ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 28 della legge
 2 dicembre 1975, n. 576  (Disposizioni  in  materia  di  imposte  sui
 redditi  e  sulle  successioni)  e dell'art. 1 del d.P.R. 23 dicembre
 1975, n. 683 (Disposizioni integrative e  correttive  del  d.P.R.  29
 settembre  1973,  n.  597,  e successive modificazioni), promosso con
 ordinanza emessa il 3 novembre 1981 dalla Corte d'appello di  Milano,
 nel  procedimento  civile  vertente  tra  la  s.p.a.  Banca  agricola
 milanese e l'Amministrazione delle finanze dello Stato,  iscritta  al
 n.  32  del  registro  ordinanze  1982  e  pubblicata  nella Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 129 dell'anno 1982;
    Visto  l'atto di costituzione della s.p.a. Banca agricola milanese
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  1988  il  Giudice
 relatore Francesco Saja;
    Uditi  l'avv.  Victor  Uckmar  per  la  Banca  agricola milanese e
 l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del  Consiglio
 dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    Nel  corso di un procedimento iniziato dalla s.p.a. Banca agricola
 milanese ed avente per oggetto la determinazione ai  fini  irpeg  del
 reddito  conseguito  nel  1975, in esercizio di durata corrispondente
 all'anno solare, la Corte di appello di Milano con  ordinanza  del  3
 novembre  1981  (reg.  ord. n. 32 del 1982) sollevava, in riferimento
 agli artt. 3 e 53 Cost.,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  28  l.  2 dicembre 1975 n. 576 che, per la deduzione degli
 interessi passivi dal reddito  lordo  d'impresa,  stabilisce  criteri
 piu'  restrittivi  di quelli gia' previsti dall'art. 58, primo comma,
 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 597,  con  decorrenza  dell'esercizio  in
 corso  alla  data di entrata in vigore della stessa legge (5 dicembre
 1975).
    Con  la  stessa  ordinanza  la  Corte  impugnava altresi' l'art. 1
 d.P.R. 23 dicembre 1975 n. 683, il  quale,  per  la  deduzione  degli
 accantonamenti  per  rischi  su  crediti dal reddito lordo d'impresa,
 stabiliva criteri piu' restrittivi di quelli gia' previsti  dall'art.
 66,  primo  comma, d.P.R. n. 597 del 1973, con decorrenza dal periodo
 d'imposta in corso all'entrata in vigore  dello  stesso  decreto  (30
 dicembre 1975).
    Il  collegio  rimettente  dubitava  della  conformita' delle norme
 impugnate ai principi di eguaglianza e di capacita' contributiva,  in
 quanto esse:
       A)  determinavano  un'ingiustificata  disparita' di trattamento
 tra soggetti che avessero chiuso il bilancio entro il 4 dicembre 1975
 (per  gli  interessi  passivi),  o  il  29  dicembre  1975  (per  gli
 accantonamenti) ed i soggetti che lo avessero chiuso  successivamente
 e cosi' fossero colpiti dalle meno favorevoli disposizioni impugnate;
       B)  determinavano  un'ingiustificata  disparita' di trattamento
 tra i soggetti che nel 1974 avessero subito perdite  derivanti  dalla
 deduzione  di  interessi  passivi o dall'accantonamento suddetto, nei
 confronti dei quali operavano le nuove, censurate, norme restrittive,
 e  soggetti che nel 1974 avevano avuto utili, nei confronti dei quali
 le norme censurate non operavano, in mancanza di perdite da detrarre.
    La  Presidenza  del  Consiglio dei ministri, intervenuta, chiedeva
 dichiararsi la non fondatezza della questione, richiesta ripetuta  in
 una memoria depositata in prossimita' dell'udienza.
    Si  costituiva  la  s.p.a.  Banca agricola milanese, sostenendo le
 argomentazioni contenute nell'ordinanza di rimessione.
                         Considerato in diritto
    Come  gia' accennato in narrativa, la Corte d'appello di Milano ha
 sollevato, in riferimento agli artt.  3  e  53  Cost.,  questioni  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  28 l. 2 dicembre 1975 n. 576
 che, per la deduzione  degli  interessi  passivi  dal  reddito  lordo
 d'impresa,   stabilisce  criteri  piu'  restrittivi  di  quelli  gia'
 previsti dall'art. 58, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n.  597,
 con decorrenza dall'esercizio in corso alla data di entrata in vigore
 della stessa legge (5 dicembre 1975).  Nella  medesima  ordinanza  la
 Corte  ha impugnato altresi' l'art. 1 d.P.R. 23 dicembre 1975 n. 683,
 il quale,  relativamente  alla  deduzione  degli  accantonamenti  per
 rischi  su  crediti dal reddito lordo d'impresa, stabilisce anch'esso
 criteri piu' restrittivi  di  quelli  previsti  dall'art.  66,  primo
 comma,  d.P.R.  n.  597 del 1973, fissando analogamente la decorrenza
 del periodo d'imposta in corso all'entrata  in  vigore  del  medesimo
 decreto  (30  dicembre  1975).  Le due norme dispongono inoltre che i
 piu' rigorosi criteri da esse fissati si applicano per  calcolare  la
 diminuzione  del  reddito  imponibile,  di  cui all'art. 17 d.P.R. 29
 settembre 1973  n.  598,  nel  senso  che  anche  in  ordine  a  tale
 diminuzione possono essere calcolate le perdite subite negli esercizi
 precedenti soltanto secondo i criteri indicati nella nuova normativa.
   Tutto  cio'  sembra  al giudice a quo contrastare con i principi di
 eguaglianza  e  di  capacita'  contributiva,  in  quanto   le   norme
 impugnate:
       a) determinerebbero un'ingiustificata disparita' di trattamento
 tra soggetti che abbiano chiuso il bilancio  entro,  rispettivamente,
 il 4 dicembre 1975 (per gli interessi passivi), o il 29 dicembre 1975
 (per  gli  accantonamenti)  ed  i  soggetti  che  lo  abbiano  chiuso
 successivamente,   essendo  questi  ultimi  colpiti  dalle  impugnate
 disposizioni meno favorevoli;
       b) determinerebbero un'ingiustificata disparita' di trattamento
 tra i soggetti che nell'esercizio precedente abbiano subito  perdite,
 nei  confronti  dei  quali  operano  le  nuove  norme  restrittive, e
 soggetti che invece nel 1974  hanno  realizzato  utili,  rispetto  ai
 quali,  in  mancanza  di  perdite da detrarre, le norme censurate non
 operano.
    Le  due questioni, che in effetti danno luogo ad una sola censura,
 non sono fondate.
    Invero,  il  fatto  che  il legislatore con le due norme impugnate
 abbia fissato, quale momento iniziale di operativita' delle  nuove  e
 meno  favorevoli  disposizioni,  la  data  di  entrata  in vigore dei
 suddetti provvedimenti normativi,  non  puo'  comportare  chiaramente
 nessuna ingiustificata disparita' di trattamento.
    E' ben vero che, per i soggetti i quali abbiano chiuso l'esercizio
 in data anteriore, la nuova normativa non  opera:  ma  il  fatto  che
 redditi  maturati in periodi di imposta differenti siano sottoposti a
 diversa disciplina, a seguito di una  modifica  normativa,  non  lede
 evidentemente  alcun principio costituzionale. Si puo' anzi osservare
 come il legislatore, nel riferire  la  nuova  disciplina  al  periodo
 d'imposta  in  corso alla data di entrata in vigore del provvedimento
 legislativo, si sia attenuto ai piu' corretti criteri che  presiedono
 alla legislazione tributaria.
    La  suindicata  considerazione  vale  naturalmente  per la censura
 nella sua interezza, essendo evidente  che  l'immediata  applicazione
 delle   nuove   disposizioni   concerne   l'esercizio  in  corso  sia
 relativamente alle deduzioni per interessi passivi  e  accantonamenti
 per   rischi,  sia  relativamente  alla  disposta  impossibilita'  di
 riportare  in  diminuzione  dal  reddito  complessivo  dello   stesso
 esercizio   alcune  perdite  verificatesi  in  precedenza.  In  altri
 termini,  i  nuovi  criteri   concernenti   gli   interessi   e   gli
 accantonamenti operano a tutti gli effetti nell'indicato esercizio in
 corso, avendo inteso il legislatore - nel legittimo esercizio del suo
 potere  discrezionale  -  fare  cessare con l'entrata in vigore della
 nuova  normativa  anche  le  conseguenze,   ancora   perduranti,   di
 precedenti  scelte,  ritenute  ormai  inadeguate  ed  appunto percio'
 modificate.
    Da   cio'  risulta  chiaro  come  in  sostanza  nell'ordinanza  di
 rimessione si  imputi  al  legislatore,  diversamente  dalla  formale
 prospettazione,  la mancata previsione dell'ultrattivita' delle norme
 modificate, cio' che  non  puo'  evidentemente  costituire  vizio  di
 legittimita' costituzionale della nuova regolamentazione.
    Infine,  fuor  di  proposito  si  insiste,  da  parte  del giudice
 rimettente,  nella  comparazione  tra  soggetti  che  avevano  chiuso
 l'esercizio  precedente  con  risultati  negativi e soggetti che, per
 contro, non avevano subito alcuna perdita.  E'  evidente  infatti  la
 diversita'  delle due situazioni: per i primi, il rapporto tributario
 era ancora pendente  per  effetto  della  facolta'  di  riportare  in
 diminuzione  le  perdite  medesime;  mentre  per  i  soggetti che non
 avevano  subito  alcuna  perdita  il  rapporto   tributario,   quanto
 all'esercizio  precedente,  era  ormai  esaurito  e  divenuto percio'
 insensibile alle successive modificazioni normative.