ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 419, primo
 comma,  del  codice  civile   (Mezzi   istruttori   e   provvedimenti
 provvisori),  promosso  con  ordinanza  emessa  l'8  maggio  1981 dal
 Tribunale di Torino, iscritta al n. 662 del registro ordinanze 1981 e
 pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12 dell'anno
 1982;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di consiglio del 24 febbraio 1988 il Giudice
 relatore Francesco Saja;
    Ritenuto che nel giudizio promosso da Adelaide Rovero per ottenere
 la pronuncia  di  interdizione  del  fratello  Francesco  Rovero,  il
 Tribunale  di Torino rilevava che il giudice istruttore si era recato
 presso il domicilio dell'interdicendo senza poterlo esaminare perche'
 irreperibile,   non  essendo  questi  comparso,  poi,  neppure  nelle
 successive udienze;
      che,  in  dipendenza  di  cio',  il suddetto Tribunale sollevava
 questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art.  24
 Cost.,  dell'art.  419, primo comma, c.c., nella parte in cui esclude
 la dichiarazione  di  interdizione  nel  caso  di  impossibilita'  di
 procedere all'esame dell'interdicendo resosi irreperibile;
      che  ad  avviso  del  giudice  a  quo la disposizione denunciata
 poteva essere  interpretata  solo  nel  senso  che  "la  mancanza  di
 preventivo esame dell'interdicendo... da qualunque causa determinata,
 preclude irrevocabilmente la pronuncia dell'interdizione";
      che, sempre secondo il giudice rimettente, una preclusione cosi'
 rigorosa ed assoluta, oltre a poter  risultare  svantaggiosa  per  lo
 stesso  interdicendo,  menomava  il  diritto  di  difesa dei soggetti
 legittimati a chiedere l'interdizione, ponendosi cosi'  in  contrasto
 con l'art. 24 Cost.;
      che  nel  giudizio  dinanzi alla Corte ha spiegato intervento il
 Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
 dall'Avvocatura  Generale dello Stato, argomentando e concludendo per
 l'infondatezza della questione;
      che,  secondo  la  Presidenza,  la  disposizione  impugnata  non
 produce gli effetti paralizzanti  del  procedimento  di  interdizione
 ipotizzati  nell'ordinanza  di  rinvio,  dovendo  essere  chiaramente
 interpretata come norma che consente la prosecuzione del procedimento
 anche  in  caso  di irreperibilita' dell'interdicendo, dopo che siano
 stati esperiti senza esito  i  mezzi  di  ricerca  della  dimora  del
 convenuto;
    Considerato  che  l'esame  ex  art.  419,  primo comma, c.c., deve
 essere  inteso   come   indagine   sulla   complessiva   personalita'
 dell'interdicendo,  quale  emerge  non  solo dalle risposte date alle
 domande del giudice ma  anche  dall'intero  comportamento  tenuto  in
 occasione  dell'incontro con il giudice ovvero dalla stessa eventuale
 scelta di sottrarsi a tale incontro;
      che,   sulla   base   di   questa   linea   interpretativa,   la
 giurisprudenza della Corte di cassazione ha affermato  che  l'obbligo
 dell'esame   puo'   considerarsi   assolto   ed  il  procedimento  di
 interdizione puo' proseguire ogniqualvolta l'interdicendo, che  abbia
 gia'  rifiutato  di  comparire dinanzi al giudice istruttore, insista
 nel suo rifiuto a farsi esaminare;
      che,  al  pari  di  quanto  avviene  per  il rifiuto dell'esame,
 l'irreperibilita',  ritualmente  accertata,  dell'interdicendo   (che
 vanifica ogni tentativo del giudice di raggiungerlo) non ha l'effetto
 di paralizzare il corso del procedimento di interdizione;
      che,  in  tale  ipotesi  estrema  di  irreperibilita', l'assenza
 dell'interdicendo non implica pregiudizio dei suoi  diritti  e  delle
 sue ragioni nel giudizio di interdizione, soprattutto se si considera
 che, in  tale  giudizio,  e'  previsto  l'intervento  necessario  del
 pubblico  ministero, finalizzato a garantire l'attuazione della legge
 nel rispetto dell'interesse generale cui  e'  ispirata  la  normativa
 sull'interdizione;
      che   la   norma   impugnata,   nell'interpretazione  accolta  e
 corrispondente al diritto  vivente,  non  lede  affatto  le  garanzie
 contemplate nell'art. 24 Cost.;
      che   per  le  suesposte  ragioni  la  questione  va  dichiarata
 manifestamente infondata;
    Visti  gli  artt.  26  legge  11  marzo 1953 n. 87 e 9 delle Norme
 integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale;