.
     5. - Antonio Amodeo, Nicolo' Bertino e Giovanni Iarrera ricorrevano
 al Tribunale di Patti chiedendo che Giuseppe  Sidoti  fosse  dichiarato
 ineleggibile  alla  carica  di  consigliere comunale di Oliveri poiche'
 ricorrevano le cause di cui all'art. 5, nn. 6, 8 e 9 del d. Pres.  reg.
 siciliana  n.  3  del  1960, e cioe': a) la pendenza di una lite con il
 Comune, avendo questo diritto al risarcimento del danno in forza di una
 sentenza penale; b) l'intervenuta dichiarazione di  responsabilita'  da
 parte della Sezione giurisdizionale regionale della Corte dei conti; c)
 la  non  estinzione  di  un  debito per spese di un giudizio elettorale
 definito dal medesimo Tribunale, nonostante la rituale messa  in  mora.
 Il Tribunale di Patti, con ordinanza del 26 ottobre 1983 (reg.  ord. n.
 203/1984),   ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art. 5, nn. 6, 8 e 9 del d. Pres. reg.  siciliana 20 agosto  1960,
 n. 3, in riferimento agli artt. 3 e 51 Cost..
     Nello svolgere considerazioni analoghe a quelle contenute nelle due
 precedenti  ordinanze  della  Cassazione, il Tribunale di Patti osserva
 che nella specie le tre dedotte  cause  di  ineleggibilita'  dovrebbero
 ritenersi   sussistenti   sulla  base  delle  norme  regionali,  mentre
 sarebbero inesistenti (avendo il Sidoti pagati i suoi debiti il  giorno
 prima  della  delibera  consiliare  di  convalida  delle elezioni) alla
 stregua della nuova legislazione statale, la  quale,  tra  l'altro,  ha
 inquadrato  la pendenza della lite, la dichiarazione di responsabilita'
 in via amministrativa o giudiziale di un amministratore comunale  e  la
 morosita'  per  credito  del  Comune  tra le cause di incompatibilita',
 eliminabili fino al momento dell'assunzione della carica  elettiva.  Da
 cio'  discenderebbe  una  ingiustificata  disparita' di trattamento tra
 cittadino siciliano e quello delle altre Regioni.
     6. - L'ordinanza e' stata  regolarmente  comunicata,  notificata  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale.  Nessuno  si e' costituito o e'
 intervenuto dinanzi alla Corte costituzionale.
     7. - Nel corso di un giudizio promosso da Giuseppe Di  Silvestro  e
 diretto  a  far dichiarare Antonino D'Avola ineleggibile alla carica di
 consigliere comunale di Scordia per essere lo stesso  dipendente  della
 locale Esattoria, e cioe' di un ente sottoposto a vigilanza del Comune,
 il  Tribunale  di Caltagirone, con ordinanza del 22 dicembre 1983 (reg.
 ord.     n.  421/1984),  ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 5, n. 3 del d. Pres. reg. siciliana 20 agosto
 1960, n. 3, nella parte in cui sancisce l'ineleggibilita' a consigliere
 comunale di coloro che ricevono uno  stipendio  o  salario  da  enti  o
 istituti  o  aziende sottoposti a vigilanza del Comune, pur non essendo
 amministratori  ne'  dipendenti  con   poteri   di   rappresentanza   o
 coordinamento,  in riferimento alla legge 23 aprile 1981, n. 154 e agli
 artt. 3 e 51 Cost..
     Osserva  il  Tribunale  di  Caltagirone che la potesta' legislativa
 della Regione  siciliana  in  materia  di  requisiti  per  accedere  in
 condizioni  di  eguaglianza  alle cariche elettive e' limitata non solo
 dalle norme costituzionali, ma anche dalla  legislazione  statale,  per
 cui  deve escludersi che le norme regionali possano regolare in maniera
 diversa dalle norme statali una materia  come  quella  elettorale,  che
 incide  sulla  garanzia  della  liberta' democratica del paese. Poiche'
 pertanto  la  legge  n.  154  del  1981  limita   l'ineleggibilita'   a
 consigliere  comunale ai soli amministratori o dipendenti con poteri di
 coordinamento o rappresentanza di enti o istituti soggetti a  vigilanza
 del  Comune,  mentre  la  legge  regionale  dichiara ineleggibili tutti
 coloro che ricevono uno stipendio  o  salario  dai  medesimi  enti,  ne
 deriva  che quest'ultima legge, derogando ai criteri previsti in quella
 statale affinche' l'elettorato comunale  passivo  possa  svolgersi  per
 tutto  il  popolo  italiano  in  condizioni  di eguaglianza, si pone in
 contrasto con gli artt. 3 e 51 Cost..
     8. - L'ordinanza e' stata  regolarmente  comunicata,  notificata  e
 pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale. Dinanzi alla Corte costituzionale
 e'  intervenuto  il  Presidente  della  Giunta   regionale   siciliana,
 rappresentato  e  difeso  dall'avv.  prof.   Salvatore Raimondi. In via
 preliminare la Regione  eccepisce  l'inammissibilita'  della  questione
 sollevata,  avendo  la  stessa  ad oggetto un atto privo della forza di
 legge, e chiede comunque che gli atti siano restituiti al giudice a quo
 per una piu' adeguata motivazione sulla rilevanza,  avendo  l'ordinanza
 di  rinvio  omesso  di specificare quale posizione occupasse il D'Avola
 nell'ambito della Esattoria, e  in  particolare  se  avesse  poteri  di
 rappresentanza  o di coordinamento, nel qual caso sarebbe incompatibile
 anche alla stregua della nuova legge statale.
     Nel merito la Regione osserva che la questione di costituzionalita'
 si fonda su una errata interpretazione della disposizione impugnata, la
 quale, stante anche la genericita' dell'espressione adoperata, dovrebbe
 invece  essere  intesa,  sia  alla  stregua  di   una   interpretazione
 adeguatrice, sia alla stregua del criterio storico evolutivo, nel senso
 che  la  situazione  di ineleggibilita' sussiste soltanto allorche' chi
 riceve uno stipendio dal Comune o da altri  enti,  istituti  o  aziende
 sottoposti  a  vigilanza  eserciti  una funzione di rappresentanza o di
 coordinamento. Cosi' rettamente interpretata la disposizione regionale,
 non sussisterebbe la  ritenuta  disparita'  di  trattamento  tra  legge
 statale e legge regionale.
                         Considerato in diritto:
     1.  -  Le  quattro  ordinanze  sollevano  questioni di legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e  51  della  Costituzione,
 dell'art.  5  del  decreto  del  Presidente  della Regione siciliana 20
 agosto 1960, n. 3 e in particolare dei nn. 3, 6, 8  e  9  dello  stesso
 articolo.  La  identita'  di  talune  questioni  e  l'analogia  ratione
 materiae di quelle residue consente di decidere  congiuntamente  su  di
 esse con una sola pronuncia.
     2.   -  L'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  intervenuta  per  il
 Presidente della Giunta regionale siciliana nei giudizi promossi  dalla
 Cassazione,  dubita  della ammissibilita' delle questioni sollevate, in
 quanto esse  hanno  "per  oggetto  una  disposizione  del  decreto  del
 Presidente  della  Regione  siciliana  n. 3 del 1960, atto che la Corte
 costituzionale ha piu' volte dichiarato insuscettibile di  impugnazione
 avanti  la Corte medesima perche' non avente forza di legge costituendo
 una  mera  compilazione,  con  modifiche   puramente   formali,   delle
 disposizioni  in  materia  di  elezioni comunali, contenute nelle leggi
 dello Stato e in precedenti leggi della Regione".
     Senonche',  il  dubbio  appare  superabile;   infatti,   anche   ad
 accogliere   l'opinione   riferita  in  tema  di  testi  unici  e  piu'
 specificatamente di  quello  emanato  nel  1960  dal  Presidente  della
 Regione siciliana, a proposito di composizione ed elezione degli organi
 delle  Amministrazioni  comunali  in  quella  Regione,  i precedenti di
 questa  Corte,  citati   nell'atto   di   intervento   dell'Avvocatura,
 riguardano  norme  di  leggi statali recepite, secondo la Corte stessa,
 omisso medio (cioe' senza intervento previo  di  leggi  regionali)  nel
 testo  unico n.  3 del 1960: mentre nel nostro caso l'impugnato art. 5,
 n. 6 costituisce trascrizione testuale dell'art. 5 in parte  qua  della
 legge  regionale  siciliana  9  marzo  1959,  n. 3, e quindi rientrante
 certamente tra gli atti sottoposti al controllo di questa Corte a norma
 dell'art. 134 della  Costituzione  (cfr.    per  analoga  soluzione,  a
 proposito  di  testo  unico  statale, la sentenza Corte cost. n. 46 del
 1969, n. 4 del Considerato in diritto).
     3. - Nel merito la questione concernente l'art. 5, n. 6 e' fondata.
 Valgono a fortiori a favore dell'accoglimento  le  considerazioni  gia'
 svolte  nella  sentenza n. 171 del 1984 (e gia' prima nella sent. n. 45
 del 1977). In realta' la ratio che sorregge le richiamate pronunzie  di
 questa  Corte,  fin dalla sentenza n. 129 del 1975, comporta un massimo
 di attuazione dell'art. 51, primo comma, della Costituzione, sempreche'
 venga salvaguardato lo svolgimento  delle  competizioni  elettorali  in
 condizioni  di  parita'  tra i candidati e la autenticita' o genuinita'
 del voto. Del resto, il legislatore statale, con  la  legge  23  aprile
 1981,  n.  154,  si e' ispirato agli stessi criteri, ampliando in larga
 misura l'esercizio dell'elettorato passivo mediante  la  trasformazione
 di  numerose  situazioni  di  ineleggibilita'  in  quelle meno gravi di
 incompatibilita'.
     La fattispecie normativa in esame recante ineleggibilita'  da  lite
 pendente   (gia'  dichiarata  illegittima  riguardo  alla  legislazione
 statale con la citata sent.  n.  45  del  1977)  non  trova  plausibile
 giustificazione  in  rapporto  alla potesta' legislativa primaria della
 Regione siciliana sul regime degli enti locali (art. 14, lett.  o)  del
 decreto  legislativo  15  maggio  1946,  n.  455,  convertito con legge
 costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2): potesta' sicuramente meno ampia
 di quella riconosciuta alla Regione in tema di  elezioni  all'Assemblea
 regionale  (cfr.  da  ultimo sent. n. 20 del 1985). Ne' ricorrono nella
 fattispecie le ipotesi di  peculiarita'  relative  alla  Sicilia,  gia'
 considerate nella sentenza n. 108 del 1969 (cfr. anche sent. n. 189 del
 1971).
     Secondo  l'Avvocatura  dello  Stato  sarebbe possibile risolvere la
 controversia in via interpretativa giacche', in base alla piu'  recente
 giurisprudenza,  si  sarebbe  notevolmente  ristretta  la portata delle
 limitazioni derivanti da "lite pendente", in coincidenza con  l'ipotesi
 espressamente  precisata  nell'art. 3, n. 4 della legge statale n.  154
 del 1981. Cosi' si eviterebbe la disparita' di  trattamento  tra  legge
 nazionale  e  legge  regionale,  risultando la questione non fondata (o
 addirittura irrilevante, non avendo  i  Comuni  interessati  esercitato
 azione  civile  nei  relativi  processi  penali).  Ma  questo  modo  di
 argomentare   non   puo'   trovare   consenso,   perche'    la    linea
 giurisprudenziale  ampliativa ora evocata e' strettamente connessa alla
 disciplina legislativa della legge 23 aprile 1981, n. 154 (art.  3,  n.
 4,  comma  primo), il cui vigore, per generale riconoscimento, non puo'
 estendersi alla Regione siciliana: e d'altra parte resterebbe ferma  la
 differenza    tra    ineleggibilita',    sia   pure   circoscritta,   e
 incompatibilita'.
     4. - Le motivazioni addotte a proposito dell'art. 5, n.  6  valgono
 anche  a proposito delle questioni sollevate dal Tribunale di Patti per
 le fattispecie di cui ai nn. 8 e  9  dello  stesso  articolo,  relative
 rispettivamente  agli  amministratori  del  Comune  e delle istituzioni
 pubbliche di assistenza e di beneficenza poste sotto la sua  vigilanza,
 che  sono  stati dichiarati responsabili in via amministrativa o in via
 giudiziaria, e a coloro che, avendo  un  debito  liquido  ed  esigibile
 verso  il  Comune,  sono  stati  legalmente  messi  in mora. Anche tali
 questioni devono dunque ritenersi fondate (cfr. pure art. 3, nn. 5 e 6,
 della cit. l. 23 aprile 1981, n. 154).
     5. - Va invece dichiarata  manifestamente  infondata  la  questione
 sollevata  dal  Tribunale di Caltagirone in ordine al n. 3 dell'art. 5,
 gia' accolta con la sentenza n. 45 del 1977.
     Diversa  questione  e'  adombrata  nella  parte  motiva   (ma   poi
 abbandonata  nel  suo  ulteriore  sviluppo e non riprodotta nella parte
 diapositiva dell'ordinanza): essa  concerne  la  esclusione,  anche  in
 Sicilia,  in  riferimento alla legge n. 154 del 1981 (art. 3 n. 1), non
 solo della ineleggibilita' ma anche della incompatibilita' riguardo  ad
 eletti al Consiglio comunale, che non siano amministratori o dipendenti
 con  potere  di  rappresentanza  o  di coordinamento di enti soggetti a
 vigilanza da parte del Comune. Tale questione sarebbe stata  oltretutto
 irrilevante  nel giudizio a quo, dati i termini (di ineleggibilita') in
 cui esso era stato instaurato.
     Pertanto la Corte non deve occuparsi di questo tema, che  fuoriesce
 dall'oggetto del giudizio.