ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  degli  artt. 4, primo
 comma, lett. c), 7, 12, 15  e  17,  secondo  comma,  della  legge  30
 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), promossi con
 le seguenti ordinanze:
      1)  ordinanza emessa il 25 marzo 1980 dal Pretore di Pistoia nel
 procedimento civile vertente tra Marri Lucia e  l'I.N.A.M.,  iscritta
 al  n.  359  del  registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 173 dell'anno 1980;
      2)  ordinanza  emessa  l'1 luglio 1983 dalla Corte di Cassazione
 sul ricorso proposto dal Ministero del Tesoro - Ufficio  Liquidazioni
 contro  Ferri Carmen, iscritta al n. 11 del registro ordinanze 1984 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 109 dell'anno
 1984;
     3)  ordinanza emessa il 24 gennaio 1985 dalla Corte di Cassazione
 -  Sezioni  Unite  Civili,  sul  ricorso  proposto  da  l'Union   des
 Assurances de Paris contro il Ministero del Tesoro ed altra, iscritta
 al n. 627 del registro ordinanze 1985  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  7,  prima serie speciale, dell'anno
 1986;
    Visti  gli  atti  di  costituzione dell'I.N.A.M. e di Ferri Carmen
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  1988  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
    Uditi  l'avv.  Franco Agostini per Ferri Carmen e l'Avvocato dello
 Stato Giorgio Azzariti per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Il Pretore di Pistoia, giudice del lavoro, con ordinanza del
 25 marzo 1980 (r.o. n. 359/1980) solleva  questione  di  legittimita'
 costituzionale - in riferimento agli artt. 3, 31 e 37 Cost. dell'art.
 17, secondo comma, l. 30 dicembre 1971, n.1204 nella  parte  in  cui,
 attribuendo  l'indennita'  giornaliera  per  il periodo di astensione
 obbligatoria dal lavoro anche alle lavoratrici che all'inizio di tale
 periodo  si trovino assenti dal lavoro senza retribuzione da non piu'
 di sessanta giorni, non consente di escludere dal  computo  di  detti
 sessanta  giorni, oltre alle assenze per malattia o infortunio, anche
 quelle accordate per affidamento preadottivo di minore.
    Il  giudizio a quo e' stato instaurato da Lucia Marri per ottenere
 dall'INAM il pagamento dell'indennita' per assenza  obbligatoria  per
 gestazione,  avendo  fruito,  precedentemente  a  tale assenza, di un
 periodo di licenza straordinaria, senza retribuzione, in applicazione
 del  C.C.N.L.,  per  accudire  ad  una  bimba ricevuta in affidamento
 preadottivo.
    Il  Pretore,  ritenuto  che  la  pretesa  della  parte attrice non
 potrebbe  essere  soddisfatta  -  esclusa  la  possibilita'  di   una
 interpretazione analogica o estensiva del menzionato art. 17, secondo
 comma - che a seguito di una pronunzia di accoglimento  da  parte  di
 questa  Corte,  motiva  la non manifesta infondatezza della questione
 osservando che l'affidamento preadottivo di un  minore  costituirebbe
 l'esercizio di una facolta' inerente ai diritti garantiti dalle norme
 costituzionali   invocate,   si'   che   sarebbe   costituzionalmente
 ingiustificato  negare  all'assenza  dal lavoro accordata per rendere
 possibile detto esercizio  il  medesimo  trattamento  concesso  dalla
 legge all'assenza dal lavoro per malattia o infortunio.
    Si  e'  costituito  in  giudizio l'INAM, il quale, sottolineata la
 lacunosita' della motivazione dell'ordinanza di rimessione sulla  non
 manifesta  infondatezza  della  questione, nega comunque il contrasto
 della norma impugnata con l'art. 3 Cost., poiche' la situazione della
 gestante  che  si  assenti  dal  lavoro per malattia o infortunio non
 sarebbe equiparabile a quella di colei che si assenti per accudire  a
 un  minore  in affidamento preadottivo: infatti, argomenta, la prima,
 "deve" assentarsi, essendo impossibilitata fisicamente a prestare  la
 propria  attivita'  lavorativa,  mentre la seconda "vuole" assentarsi
 perche', "pur potendo lavorare benissimo, preferisce rimanere a  casa
 per  sopperire meglio a certe esigenze familiari". Non chiaro sarebbe
 inoltre il profilo di contrasto con l'art.  31  Cost.  posto  che  la
 tutela  dettata  dalla  norma  impugnata,  pur  non  essendo priva di
 inevitabili lacune, concilierebbe al meglio le esigenze  della  donna
 quale  lavoratrice  e  quale  madre;  ne'  si  potrebbe, per analoghe
 ragioni, fondatamente prospettare la violazione dell'art.  37,  primo
 comma, Cost.
    Il  Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto in giudizio
 a  mezzo  dell'Avvocatura  Generale   dello   Stato,   conclude   per
 l'infondatezza  della  questione, atteso che, in presenza di precetti
 costituzionali generici quali gli artt. 31 e 37, sarebbe  rimessa  al
 legislatore ordinario predisporne i concreti istituti e le specifiche
 modalita' di attuazione, si' che i limiti posti dalla norma impugnata
 sarebbero  frutto  di scelte discrezionali non censurabili in sede di
 giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  essendo  non  priva   di
 ragionevolezza   l'esclusione   dal  diritto  all'indennita'  per  la
 lavoratrice che si assenti volontariamente, anche se  legittimamente,
 dal  lavoro  per  un  periodo superiore ai sessanta giorni precedenti
 l'astensione obbligatoria.
    2.  - Con ordinanza del 1› luglio 1983 (r.o. n. 11/1984), la Corte
 di Cassazione, Sezione  Lavoro,  solleva  questione  di  legittimita'
 costituzionale - in riferimento agli artt. 3, primo comma, 30, primo,
 secondo e terzo comma, 31 e 37, primo comma Cost. - degli artt.  7  e
 15  della  l. 30 dicembre 1971, n. 1204, nella parte in cui escludono
 il  diritto  della  lavoratrice  che  abbia  ricevuto  un  minore  in
 affidamento provvisorio ex art. 314/6 c.c. ad assentarsi dal lavoro e
 a percepire la relativa indennita'.
   Il giudizio a quo e' originato dal ricorso dell'INAM (poi Ministero
 del Tesoro - Ufficio liquidazioni) avverso la sentenza del  Tribunale
 di  Milano  che  -  esclusa  l'applicabilita'  ratione temporis della
 sopravvenuta l. 9 dicembre 1977, n. 903  -  aveva  riconosciuto  tali
 diritti  a favore della lavoratrice sulla base di una interpretazione
 estensiva delle disposizioni della l. n. 1204 del 1971.
    L'autorita'  remittente  in  primo luogo nega, sulla scorta di una
 pronunzia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione,  intervenute
 per   dirimere   un   precedente   contrasto   giurisprudenziale,  la
 possibilita'  di   tale   applicazione   estensiva   all'ipotesi   di
 affidamento  provvisorio di minore ex art. 314/6 c.c., a motivo della
 particolare natura di urgenza e precarieta' di  quest'ultimo  che,  a
 differenza   dell'affidamento   preadottivo   e   dell'adozione,  non
 instaurerebbe, per la  lavoratrice,  una  situazione  equiparabile  a
 quella  della  madre  naturale. In secondo luogo, rileva che la legge
 n.1204 del 1971 e, in particolare, l'art. 7, secondo comma, avrebbero
 ad  oggetto  immediato  l'interesse del bambino e solo in funzione di
 questo interverrebbero nel regolamento del rapporto di  lavoro  della
 madre.
    Dalla  equiparabilita'  tra  madre adottiva e preadottiva, e madre
 naturale e dalla considerazione che l'interesse  del  bambino  riceve
 nella  l.  n. 1204 del 1971, seguirebbe, ad avviso del giudice a quo,
 la possibilita' di applicazione alle prime di tutte  le  disposizioni
 di quest'ultima non dirette alla sola tutela della donna ma altresi',
 o esclusivamente, a quella del bambino,  facendo  coincidere,  in  un
 processo  di  integrazione  logica  delle  medesime, il momento della
 nascita con quello dell'ingresso effettivo del minore nella  famiglia
 adottiva  (criterio poi seguito in linea di massima dall'art. 6 l. n.
 903 del 1977).
    La medesima applicazione estensiva pero' non sarebbe praticabile -
 sempre ad avviso della Suprema Corte -  nell'ipotesi  di  affidamento
 provvisorio  a norma dell'art. 314/6 c.c., nel quale mancherebbe quel
 supporto   giuridico   proprio   dell'adozione   e   dell'affidamento
 preadottivo,  poiche'  il relativo provvedimento non sarebbe idoneo a
 creare  un  nuovo  status  nel  bambino  e  neppure  ad   anticiparne
 durevolmente gli effetti, ne' a determinare nella persona affidataria
 una posizione giuridica caratterizzata dall'esistenza di specifici  e
 sanzionabili  doveri  per  il  cui  adempimento  tale  persona  possa
 avvalersi delle provvidenze apprestate dall'art.4, lett. c), 7, primo
 e secondo comma, e 15 della l. n. 1204 del 1971.
    Ma   proprio   tale   impossibilita'  di  applicazione  estensiva,
 enucleabile dal contesto delle norme richiamate, data  la  preminenza
 della  tutela  dell'interesse  del bambino ad una adeguata assistenza
 materiale e affettiva, determinerebbe una evidente discriminazione  a
 danno  del  minore  che,  pur  trovandosi nella stessa necessita', si
 differenzi dagli altri sol perche' ancora  mancante  di  un  adeguato
 status  giuridico, in violazione sia dell'art. 3, primo comma, Cost.,
 sia delle norme costituzionali di tutela dei diritti  del  minore  al
 mantenimento  e all'educazione (art. 30), di protezione dell'infanzia
 e della famiglia (art. 31) e  del  principio  in  base  al  quale  le
 condizioni  del  lavoro  debbono  consentire  alla  donna lavoratrice
 l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare al
 bambino una adeguata protezione (art.37, primo comma).
    Di  qui,  la  proposta  questione  di  legittimita' costituzionale
 limitatamente alle disposizioni applicabili al caso concreto e  cioe'
 a quelle sull'assenza facoltativa dal lavoro (art. 7, primo e secondo
 comma) e relativa indennita' (art. 15), questione  che  conserverebbe
 la sua rilevanza, attesa la non retroattivita' della successiva l. n.
 184 del 1983, che ha dettato una  nuova  disciplina  dell'affidamento
 familiare,  tra  l'altro  estendendo  (art.  80)  a  tale  ipotesi le
 disposizioni della l. n. 1204 del  1971  sulle  assenze  dal  lavoro,
 obbligatorie o facoltative, e sulle connesse indennita'.
    Nel   giudizio   davanti  a  questa  Corte  si  e'  costituita  la
 lavoratrice interessata, chiedendo, sulla base  delle  argomentazioni
 dell'ordinanza  di  rimessione,  una  declaratoria  di illegittimita'
 costituzionale. Nella memoria depositata in prossimita' dell'udienza,
 sottolinea il rilievo, attribuito dalla legge del 1971, all'interesse
 del minore, richiamando a tal fine la sentenza di questa Corte  n.  1
 del 1987.
    3.  -  Con  ordinanza  del  24 gennaio 1985 (r.o. n. 627/1985), la
 Corte di Cassazione,  Sezioni  Unite  Civili,  solleva  questione  di
 legittimita'  costituzionale  - in riferimento agli artt. 3, 30, 31 e
 37 Cost. - degli artt. 4, primo comma, lett. c) e  12,  in  relazione
 agli  artt.  2  e  7, della l. 30 dicembre 1971, n. 1204, poiche' non
 consentirebbero  di  riconoscere   alla   lavoratrice   titolare   di
 affidamento   preadottivo   di   minore   il  diritto  all'astensione
 obbligatoria dal lavoro  (art.  4,  primo  comma,  lett.  c)  e  alle
 indennita' in caso di dimissioni volontarie (art.12) rese nel periodo
 coperto dal divieto di licenziamento (art. 2).
    Le  Sezioni  Unite, sono state investite del ricorso del datore di
 lavoro - avverso la sentenza del Tribunale di Genova che tali diritti
 aveva  riconosciuto  -  a  motivo  del  contrasto tra pronunzie della
 Sezione Lavoro sul punto della  spettanza  o  meno  alle  lavoratrici
 adottive  o affidatarie in preadozione della astensione obbligatoria.
   Esclusa  la possibilita' di applicare al caso la sopravvenuta l. n.
 903 del 1977, la Suprema Corte nega la possibilita' di  applicare  la
 norma  sulla  astensione  obbligatoria  post  partum  alle ipotesi di
 maternita'  legale,  in  primo  luogo  perche'   l'incertezza   sulla
 identificazione  del  termine  di decorrenza dei tre mesi (la nascita
 del bambino, o il suo ingresso nella famiglia adottiva) non  potrebbe
 sciogliersi  in  sede  di  interpretazione  estensiva o analogica; in
 secondo luogo perche' l'estensione della norma alla madre adottiva  o
 affidataria in preadozione urterebbe contro la ratio della l. n. 1204
 del 1971 intesa inequivocabilmente a tutelare, in modo tassativo,  la
 sola maternita' biologica, con esclusione implicita di quella legale,
 poi presa in considerazione dalla l. n. 903 del 1977.
    Analoghe   ragioni  indurrebbero  ad  escludere  l'estensione  del
 trattamento previsto per le dimissioni volontarie, essendo  contraria
 alla ratio legis ed esorbitando dai limiti della mera interpretazione
 l'individuazione del relativo periodo di  riferimento  (se  cioe'  si
 tratti  del primo anno di vita del bambino ovvero del primo anno dopo
 il suo ingresso nella famiglia adottiva).
    Dalla   inidoneita'   delle   norme   in   esame  a  garantire  il
 soddisfacimento dei diritti rivendicati dalla lavoratrice, seguirebbe
 la  rilevanza  della  relativa  questione  di  costituzionalita'  nel
 giudizio a quo.
    In punto di non manifesta infondatezza della questione, la Suprema
 Corte osserva che il rapporto di adozione speciale sarebbe del  tutto
 equiparato  dalla  legge a quello di filiazione naturale e che, a sua
 volta, l'affidamento preadottivo, in quanto  prodromico  all'adozione
 speciale, sarebbe equiparato a quest'ultima.
    Inoltre,  le  norme  censurate  sarebbero poste nell'interesse non
 solo della madre, ma anche del bambino  nel  delicato  periodo  dell'
 "ammaternamento"  nel  quale il bambino stesso (e segnatamente quello
 che si sia trovato in stato  di  abbandono)  avrebbe  un  particolare
 bisogno  di  assistenza  materiale  ed  affettiva:  di  qui la palese
 disparita' di trattamento, contraria all'art. 3 Cost., in  danno  del
 bambino  adottato  o  in  affidamento  preadottivo, rispetto a quello
 generato, malgrado la giuridica parificazione delle  loro  posizioni.
 Tale  discriminazione  sarebbe altresi' lesiva del diritto del minore
 al mantenimento e all'educazione (art. 30,  primo,  secondo  e  terzo
 comma  Cost.), del principio generale di tutela dell'infanzia e della
 famiglia (art. 31 Cost.), e di quello in base al quale le  condizioni
 di  lavoro  debbono  consentire  alla donna lavoratrice l'adempimento
 della sua essenziale funzione familiare e assicurare al  bambino  una
 speciale adeguata protezione (art. 37, secondo comma, Cost.).
    In  definitiva,  le norme costituzionali, anche alla stregua della
 disciplina legislativa ordinaria dell'adozione,  non  consentirebbero
 di  distinguere,  in forza dell'art. 3, fra figlio di sangue e figlio
 adottivo, ogni qual volta sia in questione, alla luce degli artt. 30,
 31 e 37 Cost., l'interesse del bambino all'assistenza materna: di qui
 l'illegittimita' della normativa che non riconosce anche  alla  madre
 adottiva il diritto alle assenze dal lavoro necessarie per provvedere
 alle esigenze del bambino, per il periodo antecedente alla l. n.  903
 del  1977,  e delle disposizioni che servono a rendere effettiva tale
 tutela, a tutt'oggi.
    Nel  giudizio  dinanzi a questa Corte le parti private non si sono
 costituite ne' ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei
 ministri.
                         Considerato in diritto
    1.   -  Le  questioni  sollevate  dalle  ordinanze  di  rimessione
 riguardano tutte l'estensibilita' - per il periodo precedente ai piu'
 recenti   e   appositi  interventi  legislativi  -  di  alcune  delle
 provvidenze previste dalla l. n. 1204 del  1971  ad  ipotesi  diverse
 dalla maternita' naturale: i relativi giudizi possono pertanto essere
 riuniti e decisi con unica sentenza.
    2.1.  -  Il Pretore di Pistoia, con l'ordinanza emessa il 25 marzo
 1980 (r.o. n. 359/1980) ha impugnato il secondo  comma  dell'art.  17
 della  legge  30  dicembre 1971, n. 1204. Questa disposizione prevede
 che le lavoratrici gestanti che all'inizio del periodo di  astensione
 obbligatoria  dal lavoro (intercedente tra il secondo mese precedente
 la data del parto e il compimento del terzo mese successivo a questo)
 si  trovino  sospese,  assenti  dal  lavoro senza retribuzione ovvero
 disoccupate, siano ammesse al godimento  dell'indennita'  giornaliera
 di maternita' purche' tra l'inizio della sospensione, della assenza o
 della  disoccupazione  e   l'inizio   del   periodo   di   astensione
 obbligatoria  non  siano decorsi piu' di sessanta giorni. Aggiunge il
 comma impugnato che, ai fini del computo di quest'ultimo termine, non
 si  tiene  conto  delle  assenze  dovute  a  malattia e ad infortunio
 accertate  e  riconosciute  dagli   enti   gestori   delle   relative
 assicurazioni sociali.
    Come  esposto  in  narrativa,  nel  caso  sottoposto all'esame del
 giudice remittente, alla data di inizio  del  periodo  di  astensione
 obbligatoria  la  lavoratrice  ricorrente  era  assente  dal  lavoro:
 l'assenza era in corso da tempo, e si era protratta  per  un  periodo
 che,  a  quella data, risultava essere piu' ampio di sessanta giorni.
 Una parte notevole - e comunque decisiva  ai  fini  del  computo  dei
 sessanta  giorni  - del periodo di assenza era dovuta al fatto che la
 lavoratrice aveva fruito di una licenza straordinaria - prevista  dal
 contratto  collettivo  nazionale  di  categoria - per provvedere alla
 cura e all'assistenza di una bambina che le  era  stata  affidata  in
 preadozione.
   Non potendosi, ad avviso del giudice a quo, attribuire tale assenza
 - neppure in  via  di  interpretazione  analogica  o  estensiva  -  a
 malattia  o infortunio, e non potendosi quindi dedurre dal termine di
 legge il periodo di licenza straordinaria, alla lavoratrice, ai sensi
 della disposizione impugnata, non poteva riconoscersi il diritto alla
 indennita' giornaliera relativa alla nuova maternita'.
    In  relazione  a tali premesse lo stesso giudice formula il dubbio
 che l'art. 17, secondo comma, limitando il diritto all'indennita'  di
 maternita'  con  l'escludere la possibilita' di scomputo dai sessanta
 giorni  dell'assenza  attribuibile  ad  affidamento  preadottivo   di
 minore,  confligga  con  gli  artt.  3, 31 e 37 della Costituzione in
 quanto non vi sarebbe plausibile ragione per un diverso trattamento -
 ai  fini  del calcolo del termine di legge e delle relative deduzioni
 consentite - dell'assenza necessaria per adempiere ai doveri connessi
 all'affidamento  preadottivo  rispetto  a quella dovuta a malattia od
 infortunio: tale affidamento infatti costituirebbe l'esercizio di una
 facolta'   inerente  ai  diritti  garantiti  dalle  richiamate  norme
 costituzionali,  posti   a   fondamento   della   stessa   previsione
 legislativa dell'istituto dell'indennita'.
    2.2. - La questione e' fondata.
    Questa  Corte,  con la sentenza n. 106 del 1980 ha gia' dichiarato
 costituzionalmente illegittimo il secondo comma  dell'art.  17  della
 legge  n. 1204 del 1971, nella parte in cui non escludeva dal computo
 dei sessanta giorni immediatamente antecedenti all'inizio del periodo
 di  astensione  obbligatoria  dal  lavoro  l'assenza  facoltativa non
 retribuita di cui la lavoratrice gestante avesse fruito in seguito ad
 una  precedente  maternita'  ai  sensi  dell'art.  7, primo e secondo
 comma, della stessa legge. A tenore di tale  sentenza  detta  assenza
 facoltativa,  costituendo  l'esercizio  di  un  diritto connesso alla
 speciale situazione della madre e  dell'infante  nei  primi  anni  di
 vita,  non  puo'  essere  assimilata  alle altre assenze di carattere
 volontario,  estranee  alle  esigenze   proprie   della   maternita'.
 Pertanto,  la mancata considerazione di tale situazione ai fini della
 esclusione del calcolo  dell'assenza  dai  sessanta  giorni  "integra
 indubbiamente una irrazionale discriminazione e penalizzazione per la
 lavoratrice  madre  in  palese  contraddizione   con   le   finalita'
 perseguite  dall'art.  7 della stessa legge mediante l'istituto della
 astensione  o  assenza  facoltativa  e  confligge  con   i   principi
 costituzionali  sia  sotto il profilo della ingiustificata disparita'
 di trattamento rispetto alle altre ipotesi in cui l'art. 17 riconosce
 il  diritto  all'indennita'  di  maternita',  sia  in  relazione alla
 speciale adeguata protezione che  l'art.  37  vuole  assicurata  alla
 madre e al bambino".
    2.3. - Le medesime considerazioni valgono a pieno titolo anche per
 il caso in cui la mancata esclusione dal computo dei sessanta  giorni
 si  riferisca  alle  assenze  per  la  cura  di un minore affidato in
 preadozione alla  lavoratrice,  oltre  che  -  come  nel  caso  della
 sentenza n.106 del 1980 - per la cura di un bambino da essa generato.
    Infatti,  gia' con riferimento al periodo anteriore all'entrata in
 vigore della legge n. 903  del  1977,  la  giurisprudenza  prevalente
 aveva  rilevato  come  numerose  disposizioni della legge n. 1204 del
 1971 avessero di mira l'interesse del bambino e solo in  funzione  di
 questo  intervenissero  nel  regolamento del rapporto di lavoro della
 madre; la stessa giurisprudenza poneva in rilievo, d'altra parte,  la
 somiglianza  dei  rapporti  con  l'infante per le madri naturali, per
 quelle adottive e per quelle  titolari  di  affidamento  preadottivo,
 tutte  assumendo o dovendo assumere, agli occhi della legge, il ruolo
 di madre: e cio' al di la' della diversita' delle  opinioni  relative
 alla  possibilita'  di  operare,  con  lo  strumento  interpretativo,
 l'estensione degli istituti previsti dalla legge stessa alle  ipotesi
 diverse dalla maternita' naturale.
    Successivamente, la legge 9 dicembre 1977, n. 903 ha equiparato ai
 fini del conseguimento di quasi tutti i benefici previsti dalla legge
 n.  1204 del 1971 - le lavoratrici che abbiano adottato bambini o che
 li abbiano ottenuti in affidamento preadottivo alle lavoratrici madri
 naturali  (art. 6). Anche se irretroattiva - e quindi non applicabile
 al caso oggetto del giudizio principale - la legge n. 903 del 1977 ha
 sottolineato in modo ancor piu' netto che le finalita' degli istituti
 realizzati dalla legge n. 1204 andavano soprattutto  ravvisate  nella
 tutela  dell'interesse del minore, a prescindere dal fatto che questi
 fosse figlio generato o adottivo, o affidato in preadozione.
    L'essenziale  rilievo  di  tale interesse, nel complessivo disegno
 risultante da queste due leggi, e'  stato  riconosciuto  anche  dalla
 sentenza  n.  1  del 1987 di questa Corte, che ha messo in risalto il
 valore centrale del rapporto madre - bambino, visto sotto il  profilo
 della  assidua  partecipazione  della  prima  allo  sviluppo fisico e
 psichico del secondo, sia questo da essa generato, oppure adottato.
    2.4.  - Cio' premesso, appaiono evidenti le ragioni che inducono a
 ritenere  la  norma  impugnata  non  rispettosa  delle   disposizioni
 costituzionali   invocate.   Questa  norma  infatti,  irrazionalmente
 assimila alle  ipotesi  di  assenza  volontaria,  non  connessa  alle
 esigenze  di  assistenza  e  cura  del  minore,  l'assenza  di cui la
 lavoratrice abbia fruito per accudire ad  un  bambino  affidatole  in
 preadozione.   In   questo   modo   sottopone  tale  assenza  ad  una
 ingiustificata diversita' di trattamento rispetto a quelle che, anche
 in  conseguenza  della  richiamata  sentenza n.106 del 1980 di questa
 Corte, la norma stessa esclude dal calcolo  del  periodo  massimo  di
 sessanta  giorni  consentito  per poter usufruire, in coincidenza con
 l'astensione obbligatoria dal  lavoro  per  nuova  maternita',  della
 relativa indennita' giornaliera. E cio' in contrasto con il principio
 costituzionale di eguaglianza e le garanzie di tutela degli interessi
 del  minore, della famiglia e della maternita' assicurate dagli artt.
 31 e 37 Cost.
    3.1.  -  La  questione  sollevata  dalla  ordinanza della Corte di
 Cassazione 1› luglio 1983 (r.o. 11/1984) riguarda gli articoli 7 e 15
 della   legge  30  dicembre  1971,  n.  1204,  nella  parte  in  cui,
 attribuendo  alle  lavoratrici  madri  il   diritto   di   assentarsi
 facoltativamente   dal   lavoro,  con  la  relativa  indennita',  non
 contemplano anche le lavoratrici alle  quali  il  bambino  sia  stato
 affidato provvisoriamente ai sensi dell'art. 314/6 c.c.
    Ad  avviso  della  Suprema  Corte, confortato dalla giurisprudenza
 delle Sezioni Unite, la provvidenza in questione  -  per  il  periodo
 anteriore  all'entrata  in vigore della l. n. 903 del 1977, nel quale
 ricade il caso  oggetto  del  giudizio  principale  -  potrebbe,  con
 procedimento  interpretativo logico-sistematico, ritenersi assicurata
 anche alle lavoratrici adottive o affidatarie in preadozione, ma  non
 potrebbe  estendersi,  con  il  solo  ausilio ermeneutico, anche alle
 lavoratrici titolari di affidamento provvisorio ex art.  314/6  c.c.,
 attesa  la  particolare funzione di quest'ultimo; ne', d'altra parte,
 il caso controverso potrebbe trovare soluzione  facendo  applicazione
 dell'art.  80  della  l.  4 maggio 1983, n. 184, che ha espressamente
 riconosciuto questo  beneficio  a  favore  dei  soggetti  affidatari,
 trattandosi   palesemente   di  una  disciplina  priva  di  efficacia
 retroattiva.
    Di  conseguenza,  il  giudice  remittente prospetta, d'ufficio, il
 dubbio che la norma impugnata sia costituzionalmente illegittima,  in
 quanto,  nel disciplinare un istituto volto a provvedere alla diretta
 tutela del bambino in un periodo in cui  ha  particolare  bisogno  di
 cura  materiale  ed affettiva, assoggetta - nella medesima situazione
 di necessita' - i minori affidati ai sensi dell'art. 314/6 c.c. ad un
 trattamento deteriore rispetto ai figli naturali od adottivi, negando
 solo ad essi la possibilita' di avvalersi di una adeguata presenza ed
 assistenza   della   lavoratrice  affidataria,  impossibilitata  -  a
 differenza  delle  madri  naturali  od  adottive  -   ad   assentarsi
 facoltativamente  dal  lavoro,  percependo  la relativa indennita'. E
 cio' in violazione non solo del principio di  eguaglianza,  ma  anche
 delle  norme  costituzionali  che  prescrivono  che  si  provveda  al
 mantenimento, istruzione ed educazione del minore anche nel  caso  di
 incapacita'   dei  genitori  (art.  30),  che  assicurano  la  tutela
 dell'infanzia e della famiglia (art. 31) e che  stabiliscono  che  le
 condizioni  di  lavoro della donna debbono consentirle di svolgere la
 sua essenziale  funzione  familiare  ed  assicurare  al  bambino  una
 adeguata protezione (art. 37).
    3.2.  -  L'art. 314/6 c.c. - introdotto con la legge sull'adozione
 n. 431 del 1967 - dispone che il Tribunale, nel caso di  segnalazione
 o  di  rapporto su situazioni di abbandono dei bambini, puo' ordinare
 il ricovero del minore in  istituto  idoneo  e  disporre  ogni  altro
 opportuno  provvedimento  temporaneo  nell'interesse  di  costui, ivi
 compresa, occorrendo, la sospensione della potesta' dei genitori.
    In  sede  di attuazione, il ricovero e' stato disposto soprattutto
 presso famiglie: e la prassi e' stata recepita dalla legge  4  maggio
 1983,  n.184  che,  all'art.  2,  privilegia  l'affidamento familiare
 rispetto al ricovero in  istituti  di  assistenza,  considerato  come
 ipotesi  limite,  ove  difetti  la possibilita' dell'affidamento alle
 famiglie.
    La  dottrina  e  la giurisprudenza hanno sottolineato il carattere
 temporaneo dell'affidamento provvisorio di cui all'art. 314/6/ c.c. e
 la  sua  funzione essenzialmente cautelare. L'ordinanza di rimessione
 mette in luce la sostanziale diversita' di tale affidamento  rispetto
 a  quello  preadottivo:  a  differenza di quest'ultimo, infatti, esso
 prescinde dalla dichiarazione di adottabilita', non instaura una fase
 prodromica della adozione, non attribuisce un nuovo status al bambino
 e neppure ne anticipa durevolmente gli effetti.
    Cio'  premesso,  non  vi e' dubbio che l'istituto dell'affidamento
 provvisorio abbia svolto - al di la' di ogni discussione sul modo  in
 cui  in concreto vi si e' fatto ricorso - in misura crescente una sua
 peculiare funzione sino ad indurre il legislatore a dare ad esso  una
 rinnovata  e  organica  disciplina  con  la  legge  n.  184 del 1983.
 Nell'affidamento provvisorio assume infatti predominante  rilievo  la
 situazione  concreta del bambino che si trova in una condizione - sia
 pur transitoria - di abbandono, cui corrispondono, per l'affidatario,
 particolari  doveri  di cura e di assistenza, indipendentemente dagli
 sviluppi  che  l'affidamento  potra'  assumere  in   funzione   della
 costituzione  di  un  rapporto  preadottivo.  La transitorieta' della
 situazione e  la  incertezza  dei  suoi  esiti,  anziche'  attenuare,
 accrescono  le  esigenze  di  protezione  del  minore.  L'affidamento
 provvisorio determina percio' in ogni caso tra il minore  medesimo  e
 il  soggetto  affidatario  un  rapporto  degno  di tutela, tanto che,
 secondo un consistente orientamento giurisprudenziale, il periodo  di
 affidamento provvisorio sarebbe cumulabile col periodo di affidamento
 preadottivo ai fini del computo della durata di quest'ultimo.
    Da   tali   considerazioni,   e  dalla  ricordata  tendenza  della
 legislazione e della giurisprudenza di questa  Corte  ad  attribuire,
 sulla  scorta di chiari indirizzi costituzionali, rilievo crescente e
 centrale alla tutela dell'interesse dell'infante, discende l'evidente
 inammissibilita',  alla  luce  delle  norme  costituzionali invocate,
 della diversa considerazione dell'interesse del bambino in  relazione
 al  suo status giuridico, nonche' l'impossibilita' di ritenere che la
 provvisorieta'  dell'affidamento  possa  giustificare  la  esclusione
 della  operativita'  di  istituti  che  -  consentendo  una  maggiore
 presenza  e  attenzione  del  soggetto  affidatario  -   sono   volti
 essenzialmente,  quando  non esclusivamente, ad agevolare il processo
 di sviluppo anche relazionale ed affettivo del  bambino,  soprattutto
 in    situazioni    particolarmente   delicate,   quale   e'   quella
 dell'affidamento provvisorio.
    Cio',  del  resto,  e' stato riconosciuto dallo stesso legislatore
 che, con l'art. 80 della ripetuta legge 4 maggio  1983,  n.  184,  ha
 esteso  ai  soggetti  affidatari  (madre  o padre) le misure previste
 dagli artt. 6 e 7 della legge n. 903 del 1977 e quindi i benefici  di
 cui agli artt. 4, 7 e 15 della legge n. 1204 del 1971.
    La questione sollevata dall'ordinanza della Corte di Cassazione e'
 fondata. La pronunzia di incostituzionalita',  anche  se  l'incidente
 riguarda  l'intero  art. 7, deve pero' essere limitata al primo comma
 di detto articolo, in quanto oggetto del giudizio  principale  e'  la
 richiesta  della  lavoratrice  di  vedersi  riconosciuto  soltanto il
 diritto alla astensione facoltativa di cui a  tale  comma  e  non  il
 diritto alla assenza per la malattia del bambino di cui al successivo
 secondo comma: la  questione  relativa  a  quest'ultimo  e'  pertanto
 inammissibile.
    Tenendo   altresi'   conto   della  specificita'  dell'affidamento
 provvisorio rispetto alla filiazione naturale per quanto  attiene  al
 periodo   entro   il   quale   e'  possibile  avvalersi  dell'assenza
 facoltativa, il primo comma dell'art. 7 della legge n. 1204 del  1971
 va  dichiarato  costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non
 prevede  che  il  diritto  della  lavoratrice  madre  ad   assentarsi
 facoltativamente  dal lavoro spetti altresi' alla lavoratrice cui sia
 stato affidato provvisoriamente un bambino ai sensi  dell'art.  314/6
 c.c.  entro  un  anno  dall'effettivo  ingresso di lui nella famiglia
 affidataria.
    Nella  medesima  dichiarazione di illegittimita' costituzionale e'
 coinvolto pure l'art. 15, secondo  comma,  impugnato,  poiche'  dalla
 estensione  alle  lavoratrici titolari di affidamento provvisorio del
 diritto di cui all'art.  7,  primo  comma,  consegue  automaticamente
 l'estensione,   a   favore   delle  medesime,  del  connesso  diritto
 all'indennita' giornaliera.
    4.1.  -  Considerazioni  in  buona  parte analoghe a quelle svolte
 relativamente alle questioni sopra  esaminate,  inducono  a  ritenere
 fondata  anche  la  questione  di  costituzionalita'  sollevata dalle
 Sezioni Unite della Corte di Cassazione con l'ordinanza emessa il  24
 gennaio 1985 (r.o. 627/1985).
    Fondati   debbono   infatti   essere   ritenuti   i   dubbi  sulla
 costituzionalita' dell'art. 4, primo comma, lett. c) e  dell'art.  12
 della  legge  30  dicembre  1971,  n.  1204  nella  parte  in cui non
 riconoscono alla lavoratrice affidataria in  preadozione  il  diritto
 all'astensione obbligatoria dal lavoro e alla corresponsione, in caso
 di dimissioni  presentate  durante  tale  periodo,  delle  indennita'
 dovute  nel  caso  di  licenziamento:  diritti che le norme impugnate
 prevedono solo a favore della madre naturale.
    Come  afferma  il  giudice  remittente,  una  volta escluso che si
 possano estendere in via interpretativa alle lavoratrici  adottive  o
 affidatarie  in  preadozione  gli  istituti disciplinati dalle citate
 norme, queste risultano chiaramente confliggenti con gli artt. 3, 30,
 31 e 37, della Costituzione.
    Va  peraltro  precisato  che  la  questione,  nei limiti della sua
 rilevanza,  deve  essere  circoscritta,  nonostante  i   ripetuti   e
 congiunti riferimenti dell'ordinanza di rimessione all'adozione, alla
 sola ipotesi dell'affidamento preadottivo.
    4.2.   -   Per   quanto   specificatamente  riguarda  l'astensione
 obbligatoria,  prevista  dall'art.  4,  primo  comma,  lett.  c),  va
 ribadito  che  essa  -  secondo la ricordata giurisprudenza di questa
 Corte (sent. 1/1987) - oltre ad essere volta  a  tutelare  la  salute
 della donna nel periodo immediatamente successivo al parto, considera
 e protegge anche il rapporto che, in tale periodo, necessariamente si
 svolge  tra  madre  e  figlio,  anche in riferimento alle esigenze di
 carattere relazionale ed affettivo che sono collegate  allo  sviluppo
 della   personalita'   del   bambino.   Questa  natura  dell'istituto
 dell'astensione  obbligatoria  post  partum,  gia'   rilevata   dalla
 giurisprudenza  ordinaria  antecedente  alla  l.  n. 903 del 1977, ha
 trovato ulteriore  conferma  nell'art.  6  di  quest'ultima,  che  ha
 attribuito  il diritto di avvalersene anche alle lavoratrici adottive
 o affidatarie in preadozione - con soluzioni che si riferiscono  alla
 particolarita'  del rapporto adottivo o preadottivo - nell'attuazione
 della ricordata tendenza alla equiparazione, in vista  dell'interesse
 del  bambino,  del  rapporto  di  adozione, e quindi dell'affidamento
 preadottivo prodromico dell'adozione, alla filiazione naturale.
    In   relazione   a  tali  premesse,  e'  evidente  il  difetto  di
 razionalita' del diverso trattamento che l'art. 4, primo comma, lett.
 c)  - per il periodo antecedente alla legge n. 903 del 1977 - riserva
 ai bambini  affidati  in  preadozione  rispetto  ai  figli  naturali,
 privando  i  primi  della  assidua presenza materna (o paterna) in un
 momento decisivo per lo sviluppo della loro  personalita',  garantita
 invece, in analoga situazione, ai secondi.
    Ne  consegue la incostituzionalita' della norma impugnata non solo
 con riferimento all'art. 3 Cost., ma anche,  per  le  stesse  ragioni
 enunziate sub 3.2. a proposito della incostituzionalita' dell'art. 7,
 primo comma, della stessa legge,  degli  artt.  30,  31  e  37  della
 Costituzione.
    L'art.  4,  primo comma, lett. c) della legge 30 dicembre 1971, n.
 1204 deve essere percio'  dichiarato  costituzionalmente  illegittimo
 nella  parte  in  cui  non  prevede  che  l'istituto della astensione
 obbligatoria e  della  relativa  indennita'  giornaliera  sia  esteso
 all'affidamento    preadottivo.    In    ordine   alla   operativita'
 dell'istituto e ai relativi termini, la specificita' della situazione
 connessa all'affidamento preadottivo richiede che concerna i tre mesi
 successivi  all'effettivo  ingresso  del   bambino   nella   famiglia
 affidataria.
    4.2.  -  L'art.  12 della legge n. 1204 del 1971 stabilisce che la
 lavoratrice  che  ha  presentato  dimissioni  volontarie  durante  il
 periodo  per  cui  e'  previsto,  a  norma  del precedente art. 2, il
 divieto di licenziamento, ha  diritto  alla  indennita'  prevista  da
 disposizioni  di  legge  o contrattuali per il caso di licenziamento.
 L'art. 2 dispone - al primo comma - che le  lavoratrici  non  possono
 essere  licenziate  dall'inizio  del  periodo  di  gestazione fino al
 termine del periodo di interdizione dal lavoro previsto  dall'art.  4
 della legge stessa, nonche' fino al compimento di un anno di eta' del
 bambino (divieto che non si applica nei casi previsti dal terzo comma
 dello stesso articolo).
    L'art.  12  tende  a  contenere - in caso di dimissioni volontarie
 della lavoratrice madre - il danno che le deriverebbe dalla scelta di
 lasciare il posto di lavoro per occuparsi esclusivamente del bambino,
 assicurandole, in tal caso, lo stesso trattamento  di  fine  rapporto
 previsto per il licenziamento.
    Dalle  ragioni  gia'  esposte  e  dalle conseguenze che se ne sono
 tratte  in  ordine   alla   estensione   dell'istituto   dell'assenza
 obbligatoria  alle  lavoratrici  affidatarie in preadozione, discende
 altresi' la illegittimita' costituzionale dell'art. 12,  nella  parte
 in  cui  non  prevede  per queste ultime il diritto all'indennita' di
 fine rapporto nel caso di dimissioni volontarie presentate durante il
 periodo  in  cui - a norma dell'art. 2 - e' vietato il licenziamento.
 Le stesse ragioni di tutela del posto di lavoro della  madre  durante
 il periodo corrispondente alle fasi iniziali del rapporto col bambino
 debbono valere, infatti, sia nel caso di filiazione naturale, sia  in
 quello  di  affidamento  preadottivo,  e,  di  conseguenza,  identica
 disciplina, sotto il profilo economico, deve essere prevista nel caso
 in  cui  la  madre intenda dimettersi, nel corso di tale periodo, per
 meglio accudire al minore.  Adattando  altresi'  alla  particolarita'
 delle  situazioni  relative  al  rapporto  preadottivo il riferimento
 all'art. 2, l'art. 12 della  legge  30  dicembre  1971,  n.  1204  va
 dichiarato  costituzionalmente  illegittimo  nella  parte  in cui non
 prevede che il diritto della lavoratrice a  percepire,  nel  caso  di
 dimissioni  volontarie  presentate  durante  il periodo di divieto di
 licenziamento, le indennita' stabilite da disposizioni legislative  e
 contrattuali  in  caso  di licenziamento, sia riconosciuto anche alla
 lavoratrice  affidataria  in  preadozione  che  abbia  presentato  le
 dimissioni  entro  un  anno dall'effettivo ingresso del bambino nella
 famiglia affidataria.