ha pronunciato la seguente SENTENZA nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 4, primo comma, lett. c), 7, 12, 15 e 17, secondo comma, della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 25 marzo 1980 dal Pretore di Pistoia nel procedimento civile vertente tra Marri Lucia e l'I.N.A.M., iscritta al n. 359 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 173 dell'anno 1980; 2) ordinanza emessa l'1 luglio 1983 dalla Corte di Cassazione sul ricorso proposto dal Ministero del Tesoro - Ufficio Liquidazioni contro Ferri Carmen, iscritta al n. 11 del registro ordinanze 1984 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 109 dell'anno 1984; 3) ordinanza emessa il 24 gennaio 1985 dalla Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, sul ricorso proposto da l'Union des Assurances de Paris contro il Ministero del Tesoro ed altra, iscritta al n. 627 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1986; Visti gli atti di costituzione dell'I.N.A.M. e di Ferri Carmen nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nell'udienza pubblica del 9 febbraio 1988 il Giudice relatore Ugo Spagnoli; Uditi l'avv. Franco Agostini per Ferri Carmen e l'Avvocato dello Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri; Ritenuto in fatto 1. - Il Pretore di Pistoia, giudice del lavoro, con ordinanza del 25 marzo 1980 (r.o. n. 359/1980) solleva questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 Cost. dell'art. 17, secondo comma, l. 30 dicembre 1971, n.1204 nella parte in cui, attribuendo l'indennita' giornaliera per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro anche alle lavoratrici che all'inizio di tale periodo si trovino assenti dal lavoro senza retribuzione da non piu' di sessanta giorni, non consente di escludere dal computo di detti sessanta giorni, oltre alle assenze per malattia o infortunio, anche quelle accordate per affidamento preadottivo di minore. Il giudizio a quo e' stato instaurato da Lucia Marri per ottenere dall'INAM il pagamento dell'indennita' per assenza obbligatoria per gestazione, avendo fruito, precedentemente a tale assenza, di un periodo di licenza straordinaria, senza retribuzione, in applicazione del C.C.N.L., per accudire ad una bimba ricevuta in affidamento preadottivo. Il Pretore, ritenuto che la pretesa della parte attrice non potrebbe essere soddisfatta - esclusa la possibilita' di una interpretazione analogica o estensiva del menzionato art. 17, secondo comma - che a seguito di una pronunzia di accoglimento da parte di questa Corte, motiva la non manifesta infondatezza della questione osservando che l'affidamento preadottivo di un minore costituirebbe l'esercizio di una facolta' inerente ai diritti garantiti dalle norme costituzionali invocate, si' che sarebbe costituzionalmente ingiustificato negare all'assenza dal lavoro accordata per rendere possibile detto esercizio il medesimo trattamento concesso dalla legge all'assenza dal lavoro per malattia o infortunio. Si e' costituito in giudizio l'INAM, il quale, sottolineata la lacunosita' della motivazione dell'ordinanza di rimessione sulla non manifesta infondatezza della questione, nega comunque il contrasto della norma impugnata con l'art. 3 Cost., poiche' la situazione della gestante che si assenti dal lavoro per malattia o infortunio non sarebbe equiparabile a quella di colei che si assenti per accudire a un minore in affidamento preadottivo: infatti, argomenta, la prima, "deve" assentarsi, essendo impossibilitata fisicamente a prestare la propria attivita' lavorativa, mentre la seconda "vuole" assentarsi perche', "pur potendo lavorare benissimo, preferisce rimanere a casa per sopperire meglio a certe esigenze familiari". Non chiaro sarebbe inoltre il profilo di contrasto con l'art. 31 Cost. posto che la tutela dettata dalla norma impugnata, pur non essendo priva di inevitabili lacune, concilierebbe al meglio le esigenze della donna quale lavoratrice e quale madre; ne' si potrebbe, per analoghe ragioni, fondatamente prospettare la violazione dell'art. 37, primo comma, Cost. Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio a mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato, conclude per l'infondatezza della questione, atteso che, in presenza di precetti costituzionali generici quali gli artt. 31 e 37, sarebbe rimessa al legislatore ordinario predisporne i concreti istituti e le specifiche modalita' di attuazione, si' che i limiti posti dalla norma impugnata sarebbero frutto di scelte discrezionali non censurabili in sede di giudizio di legittimita' costituzionale, essendo non priva di ragionevolezza l'esclusione dal diritto all'indennita' per la lavoratrice che si assenti volontariamente, anche se legittimamente, dal lavoro per un periodo superiore ai sessanta giorni precedenti l'astensione obbligatoria. 2. - Con ordinanza del 1 luglio 1983 (r.o. n. 11/1984), la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, solleva questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3, primo comma, 30, primo, secondo e terzo comma, 31 e 37, primo comma Cost. - degli artt. 7 e 15 della l. 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui escludono il diritto della lavoratrice che abbia ricevuto un minore in affidamento provvisorio ex art. 314/6 c.c. ad assentarsi dal lavoro e a percepire la relativa indennita'. Il giudizio a quo e' originato dal ricorso dell'INAM (poi Ministero del Tesoro - Ufficio liquidazioni) avverso la sentenza del Tribunale di Milano che - esclusa l'applicabilita' ratione temporis della sopravvenuta l. 9 dicembre 1977, n. 903 - aveva riconosciuto tali diritti a favore della lavoratrice sulla base di una interpretazione estensiva delle disposizioni della l. n. 1204 del 1971. L'autorita' remittente in primo luogo nega, sulla scorta di una pronunzia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, intervenute per dirimere un precedente contrasto giurisprudenziale, la possibilita' di tale applicazione estensiva all'ipotesi di affidamento provvisorio di minore ex art. 314/6 c.c., a motivo della particolare natura di urgenza e precarieta' di quest'ultimo che, a differenza dell'affidamento preadottivo e dell'adozione, non instaurerebbe, per la lavoratrice, una situazione equiparabile a quella della madre naturale. In secondo luogo, rileva che la legge n.1204 del 1971 e, in particolare, l'art. 7, secondo comma, avrebbero ad oggetto immediato l'interesse del bambino e solo in funzione di questo interverrebbero nel regolamento del rapporto di lavoro della madre. Dalla equiparabilita' tra madre adottiva e preadottiva, e madre naturale e dalla considerazione che l'interesse del bambino riceve nella l. n. 1204 del 1971, seguirebbe, ad avviso del giudice a quo, la possibilita' di applicazione alle prime di tutte le disposizioni di quest'ultima non dirette alla sola tutela della donna ma altresi', o esclusivamente, a quella del bambino, facendo coincidere, in un processo di integrazione logica delle medesime, il momento della nascita con quello dell'ingresso effettivo del minore nella famiglia adottiva (criterio poi seguito in linea di massima dall'art. 6 l. n. 903 del 1977). La medesima applicazione estensiva pero' non sarebbe praticabile - sempre ad avviso della Suprema Corte - nell'ipotesi di affidamento provvisorio a norma dell'art. 314/6 c.c., nel quale mancherebbe quel supporto giuridico proprio dell'adozione e dell'affidamento preadottivo, poiche' il relativo provvedimento non sarebbe idoneo a creare un nuovo status nel bambino e neppure ad anticiparne durevolmente gli effetti, ne' a determinare nella persona affidataria una posizione giuridica caratterizzata dall'esistenza di specifici e sanzionabili doveri per il cui adempimento tale persona possa avvalersi delle provvidenze apprestate dall'art.4, lett. c), 7, primo e secondo comma, e 15 della l. n. 1204 del 1971. Ma proprio tale impossibilita' di applicazione estensiva, enucleabile dal contesto delle norme richiamate, data la preminenza della tutela dell'interesse del bambino ad una adeguata assistenza materiale e affettiva, determinerebbe una evidente discriminazione a danno del minore che, pur trovandosi nella stessa necessita', si differenzi dagli altri sol perche' ancora mancante di un adeguato status giuridico, in violazione sia dell'art. 3, primo comma, Cost., sia delle norme costituzionali di tutela dei diritti del minore al mantenimento e all'educazione (art. 30), di protezione dell'infanzia e della famiglia (art. 31) e del principio in base al quale le condizioni del lavoro debbono consentire alla donna lavoratrice l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare al bambino una adeguata protezione (art.37, primo comma). Di qui, la proposta questione di legittimita' costituzionale limitatamente alle disposizioni applicabili al caso concreto e cioe' a quelle sull'assenza facoltativa dal lavoro (art. 7, primo e secondo comma) e relativa indennita' (art. 15), questione che conserverebbe la sua rilevanza, attesa la non retroattivita' della successiva l. n. 184 del 1983, che ha dettato una nuova disciplina dell'affidamento familiare, tra l'altro estendendo (art. 80) a tale ipotesi le disposizioni della l. n. 1204 del 1971 sulle assenze dal lavoro, obbligatorie o facoltative, e sulle connesse indennita'. Nel giudizio davanti a questa Corte si e' costituita la lavoratrice interessata, chiedendo, sulla base delle argomentazioni dell'ordinanza di rimessione, una declaratoria di illegittimita' costituzionale. Nella memoria depositata in prossimita' dell'udienza, sottolinea il rilievo, attribuito dalla legge del 1971, all'interesse del minore, richiamando a tal fine la sentenza di questa Corte n. 1 del 1987. 3. - Con ordinanza del 24 gennaio 1985 (r.o. n. 627/1985), la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, solleva questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 30, 31 e 37 Cost. - degli artt. 4, primo comma, lett. c) e 12, in relazione agli artt. 2 e 7, della l. 30 dicembre 1971, n. 1204, poiche' non consentirebbero di riconoscere alla lavoratrice titolare di affidamento preadottivo di minore il diritto all'astensione obbligatoria dal lavoro (art. 4, primo comma, lett. c) e alle indennita' in caso di dimissioni volontarie (art.12) rese nel periodo coperto dal divieto di licenziamento (art. 2). Le Sezioni Unite, sono state investite del ricorso del datore di lavoro - avverso la sentenza del Tribunale di Genova che tali diritti aveva riconosciuto - a motivo del contrasto tra pronunzie della Sezione Lavoro sul punto della spettanza o meno alle lavoratrici adottive o affidatarie in preadozione della astensione obbligatoria. Esclusa la possibilita' di applicare al caso la sopravvenuta l. n. 903 del 1977, la Suprema Corte nega la possibilita' di applicare la norma sulla astensione obbligatoria post partum alle ipotesi di maternita' legale, in primo luogo perche' l'incertezza sulla identificazione del termine di decorrenza dei tre mesi (la nascita del bambino, o il suo ingresso nella famiglia adottiva) non potrebbe sciogliersi in sede di interpretazione estensiva o analogica; in secondo luogo perche' l'estensione della norma alla madre adottiva o affidataria in preadozione urterebbe contro la ratio della l. n. 1204 del 1971 intesa inequivocabilmente a tutelare, in modo tassativo, la sola maternita' biologica, con esclusione implicita di quella legale, poi presa in considerazione dalla l. n. 903 del 1977. Analoghe ragioni indurrebbero ad escludere l'estensione del trattamento previsto per le dimissioni volontarie, essendo contraria alla ratio legis ed esorbitando dai limiti della mera interpretazione l'individuazione del relativo periodo di riferimento (se cioe' si tratti del primo anno di vita del bambino ovvero del primo anno dopo il suo ingresso nella famiglia adottiva). Dalla inidoneita' delle norme in esame a garantire il soddisfacimento dei diritti rivendicati dalla lavoratrice, seguirebbe la rilevanza della relativa questione di costituzionalita' nel giudizio a quo. In punto di non manifesta infondatezza della questione, la Suprema Corte osserva che il rapporto di adozione speciale sarebbe del tutto equiparato dalla legge a quello di filiazione naturale e che, a sua volta, l'affidamento preadottivo, in quanto prodromico all'adozione speciale, sarebbe equiparato a quest'ultima. Inoltre, le norme censurate sarebbero poste nell'interesse non solo della madre, ma anche del bambino nel delicato periodo dell' "ammaternamento" nel quale il bambino stesso (e segnatamente quello che si sia trovato in stato di abbandono) avrebbe un particolare bisogno di assistenza materiale ed affettiva: di qui la palese disparita' di trattamento, contraria all'art. 3 Cost., in danno del bambino adottato o in affidamento preadottivo, rispetto a quello generato, malgrado la giuridica parificazione delle loro posizioni. Tale discriminazione sarebbe altresi' lesiva del diritto del minore al mantenimento e all'educazione (art. 30, primo, secondo e terzo comma Cost.), del principio generale di tutela dell'infanzia e della famiglia (art. 31 Cost.), e di quello in base al quale le condizioni di lavoro debbono consentire alla donna lavoratrice l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare al bambino una speciale adeguata protezione (art. 37, secondo comma, Cost.). In definitiva, le norme costituzionali, anche alla stregua della disciplina legislativa ordinaria dell'adozione, non consentirebbero di distinguere, in forza dell'art. 3, fra figlio di sangue e figlio adottivo, ogni qual volta sia in questione, alla luce degli artt. 30, 31 e 37 Cost., l'interesse del bambino all'assistenza materna: di qui l'illegittimita' della normativa che non riconosce anche alla madre adottiva il diritto alle assenze dal lavoro necessarie per provvedere alle esigenze del bambino, per il periodo antecedente alla l. n. 903 del 1977, e delle disposizioni che servono a rendere effettiva tale tutela, a tutt'oggi. Nel giudizio dinanzi a questa Corte le parti private non si sono costituite ne' ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri. Considerato in diritto 1. - Le questioni sollevate dalle ordinanze di rimessione riguardano tutte l'estensibilita' - per il periodo precedente ai piu' recenti e appositi interventi legislativi - di alcune delle provvidenze previste dalla l. n. 1204 del 1971 ad ipotesi diverse dalla maternita' naturale: i relativi giudizi possono pertanto essere riuniti e decisi con unica sentenza. 2.1. - Il Pretore di Pistoia, con l'ordinanza emessa il 25 marzo 1980 (r.o. n. 359/1980) ha impugnato il secondo comma dell'art. 17 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204. Questa disposizione prevede che le lavoratrici gestanti che all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro (intercedente tra il secondo mese precedente la data del parto e il compimento del terzo mese successivo a questo) si trovino sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione ovvero disoccupate, siano ammesse al godimento dell'indennita' giornaliera di maternita' purche' tra l'inizio della sospensione, della assenza o della disoccupazione e l'inizio del periodo di astensione obbligatoria non siano decorsi piu' di sessanta giorni. Aggiunge il comma impugnato che, ai fini del computo di quest'ultimo termine, non si tiene conto delle assenze dovute a malattia e ad infortunio accertate e riconosciute dagli enti gestori delle relative assicurazioni sociali. Come esposto in narrativa, nel caso sottoposto all'esame del giudice remittente, alla data di inizio del periodo di astensione obbligatoria la lavoratrice ricorrente era assente dal lavoro: l'assenza era in corso da tempo, e si era protratta per un periodo che, a quella data, risultava essere piu' ampio di sessanta giorni. Una parte notevole - e comunque decisiva ai fini del computo dei sessanta giorni - del periodo di assenza era dovuta al fatto che la lavoratrice aveva fruito di una licenza straordinaria - prevista dal contratto collettivo nazionale di categoria - per provvedere alla cura e all'assistenza di una bambina che le era stata affidata in preadozione. Non potendosi, ad avviso del giudice a quo, attribuire tale assenza - neppure in via di interpretazione analogica o estensiva - a malattia o infortunio, e non potendosi quindi dedurre dal termine di legge il periodo di licenza straordinaria, alla lavoratrice, ai sensi della disposizione impugnata, non poteva riconoscersi il diritto alla indennita' giornaliera relativa alla nuova maternita'. In relazione a tali premesse lo stesso giudice formula il dubbio che l'art. 17, secondo comma, limitando il diritto all'indennita' di maternita' con l'escludere la possibilita' di scomputo dai sessanta giorni dell'assenza attribuibile ad affidamento preadottivo di minore, confligga con gli artt. 3, 31 e 37 della Costituzione in quanto non vi sarebbe plausibile ragione per un diverso trattamento - ai fini del calcolo del termine di legge e delle relative deduzioni consentite - dell'assenza necessaria per adempiere ai doveri connessi all'affidamento preadottivo rispetto a quella dovuta a malattia od infortunio: tale affidamento infatti costituirebbe l'esercizio di una facolta' inerente ai diritti garantiti dalle richiamate norme costituzionali, posti a fondamento della stessa previsione legislativa dell'istituto dell'indennita'. 2.2. - La questione e' fondata. Questa Corte, con la sentenza n. 106 del 1980 ha gia' dichiarato costituzionalmente illegittimo il secondo comma dell'art. 17 della legge n. 1204 del 1971, nella parte in cui non escludeva dal computo dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all'inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro l'assenza facoltativa non retribuita di cui la lavoratrice gestante avesse fruito in seguito ad una precedente maternita' ai sensi dell'art. 7, primo e secondo comma, della stessa legge. A tenore di tale sentenza detta assenza facoltativa, costituendo l'esercizio di un diritto connesso alla speciale situazione della madre e dell'infante nei primi anni di vita, non puo' essere assimilata alle altre assenze di carattere volontario, estranee alle esigenze proprie della maternita'. Pertanto, la mancata considerazione di tale situazione ai fini della esclusione del calcolo dell'assenza dai sessanta giorni "integra indubbiamente una irrazionale discriminazione e penalizzazione per la lavoratrice madre in palese contraddizione con le finalita' perseguite dall'art. 7 della stessa legge mediante l'istituto della astensione o assenza facoltativa e confligge con i principi costituzionali sia sotto il profilo della ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alle altre ipotesi in cui l'art. 17 riconosce il diritto all'indennita' di maternita', sia in relazione alla speciale adeguata protezione che l'art. 37 vuole assicurata alla madre e al bambino". 2.3. - Le medesime considerazioni valgono a pieno titolo anche per il caso in cui la mancata esclusione dal computo dei sessanta giorni si riferisca alle assenze per la cura di un minore affidato in preadozione alla lavoratrice, oltre che - come nel caso della sentenza n.106 del 1980 - per la cura di un bambino da essa generato. Infatti, gia' con riferimento al periodo anteriore all'entrata in vigore della legge n. 903 del 1977, la giurisprudenza prevalente aveva rilevato come numerose disposizioni della legge n. 1204 del 1971 avessero di mira l'interesse del bambino e solo in funzione di questo intervenissero nel regolamento del rapporto di lavoro della madre; la stessa giurisprudenza poneva in rilievo, d'altra parte, la somiglianza dei rapporti con l'infante per le madri naturali, per quelle adottive e per quelle titolari di affidamento preadottivo, tutte assumendo o dovendo assumere, agli occhi della legge, il ruolo di madre: e cio' al di la' della diversita' delle opinioni relative alla possibilita' di operare, con lo strumento interpretativo, l'estensione degli istituti previsti dalla legge stessa alle ipotesi diverse dalla maternita' naturale. Successivamente, la legge 9 dicembre 1977, n. 903 ha equiparato ai fini del conseguimento di quasi tutti i benefici previsti dalla legge n. 1204 del 1971 - le lavoratrici che abbiano adottato bambini o che li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo alle lavoratrici madri naturali (art. 6). Anche se irretroattiva - e quindi non applicabile al caso oggetto del giudizio principale - la legge n. 903 del 1977 ha sottolineato in modo ancor piu' netto che le finalita' degli istituti realizzati dalla legge n. 1204 andavano soprattutto ravvisate nella tutela dell'interesse del minore, a prescindere dal fatto che questi fosse figlio generato o adottivo, o affidato in preadozione. L'essenziale rilievo di tale interesse, nel complessivo disegno risultante da queste due leggi, e' stato riconosciuto anche dalla sentenza n. 1 del 1987 di questa Corte, che ha messo in risalto il valore centrale del rapporto madre - bambino, visto sotto il profilo della assidua partecipazione della prima allo sviluppo fisico e psichico del secondo, sia questo da essa generato, oppure adottato. 2.4. - Cio' premesso, appaiono evidenti le ragioni che inducono a ritenere la norma impugnata non rispettosa delle disposizioni costituzionali invocate. Questa norma infatti, irrazionalmente assimila alle ipotesi di assenza volontaria, non connessa alle esigenze di assistenza e cura del minore, l'assenza di cui la lavoratrice abbia fruito per accudire ad un bambino affidatole in preadozione. In questo modo sottopone tale assenza ad una ingiustificata diversita' di trattamento rispetto a quelle che, anche in conseguenza della richiamata sentenza n.106 del 1980 di questa Corte, la norma stessa esclude dal calcolo del periodo massimo di sessanta giorni consentito per poter usufruire, in coincidenza con l'astensione obbligatoria dal lavoro per nuova maternita', della relativa indennita' giornaliera. E cio' in contrasto con il principio costituzionale di eguaglianza e le garanzie di tutela degli interessi del minore, della famiglia e della maternita' assicurate dagli artt. 31 e 37 Cost. 3.1. - La questione sollevata dalla ordinanza della Corte di Cassazione 1 luglio 1983 (r.o. 11/1984) riguarda gli articoli 7 e 15 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui, attribuendo alle lavoratrici madri il diritto di assentarsi facoltativamente dal lavoro, con la relativa indennita', non contemplano anche le lavoratrici alle quali il bambino sia stato affidato provvisoriamente ai sensi dell'art. 314/6 c.c. Ad avviso della Suprema Corte, confortato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, la provvidenza in questione - per il periodo anteriore all'entrata in vigore della l. n. 903 del 1977, nel quale ricade il caso oggetto del giudizio principale - potrebbe, con procedimento interpretativo logico-sistematico, ritenersi assicurata anche alle lavoratrici adottive o affidatarie in preadozione, ma non potrebbe estendersi, con il solo ausilio ermeneutico, anche alle lavoratrici titolari di affidamento provvisorio ex art. 314/6 c.c., attesa la particolare funzione di quest'ultimo; ne', d'altra parte, il caso controverso potrebbe trovare soluzione facendo applicazione dell'art. 80 della l. 4 maggio 1983, n. 184, che ha espressamente riconosciuto questo beneficio a favore dei soggetti affidatari, trattandosi palesemente di una disciplina priva di efficacia retroattiva. Di conseguenza, il giudice remittente prospetta, d'ufficio, il dubbio che la norma impugnata sia costituzionalmente illegittima, in quanto, nel disciplinare un istituto volto a provvedere alla diretta tutela del bambino in un periodo in cui ha particolare bisogno di cura materiale ed affettiva, assoggetta - nella medesima situazione di necessita' - i minori affidati ai sensi dell'art. 314/6 c.c. ad un trattamento deteriore rispetto ai figli naturali od adottivi, negando solo ad essi la possibilita' di avvalersi di una adeguata presenza ed assistenza della lavoratrice affidataria, impossibilitata - a differenza delle madri naturali od adottive - ad assentarsi facoltativamente dal lavoro, percependo la relativa indennita'. E cio' in violazione non solo del principio di eguaglianza, ma anche delle norme costituzionali che prescrivono che si provveda al mantenimento, istruzione ed educazione del minore anche nel caso di incapacita' dei genitori (art. 30), che assicurano la tutela dell'infanzia e della famiglia (art. 31) e che stabiliscono che le condizioni di lavoro della donna debbono consentirle di svolgere la sua essenziale funzione familiare ed assicurare al bambino una adeguata protezione (art. 37). 3.2. - L'art. 314/6 c.c. - introdotto con la legge sull'adozione n. 431 del 1967 - dispone che il Tribunale, nel caso di segnalazione o di rapporto su situazioni di abbandono dei bambini, puo' ordinare il ricovero del minore in istituto idoneo e disporre ogni altro opportuno provvedimento temporaneo nell'interesse di costui, ivi compresa, occorrendo, la sospensione della potesta' dei genitori. In sede di attuazione, il ricovero e' stato disposto soprattutto presso famiglie: e la prassi e' stata recepita dalla legge 4 maggio 1983, n.184 che, all'art. 2, privilegia l'affidamento familiare rispetto al ricovero in istituti di assistenza, considerato come ipotesi limite, ove difetti la possibilita' dell'affidamento alle famiglie. La dottrina e la giurisprudenza hanno sottolineato il carattere temporaneo dell'affidamento provvisorio di cui all'art. 314/6/ c.c. e la sua funzione essenzialmente cautelare. L'ordinanza di rimessione mette in luce la sostanziale diversita' di tale affidamento rispetto a quello preadottivo: a differenza di quest'ultimo, infatti, esso prescinde dalla dichiarazione di adottabilita', non instaura una fase prodromica della adozione, non attribuisce un nuovo status al bambino e neppure ne anticipa durevolmente gli effetti. Cio' premesso, non vi e' dubbio che l'istituto dell'affidamento provvisorio abbia svolto - al di la' di ogni discussione sul modo in cui in concreto vi si e' fatto ricorso - in misura crescente una sua peculiare funzione sino ad indurre il legislatore a dare ad esso una rinnovata e organica disciplina con la legge n. 184 del 1983. Nell'affidamento provvisorio assume infatti predominante rilievo la situazione concreta del bambino che si trova in una condizione - sia pur transitoria - di abbandono, cui corrispondono, per l'affidatario, particolari doveri di cura e di assistenza, indipendentemente dagli sviluppi che l'affidamento potra' assumere in funzione della costituzione di un rapporto preadottivo. La transitorieta' della situazione e la incertezza dei suoi esiti, anziche' attenuare, accrescono le esigenze di protezione del minore. L'affidamento provvisorio determina percio' in ogni caso tra il minore medesimo e il soggetto affidatario un rapporto degno di tutela, tanto che, secondo un consistente orientamento giurisprudenziale, il periodo di affidamento provvisorio sarebbe cumulabile col periodo di affidamento preadottivo ai fini del computo della durata di quest'ultimo. Da tali considerazioni, e dalla ricordata tendenza della legislazione e della giurisprudenza di questa Corte ad attribuire, sulla scorta di chiari indirizzi costituzionali, rilievo crescente e centrale alla tutela dell'interesse dell'infante, discende l'evidente inammissibilita', alla luce delle norme costituzionali invocate, della diversa considerazione dell'interesse del bambino in relazione al suo status giuridico, nonche' l'impossibilita' di ritenere che la provvisorieta' dell'affidamento possa giustificare la esclusione della operativita' di istituti che - consentendo una maggiore presenza e attenzione del soggetto affidatario - sono volti essenzialmente, quando non esclusivamente, ad agevolare il processo di sviluppo anche relazionale ed affettivo del bambino, soprattutto in situazioni particolarmente delicate, quale e' quella dell'affidamento provvisorio. Cio', del resto, e' stato riconosciuto dallo stesso legislatore che, con l'art. 80 della ripetuta legge 4 maggio 1983, n. 184, ha esteso ai soggetti affidatari (madre o padre) le misure previste dagli artt. 6 e 7 della legge n. 903 del 1977 e quindi i benefici di cui agli artt. 4, 7 e 15 della legge n. 1204 del 1971. La questione sollevata dall'ordinanza della Corte di Cassazione e' fondata. La pronunzia di incostituzionalita', anche se l'incidente riguarda l'intero art. 7, deve pero' essere limitata al primo comma di detto articolo, in quanto oggetto del giudizio principale e' la richiesta della lavoratrice di vedersi riconosciuto soltanto il diritto alla astensione facoltativa di cui a tale comma e non il diritto alla assenza per la malattia del bambino di cui al successivo secondo comma: la questione relativa a quest'ultimo e' pertanto inammissibile. Tenendo altresi' conto della specificita' dell'affidamento provvisorio rispetto alla filiazione naturale per quanto attiene al periodo entro il quale e' possibile avvalersi dell'assenza facoltativa, il primo comma dell'art. 7 della legge n. 1204 del 1971 va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il diritto della lavoratrice madre ad assentarsi facoltativamente dal lavoro spetti altresi' alla lavoratrice cui sia stato affidato provvisoriamente un bambino ai sensi dell'art. 314/6 c.c. entro un anno dall'effettivo ingresso di lui nella famiglia affidataria. Nella medesima dichiarazione di illegittimita' costituzionale e' coinvolto pure l'art. 15, secondo comma, impugnato, poiche' dalla estensione alle lavoratrici titolari di affidamento provvisorio del diritto di cui all'art. 7, primo comma, consegue automaticamente l'estensione, a favore delle medesime, del connesso diritto all'indennita' giornaliera. 4.1. - Considerazioni in buona parte analoghe a quelle svolte relativamente alle questioni sopra esaminate, inducono a ritenere fondata anche la questione di costituzionalita' sollevata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con l'ordinanza emessa il 24 gennaio 1985 (r.o. 627/1985). Fondati debbono infatti essere ritenuti i dubbi sulla costituzionalita' dell'art. 4, primo comma, lett. c) e dell'art. 12 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 nella parte in cui non riconoscono alla lavoratrice affidataria in preadozione il diritto all'astensione obbligatoria dal lavoro e alla corresponsione, in caso di dimissioni presentate durante tale periodo, delle indennita' dovute nel caso di licenziamento: diritti che le norme impugnate prevedono solo a favore della madre naturale. Come afferma il giudice remittente, una volta escluso che si possano estendere in via interpretativa alle lavoratrici adottive o affidatarie in preadozione gli istituti disciplinati dalle citate norme, queste risultano chiaramente confliggenti con gli artt. 3, 30, 31 e 37, della Costituzione. Va peraltro precisato che la questione, nei limiti della sua rilevanza, deve essere circoscritta, nonostante i ripetuti e congiunti riferimenti dell'ordinanza di rimessione all'adozione, alla sola ipotesi dell'affidamento preadottivo. 4.2. - Per quanto specificatamente riguarda l'astensione obbligatoria, prevista dall'art. 4, primo comma, lett. c), va ribadito che essa - secondo la ricordata giurisprudenza di questa Corte (sent. 1/1987) - oltre ad essere volta a tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente successivo al parto, considera e protegge anche il rapporto che, in tale periodo, necessariamente si svolge tra madre e figlio, anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della personalita' del bambino. Questa natura dell'istituto dell'astensione obbligatoria post partum, gia' rilevata dalla giurisprudenza ordinaria antecedente alla l. n. 903 del 1977, ha trovato ulteriore conferma nell'art. 6 di quest'ultima, che ha attribuito il diritto di avvalersene anche alle lavoratrici adottive o affidatarie in preadozione - con soluzioni che si riferiscono alla particolarita' del rapporto adottivo o preadottivo - nell'attuazione della ricordata tendenza alla equiparazione, in vista dell'interesse del bambino, del rapporto di adozione, e quindi dell'affidamento preadottivo prodromico dell'adozione, alla filiazione naturale. In relazione a tali premesse, e' evidente il difetto di razionalita' del diverso trattamento che l'art. 4, primo comma, lett. c) - per il periodo antecedente alla legge n. 903 del 1977 - riserva ai bambini affidati in preadozione rispetto ai figli naturali, privando i primi della assidua presenza materna (o paterna) in un momento decisivo per lo sviluppo della loro personalita', garantita invece, in analoga situazione, ai secondi. Ne consegue la incostituzionalita' della norma impugnata non solo con riferimento all'art. 3 Cost., ma anche, per le stesse ragioni enunziate sub 3.2. a proposito della incostituzionalita' dell'art. 7, primo comma, della stessa legge, degli artt. 30, 31 e 37 della Costituzione. L'art. 4, primo comma, lett. c) della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 deve essere percio' dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che l'istituto della astensione obbligatoria e della relativa indennita' giornaliera sia esteso all'affidamento preadottivo. In ordine alla operativita' dell'istituto e ai relativi termini, la specificita' della situazione connessa all'affidamento preadottivo richiede che concerna i tre mesi successivi all'effettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria. 4.2. - L'art. 12 della legge n. 1204 del 1971 stabilisce che la lavoratrice che ha presentato dimissioni volontarie durante il periodo per cui e' previsto, a norma del precedente art. 2, il divieto di licenziamento, ha diritto alla indennita' prevista da disposizioni di legge o contrattuali per il caso di licenziamento. L'art. 2 dispone - al primo comma - che le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gestazione fino al termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto dall'art. 4 della legge stessa, nonche' fino al compimento di un anno di eta' del bambino (divieto che non si applica nei casi previsti dal terzo comma dello stesso articolo). L'art. 12 tende a contenere - in caso di dimissioni volontarie della lavoratrice madre - il danno che le deriverebbe dalla scelta di lasciare il posto di lavoro per occuparsi esclusivamente del bambino, assicurandole, in tal caso, lo stesso trattamento di fine rapporto previsto per il licenziamento. Dalle ragioni gia' esposte e dalle conseguenze che se ne sono tratte in ordine alla estensione dell'istituto dell'assenza obbligatoria alle lavoratrici affidatarie in preadozione, discende altresi' la illegittimita' costituzionale dell'art. 12, nella parte in cui non prevede per queste ultime il diritto all'indennita' di fine rapporto nel caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo in cui - a norma dell'art. 2 - e' vietato il licenziamento. Le stesse ragioni di tutela del posto di lavoro della madre durante il periodo corrispondente alle fasi iniziali del rapporto col bambino debbono valere, infatti, sia nel caso di filiazione naturale, sia in quello di affidamento preadottivo, e, di conseguenza, identica disciplina, sotto il profilo economico, deve essere prevista nel caso in cui la madre intenda dimettersi, nel corso di tale periodo, per meglio accudire al minore. Adattando altresi' alla particolarita' delle situazioni relative al rapporto preadottivo il riferimento all'art. 2, l'art. 12 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 va dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il diritto della lavoratrice a percepire, nel caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo di divieto di licenziamento, le indennita' stabilite da disposizioni legislative e contrattuali in caso di licenziamento, sia riconosciuto anche alla lavoratrice affidataria in preadozione che abbia presentato le dimissioni entro un anno dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia affidataria.