ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale della legge della Regione
 Calabria riapprovata il  31  luglio  1986  dal  Consiglio  Regionale,
 avente  per  oggetto:  "Interpretazione  dell'art.   61  della  legge
 regionale 28 marzo 1975, n. 9" e della legge della  Regione  Campania
 riapprovata  il  9  dicembre  1986  avente per oggetto: "Integrazione
 legge regionale 16 aprile 1974, n. 11 e successive  modificazioni  ed
 integrazioni, concernente prima normativa sullo stato giuridico e sul
 trattamento  economico  del  personale   dipendente   della   Regione
 Campania",  promossi  con  ricorsi  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri, notificati il 19 agosto e il 30 dicembre  1986,  depositati
 in  cancelleria  il 26 agosto 1986 e il 9 gennaio 1987 ed iscritti al
 n. 25 del registro ricorsi 1986 e al n. 1 del registro ricorsi 1987;
    Visto l'atto di costituzione della Regione Campania;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  12  gennaio  1988  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Udito l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta, per il ricorrente;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con ricorso notificato il 16 agosto 1986, il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  ha  chiesto   che   venga   dichiarata   la
 illegittimita'  costituzionale  della  legge  della Regione Calabria,
 riapprovata, a seguito di  rinvio,  il  31  luglio  1986,  avente  ad
 oggetto: "Interpretazione dell'art. 61 della legge regionale 28 marzo
 1975, n. 9".
    Tale  legge - che reca un'unica disposizione volta a consentire ai
 dipendenti che abbiano compiuto il sessantacinquesimo anno  di  eta',
 senza  aver  maturato  il  diritto  al trattamento minimo di pensione
 secondo le norme dell'ordinamento degli istituti  di  previdenza,  di
 rimanere  in  servizio  fino al raggiungimento del diritto e comunque
 non oltre il settantesimo anno di eta'  -  sarebbe  illegittima,  per
 violazione   dell'art.  117  Cost.,  in  quanto  viola  il  principio
 fondamentale,  desumibile  dalla  vigente  normativa   del   pubblico
 impiego,   del  collocamento  a  riposo  dei  pubblici  impiegati  al
 compimento del sessantacinquesimo anno di eta' (v. art.  4 d.P.R.  29
 dicembre  1973,  n. 1092; art. 15, primo comma, l. 30 luglio 1973, n.
 477; art. 12, primo comma, legge 20 marzo 1975, n. 70); principio  la
 cui  efficacia non puo' ritenersi limitata per il fatto che lo stesso
 articolo 15 della legge n. 477 del 1973 consente, in via eccezionale,
 il  mantenimento  in  servizio  del  dipendente  che  altrimenti  non
 potrebbe maturare il diritto a pensione,  trattandosi,  all'evidenza,
 di disposizione intesa a regolare situazioni transitorie.
    La Regione Calabria non si e' costituita nel presente giudizio.
    2. - Con ricorso notificato il 30 dicembre 1986, il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  ha  chiesto   che   venga   dichiarata   la
 illegittimita'  costituzionale  della  legge  della Regione Campania,
 riapprovata, a seguito di rinvio,  il  9  dicembre  1986,  avente  ad
 oggetto:  "Integrazione  legge  regionale  16  aprile  1974,  n. 11 e
 successive modificazioni ed integrazioni, concernente prima normativa
 sullo  stato  giuridico  e  sul  trattamento  economico del personale
 dipendente della Regione Campania".
    La  legge  impugnata,  che  consente  al  personale  regionale,  a
 domanda, di rimanere in servizio anche  oltre  il  sessantacinquesimo
 anno  di  eta' per un periodo non superiore a cinque anni, violerebbe
 un principio fondamentale della legislazione statale, consistente nel
 collocamento  a  riposo  dei  pubblici  dipendenti  al compimento del
 sessantacinquesimo anno di eta'.
    La   stessa   legge,   inoltre,   violerebbe  altri  due  principi
 costituzionali quale quello di assicurare  alle  giovani  generazioni
 effettive  possibilita'  di  accesso  al  lavoro  e  quello  del buon
 andamento degli uffici, realizzabile anche mediante l'acquisizione di
 energie  umane  meno  condizionate dai naturali problemi posti da una
 eta' non piu' giovane.
    Quanto  alla posizione di quei dipendenti pubblici che non abbiano
 ancora conseguito, al momento del compimento  del  sessantacinquesimo
 anno  di  eta',  il  diritto  al trattamento minimo di quiescenza, il
 ricorrente osserva che gli stessi possono  comunque  beneficiare  del
 ricongiungimento  di  precedenti  posizioni  assicurative  relative a
 diverse attivita' lavorative.
    3.  -  Si  e' costituita nel presente giudizio la Regione Campania
 con memoria depositata il 30 aprile 1987, e quindi oltre  il  termine
 previsto  dall'art.  23,  u.c., delle Norme integrative per i giudizi
 davanti alla Corte costituzionale.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Tanto  il ricorso del Presidente del Consiglio dei Ministri
 contro la legge della Regione Calabria, riapprovata il 31 luglio 1986
 e  intitolata  "Interpretazione dell'art. 61 della legge regionale 28
 marzo 1975, n. 9",  quanto  quello  contro  la  legge  della  Regione
 Campania,  riapprovata  il 9 dicembre 1986 e intitolata "Integrazione
 legge regionale 16 aprile  1974,  n.  11  e  successive  modifiche  e
 integrazioni, concernente prima normativa sullo stato giuridico e sul
 trattamento  economico  del  personale   dipendente   della   Regione
 Campania",  hanno ad oggetto disposizioni di legge aventi il medesimo
 significato normativo. E' opportuno,  pertanto,  riunire  i  relativi
 giudizi  per  discuterli  congiuntamente  e  deciderli  con  un'unica
 sentenza.
    2.   -  Le  disposizioni  impugnate  prevedono  che  i  dipendenti
 regionali, i quali abbiano raggiunto il  sessantacinquesimo  anno  di
 eta',  cioe'  il  limite  massimo  dell'eta'  lavorativa,  senza aver
 maturato il diritto al trattamento minimo di pensione, possono essere
 mantenuti  in  servizio, su loro domanda, per il periodo strettamente
 necessario per il conseguimento di  quel  diritto  e,  comunque,  non
 oltre il settantesimo anno di eta'.
    In   tutti   e   due   i   giudizi   questa  norma  e'  sospettata
 d'incostituzionalita' da parte del Governo per l'asserita  violazione
 dell'art.  117  Cost.,  sotto  specie  di  contrasto  con  i principi
 fondamentali desumibili dalle leggi statali  vigenti  in  materia  di
 impiego  pubblico. Tali leggi prevedono, infatti, che il collocamento
 a riposo dei  dipendenti  avvenga  comunque  al  limite  massimo  del
 compimento del sessantacinquesimo anno di eta'.
    Limitatamente  alla  legge della Regione Campania, la stessa norma
 e' impugnata sotto un ulteriore duplice profilo:  a)  per  violazione
 dell'art. 4 Cost., in quanto comprimerebbe il diritto al lavoro delle
 giovani generazioni, alle quali, a causa del mantenimento in servizio
 del  personale  ultrasessantacinquenne, verrebbe di fatto preclusa la
 possibilita'  di  accedere  a  un'occupazione;  b)   per   violazione
 dell'art.  97  Cost.,  in  quanto  il  mantenimento  in  servizio  di
 dipendenti il  cui  rendimento  e'  condizionato  dall'eta'  avanzata
 contrasterebbe  con  l'esigenza di assicurare il buon andamento degli
 uffici pubblici.
    3.  -  Preliminarmente,  deve  essere  dichiarata inammissibile la
 costituzione nel presente giudizio della Regione  Campania,  avvenuta
 il  30  aprile 1987 e quindi, oltre il termine previsto dall'art. 23,
 u.c., delle Norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  alla  Corte
 costituzionale.
    Non  e'  fondata  la  censura  relativa  alla  pretesa  violazione
 dell'art.  117  Cost.,  in  riferimento  ai   principi   fondamentali
 desumibili  dalla  legislazione statale sul collocamento a riposo dei
 lavoratori dipendenti.
    3.1.   -   Va,   innanzitutto,  disattesa  la  prospettazione  del
 ricorrente diretta ad individuare il contenuto  del  principio  della
 materia  limitando  l'osservazione  ai  soli  rapporti  del  pubblico
 impiego. E' ben vero che questa Corte, pur registrando  una  tendenza
 obiettiva  verso  l'omogeneizzazione  del rapporto di lavoro pubblico
 con quello privato, ha piu' volte affermato  che  persistono  tuttora
 profonde  differenze  tra  l'uno  e l'altro tipo di rapporto anche ai
 fini del trattamento pensionistico (cfr. ad es., sentt. nn.  155  del
 1969,  5 del 1971, 30 del 1976, 193 del 1981, 40 del 1986). Tuttavia,
 quando si procede all'identificazione di un principio fondamentale al
 fine  di  enucleare  l'esatta portata del corrispondente limite della
 legislazione  regionale  concorrente,  la   predeterminazione   della
 materia non puo' seguire criteri di definizione assoluti e validi per
 ogni  caso,  in  quanto  occorre  in  via   preliminare   individuare
 l'estensione  della  materia  entro  la  quale  ricercare  i principi
 fondamentali con riferimento alla particolare disciplina normativa di
 cui occorre individuare il principio regolativo.
    Nel  caso  di  specie  non  vi  puo' esser dubbio che la normativa
 impugnata si propone di permettere ai lavoratori, i quali al  termine
 legale del loro rapporto d'impiego non abbiano raggiunto un numero di
 anni di lavoro sufficiente per ottenere il minimo della pensione,  di
 restare  eccezionalmente  in  servizio  per  il  tempo necessario per
 conseguire quel diritto. Poiche' si  tratta  di  un'esigenza  che  va
 ricondotta,   in   via   generale,  a  un  interesse  tutelato  dalla
 Costituzione come diritto del lavoratore in  quanto  tale  (art.  38,
 comma  secondo), nei cui confronti appare indifferente la circostanza
 che il dipendente risulti inserito in un rapporto d'impiego  pubblico
 o  in  uno  di  tipo  privato,  ne  consegue che nel caso in esame la
 materia in relazione alla quale dev'esser precisato il contenuto  del
 principio  fondamentale  stabilito dalle leggi statali non puo' esser
 circoscritta al solo impiego pubblico, ma deve  comprendere  l'intero
 campo  del rapporto di lavoro dipendente, tanto pubblico che privato.
    In relazione alla materia cosi' determinata, non si puo' rinvenire
 nella legislazione  statale  un  principio  consistente  nel  divieto
 assoluto  di mantenere in servizio i dipendenti che abbiano raggiunto
 il limite massimo dell'eta' lavorativa legislativamente  fissato  per
 la  categoria  interessata.  Al  contrario, il principio oggi vigente
 permette che l'anzidetto limite possa essere eccezionalmente derogato
 a fini assicurativi o previdenziali. Questo principio, sebbene sia al
 momento  affermato  in  via  generale  soltanto  per   i   lavoratori
 dipendenti  del  settore  privato  (art. 6, d.l. 22 dicembre 1981, n.
 791) e non abbia riscontro nell'impiego pubblico se non in discipline
 di  carattere  transitorio (v., ad es., art. 15 l. 30 luglio 1973, n.
 477), e' tuttavia sufficiente,  in  base  alle  argomentazioni  prima
 svolte,  per legittimare il legislatore regionale a determinare per i
 propri dipendenti una disciplina che prevede una deroga al limite  di
 eta' per il collocamento a riposo.
    Cio'  vale  tanto di piu' se si considera che, nel caso di specie,
 il legislatore regionale ha  posto  in  essere  una  disciplina  che,
 mantenendo  fermo  per  le  varie  categorie dell'impiego pubblico il
 limite massimo  dell'eta'  lavorativa  fissato  dalle  leggi  statali
 (sessantacinque  anni),  ha circoscritto la possibilita' di usufruire
 della  deroga  soltanto  al  periodo  strettamente   necessario   per
 raggiungere  tale  scopo  e,  in  ogni caso, a un periodo tale da non
 comportare  un'estensione  temporale  del  limite  massimo  dell'eta'
 lavorativa superiore al quinquennio.
    In  presenza  di  limiti  cosi'  precisi e di finalita' sociali di
 particolare pregio costituzionale, come  quelle  sopra  indicate,  le
 leggi  impugnate  appaiono  immuni,  per  il  profilo considerato, da
 sospetti d'illegittimita' costituzionale;
    3.2.  -  Le  conclusioni  appena  raggiunte trovano conferma dalla
 trattazione di un ulteriore aspetto del problema.
    Come  puo'  desumersi da precedenti pronunzie di questa Corte (v.,
 ad es., sent. n. 36 del  1977),  i  principi  fondamentali  stabiliti
 dalla   legislazione   possono   consistere  anche  in  un  complesso
 articolato di criteri  direttivi,  che  unitariamente  si  impone  al
 legislatore   regionale   nell'esercizio   della  propria  competenza
 ripartita. Nel caso, non vi puo' essere dubbio che la regola  cui  e'
 vincolato  il legislatore regionale e' quella del divieto di adottare
 una disciplina generale che preveda per il personale della regione (o
 per  alcune  categorie di esso) un'eta' massima per il collocamento a
 riposo  superiore  a  quella  fissata  dalle  leggi  statali  per  le
 corrispondenti  categorie di dipendenti. Ma, poiche' nell'ordinamento
 legislativo dello Stato e' prevista anche una possibilita' di  deroga
 a   tale   limite  a  favore  di  singoli  lavoratori  per  finalita'
 assicurative o previdenziali di particolare pregio costituzionale, il
 contenuto   del  principio  fondamentale  vigente  nella  materia  in
 questione deve ritenersi integrato anche da tale possibile deroga.
    3.3.  -  Del  resto, occorre aggiungere che una norma eccezionale,
 come quella appena ricordata, risponde  a  una  precisa  esigenza  di
 equita'  sociale.  I  non  numerosi  beneficiari di tale deroga sono,
 infatti, quei lavoratori che, essendo  entrati  in  ruolo  a  un'eta'
 inoltrata, in base alle regole generali del collocamento a riposo non
 riuscirebbero a  completare  il  periodo  di  lavoro  necessario  per
 ottenere  il trattamento minimo pensionistico soltanto per pochi mesi
 o per pochi anni, se non addirittura per qualche giorno (cinque  anni
 e'  il  periodo  di  massima  estensione della deroga). E, poiche' in
 tutte le regioni vige la regola che l'eta' massima per partecipare ai
 concorsi  per l'ingresso nei ruoli regionali e' di trentacinque anni,
 si deve supporre che la deroga sia essenzialmente prevista tanto  per
 coloro  che sono esentati dal rispetto di quel vincolo di eta', cioe'
 le c.d.  categorie  protette  (invalidi  civili,  orfani  di  guerra,
 etc.), quanto per coloro che sono inizialmente assunti come avventizi
 per poi essere inquadrati in ruolo (i quali sono piu' numerosi tra il
 personale di primo impianto).
    A  favore di questi rari casi di non raggiungimento della pensione
 minima pur  al  massimo  dell'eta'  lavorativa,  le  leggi  regionali
 impugnate   hanno  compiuto  una  valutazione  equitativa  diretta  a
 impedire che alcuni  lavoratori,  pur  avendo  versato  i  contributi
 previdenziali  per  oltre  dieci  anni  (essendo  di quindici anni il
 periodo necessario a ottenere  la  pensione),  potessero  perdere  la
 possibilita' di godere del trattamento (minimo) di quiescenza per non
 aver potuto completare il  periodo  contributivo  soltanto  per  poco
 tempo.  Si  tratta,  piu' precisamente, di una valutazione equitativa
 che tende a conferire il massimo di effettivita'  alla  garanzia  del
 diritto  sociale  alla pensione, sotto forma del diritto a una giusta
 retribuzione differita, riconosciuto a tutti i  lavoratori  dall'art.
 38,  secondo  comma,  della Costituzione. E, poiche' questo obiettivo
 rientra tra le  finalita'  sociali  costituzionalmente  tutelate,  si
 profila  per  tale  via  un'ulteriore  giustificazione delle norme in
 contestazione, dovuto al fatto che e'  indubitabile  che  i  principi
 fondamentali   desumibili   dalle   leggi   statali   debbano   esser
 interpretati, per quanto possibile, in conformita' con  le  finalita'
 di progresso sociale sancite in Costituzione.
    4. - Manifestamente infondate sono invece le ulteriori censure che
 il ricorrente prospetta contro la legge della Regione Campania.
    Quanto  al  profilo  della  pretesa  violazione dell'art. 4 Cost.,
 questa Corte ha  costantemente  escluso  che  il  diritto  al  lavoro
 garantito   da   tale   articolo   possa   essere  interpretato  come
 riconoscimento alle persone  prive  di  occupazione  di  un'effettiva
 pretesa  di  accesso  al lavoro (cfr., ad es., sentt. nn. 2 e 270 del
 1986).
    Del  pari, sulla base di una costante e consolidata giurisprudenza
 di questa Corte (cfr., ad es., sentt. nn. 8 del 1967, 123  del  1968,
 10   del   1980),   va  assolutamente  escluso  che  il  giudizio  di
 costituzionalita' sul  principio  del  buon  andamento  degli  uffici
 pubblici  (art.  97  Cost.) possa essere cosi' esteso e penetrante da
 indurrre  a  valutare  la  qualita'   del   rendimento   del   lavoro
 astrattamente imputabile a particolari categorie di dipendenti.