ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge
 17 luglio 1890,  n.  6972  ("Norme  sulle  istituzioni  pubbliche  di
 assistenza  e  beneficenza"),  promosso  con  ordinanza  emessa il 28
 giugno 1985 dalla Corte d'Appello di Bologna nel procedimento  civile
 vertente  tra  l'Opera  Pia Ospizio S. Anna e il comune di Bologna ed
 altra, iscritta al n. 765 del registro ordinanze  1985  e  pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale della Repubblica n. 9/prima serie speciale
 dell'anno 1986.
    Visti gli atti di costituzione dell'Opera Pia Ospizio S. Anna, del
 comune di Bologna e della Regione Emilia Romagna  nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  26  gennaio  1988  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Uditi  l'avv.  Edda  Menzani  per  l'Opera  Pia  Ospizio S. Anna e
 l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del  Consiglio
 dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  L'Opera  Pia  Ospizio  S.  Anna,  richiesta  dalla  regione
 Emilia-Romagna di cancellarsi dal registro  di  cui  all'articolo  33
 cod.  civ.  nel  presupposto  della sua appartenenza alla sfera degli
 enti pubblici previsti dall'art. 1 legge 17  luglio  1890,  n.  6972,
 (appartenenza che ne avrebbe comportato, ai sensi dell'art. 25 d.P.R.
 24 luglio 1977, n. 616,  la  soppressione),  adiva  il  Tribunale  di
 Bologna  per ottenere l'accertamento, in contradditorio con il comune
 e la regione, della propria natura di ente privato.
    In  seguito  all'impugnazione  della  sentenza  di primo grado che
 respingeva  la  domanda  attrice,  la  Corte  d'Appello  di  Bologna,
 decidendo  in  via non definitiva sulla giurisdizione, osservava, nel
 merito, che  la  generalizzata  pubblicizzazione  degli  istituti  di
 assistenza  e  beneficienza,  operata  dalla legge 17 giugno 1890, n.
 6972, non poteva essere posta in dubbio, e, con  separata  ordinanza,
 impugnava  dinanzi  a  questa  Corte  l'art.  1 della predetta legge,
 ritenendolo in contrasto con l'art. 38 u.c., della Costituzione.
    Sostiene   il  giudice  a  quo  che  la  disposizione  denunciata,
 riconducendo nella sfera di competenza  pubblica  tutta  l'assistenza
 esercitata  dagli enti riconosciuti, ha istituito nel settore un vero
 e  proprio  "monopolio  pubblico",  cosi'  comprimendo,   in   misura
 consistente,   il   principio  che  sancisce  e  tutela  la  liberta'
 dell'assistenza privata. Inoltre, ogni indagine volta ad accertare le
 modalita' di nascita e di vita dell'Opera pia appellante, nonche' gli
 scopi, anche  di  natura  etica  e  religiosa,  da  essa  perseguiti,
 risulterebbe  inutile, dal momento che la sua qualificazione pubblica
 discenderebbe in modo pacifico  ed  evidente  dalla  impugnata  norma
 della  legge  Crispi,  mentre, la paventata soppressione, conseguenza
 del previsto trasferimento delle  funzioni  e  dei  beni  delle  IPAB
 infraregionali  ai  comuni,  non potrebbe piu' realizzarsi in seguito
 alla intervenuta declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 25 del
 d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
    2.  -  Nel  giudizio  cosi' promosso si e' costituito il comune di
 Bologna chiedendo che la questione venisse  dichiarata  inammissibile
 per   insufficiente   motivazione   sulla  rilevanza.  L'omissione  -
 nell'ordinanza  di  rinvio  -  di  ogni  riferimento  alla   concreta
 fattispecie   non   consentirebbe,  infatti,  l'individuazione  delle
 ragioni e dei termini per i quali la norma impugnata dovrebbe trovare
 applicazione nel giudizio a quo.
    La questione, poi, sarebbe comunque irrilevante dal momento che la
 legge  Crispi,  anche  se  contrastante  con   l'invocato   parametro
 costituzionale,   resterebbe,   cio'   nondimeno,   applicabile  alle
 istituzioni  sorte  anteriormente   all'entrata   in   vigore   della
 Costituzione,  che  le  trovo',  secondo  l'opinione di un'autorevole
 dottrina "viventi e operanti come enti pubblici". Al riguardo ritiene
 il  comune  che,  non  avendo l'opera pia impugnato una serie di atti
 amministrativi, ed in particolare il R.D. 9 settembre 1909,  che  (in
 applicazione  dell'art.  1  della  legge  del  1890  e  dei  relativi
 regolamenti amministrativo e contabile  del  1891)  ne  approvava  il
 nuovo  Statuto,  la  sua  natura  pubblica  costituirebbe, ormai, uno
 status consolidato ed intangibile sul quale nessun  effetto  potrebbe
 spiegare  un'eventuale  dichiarazione  di  incostituzionalita'  della
 norma censurata.
    Nel  merito,  la  parte  osserva  che la questione, gia' sollevata
 contestualmente   e   subordinatamente   all'altra   concernente   il
 trasferimento  delle IPAB ai comuni (art. 25 d.P.R. n. 616 del 1977),
 sarebbe stata ritenuta irrilevante da questa Corte (sent. n. 173  del
 1981  e  ord.  n.  34 del 1982) nell'implicito presupposto che, se la
 situazione creata dalla legge Crispi non  riesce  ad  evolvere  verso
 processi  di  svuotamento  e  soppressione  di  tutte  le  IPAB, cio'
 significa  che  gli  elementi  privatistici  in  esse  presenti  sono
 garantiti  e, quindi, anche il principio di cui all'art. 38 Cost. non
 risulta violato.
    D'altro  canto,  considerando le ipotesi sottratte alla disciplina
 della legge, e cioe' le eccezioni  di  cui  all'art.  2,  nonche'  le
 attivita'  assistenziali  svolte in forma individuale o con strutture
 facenti capo ad enti di  fatto,  appare  inesatto  affermare  che  la
 stessa  abbia  instaurato  un  "monopolio pubblico" dell'assistenza e
 beneficienza. La tesi, comunque,  non  risulterebbe  sufficientemente
 suffragata   dal   dato   del   tutto   estrinseco  e  formale  della
 qualificazione pubblica degli  enti;  ed  infatti,  tutte  le  scelte
 concernenti  la  forma  dell'istituzione, le specifiche finalita', la
 configurazione  degli  organi  amministrativi  e  i  criteri  per  la
 designazione    dei    rispettivi   componenti,   restano   riservate
 all'autonomia privata, che si prolunga cosi'  anche  al  di  la'  del
 momento genetico riflettendosi sulla vita dell'ente.
    3.  - La regione Emilia-Romagna, costituendosi, ha invece eccepito
 l'irrilevanza della questione, non essendo contestata nel giudizio  a
 quo  la  possibilita',  per  l'opera  pia,  di  trasformarsi  in ente
 privato, quanto piuttosto il raggiungimento di tale trasformazione in
 modo  indiretto,  e  cioe'  attraverso una sentenza che ne accerti ab
 origine la natura privata, quando invece sia lo statuto  che  il  suo
 modo  di  operare  ne dimostrebbero incostestabilmente la qualita' di
 ipab.
    Nel  merito,  la  regione  ha poi chiesto che la questione venisse
 dichiarata   infondata   in   quanto   la   disposizione   denunciata
 consentendo,  secondo  l'interpretazione  datane  dalla  Cassazione e
 dalla  giurisprudenza  di  merito,  lo   svolgimento   di   attivita'
 assistenziali  anche  da  parte  di  persone  giuridiche private, non
 imporrebbe affatto un "monopolio pubblico" nella materia.
    4.  -  E' intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato, eccependo
 l'inammissibilita'  della  questione  per  omessa  motivazione  sulla
 rilevanza.   Se  il  giudice  a  quo,  infatti,  prima  di  sollevare
 l'incidente di costituzionalita', avesse indagato sulle modalita'  di
 nascita  e  di vita dell'opera pia, avrebbe potuto acquisire elementi
 tali da far ritenere confermata o esclusa  la  pubblicita'  dell'ente
 anche a prescindere dal disposto della norma impugnata.
    L'interveniente   ha   poi  osservato  che  al  tempo  dei  lavori
 dell'Assemblea  Costituente,  la  pubblicita'   degli   enti   morali
 svolgenti  attivita'  di  assistenza  e  beneficenza  - tranne quelli
 elencati all'art. 2 della legge Crispi - era un  dato  di  fatto  ben
 conosciuto, e quindi non ignorato al momento in cui fu dettato l'art.
 38. Pertanto, non essendoci elementi, in tal senso, contrari, si deve
 ritenere   che   la  volonta'  dei  costituenti  non  era  quella  di
 sconvolgere la materia in esame, riprivatizzando le  istituzioni  che
 la  legge del 1890 aveva pubblicizzato, ma piuttosto di lasciare alla
 legge ordinaria il compito di disciplinare quella liberta'  garantita
 dall'art.  38  e  per  la  quale,  diversamente  da quanto prevede il
 precedente art. 33 in materia  di  istruzione,  non  risulta  affatto
 contemplata la possibilita' di istituire enti privati.
    Ad  avviso  dell'Avvocatura,  infine, l'impossibilita' di svolgere
 attivita'  assistenziale  nella  forma  organizzata   della   persona
 giuridica  privata  non  violerebbe  il  principio  della liberta' di
 assistenza, trattandosi di una scelta discrezionalmente  operata  dal
 legislatore e giustificata dalla particolare delicatezza e importanza
 dell'attivita' svolta. Cosi' come, allo stesso modo, il divieto posto
 alle  persone  fisiche e giuridiche (ad eccezione delle sole societa'
 per azioni) di esercitare le assicurazioni  (art.  1883  cod.  civ.),
 costituendo  un  limite  intrinseco  alla  particolare  natura  della
 attivita', non viola la liberta' di iniziativa economica.
    5.  - Con memoria depositata nei termini l'Opera Pia Ospizio di S.
 Anna, precedentemente costituitasi, ha svolto  le  proprie  deduzioni
 osservando  anzitutto  che  la  legge Crispi si preoccupo' di rendere
 pubblico il fine assistenziale, trascurando pero'  di  verificare  la
 natura  giuridica  degli enti da costituire in I.P.A.B., per i quali,
 l'assenza dell'obbligatorieta' di conseguire il  fine  istituzionale,
 della  costituzione  per  specifica  iniziativa  statale, nonche' del
 godimento di una certa sfera di potesta' pubbliche, dimostrerebbe  la
 "forzatura"  operata  dalla legge del 1890 che derivo' la pubblicita'
 degli enti dalla mera pubblicizzazione dei loro fini.
    Ha  poi  rilevato che soltanto l'eventuale caducazione della norma
 impugnata consentirebbe al giudice a quo un'indagine istruttoria  sul
 carattere  pubblico  o privato dell'istuzione, il cui assoggettamento
 alla legge Crispi ed il relativo riconoscimento, di natura  meramente
 dichiarativa,   non   ne   avrebbero  nella  sostanza  modificato  la
 personalita' di diritto privato.
    Confutando   la   tesi   dell'Avvocatura   Generale,  secondo  cui
 l'attivita' assistenziale svolta dai privati incontrerebbe un  limite
 nell'impossibilita'  di  utilizzare  a  tal  fine  lo strumento della
 persona giuridica, la parte  osserva  che  una  tale  interpretazione
 dell'art.  38 Cost., oltre che contrastare con i principi di cui agli
 artt. 3 e 18 dello stesso  testo,  sarebbe  stata  gia'  respinta  da
 questa  Corte  con sentenza n. 139 del 1972. D'altro canto, sostenere
 l'incostituzionalita' della  legge  Crispi  limitatamente  agli  enti
 sorti  dopo  l'entrata  in  vigore della Costituzione significherebbe
 riconoscere alla qualificazione autoritativa del soggetto una  natura
 -  di  rapporto  definito - che invece non ha. Trattandosi infatti di
 uno status personale, e quindi di una situazione ancora  in  atto  da
 cui  derivano  diritti  imprescrittibili,  nessuna  acquiescenza puo'
 essere riferita all'ente, in relazione alla  sua  natura  pubblica  o
 privata.
                         Considerato in diritto
    1.   -  E'  sottoposta  all'esame  della  Corte  la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 17 luglio 1890 n.
 6972 (c.d. legge Crispi) perche' esso, riconducendo nell'ambito degli
 enti pubblici  tutte  le  istituzioni  di  assistenza  e  beneficenza
 (IPAB),  sarebbe  in contrasto con l'art. 38, ultimo comma, Cost. che
 tutela la liberta' dell'assistenza privata.
    Ad  avviso  del  giudice  a quo, non puo' revocarsi in dubbio che,
 come riconosciuto dalla dottrina e dalla giurisprudenza  unamini,  la
 norma  denunciata  abbia  prodotto una generalizzata pubblicizzazione
 delle  Istituzioni  predette,  cio'  discendendo   dalla   inequivoca
 intestazione  della legge, dalla struttura e dalla disciplina ad esse
 imposta, dalla esplicita qualificazione loro attribuita.
    Il   monopolio  pubblico  dell'assistenza  esercitata  dagli  enti
 riconosciuti,  cosi'  determinato,  comprimerebbe  percio'  in   modo
 consistente  la  liberta'  dei  privati di contribuire all'assistenza
 predetta, in contrasto con l'opposto principio sancito  dal  precetto
 costituzionale invocato.
    2.  - Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilita'
 dedotta dall'Avvocatura generale dello Stato per pretesa mancanza  di
 motivazione sulla rilevanza. Risulta invece che la questione e' stata
 sollevata dall'ordinanza di rimessione,  nel  corso  di  un  giudizio
 promosso  da  un'Istituzione  di  assistenza  e beneficenza che aveva
 chiesto che venisse accertata la sua natura di  ente  privato.  Detta
 Istituzione,  il  cui  Statuto era stato approvato nel 1909, ai sensi
 della legge Crispi, si era iscritta  successivamente,  nel  1962,  al
 registro delle persone giuridiche private previsto dall'art. 33 c.c..
 Avendole, pero', la Regione Emilia-Romagna richiesto la cancellazione
 da  detto  registro, nell'assunto del suo carattere di ente pubblico,
 l'Istituzione predetta aveva convenuto in giudizio  il  comune  e  la
 regione  per  far  accertare  la propria natura privata. Il Tribunale
 aveva respinto la domanda affermando il carattere pubblico dell'ente.
 In  sede  di  appello,  il giudice di secondo grado disattendeva, con
 sentenza  parziale,  una  eccezione  di  difetto  di   giurisdizione,
 confermando in tale occasione la natura pubblica dell'Istituzione, in
 quanto riconosciuta ai sensi della legge Crispi, ma, proprio partendo
 da   questa   premessa,   ha   sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  1  della  legge  stessa,   sostenendo   la
 rilevanza   della   questione,   nell'assunto   che  dalla  eventuale
 dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  di  detta   norma,
 avrebbe potuto trovare ingresso la domanda dell'ente di far accertare
 la propria natura privata.
    Risulta cosi' assolto l'obbligo di motivazione sulla rilevanza.
    3.   -  Deve  essere  parimenti  disattesa  l'altra  eccezione  di
 inammissibilita'   per   irrilevanza,   sollevata    dalla    Regione
 Emilia-Romagna, dal comune di Bologna e dall'interveniente Presidenza
 del Consiglio dei Ministri, con prospettazioni formalmente diverse ma
 sostanzialmente   analoghe,  nell'assunto  che  l'invocato  parametro
 costituzionale  non  sarebbe  applicabile  alle   istituzioni   sorte
 anteriormente  all'entrata in vigore della Costituzione, che le aveva
 trovate in vita come enti pubblici ed in  particolare,  relativamente
 al  caso  di  specie,  che,  non avendo l'ente impugnato all'epoca il
 decreto del 1909, il quale ne aveva approvato  lo  Statuto  ai  sensi
 della legge del 1890, la sua natura pubblica non potrebbe piu' essere
 messa in discussione.
    In  proposito  va osservato che questo profilo rappresenta proprio
 l'oggetto  principale   del   presente   giudizio   di   legittimita'
 costituzionale,  avendo  il  giudice  a  quo  investito  questa Corte
 appunto del problema volto a stabilire se la legge del 1890 n.  6872,
 che  qualificava  come  pubblici  tutti  gli enti aventi finalita' di
 assistenza  e  beneficenza,  per  il  solo  fatto  di   ottenere   il
 riconoscimento    della    personalita'   giuridica,   sia   divenuta
 incompatibile con l'art. 38, ultimo comma,  Cost.,  che  sancisce  il
 principio della liberta' dell'assistenza privata. Va percio' rilevato
 che se, come  e'  stato  anche  prospettato  da  alcune  delle  parti
 costituite,  e  come sara' ancora ricordato in prosieguo, si starebbe
 ora determinando un orientamento nel  senso  che  enti  aventi  dette
 finalita',   possano,   dopo  l'avvento  della  Costituzione,  essere
 riconosciuti come persone  giuridiche  private,  cio'  non  elide  la
 rilevanza della questione di legittimita' dell'art. 1 della legge del
 1890. Difatti, vigendo questa legge, la  qualificazione  pubblica  di
 tali  enti  costituiva una conseguenza necessitata dal riconoscimento
 della personalita' giuridica, anche se  essi  presentassero,  per  il
 resto,  tutti  i  requisiti  che  avrebbero loro consentito di essere
 riconosciute come persone giuridiche  private,  se  non  fosse  stata
 vigente la norma impugnata.
    Ne'  puo'  essere  condiviso l'assunto secondo cui, trattandosi di
 una istituzione riconosciuta in precedenza, diverrebbe irrilevante la
 richiesta  dichiarazione di illegittimita' della norma censurata, per
 non essere stato impugnato, all'epoca, il decreto  di  riconoscimento
 come persona giuridica pubblica. L'assunto si risolve in una evidente
 petizione di principio, ove si consideri che, all'epoca in cui l'ente
 aveva  ottenuto  il riconoscimento come pubblico, il relativo decreto
 era legittimo perche' conforme alla legge allora vigente proprio  per
 effetto    della    eventuale    dichiarazione    di   illegittimita'
 costituzionale  di  questa,  venendo  meno  il  denunciato  monopolio
 pubblico  di questo tipo di enti, diverrebbe possibile - come appunto
 si auspica nella ordinanza di rimessione - accertare, nelle opportune
 sedi  giudiziarie o amministrative, il possesso di requisiti tali che
 consentano loro di continuare a sussistere come persone giuridiche di
 diritto privato.
    Cio' comunque non senza considerare, quanto al caso di specie, che
 proprio il decreto reale del 1909, che (analogamente a tutti i simili
 decreti   di   riconoscimento)   aveva  approvato  il  nuovo  Statuto
 dell'ente, non contiene una espressa attribuzione della  personalita'
 giuridica  di  diritto  pubblico,  derivando tale qualificazione come
 effetto naturale del riconoscimento, e cioe' come diretta conseguenza
 della  legge  del  1890  n.  6972.  Per queste ragioni la caducazione
 dell'art. 1 della legge  stessa,  da  cui  direttamente  discende  la
 qualificazione  pubblica dell'ente, necessitata in base a detta legge
 per il solo fatto che esso ha finalita' di assistenza e  beneficenza,
 farebbe  automaticamente  riemergere  la possibilita' di escludere il
 permanere di tale effetto, ove  dovesse  essere  riconosciuto,  nelle
 competenti  sedi,  che  sussistano i requisiti per una qualificazione
 privatistica dell'ente.
    D'altronde,  spetta soltanto al giudice a quo stabilire la portata
 dei suoi poteri  a  seguito  della  dichiarazione  di  illegittimita'
 costituzionale  di  una  norma  che,  altrimenti, esso avrebbe dovuto
 applicare. Ebbene nell'ordinanza di rimessione, come si e' gia' avuto
 modo  di  rilevare,  si  e'  affermato  che,  ove la norma denunciata
 dovesse  essere  dichiarata  illegittima,   cio'   consentirebbe   di
 esaminare  la  domanda  giudiziale  volta  a  far accertare la natura
 privata  dell'ente  che  ha  promosso  il   giudizio.   Questa   sola
 circostanza e' sufficiente a far disattendere la dedotta eccezione di
 inammissibilita', perche' e' preclusa a questa Corte la  possibilita'
 di  contraddire  il  giudizio sulla rilevanza formulato dal giudice a
 quo, ove esso risulti, come nella specie, plausibile.
    4. - Nel merito la questione e' fondata.
    Sembra  opportuno  premettere che la Corte e' stata gia' investita
 dalla medesima questione nel giudizio definito con la sentenza n. 173
 del  1981,  nella  quale il suo esame era pero' rimasto, per espressa
 affermazione  in  questo  senso,  assorbito  dalla  dichiarazione  di
 illegittimita'  costituzionale dell'art. 25, comma quinto, del d.P.R.
 24 luglio 1977, n. 616.
    Tuttavia,  gia'  in  tale  occasione  la Corte aveva avuto modo di
 rilevare che la legge del 1890,  n.  6972,  avendo  disciplinato  una
 serie   di  istituzioni  aventi  uno  "spessore  storico"  del  tutto
 peculiare,  era  ispirata  a  due  principi  fondamentali,  quali  il
 rispetto  della volonta' dei fondatori e i controlli giustificati dal
 fine pubblico dell'attivita' svolta in situazione di autonomia.
    Questa  posizione ambivalente di dette istituzioni e' stata ancora
 piu' di recente messa in evidenza nella sentenza n. 195 del 1987,  in
 cui  si  e' rilevato come il loro regime giuridico sia caratterizzato
 dall'intrecciarsi di una  disciplina  pubblicistica  in  funzione  di
 controllo,  con  una notevole permanenza di elementi privatistici, il
 che conferisce ad esse una impronta  assai  peculiare  rispetto  agli
 altri enti pubblici.
    In  presenza  di  tali  peculiarita'  devesi  convenire con quella
 dottrina che parla di una assoluta tipicita'  di  questi  particolari
 enti  pubblici,in  cui  convivono  forti poteri di vigilanza e tutela
 pubblica con un ruolo ineliminabile e spesso decisivo della  volonta'
 dei  privati,  siano  essi  i fondatori, gli amministratori o la base
 associativa. Esse quindi sono istituzioni pubbliche che, non solo  in
 riferimento  alla situazione precedente alla legge del 1890, ma anche
 per le successive iniziative  assistenziali,  sono  per  lo  piu'  il
 prodotto  del  riconoscimento  di iniziative private, sia inter vivos
 che mortis causa.
    La  scelta  operata dalla legge Crispi, come e' stato ben messo in
 evidenza dalla dottrina, non fu una vera e  propria  pubblicizzazione
 del  settore  della beneficenza e poi (per effetto del d.P.R. n. 2841
 del 1923) della assistenza, ma la creazione progressiva di  strumenti
 statali  di  "beneficenza  legale"  e  la predisposizione di forme di
 controllo e di disciplina  uniforme,  nella  beneficenza  di  origine
 privata.
    Cosi'  ancora  la dottrina, commentando il sistema della legge del
 1890 nell'immediatezza della sua emanazione, aveva posto in  evidenza
 come  l'assunzione, da parte di dette istituzioni, della personalita'
 giuridica, che non poteva non essere pubblica, era  finalizzata  allo
 scopo   "di  mettere  il  Governo  in  grado  di  assicurare  che  la
 personalita'  giuridica  della  nuova  istituzione...  non  solo   e'
 realmente   di   beneficenza...  ma  che  inoltre  contribuisce  alla
 soddisfazione di un interesse pubblico armonizzante  con  l'indirizzo
 generale della beneficenza".
    Il  rafforzamento  dell'obbligo  di  riconoscimento  come  persona
 giuridica  pubblica  di  ogni   istituzione   di   origine   privata,
 finalizzata  alla  beneficenza, anche se strutturata in forma minima,
 era garantita dall'art. 103 della legge in  parola,  che  sanciva  la
 nullita'  delle  disposizioni  o convenzioni dirette a sottrarre alla
 tutela o alla vigilanza delle pubbliche autorita' le  istituzioni  di
 beneficenza, nonche' successivamente dall'art. 26 del d.P.R. del 1923
 n. 2841, che attribuiva  al  prefetto  il  potere  di  promuovere  di
 ufficio la fondazione di nuove istituzioni. Disposizione quest'ultima
 che e' stata esattamente indicata come ulteriore  strumento  volto  a
 trasferire  all'area  degli  enti  pubblici  tutte  le  strutture  di
 beneficenza   e   di   assistenza   che   potessero   sfuggire   alla
 pubblicizzazione.
    Da   cio'   l'esclusione   dalla   possibilita'   che,   nell'area
 dell'assistenza e beneficenza, esistano  fondazioni  ed  associazioni
 dotate di personalita' giuridica privata.
    5.  -  Gli aspetti teste' evidenziati e l'esame delle modalita' di
 applicazione della  legge  Crispi  nella  sua  evoluzione  portano  a
 concludere  che nel tempo sono finite per essere ad essa assoggettate
 non solo enti che, in quanto erogatori di servizi pubblici, avrebbero
 potuto, aspirare a pieno titolo alla qualificazione di enti pubblici,
 anche  se  non  fosse  stato  sancito  il  monopolio  ora  messo   in
 discussione  ma  pure  "organizzazioni  espressive dell'autonomia dei
 privati che hanno  conservato  caratteri  propri  dell'organizzazione
 civile anche dopo la loro formale pubblicizzazione".
    Una  prima  rottura  del  sistema  monolitico  cosi'  descritto e'
 derivata dalla legge del 1968 n.  195  che,  in  una  prospettiva  di
 progressivo  avvicinamento  (conclusosi  nel  1978  con  la  legge di
 riforma sanitaria  n.  833)  al  sistema  di  sicurezza  sociale,  ha
 sottratto  alla disciplina della legge del 1890 le istituzioni sorte,
 soprattutto ad iniziativa di privati, per l'assistenza ospedaliera.
    Le  istituzioni  preesistenti  sono  state percio' assorbite negli
 enti ospedalieri, determinandosi cosi' varii effetti e cioe',  da  un
 canto,   quello   della  impossibilita'  per  le  istituzioni  aventi
 finalita' ospedaliere di essere riconosciute come I.P.A.B. (se nuove)
 o  di continuare a sopravvivere (se gia' esistenti) nel sistema della
 legge Crispi del 1890, dall'altro la possibilita' per  il  futuro  di
 istituire   enti  ospedalieri  con  personalita'  giuridica  privata,
 perche' questo settore dell'assistenza ospedaliera non era ormai piu'
 compreso, da quel momento, nel sistema delle I.P.A.B.
    Invece, ancorche' l'art. 38, u.c., Cost., tuteli ormai la liberta'
 dell'assistenza  privata,  e'  rimasta  immutata  fino  ad  oggi   la
 situazione  delle  istituzioni  che,  sorte  per  iniziativa privata,
 svolgono altre svariate forme di beneficenza e di assistenza, diverse
 da quella ospedaliera.
    Mentre  per  le  istituzioni  a  carattere interregionale, il loro
 assetto e' stato definito con la disciplina  dettata  dagli  articoli
 113 e seg. del d.P.R. n. 616 del 1977, quelle a carattere regionale e
 infraregionale sono tuttora assoggettate al regime  della  legge  del
 1890,   anche   se,  nonostante  la  loro  formale  pubblicizzazione,
 necessitata dalla previsione  generalizzante  dell'art.  1  di  detta
 legge,  esse  abbiano  requisiti tali da poter continuare ad esistere
 come persone giuridiche private. E cio' perche', da un lato,  i  fini
 di esse non sono per loro natura esclusivi delle strutture pubbliche,
 e dall'altro  perche'  lo  Stato  e  gli  altri  enti  pubblici,  ove
 ritengano di dover realizzare certi fini di assistenza e beneficenza,
 ben potrebbero ormai farlo attraverso proprie strutture, come e' gia'
 in larga parte avvenuto.
    Sono,   quindi,  venuti  ormai  meno  i  presupposti  che  avevano
 presieduto, all'epoca della legge Crispi, al generalizzato regime  di
 pubblicizzazione,  oggi  non piu' aderente alla mutata situazione dei
 tempi ed alla evoluzione  degli  apparati  pubblici,  per  l'avvenuta
 assunzione   diretta  da  parte  di  questi  di  certe  categorie  di
 interessi, la cui realizzazione era invece  assicurata,  nel  sistema
 della  legge  del  1890,  quasi  esclusivamente  dalla iniziativa dei
 privati, che  veniva  poi  assoggettata  al  controllo  pubblico  per
 costituire un sistema di "beneficenza legale", che altrimenti sarebbe
 mancata del tutto.
    Una  volta  mutata  tale  situazione, non possono ormai non essere
 assecondate  le  aspirazioni  di  quelle  figure   soggettive   sorte
 nell'ambito   dell'autonomia   privata,   di   vedersi   riconosciuta
 l'originaria natura.
    Questa  esigenza  e' imposta dal principio pluralistico che ispira
 nel suo complesso la Costituzione repubblicana e che, nel campo della
 assistenza, e' garantito, quanto alle iniziative private, dall'ultimo
 comma dell'art. 38, rispetto al quale e' divenuto ormai incompatibile
 il monopolio pubblico delle istituzioni relative.
    6.  -  Le  considerazioni  che  precedono  denotano,  percio',  il
 contrasto con la norma costituzionale citata, dell'art. 1 della legge
 del  1890,  che invece continua ad esigere, - pur essendo superata la
 situazione sociale  e  l'assetto  delle  strutture  dello  Stato  che
 avevano  ispirato  la  legge  stessa - un sistema di pubblicizzazione
 generalizzato, esteso a tutte le iniziative originate  dall'autonomia
 privata.
    Queste percio' ben potrebbero essere restituite all'ambito privato
 ove fosse constatata la presenza di requisiti propri di  una  persona
 giuridica privata.
    7. - Per quel che riguarda gli enti di nuova istituzione, non puo'
 non prendersi atto di quanto gia' riferito in precedenza,  e  che  e'
 stato  posto  in  luce  sia  in dottrina che negli scritti difensivi,
 circa  il  gia'  avvenuto  superamento  del  regime  di  obbligatoria
 pubblicizzazione proprio della legge Crispi.
    Questo  superamento  manifestatosi  piu'  di  recente  sia in sede
 amministrativa,   sia   in   sede   di   controllo,   sia   in   sede
 giurisdizionale,  afferma il principio che enti di nuova istituzione,
 aventi finalita' di  assistenza  e  di  beneficenza,  possano  essere
 riconosciuti  come persone giuridiche private: un principio che e' la
 diretta conseguenza del precetto costituzionale dell'art.  38,  u.c.,
 Cost.,  il  quale,  affermando  la liberta' dell'assistenza privata e
 conformando  l'intero  sistema  costituzionale   dell'assistenza   ai
 principi  pluralistici,  sancisce il diritto dei privati di istituire
 liberamente enti  di  assistenza  e,  conseguenzialmente,  quello  di
 vedersi  riconosciuta,  per  tali  enti, una qualificazione giuridica
 conforme alla propria effettiva natura.
    Per  effetto  della  Costituzione,  si  e' percio' gia' realizzata
 un'inversione di tendenza, nel senso del superamento del principio di
 pubblicizzazione   generalizzata   per  realizzare  quel  sistema  di
 "pluralismo delle  istituzioni  in  relazione  alla  possibilita'  di
 pluralismo   nelle  istituzioni",  auspicato  dalla  gia'  richiamata
 sentenza n.  173  del  1981,  che  le  interpretazioni  e  le  prassi
 applicative prima ricordate, hanno puntualmente colto.
    Cio'   basta   per  esimere  questa  Corte  dal  dover  dichiarare
 l'illegittimita' costituzionale della norma impugnata con riferimento
 alle  nuove  istituzioni  di assistenza, relativamente alle quali, in
 base all'indicata inversione di tendenza, e' gia' possibile  il  loro
 riconoscimento come enti privati.
    Per  le  istituzioni preesistenti, invece, la cui pubblicizzazione
 non  sia   aderente   alle   caratteristiche   dell'ente,   la   loro
 riprivatizzazione,  garantita  dall'art. 38, u.c., Cost. e' possibile
 solo a seguito della  dichiarazione  di  illegittimita'  della  norma
 denunciata, che afferma l'opposto principio.
    8.  - La Corte non puo' comunque non sottolineare come, nonostante
 il lungo tempo trascorso, sia rimasto  irrealizzato  l'auspicio  che,
 nella  gia' richiamata sentenza n. 173 del 1981, era stato formulato,
 sia pure in  forma  indiretta,  circa  l'esigenza  di  un  intervento
 legislativo  di carattere generale che prendesse atto del superamento
 del regime della legge n. 6972 del 1890. Di un intervento  cioe'  che
 avrebbe  dovuto  riconsiderare  i  principi  fondamentali che avevano
 ispirato, all'epoca, il regime di pubblicizzazione generalizzato  nel
 campo  della  assistenza  e riflettere sulla pluralita' di forme e di
 modi in cui  l'attivita'  assistenziale  viene  prestata,  differenze
 queste che non erano state prese in considerazione dalla legge Crispi
 che aveva perseguito l'opposto disegno.
    Essendo  mancato  fino  ad  oggi  un intervento organico, non puo'
 ulteriormente  rimanere  disattesa  l'esigenza  di  adeguamento   del
 sistema  al  principio  costituzionale  di  liberta'  dell'assistenza
 privata. Ne' potrebbe costituire remora alla  realizzazione  di  tale
 esigenza  la considerazione della mancanza di una espressa disciplina
 alternativa che, per effetto della  dichiarazione  di  illegittimita'
 costituzionale,   possa  consentire  in  concreto  il  rientro  delle
 istituzioni  preesistenti,  che  ne  presentino   i   requisiti,nella
 categoria  dei  soggetti  privati,  cui per loro natura sarebbero fin
 dalle origini dovute appartenere, ove non  fosse  diversamente  stato
 imposto dalla pubblicizzazione generalizzatrice della legge del 1890.
    Al  riguardo sembra sufficiente considerare che, anche in mancanza
 di una apposita normativa che disciplini le ipotesi ed i procedimenti
 per   l'accertamento   della   natura   privata  delle  I.P.A.B.,  la
 possibilita'  di  realizzare  in  concreto  le  finalita'   auspicate
 dell'ordinanza  di rimessione sarebbero offerte, non solo perseguendo
 la via  dell'accertamento  giudiziale,  come  nel  caso  oggetto  del
 giudizio  a  quo,  ma  anche  la  via  della  trasformazione  in  via
 amministrativa, sulla base dell'esercizio  dei  poteri  di  cui  sono
 titolari  sia  l'amministrazione statale che quella regionale in tema
 di  riconoscimento,  trasformazione  ed  estinzione   delle   persone
 giuridiche private.
    Al  riguardo  potrebbe  costituire  utile punto di riferimento, in
 quanto esprime principi generali insiti nell'ordinamento,  l'art.  17
 del  d.P.R. 19 giugno 1979, n. 348 (recante norme di attuazione dello
 Statuto speciale per la  Sardegna)  il  quale  indica  una  serie  di
 caratteristiche   e  di  presupposti  come  idonei  a  consentire  la
 trasformazione  in  persone  giuridiche  private,  di  enti  gia'  in
 precedenza appartenenti alla categoria della IPAB, sottraendoli cosi'
 alla soppressione prevista per le istituzioni aventi natura  di  enti
 pubblici veri e propri.
    Altro  esempio  normativo  da  assumere in proposito come punto di
 riferimento, in quanto anche esso espressione di  principi  generali,
 puo'  essere considerato l'art. 30 della legge regionale siciliana n.
 22 del 1986 il quale prevede che "le istituzioni in atto  qualificate
 quali  IPAB  per  atto  positivo  di riconoscimento o per possesso di
 Stato, che, avuto riguardo alle disposizioni della legge fondamentale
 sulle  opere pie 17 luglio 1890, n. 6972 e successive modifiche, agli
 atti di  fondazione  ed  agli  statuti  delle  istituzioni  medesime,
 nonche'  ai  criteri selettivi da determinare con le procedure di cui
 al successivo comma,  per  prevalenza  di  elementi  essenziali  sono
 classificabili  quali enti privati, sono incluse dal Presidente della
 Regione, su proposta dell'Assessore regionale per gli enti locali, in
 apposito  elenco ai fini del riconoscimento ai sensi dell'art. 12 del
 Codice civile".
    Gli   esempi   normativi   richiamati,   a  parte  le  indicazioni
 procedimentali, che potrebbero valere solo per le Regioni cui esse si
 riferiscono,  costituiscono per il resto un significativo superamento
 della legge n. 6872 del 1890, con l'indicazione di principi e criteri
 che, ove dovesse ancora mancare una apposita normativa che disciplini
 compiutamente la materia dell'assistenza, in conformita' ai  principi
 costituzionali,   possono   essere   considerati   utili   punti   di
 riferimento, per far conseguire nelle competenti sedi  giudiziarie  o
 amministrative,  la  qualificazione  privatistica  a  quelle IPAB che
 dovessero mostrarsi interessate a tale diverso  riconoscimento,  fino
 ad  oggi  impedito  dalla vigenza della norma di cui viene dichiarata
 l'illegittimita' costituzionale.