ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale della legge 20 ottobre
 1978, n. 674,  recante:  Norme  sull'associazionismo  dei  produttori
 agricoli,   promossi  con  i  ricorsi  dei  Presidenti  delle  Giunte
 Provinciali di  Bolzano  e  Trento  e  del  Presidente  della  Giunta
 regionale  della  Sardegna, notificati il 6 dicembre 1978, depositati
 in cancelleria il 15 dicembre 1978 ed iscritti ai nn. 35, 36 e 37 del
 registro ricorsi 1978;
    Visti  gli  atti  di costituzione del Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  29  settembre  1987 il Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi l'Avv. Sergio Panunzio per le Province Autonome di Bolzano e
 Trento e l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti  per  il  Presidente
 del Consiglio dei Ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.1.  -  Con ricorsi notificati il 6 dicembre 1978 e depositati il
 15 dicembre successivo (Reg. Ric. nn.  35/78  e  37/78)  le  province
 autonome   di   Bolzano  e  Trento  hanno  impugnato,  con  identiche
 argomentazioni, la  legge  20  ottobre  1978  n.  674  recante  Norme
 sull'associazionismo  dei  produttori  agricoli  avente  il  fine  di
 integrare il regolamento del Consiglio  delle  Comunita'  Europee  19
 giugno  1978  n. 1360 concernente le associazioni dei produttori e le
 relative unioni e di favorire la partecipazione dei produttori stessi
 alla programmazione agricola nazionale e regionale (art. 1).
    Le  Province  Autonome  assumono  che  la legge impugnata viola le
 attribuzioni legislative primarie ad esse devolute dall'art. 8 n.  21
 dello  Statuto  speciale della Regione Trentino Alto Adige in materia
 di agricoltura, foreste e Corpo forestale, patrimonio  zootecnico  ed
 ittico,  istituti  fitopatologici, consorzi agrari e stazioni agrarie
 sperimentali, servizi antigrandine, bonifica.
    In  particolare,  l'art.  2  della  legge  invaderebbe la sfera di
 competenza  delle  Province   per   il   fatto   di   contenere   una
 minuziosissima   elencazione   dei   requisiti  che  gli  statuti  di
 associazioni e unioni di produttori agricoli  debbono  contenere,  la
 quale  si  riferisce  espressamente alle Regioni a Statuto speciale e
 ordinario e alle Province autonome di Trento e  Bolzano.  Secondo  la
 difesa  delle  Province, l'equiparazione delle Province autonome alle
 Regioni a statuto ordinario sarebbe  il  frutto  di  una  svista  del
 legislatore,  posto che, in occasione della recezione delle direttive
 comunitarie in materia di agricoltura,  le  posizioni  degli  enti  a
 statuto  speciale  vennero  tenute  distinte  da quelle degli enti ad
 autonomia ordinaria (art. 2 legge 2 maggio 1975 n. 153).
    Una  seconda questione riguarda altre disposizioni della legge, in
 particolare gli artt. 3, 4, 5, 11, commi primo, secondo e terzo,  13.
 Poiche'  secondo il tenore letterale di tali disposizioni destinatari
 esclusivi  delle  stesse  sono  le  regioni,  le  difese  provinciali
 chiedono  che  ne  sia  dichiarata  l'illegittimita' costituzionale a
 condizione  che  la  Corte  le  interpreti  nel  senso   della   loro
 applicabilita' alle Province ricorrenti.
    Una  terza  questione riguarda, infine, le norme finanziarie della
 legge impugnata (artt. 9, secondo comma, e 10, primo comma),  di  cui
 si  prospetta il contrasto con l'art. 78 dello Statuto speciale della
 regione Trentino Alto Adige, in quanto prevedono  che  le  somme  per
 provvedere  alle finalita' indicate nella legge vengono ripartite tra
 le Regioni con deliberazione del C.I.P.A.A. (di cui all'art. 2  della
 legge  27  dicembre  1977  n.  984)  di  intesa  con  la  Commissione
 interregionale, di cui all'art. 13  della  legge  n.  281  del  1970,
 anziche'  devolute,  per  la  quota  di loro spettanza, alle Province
 autonome.
    1.2.  -  Con ricorso notificato il 6 dicembre 1978 e depositato il
 15 dicembre successivo (Reg. Ric. n. 36/78) la  Regione  Sardegna  ha
 impugnato la medesima legge 20 ottobre 1978 n. 674, per contrasto con
 l'art. 3, lett. d) dello Statuto sardo, che devolve alla  Regione  la
 competenza   legislativa  primaria  in  materia  di  agricoltura.  Le
 argomentazioni addotte dalla difesa regionale si incentrano sull'art.
 2  della  legge  impugnata  e risultano identiche a quelle svolte nei
 ricorsi delle Province autonome di Trento e Bolzano.
    2. - L'Avvocatura Generale dello Stato ha resistito ai tre ricorsi
 con atto di costituzione del 21 dicembre 1978.  Viene  osservato  che
 l'art.  8,  lettere b) ed f) del d.P.R. 22 marzo 1974 n. 279, recante
 norme di attuazione dello Statuto del Trentino-Alto Adige in  materia
 di   agricoltura,   riserva  allo  Stato  potesta'  normativa  quanto
 all'applicazione  degli  atti  normativi  della  Comunita'  Economica
 Europea concernenti la politica dei prezzi e dei mercati, nonche' gli
 interventi per la regolamentazione del mercato agricolo, ivi compresi
 quelli  effettuati in favore di organismi associativi dei produttori.
 L'Avvocatura aggiunge, richiamandosi alla sentenza n. 182 del 1976 di
 questa   Corte,   che   gli   obblighi   derivanti  dall'appartenenza
 dell'Italia alla C.E.E., e dunque anche dai  regolamenti  comunitari,
 vincolano  l'esercizio  delle attivita' legislative ed amministrative
 anche delle Regioni a Statuto speciale.
    3.  -  In  prossimita' dell'udienza le ricorrenti hanno depositato
 unica memoria, con la quale vengono ulteriormente illustrati i motivi
 dei ricorsi.
    Viene  anzitutto osservato che gia' la legge 8 luglio 1975, n. 306
 disciplinava la materia dell'associazionismo dei produttori  agricoli
 anche con riguardo alle modalita' organizzative, alla composizione ed
 alle finalita' di tali associazioni. Le ricorrenti si richiamano alla
 sentenza  n.  248  del  1976, con cui questa Corte accolse il ricorso
 sollevato  dalla  provincia  autonoma  di   Bolzano   avverso   detta
 normativa, e assumono che la legge n. 674 del 1978, che forma oggetto
 dell'attuale  impugnativa,  contiene  una   disciplina   ancor   piu'
 analitica  e  minuziosa  di quella allora caducata. In secondo luogo,
 vengono richiamate le disposizioni del d.P.R. n. 616  del  1977,  che
 attribuiscono alle Regioni tanto le funzioni relative agli interventi
 di incentivazione e di sostegno della cooperazione e delle  strutture
 associative  nel  campo  della  coltivazione, della lavorazione e del
 commercio dei prodotti agricoli (art. 66, secondo  comma,  lett.  c),
 quanto  quelle relative all'applicazione dei regolamenti della C.E.E.
 nonche' all'attuazione delle sue direttive fatte proprie dallo  Stato
 con  legge  che  indica espressamente le norme di principio (art.  6,
 primo comma). In proposito le ricorrenti ricordano  che  le  sentenze
 nn.  223  del  1984 e 216 del 1985 di questa Corte hanno affermato il
 principio  dell'applicabilita'  delle   norme   del   detto   decreto
 presidenziale  agli  enti  ad  autonomia  differenziata.  Del  resto,
 aggiungono le ricorrenti, gli artt. 6 e 53, 1› comma,  lett.  h)  del
 d.P.R.  19  giugno  1979  n.  348,  recanti norme di attuazione dello
 Statuto   della   Sardegna,   contengono   disposizioni   esattamente
 corrispondenti  a  quelle,  prima citate, del d.P.R. n. 616 del 1976.
 Nella specie, la spettanza alle  Regioni  e  alle  Province  autonome
 della  competenza  ad  emanare la disciplina legislativa integrativa,
 necessaria per l'applicazione delle  norme  prodotte  da  regolamenti
 comunitari  che  abbiano  formulato i principi della disciplina della
 materia, viene desunta dallo stesso Regolamento C.E.E.  n.  1360  del
 78,  il  quale  non  solo  contiene  i detti principi, ma, sotto vari
 aspetti, disciplina anche la materia in modo  estremamente  minuzioso
 (cosi', avviene, ad esempio, per il riconoscimento delle associazioni
 dei  produttori  e  dei   relativi   requisiti:   artt.   4-10).    E
 l'esorbitanza  del  legislatore nazionale sarebbe tanto piu' grave ed
 inammissibile alla luce  della  sentenza  28  marzo  1985  (in  causa
 272/83) della Corte di giustizia delle Comunita' Europee, la quale ha
 stabilito che l'art. 2, secondo comma, n. 4 della legge  n.  674  del
 1978,  che ha inserito fra i requisiti per la concessione e la revoca
 del riconoscimento delle associazioni di  produttori  l'obbligo,  per
 tali  associazioni,  di  esercitare  le  loro  attivita'  commerciali
 esclusivamente in rappresentanza dei loro associati, ha contravvenuto
 al Regolamento C.E.E. n. 1360/78, che non contempla simile requisito.
 Il carattere minuzioso della normativa prodotta con tale  regolamento
 comunitario  viene  altresi'  opposto  dalle  ricorrenti al richiamo,
 operato dall'Avvocatura dello Stato, alla sentenza di questa Corte n.
 182  del  1976, ricordandosi che quella pronuncia aveva riguardo alle
 direttive comunitarie, e non ai regolamenti.
    Nella memoria viene ulteriormente osservato che le norme impugnate
 non potrebbero configurarsi come norme di carattere suppletivo.  Cio'
 in  base  alla testuale statuizione del primo comma dell'art. 2 della
 legge n. 674 del  1978  che  impone  anche  agli  Enti  ad  autonomia
 differenziata  l'obbligo  di legiferare in materia nell'osservanza di
 quanto disposto nel regolamento del Consiglio delle Comunita' europee
 del  19  aprile  1978,  n. 1360 e nella presente legge. Tanto che, si
 aggiunge, la legge 2 giugno 1983, n. 15 della regione Sardegna  e  la
 legge  28  ottobre  1985,  n.  18  della Provincia di Trento, recanti
 disciplina  attuativa  del  Regolamento  C.E.E.  n.  1360/78,   hanno
 regolato  la  materia  nei  limiti  tracciati  dalla  pendente  legge
 statale. E tanto che l'art. 1 della citata legge della  Provincia  di
 Trento,   ha   formulato   espressa  riserva  di  successiva  diversa
 disciplina, emanabile in caso di accoglimento del gravame di  cui  si
 discute.
    4.  - All'udienza pubblica del 29 settembre il giudice Baldassarre
 ha svolto la relazione e le difese  delle  parti  hanno  ribadito  le
 conclusioni svolte negli atti depositati.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Nei  presenti  giudizi,  riuniti  per parziale identita' di
 oggetto, vengono sottoposte all'esame di questa  Corte  tre  distinte
 questioni  di  costituzionalita',  sollevate  in via principale dalle
 Province Autonome di Trento e di Bolzano e, limitatamente alla prima,
 dalla  Regione Sardegna, le quali riguardano la legge 20 ottobre 1978
 n. 674, emanata ad integrazione del Regolamento del  Consiglio  delle
 Comunita' europee del 19 giungo 1978 n, 1360 e contenente norme sulla
 formazione e sulla disciplina delle associazioni e  delle  unioni  di
 produttori agricoli. Piu' precisamente, l'oggetto del giudizio e':
       a)  se l'art. 2 della predetta legge, nel prevedere determinati
 contenuti normativi e  criteri  direttivi  per  la  formazione  degli
 statuti  delle  associazioni  e  delle  unioni ivi considerate, violi
 l'art. 8 n. 21 St. T.A.A. (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670),  il  quale
 attribuisce   alle   Province   autonome  la  competenza  legislativa
 esclusiva in materia  di  agricoltura,  foreste  e  corpo  forestale,
 patrimonio  zootecnico  ed  ittico, istituti fitopatologici, consorzi
 agrari  e  stazioni  agrarie  sperimentali,   servizi   antigrandine,
 bonifica,  nonche'  l'art.  3  lett.  d St. Sa. (l. cost. 26 febbraio
 1948, n. 3),  che  attribuisce  alla  Regione  Sardegna  la  medesima
 competenza  legislativa  in materia di agricoltura e foreste, piccole
 bonifiche e opere di miglioramento agrario e fondiario;
       b)  se  gli  artt.  3,  4, 5, 11, commi 1›, 2› e 3›, e 13 della
 citata legge n. 67 del 1978,  ove  siano  ritenuti  applicabili  alle
 Province  autonome  di  Trento  e  di Bolzano, siano contrastanti con
 l'art. 8 n. 21 St. T.A.A., ricordato alla lettera precedente;
       c)  se  gli  artt.  9,  capoverso, e 10, alinea, della predetta
 legge n. 674 del 1978 che contengono le norme per lo  stanziamento  e
 modalita'  di  erogazione  dei  fondi occorrenti per l'incentivazione
 della costituzione delle anzidette associazioni e unioni, nonche' per
 l'attuazione  dei  loro compiti, siano in contrasto con l'art. 78 St.
 T.A.A., nella parte in cui non dispongono che le somme  ivi  previste
 siano  devolute,  per  la quota di spettanza, alle Province autonome,
 com'e' invece richiesto nella disposizione statutaria appena  citata.
    Nessuna  delle  questioni  proposte  dalle  ricorrenti puo' essere
 accolta.
    1.1.    -    Pregiudiziale    all'esame    delle    questioni   di
 costituzionalita' prospettate contro la presente legge e' la verifica
 se  la  materia  disciplinata riguardi l'agricoltura, che gli Statuti
 della Regione e delle Province ricorrenti assegnano  alla  competenza
 legislativa primaria delle stesse, ovvero la politica (o regolazione)
 dei prezzi e dei mercati, che e' invece una  sub-materia,  avente  un
 autonomo  rilievo,  attribuita  alla  competenza statale in relazione
 all'applicazione o all'attuazione dei regolamenti  o  di  altri  atti
 della Comunita' Economica Europea (cfr.  le norme di attuazione degli
 anzidetti Statuti, segnatamente l'art. 8  lett.  b  d.P.R.  22  marzo
 1974, n. 279; l'art. 2 d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348).
    Come  questa  Corte ha gia' avuto modo di affermare, sebbene sotto
 altro riguardo (sent. n. 304 del 1987), la materia agricoltura assume
 un autonomo e distinto rilievo rispetto alla politica (o regolazione)
 dei  prezzi  e  dei  mercati  in  quanto  riguarda  direttamente   la
 produzione   e   le   strutture   produttive   (programmazione  della
 produzione, interventi sulle  dimensioni  produttive,  riconversioni,
 etc.).   Cio'  significa  che,  contrariamente  a  quel  che  suppone
 l'Avvocatura dello Stato, ai fini della ripartizione delle competenze
 tra  Stato  e  Regioni  (o Province autonome), gli interventi diretti
 sulla struttura degli operatori economici o delle unita'  produttive,
 anche  se questi ultimi si collocano ovviamente sul lato dell'offerta
 dei prodotti, non possono essere confusi con quelli sul mercato, vale
 a  dire  con  gli  interventi  immediatamente  incidenti sullo sbocco
 finale di una  determinata  produzione  e,  come  tali,  direttamente
 attinenti  all'incontro  tra domanda e offerta, oltreche' ai relativi
 termini e prezzi (costi di produzione, prezzi finali, etc.).
    Analizzato  in  base ai criteri ora detti, l'art. 2 della legge n.
 674 del 1978 appare indubbiamente inerente alla materia  agricoltura,
 anziche' a quella politica dei prezzi e dei mercati.  Quest'articolo,
 infatti, nel fissare i principi sulla partecipazione  dei  soci  alle
 associazioni   del  medesimo  settore,  nel  disciplinare  le  regole
 fondamentali sulle elezioni degli organi direttivi delle associazioni
 maggiori  nonche' sulla rappresentanza e sulle relative deleghe nelle
 assemblee, nel  prevedere  i  principali  poteri  deliberativi  e  di
 controllo  delle  associazioni medesime, nell'indicare alcuni fini di
 progresso sociale e di sviluppo da perseguire anche in collaborazione
 con  enti  nazionali  e,  infine,  nello stabilire il principio che i
 rapporti tra cooperative e  soci  siano  regolati  dalle  cooperative
 medesime,  non  fa  altro  che  predisporre interventi che, con tutta
 evidenza,  incidono  direttamente  sulla  struttura  degli  operatori
 economici  (associazioni  produttive  e relative unioni) e sulle loro
 possibilita' di sviluppo, non gia'  sui  prezzi  e  sui  termini  del
 mercato agricolo come tali.
    Certo,  non  si  puo'  nascondere che la disciplina degli elementi
 relativi alla struttura delle unita'  produttive  generi  in  via  di
 massima  effetti  o  ripercussioni  sui  prezzi  dei  prodotti  e sul
 mercato. Tantomeno si puo' nascondere che il regolamento comunitario,
 di  cui la legge impugnata si autoqualifica come atto di integrazione
 e di attuazione, avendo  principalmente  lo  scopo  di  favorire  una
 drastica  riduzione  del  numero  di  aziende  agricole di dimensioni
 ridotte e insufficientemente organizzate e, di conseguenza, mirando a
 concentrare   l'offerta   dei  prodotti  agricoli  (cfr.  il  secondo
 considerando Reg. Cee n. 1360 del 1978), si propone evidentemente  di
 mettere  in  atto  misure in grado di incidere mediatamente anche sui
 prezzi e sui termini  del  mercato  agricolo.  Tuttavia,  secondo  il
 consolidato orientamento di questa Corte (cfr. ad es. sentt. nn. 94 e
 165 del 1985, n. 304 del 1987),  ai  fini  della  determinazione  del
 riparto delle competenze tra Stato e Regioni (o Province Autonome) la
 materia oggetto di competenza legislativa regionale non  puo'  essere
 identificata  soltanto  in  base a una correlazione di strumentalita'
 rispetto a un determinato scopo o risultato,  tanto  piu'  se  questi
 criteri  rischiano,  come  nel  caso  in  questione,  di  condurre  a
 definizioni della  materia  in  grado  di  vanificare  del  tutto  la
 competenza  regionale  in agricoltura, per il semplice fatto che ogni
 attivita' agricola e' in definitiva strumentale rispetto al  mercato.
 Proprio  percio'  e' stato di recente ribadito da questa Corte (sent.
 n. 304 del 1987)  che,  persino  nei  casi  in  cui  una  determinata
 disciplina  della  produzione agricola o della struttura delle unita'
 produttive sia inserita nella prospettiva finale di una modifica  dei
 prezzi  o  dei termini del mercato, cio' che rileva primariamente, ai
 fini predetti,  e'  il  contenuto  e  l'oggetto  specifico  dell'atto
 normativo  impugnato.  Sicche', anche sotto quest'ultimo profilo, gli
 interventi previsti dall'art. 2 della legge impugnata, come del resto
 quelli  contemplati  negli  altri articoli in contestazione, appaiono
 inerire a fasi diverse  dalla  produzione-immissione  nel  mercato  e
 dall'incontro  della  domanda  e  dell'offerta dei prodotti agricoli,
 nonche' dai relativi termini e prezzi. Come tali, essi non concernono
 la sub-materia politica dei prezzi e del mercato, che le citate norme
 di attuazione degli Statuti del Trentino-Alto Adige e della  Sardegna
 conservano  alla  competenza  statale,  ma  rientrano piuttosto nella
 materia agricoltura, assegnata alla competenza  legislativa  primaria
 della Regione e delle Province ricorrenti. Cio' posto, e premesso che
 l'intera legge n. 674 del 1978 afferma  esplicitamente  di  avere  lo
 scopo  di  integrare  il  regolamento  del  Consiglio delle Comunita'
 europee del 19 giugno 1978 n.  1360  e,  di  fatto,  detta  norme  di
 attuazione-integrazione che si interpongono fra il citato regolamento
 comunitario  e  la  competenza  legislativa  primaria  vantata  dalle
 ricorrenti in materia di agricoltura, sorge il problema relativo alla
 costituzionalita' della predetta legge e, in primo luogo, dell'art. 2
 della  stessa, rispetto alle disposizioni statutarie che conferiscono
 alle  Regioni  e  alle  Province  ricorrenti  l'anzidetta  competenza
 legislativa.
    2.  -  E'  infondata la questione di costituzionalita' concernente
 l'art. 2 della legge n. 674 del 1978 sia in relazione all'art.  8  n.
 21  St.  T.A.A.,  sia  in  relazione  all'art. 3 lett. d St. Sa., che
 attribuiscono, rispettivamente, alle Province autonome di Trento e di
 Bolzano  e  alla Regione Sardegna la competenza legislativa esclusiva
 in materia di agricoltura.
    2.1.  -  Secondo l'orientamento costante di questa Corte (cfr., da
 ultimo, sent. n. 304 del 1987) e' incontestabile che l'attuazione dei
 regolamenti  comunitari  incidenti su materie di competenza regionale
 spetti in via di principio alle Regioni (o alle Province ad autonomia
 differenziata).  Tuttavia  questa  stessa Corte ha contemporaneamente
 ammesso che, in presenza di determinate circostanze,  tale  principio
 possa  subire  eccezioni  o  attenuazioni,  nel  senso  di permettere
 l'interposizione di norme statali fra  quelle  comunitarie  e  quelle
 regionali (o provinciali).
    Fra  queste deroghe viene innanzitutto in considerazione l'ipotesi
 che  lo  stesso  regolamento  comunitario  esiga,  esplicitamente   o
 implicitamente,  un'integrazione  delle  proprie  norme, coinvolgente
 interessi ricadenti nella sfera  di  competenza  statale.  Cio'  puo'
 accadere   quando   i  regolamenti  contengano  disposizioni  la  cui
 fattispecie presenti uno o piu'  elementi  da  determinare,  come  le
 norme  facoltizzanti  ovvero  quelle che prevedono la possibilita' di
 scelta fra distinte opzioni, oppure le disposizioni  che  autorizzano
 gli  Stati  membri  a legiferare in deroga alle norme del regolamento
 medesimo  o,  ancora,  quelle  contenenti  precetti  parzialmente  in
 bianco.  La  stessa  evenienza  puo' accadere, poi, quando gli stessi
 atti comunitari  contengano  disposizioni  non  autosufficienti,  nel
 senso  che  appaiono  inapplicabili  in  un  determinato  ordinamento
 nazionale  in  mancanza  di  una   predisposizione,   da   parte   di
 quest'ultimo,  di  piu'  specifiche modalita' di attuazione, connesse
 ora a esigenze di tipo operativo, come l'istituzione di nuovi  uffici
 o di nuovi servizi dell'amministrazione centrale, ora alla necessita'
 di rispettare determinati  doveri  costituzionali,  come  ad  esempio
 l'esigenza  di un'idonea copertura finanziaria derivante dall'art. 81
 Cost. in relazione a nuove o maggiori spese  a  carico  del  bilancio
 statale  eventualmente  comportate  dall'applicazione del regolamento
 stesso.
    La  necessita'  di  interposizione  di norme statali puo' nascere,
 inoltre, da esigenze proprie dell'ordinamento nazionale in  cui  deve
 essere  applicato  il regolamento comunitario. Quando, ad esempio, si
 renda necessario assicurare il  soddisfacimento  di  ben  individuate
 finalita'  unitarie, che impongono un'uniformita' di attuazione delle
 disposizioni comunitarie,  e'  pienamente  ammissibile  un'intervento
 legislativo  dello  Stato  che  stabilisca gli elementi indefettibili
 della disciplina  normativa  ovvero  le  misure  di  indirizzo  e  di
 coordinamento   nei   confronti   dell'esercizio   delle   competenze
 legislative e/o amministrative delle Regioni  (o  delle  Province  ad
 autonomia  differenziata).  Allo  stesso modo, quando l'inerzia degli
 organi regionali (o provinciali) conduca a una  sostanziale  evasione
 di  obblighi comunitari o quando si riscontri comunque un'eccezionale
 situazione di urgenza  di  fronte  alla  quale  sussista  il  rischio
 oggettivo dell'impossibilita' di un adempimento tempestivo e puntuale
 degli obblighi comunitari da parte delle Regioni  (o  delle  Province
 autonome),  allora, come ha piu' volte affermato questa Corte (sentt.
 n. 182 del 1976, n. 81 del 1979 e n. 304 del 1987), appare del  tutto
 legittimo  un  intervento  dello  Stato  mediante l'esercizio del suo
 potere sostitutivo, che avviene in  via  normale  e  successiva,  nel
 primo  caso,  e  in  via  eccezionale,  provvisoria e preventiva, nel
 secondo caso.
    Rispetto  a  questo  quadro  interpretativo,  nel  caso  di specie
 esistono due distinti motivi che inducono a giustificare,  quantomeno
 in  linea  di  principio  e  salvo  a  vedere le specifiche modalita'
 adottate, l'interposizione di norme nazionali fra quelle  comunitarie
 e quelle regionali. Il primo motivo e' dato dal rilievo che lo stesso
 regolamento comunitario n. 1360 del 1978, come ha riconosciuto  anche
 la  Corte  di  Giustizia  delle  Comunita' europee nella decisione 28
 marzo 1985 (in causa 272/83), presenta in piu'  punti  una  struttura
 normativa  che  esige  un'integrazione da parte di fonti di carattere
 nazionale, sia statali che regionali. Il secondo e' rappresentato dal
 fatto  che  il  medesimo regolamento, se non ha dato luogo a evasioni
 tali da parte regionale da legittimare l'intervento sostitutivo dello
 Stato  (tantomeno configurabile in una legge emanata soltanto quattro
 mesi dopo l'adozione del  regolamento  stesso),  ne'  ha  operato  in
 circostanze    tali   da   poter   giustificare   la   prefigurazione
 dell'oggettiva impossibilita'  di  tempestivo  adempimento  da  parte
 delle  Regioni (tanto piu' che esso non fissa scadenze per la propria
 esecuzione, salvo che per un aspetto marginale: v.  art.  11,  n.  3,
 reg.  com.),  pone  tuttavia  una disciplina che comporta comunque la
 determinazione di piu' specifiche modalita' di  applicazione,  alcune
 delle  quali,  come  si  dira' tra breve, sono connesse allo scopo di
 soddisfare esigenze di uniformita' che solo  il  legislatore  statale
 puo' porre, dato l'interesse nazionale che le sorregge.
    Questi  due  motivi  sono  compresenti  e,  in  qualche  modo,  si
 intrecciano, in relazione  alle  censure  mosse  contro  le  numerose
 disposizioni  contenute nell'art. 2 della legge n. 674 del 1978, onde
 ritenere infondati i sospetti di  incostituzionalita'  sollevati  nei
 ricorsi  in  esame.  La loro sinergia e' tanto piu' significativa nel
 caso di specie in quanto il fatto che l'esigenza di un intervento del
 legislatore  nazionale  sia  fondata  su  un  regolamento comunitario
 comporta, come questa Corte  ha  gia'  avuto  modo  di  affermare  in
 passato  (v.  ad  es.  sent. n. 340 del 1983), quel coinvolgimento di
 valori costituzionali, connessi alla particolare  posizione  di  quei
 regolamenti  nel sistema delle fonti normative, che e' necessario per
 giustificare  la  legittimita'  di   misure   di   indirizzo   e   di
 coordinamento nei confronti delle autonomie differenziate.
    2.2.  -  Sotto  i  profili  ora considerati, viene innanzitutto in
 rilievo il fatto che il regolamento  comunitario  n.  1360  del  1978
 contiene  varie  disposizioni che stabiliscono norme di principio, le
 quali, anche se tutt'altro che  equivoche,  sono  cosi'  generali  da
 lasciare uno spazio per ulteriori precisazioni normative.
    Il  principio  che  le  organizzazioni  associative  debbono avere
 statuti che assicurino il controllo delle associazioni e  delle  loro
 decisioni  -  il  quale,  pur  se  espressamente enunciato soltanto a
 proposito  delle  associazioni  eventualmente  allargate  a  soggetti
 diversi  dai  produttori  agricoli (di cui all'art.  5 n. 2), vale in
 realta' per qualsiasi forma associativa si voglia perseguire - mentre
 non vanta particolari svolgimenti all'interno del regolamento stesso,
 esige comunque la predisposizione di misure specifiche che permettano
 ad esso l'espansione normativa che il legislatore comunitario intende
 conferirgli. Cio' significa  che,  sotto  l'aspetto  considerato,  le
 disposizioni  regolamentari  lasciano  un  ampio  spazio  alle  fonti
 nazionali,  le  quali,  nel  rispetto  delle  rispettive   sfere   di
 competenza,  possono e debbono fornire una determinazione maggiore di
 quel principio, stabilendo tanto le regole  generali  in  materia  di
 appartenenza  alle  varie  associazioni,  di  deleghe,  di  forme  di
 rappresentanza, di elezioni e di  votazioni,  quanto  le  norme  piu'
 specifiche  e  piu'  rispondenti  alle  varie esigenze che si possono
 riscontrare localmente nelle stesse materie. Ed e' chiaro che, attesa
 la  ripartizione  di competenze vigente nel nostro ordinamento, anche
 lo Stato puo' intervenire per occupare con proprie norme il  predetto
 spazio,  poiche',  pur  trattandosi  di  una  materia  sulla quale si
 esercita la competenza legislativa primaria  della  Regione  e  delle
 Province  ricorrenti,  resta  pur  sempre  al  legislatore statale il
 potere  di  fissare  -  nei  termini  e  nei  limiti  precedentemente
 ricordati  - una normazione-quadro diretta ad assicurare un minimo di
 uniformita' all'attuazione del predetto principio comunitario.
    Questo  e', in realta', quanto ha fatto il legislatore statale nei
 punti 1, 2, 3 e 6 dell'art. 2 della legge n. 674 del 1978. Al fine di
 rendere  operativo  il  principio del controllo delle associazioni da
 parte dei soci e al fine di conferire alla sua attuazione  un  minimo
 di  uniformita',  il  legislatore  nazionale ha infatti stabilito nei
 punti anzidetti: a) che ciascun socio possa  partecipare  soltanto  a
 una  determinata  associazione  operante nel medesimo settore e nello
 stesso territorio, senza poter partecipare ad  altre  organizzazioni,
 tanto  se  aderenti  all'associazione  de  qua,  quanto  se  comunque
 operanti nel medesimo settore e nello stesso territorio; b) che nelle
 associazioni   maggiori  (quelle  con  piu'  di  300  associati)  sia
 riconosciuto  il  principio  un  socio  un   voto,   sia   costituita
 un'assemblea  sociale  formata da delegati eletti su liste separate e
 nell'ambito di assemblee parziali con non meno di 50  soci,  sussista
 la  medesima  proporzione  fra  i delegati eletti dalle cooperative e
 quelli eletti dai soci singoli, siano delegati soltanto i soci, siano
 tenute   assemblee  parziali  per  l'elezione  dei  delegati  secondo
 modalita'  dirette  a  garantire  i  diritti  dei  soci   (fissazione
 dell'o.d.g.,  convocazione  in tempo utile); c) che sia assicurata la
 partecipazione delle minoranze negli organi direttivi  ed  esecutivi;
 d)  che,  salvo quanto gia' diversamente previsto, la delega del voto
 in assemblea possa farsi solo a favore di un  componente  del  nucleo
 familiare.
    Come  appare evidente, si tratta di norme che, mentre conferiscono
 un'articolazione operativa a  un  principio  generalissimo  contenuto
 nelle  disposizioni  comunitarie,  nello  stesso tempo fissano alcuni
 punti fermi essenziali perche' la legislazione regionale e  le  norme
 degli  statuti  associativi  diano un'attuazione a quel principio che
 sia dotato di un minimo di uniformita'. Trattandosi di regole che non
 esauriscono  tutte  le  potenzialita'  delle norme comunitarie di cui
 sono  attuazione,  le  disposizioni  ora  considerate  lasciano   una
 sostanziale   discrezionalita'   tanto  alla  competenza  legislativa
 primaria della Regione e delle Province ricorrenti  quanto  a  quella
 statutaria  delle associazioni di produttori e delle relative unioni.
 Nell'ambito delle rispettive sfere di azione, le une e le altre hanno
 infatti  la  possibilita'  di  attuare, secondo modalita' dettate dal
 loro  legittimo  e  libero  apprezzamento,  principi  -  come  quello
 dell'eguaglianza  dei voti dei soci, di una relativa proporzionalita'
 della rappresentanza nelle assemblee generali  delle  associazioni  e
 del  rispetto di uno standard minimo di garanzia dei diritti dei soci
 - che nelle disposizioni  legislative  impugnate  sono,  in  effetti,
 soltanto enunciati.
    2.3.  -  Considerazioni  non  dissimili  valgono  anche  per altre
 disposizioni  contenute  nell'art.  2  della  legge   impugnata,   in
 particolare  nei  punti  8  e  10  del  predetto  articolo.  Anche in
 relazione alle norme anzidette sussiste, infatti, il duplice  profilo
 appena  accennato:  quello  dipendente  dalla  natura del regolamento
 comunitario,  che  lascia  agli  Stati  nazionali  la   liberta'   di
 determinare svariate forme associative, nonche' quello specificamente
 proprio dell'ordinamento statale, cui spetta  il  potere  di  fissare
 standards   minimi   di  uniformita'  e  misure  di  indirizzo  e  di
 coordinamento nei confronti della normazione regionale.
    Come  ha  riconosciuto anche la Corte di Giustizia delle Comunita'
 Europee nella causa Commissione C.e.e.  contro  Repubblica  Italiana,
 decisa il 28 marzo 1985, il regolamento comunitario n. 1360 del 1978,
 mirando ad incoraggiare l'associazione degli agricoltori al  fine  di
 intervenire  nel  processo economico mediante forme di azione comune,
 lascia ai singoli Stati interessati la liberta' di stabilire le varie
 forme   associative,   purche'   queste   siano  idonee,  a  favorire
 l'accorciamento dei circuiti commerciali  tramite  la  concentrazione
 dell'offerta    e    l'utilizzazione   comune   degli   impianti   di
 trasformazione,  cioe'  a  realizzare  lo  scopo  posto  a  base  del
 regolamento  stesso. Sicche' quando il legislatore nazionale prevede,
 accanto alle  altre  forme  associative,  la  promozione  di  imprese
 cooperative per la realizzazione e la gestione di impianti collettivi
 di  stoccaggio,  di  lavorazione  e  di  trasformazione,  nonche'  di
 commercializzazione  dei  prodotti  (art.  2,  punto 8), non solo non
 contravviene  alle  norme  del  regolamento  comunitario,   come   ha
 precisato la stessa Corte di Giustizia europea nella decisione appena
 citata (punto 15), ma, svolgendone altresi' le finalita', adattandole
 alla particolare struttura agricola nazionale e avendo anche presente
 il preciso compito  costituzionale  relativo  alla  promozione  della
 cooperazione  (art.  45  Cost.), formula nel contempo un impulso e un
 indirizzo nei confronti della legislazione regionale (e  provinciale)
 in  direzione  sia  del  coordinato  raggiungimento  degli  obiettivi
 comunitari, sia dello sviluppo della cooperazione agricola.  Rispetto
 a quest'ultima finalita' lo Stato, nell'utilizzare legittimamente una
 facolta' implicita nel regolamento comunitario,  esercita  un  potere
 che gli e' proprio, in quanto l'incentivazione su tutto il territorio
 nazionale  di   una   forma   associativa   di   particolare   pregio
 costituzionale  rientra  indubbiamente nelle proprie competenze e non
 offende  l'autonomia  normativa  costituzionalmente  riconosciuta  in
 materia alla Regione e alle Province ricorrenti.
    Sulla  medesima  linea  si colloca, poi, la disposizione di cui al
 punto 10 dell'art. 2 della legge impugnata, la quale, nello stabilire
 che i rapporti economici tra le cooperative aderenti all'associazione
 e i singoli soci delle stesse  siano  regolati  dallo  statuto  delle
 cooperative medesime, pone una norma, che, oltre ad essere coerente e
 complementare con la disciplina  integrativa-attuativa  ricordata  al
 capoverso   precedente,  si  conforma  al  dovere  costituzionale  di
 garantire  alle  cooperative  il  mantenimento  dei  loro   specifici
 caratteri e delle loro finalita' (art. 45 Cost.).
    2.4. - Possono essere ricondotte in pari modo a quegli spazi vuoti
 che il regolamento comunitario lascia alla discrezionale scelta degli
 Stati  membri  anche altre disposizioni della legge impugnata, come i
 punti 7 e 9 del predetto art. 2. La promozione di  programmi  per  le
 aziende  associate  nell'ambito  delle  attivita'  di  ricerca  e  di
 sperimentazione agraria,  di  riconversione  e  di  razionalizzazione
 produttiva  che  si  svolgono  al  livello nazionale, nonche' la cura
 della rilevazione e della divulgazione dei dati e delle  informazioni
 volte al miglioramento dell'offerta dei prodotti, che le associazioni
 dovrebbero  svolgere  in  collaborazione   coi   competenti   servizi
 nazionali  e  regionali e avvalendosi dei centri e degli istituti per
 le ricerche di mercato, tanto  pubblici  che  privati,  rappresentano
 infatti  due  finalita'  legate da un nesso di coerente e strumentale
 complementarita' con gli obiettivi fissati dalle norme comunitarie di
 cui   si   pongono  come  attuazione-integrazione  (concentrazione  e
 razionalizzazione dell'offerta, etc.) e, nello stesso tempo, sono  il
 contenuto  di disposizioni di scopo o norme di indirizzo rivolte alle
 Regioni e alle  associazioni  di  produttori  di  indubbio  interesse
 nazionale  o  super-regionale.  Come  tali,  esse sono legittimamente
 disposte dal legislatore statale,  tanto  piu'  che  esprimono  anche
 un'autorizzazione  rivolta  ai  menzionati  enti e organi nazionali a
 prestare la loro collaborazione e il loro ausilio  alle  associazioni
 dei   produttori   agricoli   e  agli  enti  regionali  operanti  per
 l'incentivazione delle associazioni stesse.
    2.5.  - Anche i restanti punti (nn. 4 e 5) dell'art. 2 della legge
 impugnata pongono alcune norme-quadro dirette a rendere operativo  il
 regolamento  comunitario n. 1360 del 1978. In tali ipotesi, tuttavia,
 l'esigenza prevalente che il legislatore  nazionale  ha  presente  e'
 piuttosto  quella di far si' che le associazioni dei produttori (e le
 relative unioni) siano dotate di uno strumentario minimo comune, che,
 da  un  lato, possa assicurare ad esse procedure giuridiche di azione
 di carattere similare e, dall'altro,  possa  agevolare  una  relativa
 omogeneita'  e  confrontabilita'  di  strumenti e di poteri, anche al
 fine di permettere alle autorita' pubbliche i controlli piu' adeguati
 in  vista  del  raggiungimento delle finalita' contenute nel predetto
 regolamento   comunitario   e   dell'adempimento   dell'obbligo    di
 trasmettere   periodicamente  determinate  informazioni  agli  organi
 comunitari. Cio' non toglie che, pur in riferimento alle  ipotesi  in
 questione, appaia presente anche l'esigenza di dar forza operativa al
 principio del controllo delle associazioni (e delle relative  unioni)
 da parte dei soci.
    Questa  duplice  esigenza  e'  chiaramente  presente  tanto  nella
 previsione  che  le  associazioni   adottino   regolamenti   interni,
 programmi di produzione e di commercializzazione, nonche' convenzioni
 e contratti, anche interprofessionali, per la cessione, il ritiro, lo
 stoccaggio  e  l'immissione  sul  mercato  dei prodotti, quanto nella
 connessa previsione che, per l'esercizio di questi rilevanti  poteri,
 l'assemblea  sociale debba deliberare a maggioranza assoluta dei soci
 (o dei delegati di questi) in  prima  convocazione  e  a  maggioranza
 semplice  (dei  presenti) nella seconda (sempreche' intervenga almeno
 1/5 degli associati).
    Le   stesse   esigenze   sono   pure   evidenti  nelle  successive
 disposizioni, di  cui  al  punto  5  dell'art.  2,  che  conferiscono
 all'associazione  il potere di vigilanza sul rispetto, da parte degli
 associati, degli obblighi associativi, nonche' il potere di  irrogare
 sanzioni   nelle   ipotesi   di  violazione  degli  stessi,  compresa
 l'esclusione del socio inadempiente  in  caso  di  gravi  e  ripetute
 infrazioni. Questi poteri, oltretutto, possono considerarsi impliciti
 tanto nelle varie previsioni di controlli contenute  nel  regolamento
 comunitario,  quanto  nelle finalita' istituzionali riconosciute alle
 associazioni medesime.
    Cio'  che  occorre sottolineare, comunque, e' che sia nell'ipotesi
 di cui al punto 4, sia in quella di cui al  punto  5,  si  tratta  di
 disposizioni  che,  per  il  legame necessario con le esigenze di una
 loro uniforme attuazione nel territorio nazionale,  non  possono  non
 rientrare  nei  poteri  normativi  e di indirizzo dello Stato. Poteri
 che,  nel  caso,  appaiono  legittimamente   esercitati   in   quanto
 rispondenti  ai  requisiti  di  validita'  ricavabili  dalla costante
 giurisprudenza di questa Corte (v. ad es. sentt. nn.  340  del  1983,
 195  del  1986  e  304  del  1987).  Essi,  infatti,  stabilendo  una
 normativa-quadro limitata alla previsione  di  un  nucleo  minimo  di
 strumenti   e   di   poteri,   lasciano,   come   esige  la  costante
 giurisprudenza di questa Corte (v.  ad  es.  sentenze  nn.  340/83  e
 304/87)  alla competenza legislativa (primaria) della Regione e delle
 Province ricorrenti un'ampia possibilita'  di  scelta  e  un  intatto
 potere  di  legiferazione  nel  merito (come quello di specificare le
 varie forme di vigilanza o dei diversi  tipi  di  sanzioni  a  fronte
 delle  distinte  ipotesi  di  violazione  degli obblighi associativi;
 quella  di  vincolare  le  associazioni   ad   adottare   determinate
 disposizioni  nei  loro regolamenti o di collegare i loro programmi a
 specifiche finalita', e cosi' via).
    3.  -  Del  pari infondate sono le questioni di costituzionalita',
 sollevate soltanto dalle Province autonome di Trento e Bolzano sempre
 in  relazione  all'art.  8  n.  21 St. T.A.A. (competenza legislativa
 primaria in materia di agricoltura), le quali concernono gli artt. 3,
 4, 5, 11, nei primi tre commi, e 13 della legge n. 674 del 1978.
    Dal  momento  che le suddette censure sono state prospettate dalle
 ricorrenti subordinatamente al  riconoscimento  che  le  disposizioni
 impugnate,   le  quali  nel  loro  tenore  letterale  si  riferiscono
 genericamente alle regioni, siano ritenute applicabili alle  Province
 medesime,  occorre  preliminarmente  sciogliere il presente dubbio. A
 giudizio  di  questa  Corte,  tutte  le  disposizioni  oggetto  della
 presente  censura  sono  efficaci  tanto  verso  le regioni a statuto
 ordinario quanto verso quelle ad autonomia differenziata, comprese le
 Province ricorrenti. A questa conclusione induce il fatto che, mentre
 alcune disposizioni (artt. 3,  seconda  parte,  art.  5  n.  1  e  2)
 contengono  criteri  normativi  generali  di  diretta derivazione dai
 principi informatori del regolamento comunitario n.  1360  del  1978,
 cui  sono  legati  da  un  nesso  di strumentalita' necessaria, altre
 invece (art. 3, prima parte; art. 4; art. 5 n. 3; art. 11  comma  1›,
 2› e 3›; art. 13) contengono norme o misure di coordinamento generale
 che, in tanto possono avere un significato, in quanto si  riferiscono
 a tutte le regioni, qualunque sia il loro tipo di autonomia. Nell'uno
 e  nell'altro   caso   e'   dunque,   implicito   il   riconoscimento
 dell'applicabilita' delle disposizioni impugnate anche alle Regioni e
 alle Province ad autonomia differenziata.
    3.1.  -  Cominciando  dalle  disposizioni menzionate da ultimo, va
 precisato che esse prevedono distinte misure  di  coordinamento  che,
 per un verso, sono legate a istanze presenti nel predetto regolamento
 comunitario e, per  altro  verso,  rispondono  a  esigenze  nazionali
 unitarie connesse all'attuazione del regolamento medesimo.
    L'art.  11  della legge 674 del 1978 prevede, nei primi tre commi,
 che ogni Regione istituisca comitati  regionali  di  vigilanza  e  di
 coordinamento  nei  confronti  delle  unioni di associazioni operanti
 nella regione considerata. Questi comitati, previsti in parallelo con
 analoghi  comitati nazionali di settore, hanno essenzialmente compiti
 di  coordinamento  e  di  vigilanza  nei   confronti   delle   unioni
 riconosciute  in ogni regione (art. 11 e 3) e, in questa prospettiva,
 son tenuti anche ad esprimere pareri obbligatori, ma non  vincolanti,
 in   ordine  alle  vicende  piu'  rilevanti  delle  stesse  unioni  e
 associazioni (v. artt. 3 e 4). La previsione di  questi  comitati  e'
 strettamente  dipendente  dall'esigenza  ispiratrice  del regolamento
 comunitario  n.  1360  del  1978,  relativa  al   superamento   della
 polverizzazione   delle   unita'   produttrici  e  della  sussistente
 disorganizzazione nell'immissione sul mercato dei  prodotti  agricoli
 e,  di  conseguenza,  dall'esigenza del loro inserimento in strutture
 piu' complesse e in processi programmatori funzionanti sia al livello
 nazionale che regionale.
    Nello  stesso  tempo,  l'istituzione  di questi comitati regionali
 rappresenta una necessaria modalita'  di  attuazione  delle  predette
 norme  comunitarie,  diretta a predisporre strutture di coordinamento
 di base costituenti la premessa indispensabile per  la  realizzazione
 di  una  programmazione di settore al livello nazionale. Cio' e' reso
 particolarmente evidente dall'art. 11, commi 1 e  2,  il  quale,  nel
 prevedere  che  tali  comitati siano composti da rappresentanti delle
 unioni  riconosciute,  stabilisce  nel  capoverso  che  questi  siano
 integrati   da   delegati   provenienti   sia   dalle  organizzazioni
 professionali  agricole  maggiormente   rappresentative   a   livello
 nazionale,   sia   dalle  associazioni  o  dagli  enti  nazionali  di
 rappresentanza del movimento cooperativo, ai  quali,  in  ogni  caso,
 dev'essere   attribuito  soltanto  un  voto  consultivo.  Con  queste
 disposizioni, la legge n. 674 del 1978 non solo e'  ben  lontana  dal
 violare   l'autonomia   regionale  costituzionalmente  garantita,  ma
 piuttosto manifesta un'attenzione particolare  verso  la  stessa,  al
 punto  che,  pur nella composizione di organi misti di coordinamento,
 quali  sono  i  predetti  comitati,  circoscrivono   i   poteri   dei
 rappresentanti    delle   organizzazoni   nazionali   alla   semplice
 formulazione di un parere non vincolante. Piu' in generale, comunque,
 esse mirano a istituire strutture di coordinamento, nelle quali siano
 esclusivamente presenti gli interessi dei  produttori  associati,  se
 pure  in  raccordo  con  quelli  di  categoria, e la cui finalita' e'
 quella di soddisfare l'interesse nazionale sottostante alla creazione
 di  una  rete programmatoria di settore: una rete il cui nucleo forte
 degli  interessi  e  il  cui  centro  decisionale  e'  in  definitiva
 individuato dalla legge nel livello regionale, e in particolare nelle
 unioni di produttori e nelle strutture di coordinamento della regione
 (o provincia autonoma).
    3.2. - I medesimi argomenti valgono, senza ulteriori aggiunte, per
 il rigetto delle censure mosse all'art. 13 della legge 674 del  1978.
 Questo  articolo  prevede  alcune norme transitorie, volte a regolare
 tanto la composizione dei comitati nazionali  (primo  comma),  quanto
 quella  dei  comitati regionali (secondo comma), per i primi tre anni
 di applicazione della legge, sulla base  della  presunzione  che  per
 questo   periodo  non  siano  state  istituite  le  unioni  regionali
 riconosciute. A  parte  che  e'  difficile  immaginare  i  motivi  di
 doglianza  da  parte delle Province ricorrenti rispetto all'esercizio
 di un potere propriamente statale, quale quello di  disciplinare  (in
 via  transitoria)  la  composizione  di  un'unione  di  produttori di
 carattere nazionale (tanto e' vero che le  norme  corrispondenti  che
 stabiliscono  la  disciplina  definitiva dello stesso fenomeno, cioe'
 l'art. 11 commi 4 e 5, non sono oggetto di  impugnazione),  resta  il
 fatto  che le disposizioni relative alla composizione provvisoria dei
 comitati regionali (art. 13 cpv.) non si  distaccano  sostanzialmente
 dai  criteri enunciati all'art. 11, commi 2 e 3, analizzati nel punto
 precedente. Sicche' anche per essi vale l'argomento che la previsione
 di  una  composizione-tipo,  estensibile  a  tutte le regioni, appare
 finalizzata  all'interesse  nazionale  di  approntare  una  rete   di
 istituzioni  di  coordinamento  aventi  una struttura omologa proprio
 allo scopo di rendere piu' agevole e piu' efficiente  lo  svolgimento
 del  processo  programmatorio  di  settore  su  tutto  il  territorio
 nazionale.
    3.3.  -  Nell'ambito  delle disposizioni appena esaminate esistono
 tuttavia norme di dettaglio  che,  anche  se  stabilite  al  fine  di
 manifestare  un'esigenza  di  coordinamento,  non  lasciano  comunque
 alcuna discrezionalita' al legislatore regionale. Questo e'  il  caso
 della disposizione di cui all'ultima parte dell'art. 11, comma 3›, la
 quale stabilisce che i comitati regionali durano in carica tre  anni.
 Questa  Corte  ha  piu' volte affermato, (in particolare nelle sentt.
 nn. 214 del 1985 e  195  del  1986)  che  eventuali  disposizioni  di
 dettaglio  poste  dal  legislatore  nazionale  a  corredo di norme di
 coordinamento hanno un'efficacia dispositiva o suppletiva, nel  senso
 che  producono  i  loro  effetti  all'interno dei singoli ordinamenti
 regionali  solo  fintantoche'  la  regione  interessata   non   abbia
 provveduto  ad  adeguare la disciplina normativa di sua competenza ai
 principi posti dal legislatore statale. Da questo criterio  la  Corte
 non  ha  alcun motivo di discostarsi anche in tale occasione, di modo
 che,  nei  sensi  appena  detti,   va   rigettata   la   censura   di
 illegittimita'  costituzionale  nei  confronti della disposizione ora
 considerata.
    3.4.  -  Espressione  del  potere statale giustificato da esigenze
 unitarie da preservare  in  sede  di  attuazione  di  un  regolamento
 comunitario, sono anche gli artt. 4 e 5 della legge impugnata.
    L'art.  4,  nel riconoscere al legislatore regionale il compito di
 determinarne le modalita', prevede che in ogni regione sia  istituito
 un  albo  delle  associazioni riconosciute. Questo compito se, per un
 verso, soddisfa l'interesse nazionale affinche' si abbia, regione per
 regione,  l'intero  quadro  delle  associazioni di produttori e lo si
 abbia in base a strumenti di conoscenza omologhi e raffrontabili, per
 altro  verso  appare  necessariamente  strumentale  all'obbligo degli
 Stati-membri di comunicare alla Commissione C.e.e. gli estremi  delle
 associazioni  e  delle  unioni  riconosciute,  suddivise  per settori
 produttivi  omogenei,  nonche'  i  dati  relativi  alle  revoche  del
 riconoscimento delle medesime (cfr. artt. 7 e 9 reg. com.).
    Lo  stesso  articolo  prevede,  poi,  che il legislatore regionale
 determini le modalita' per l'esercizio dei poteri di vigilanza  e  di
 controllo spettanti alle regioni nei confronti delle associazioni dei
 produttori, ponendo, come indirizzo statale, alcune norme a  garanzia
 delle  associazioni  medesime: in particolare che il potere di revoca
 del riconoscimento di un'associazione, previsto in via di massima dal
 regolamento   comunitario  n.  1360  del  1978  (art.  8)  per  gravi
 infrazioni delle norme ivi previste, debba esser esercitato con  atto
 motivato,  previa  diffida e sentito il parere del Comitato regionale
 di vigilanza di cui all'art. 11 della legge impugnata. Si  tratta  di
 un  indirizzo  posto  a tutela dei diritti dei privati, quali sono le
 associazioni dei produttori, la cui legittima  adozione,  come  tale,
 non puo' essere fondatamente contestata al legislatore statale.
    L'art.  5,  infine,  nel  prevedere che le Regioni disciplinino le
 unioni di associazioni stabilendo, oltreche' le regole per le revoche
 del   loro   riconoscimento   e   per  la  loro  partecipazione  alla
 programmazione  agricola  regionale,  le  modalita'   per   il   loro
 riconoscimento,  fissa, in relazione a queste ultime, alcune norme di
 indirizzo: in particolare  a)  che  le  unioni  siano  costituite  da
 associazioni  di produttori del settore che, anche se situate in zone
 limitrofe, siano state riconosciute dalla regione; b) che,  nel  loro
 ambito,   spetti   a   ciascuna   associazione   un  numero  di  voti
 proporzionale al numero  degli  associati.  Si  tratta,  come  appare
 evidente,  di  norme  di indirizzo adottate per le unioni in parziale
 parallelismo con quelle previste  per  le  associazioni  dall'art.  2
 della  legge  impugnata,  la cui legittimita' costituzionale e' stata
 precedentemente vagliata nel punto 2.2. Le ragioni per l'infondatezza
 delle   censure   proposte  che  son  state  allora  esposte  valgono
 naturalmente anche per i profili qui considerati.
    3.5.  -  Nell'ambito  del  secondo  gruppo  di  censure  resta  da
 esaminare quella relativa all'art. 3. In questo articolo  si  dispone
 che   in   casi   di   gravi  necessita',  dichiarati  dall'autorita'
 competente,   le   delibere   delle   associazioni   possono   essere
 provvisoriamente   dotate   di   un'efficacia  vincolante  anche  nei
 confronti  dei  produttori  non  associati,  sempreche'  operino  nei
 territori interessati, mediante decreti adottati dal Presidente della
 Regione o dal Ministro dell'Agricoltura e  delle  Foreste,  secodo  i
 rispettivi  ambiti  di  competenza. Nella parte finale dell'articolo,
 poi, si prevede che tali delibere siano adottate con  la  maggioranza
 richiesta  per  le decisioni piu' rilevanti, cioe' quella assoluta, e
 che esse devono ottenere il parere  favorevole  dei  gia'  menzionati
 comitati  di  vigilanza  (di  quello nazionale, in caso di competenza
 statale, di quello regionale, in caso di competenze delle  regioni  o
 province autonome).
    Le  disposizioni  ora  ricordate  sono  impugnate  dalle  Province
 ricorrenti, non gia' per il loro contenuto normativo (poiche'  questo
 si limita a prevedere poteri da ripartire tra Stato e Regioni in base
 alle regole costituzionali sulle rispettive competenze),  ma  per  il
 fatto stesso che lo Stato abbia previsto, con una propria legge, quei
 poteri eccezionali. Sotto questo  profilo  la  censura  e'  infondata
 poiche'  le  disposizioni  impugnate  pongono  una  norma derogatoria
 rispetto  ai  principi   generali   dell'ordinamento   che   regolano
 l'efficacia  delle delibere associative, la cui adozione, proprio per
 l'oggetto della disciplina dettata, non puo' spettare che allo Stato.
 Del  resto,  esorbita  dall'interesse  regionale  e  pertiene  invece
 all'interesse nazionale stabilire una regola,  come  quella  relativa
 all'efficacia  erga  omnes delle delibere associative (se pure in via
 eccezionale e  provvisoria),  che  tocca  anche  diritti  di  privati
 sottoponibili  a  una  disciplina  generale  e  insuscettibili  di un
 trattamento differenziato da regione a regione.
   3.6.  -  In  conclusione  va detto che alla base delle disposizioni
 oggetto del secondo gruppo di  censure,  come  del  resto  di  quelle
 oggetto  delle  precedenti,  sta essenzialmente la particolare natura
 del regolamento comunitario di cui la legge impugnata  si  pone  come
 normativa   di   attuazione-integrazione.   Quando   un   regolamento
 comunitario contiene, fra le altre, norme non-autoapplicative  o  non
 autosufficienti  e  lascia  addirittura  molteplici  spazi  vuoti nel
 complesso  contesto  della  sua  struttura  normativa,  il  principio
 generale  della  sua  diretta  applicazione da parte delle Regioni (o
 delle Province autonome)  dev'essere  contemperato  con  le  esigenze
 legate  alla  determinazione  da  parte  dello  Stato di principi, di
 indirizzi e di  strumenti  di  attuazione  comunque  collegati  a  un
 interesse nazionale. Tuttavia, come ha riconosciuto anche la Corte di
 Giustizia delle Comunita' Europee nella gia' citata decisione  avente
 ad oggetto la stessa legge qui in contestazione, se, per un verso, un
 regolamento come quello n. 1360 del 1978, che comporta  un'attuazione
 implicante  una  produzione  normativa su ben quattro livelli (quello
 del Consiglio  delle  Comunita'  europee,  quello  della  Commissione
 C.e.e.,  quello  statale  e  quello  regionale),  pone  problemi piu'
 complessi  e  piu'  particolari,  al  punto  da  indurre  a  rivedere
 posizioni tradizionali (come ha fatto quella stessa Corte a proposito
 delle norme riproduttive o ripetitive), per altro verso  questa  piu'
 complessa    articolazione    non   puo'   giustificare   illegittime
 compressioni dell'ultimo livello, quello  regionale.  A  giudizio  di
 questa  Corte,  questa  eventualita'  non  si e' verificata nel caso,
 poiche' le disposizioni impugnate, pur nelle complesse condizioni del
 necessario  raccordo con i regolamenti comunitari, si sono limitate a
 porre  norme  di  principio  oppure  misure   di   indirizzo   e   di
 coordinamento  o,  ancora,  modalita'  di attuazione legate a precise
 esigenze unitarie o a doverose finalita' costituzionali. Che, in  via
 di fatto, le Regioni e le Province autonome non abbiano utilizzato le
 possibilita' di determinazione normativa a loro disposizione  ed,  in
 sostanza,  abbiano  invece semplicemente recepito nelle proprie leggi
 le norme della legge impugnata e' un  argomento  a  posteriori  e  de
 facto  che  non  puo'  essere  utilizzato  in  sede  di  legittimita'
 costituzionale, tanto piu' che potrebbe  essere  interpretato  in  un
 doppio  e opposto senso (cioe' sia come prova della reale sussistenza
 di un interesse nazionale, sia come prova della mancanza di spazi  di
 normazione primaria).
    4.  - Infondata e', infine, la terza censura prospettata contro la
 legge impugnata.
    Le Province autonome di Bolzano e di Trento sollevano il dubbio di
 un contrasto con l'art. 78 St. T.A.A. degli  artt,  9,  cpv.,  e  10,
 alinea,  della legge n. 674 del 1978 nella parte in cui non prevedono
 che le somme ivi considerate siano devolute, per  le  quote  di  loro
 spettanza,  alle  Province ricorrenti e siano invece ripartite tra le
 Regioni con deliberazione del C.i.p.a.a. (di cui all'art.  2,  l.  27
 dicembre  1977,  n.  984), d'intesa con la Commissione interregionale
 (di cui all'art. 13, l. n. 281 del 1970). Tuttavia, in  contrario  va
 ribadito  quanto  questa Corte ha gia' affermato (v. sent. n. 195 del
 1986), vale a dire che i principi posti dall'art. 78 St.  T.A.A.  non
 si applicano ai finanziamenti settoriali di tipo straordinario, quali
 sono  quelli  previsti  nelle  disposizioni  oggetto  della  presente
 impugnazione,  che  espressamente  si  riferiscono  al  fondo  di cui
 all'art. 9 della legge 16 maggio 1970 n. 281 sia per le spese volte a
 favorire  la  costituzione  e  il funzionamento delle associazioni di
 produttori, sia per quelle dirette a incentivare i programmi  di  cui
 all'art. 10 della legge impugnata.