ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 271, quarto
 comma, del codice di  procedura  penale  (Decorrenza  della  custodia
 cautelare)  promosso  con  ordinanza  emessa  l'8  settembre 1986 dal
 Pretore di Piove di Sacco sull'incidente di  esecuzione  proposto  da
 Falasco  Fernando,  iscritta  al n. 764 del registro ordinanze 1986 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  1,  prima
 serie speciale, dell'anno 1987;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  29  settembre  1987 il Giudice
 relatore Renato Dell'Andro;
    Udito  l'Avvocato  dello  Stato Giorgio Azzariti per il Presidente
 del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Pretore  di  Piove  di  Sacco, con ordinanza emessa l'8
 settembre 1986 (Reg. Ord. n. 764/1986) ha sollevato,  in  riferimento
 agli  artt.  3  e  13 Cost., questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 271, quarto comma, c.p.p. nella parte in  cui  non  prevede
 che   la  fungibilita'  tra  custodia  cautelare  e  carcerazione  in
 esecuzione di pena sia possibile anche nei  casi  in  cui  il  reato,
 ancorche'  commesso  successivamente  alla  cessazione della custodia
 cautelare, sia comunque anteriore alla sentenza, irrevocabile o meno,
 che  conferisce  all'imputato la certezza processuale dell'inutilita'
 della custodia stessa.
    Nel  giudizio  a quo non e' possibile applicare il principio della
 detraibilita'  della  custodia   cautelare   sofferta   ingiustamente
 dall'imputato, di cui all'art. 271 c.p.p., in quanto il reato, per il
 quale e' stato emesso l'ordine di  carcerazione,  e'  stato  commesso
 successivamente  alla  cessazione  della  custodia  cautelare  stessa
 (anche se prima della pronuncia che  ha  consentito  di  considerarla
 ingiusta).  Ma  il  giudice  remittente  ritiene che il principio del
 favor libertatis  -  in  base  al  quale  (in  via  giurisprudenziale
 dapprima,  e  poi  anche  in  via legislativa con la legge n. 517 del
 1955)  e'  stata  ammessa  la  fungibilita'  della   pena   -   debba
 ulteriormente  essere  affermato  consentendo  la detraibilita' della
 custodia cautelare anche nel caso in cui questa  sia  sofferta  prima
 del  reato  la  cui pena deve essere eseguita ma solo successivamente
 alla commissione  del  reato  stesso  sia  processualmente  accertata
 l'inutilita' della custodia medesima.
   Invero,  se la ratio dell'attuale art. 271, quarto comma, c.p.p. e'
 da individuarsi nella necessita' di evitare che  chi  abbia  sofferto
 un'ingiusta  carcerazione  preventiva  possa  godere  di una sorta di
 impunita' per la commissione di altri reati nei limiti della sofferta
 carcerazione,   piu'  coerentemente  la  detraibilita'  non  andrebbe
 subordinata alla  successione  cronologica  reato/custodia  cautelare
 inutilmente  sofferta, quanto piuttosto alla commissione del reato in
 epoca anteriore alla  sentenza  (irrevocabile  o  meno)  che  accerti
 processualmente   e   definitivamente   l'inutilita'  della  custodia
 cautelare da scomputare.
    Infatti,  anche laddove, come nel caso di specie, il reato (la cui
 pena deve essere espiata) sia  stato  commesso  successivamente  alla
 cessazione  della custodia cautelare, l'autore del reato medesimo non
 avrebbe dovuto avere certezza alcuna dell'inutilita'  della  custodia
 cautelare  sofferta,  che  e'  diventata  sine  titulo  solo  dopo la
 commissione del citato reato.
    Assume  quindi  il  giudice  a  quo  che la posizione di chi abbia
 commesso il reato anteriormente alla custodia cautelare e  quella  di
 chi  abbia  invece  commesso il reato successivamente alla cessazione
 della  custodia   ma   anteriormente   al   definitivo   accertamento
 all'inutilita'  di quest'ultima e' sostanzialmente uguale atteso che,
 nel secondo caso prospettato, la  consapevolezza,  al  momento  della
 commissione  del reato, di aver subito una custodia cautelare e' cosa
 ben diversa dalla certezza di averla subita inutilmente.
    La  disparita'  di trattamento, peraltro, si farebbe piu' evidente
 nel caso in cui il reato  sia  stato  commesso  durante  la  custodia
 cautelare.  In  tal  caso  il  reato  non  e'  stato commesso dopo la
 custodia cautelare ma durante quest'ultima ed ai sensi dell'art. 271,
 quarto  comma,  cod.  proc. pen. sembra possibile la detrazione della
 custodia cautelare, anche di quella sofferta sino  al  momento  della
 commissione  del  reato.  Se  il citato art. 271 c.p.p. autorizza una
 tale   fungibilita',   la   situazione   soggettiva   e   psicologica
 dell'imputato  nel  caso appena ricordato (in cui non e' possibile la
 detrazione) e' del tutto identica a quella del soggetto che  commette
 il  reato successivamente alla cessazione della custodia cautelare ma
 prima dell'accertamento della sua inutilita' (caso questo in  cui  la
 fungibilita'  non  e' possibile). In entrambe le ipotesi, infatti, la
 commissione del reato avviene dopo un periodo di  custodia  cautelare
 ed  in  un momento in cui il soggetto non vanta alcun "credito" verso
 la giustizia.
    Pertanto,  il  giudice a quo conclude richiedendo una pronuncia di
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  271,  quarto  comma,   per
 contrasto  con  l'art.  3 Cost., in quanto permette una disparita' di
 trattamento, in casi sostanzialmente uguali, nonche' con  l'art.  13,
 in  quanto  lesivo  del  principio dell'inviolabilita' della liberta'
 personale anche in casi in  cui  non  v'e'  alcuna  causa  di  difesa
 sociale e di tutela della collettivita'.
    L'ordinanza   e'   stata  regolarmente  notificata,  depositata  e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.
    2.  -  E'  intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  che  ha  concluso  per  l'infondatezza  della questione sotto
 entrambi i profili prospettati.
    A  proposito della violazione dell'art. 3 Cost., l'Avvocatura nega
 che le situazioni giuridiche  messe  a  confronto  nell'ordinanza  di
 rinvio  siano  omogenee.  Invero, la situazione di chi ha commesso il
 reato dopo la cessazione  di  una  custodia  cautelare  ingiustamente
 sofferta  sarebbe  completamente  diversa  dalla situazione di chi ha
 commesso  tale  reato  prima  di  aver  patito  l'ingiusta   custodia
 cautelare.  Nel  primo caso, la pena da scontare, riferendosi a reato
 commesso successivamente, non puo' essere determinata  computando  un
 periodo  di  custodia  sofferto  per la soddisfazione di esigenze, di
 carattere  cautelare  o  strettamente  inerenti   ad   un   processo,
 riguardante fatti anteriori alla stessa consumazione del reato per il
 quale la pena deve essere eseguita, tanto piu' che, ove si  accedesse
 alla  tesi  contraria, colui che avesse subito una custodia cautelare
 da lui  ritenuta  ingiusta  o,  comunque,  tale  da  poter  essere  o
 diventare  processualmente  sine  titulo, si sentirebbe autorizzato a
 commettere un reato  dopo  la  cessazione  della  custodia  cautelare
 stessa.  Nel secondo caso, invece, la pena da scontare, riferendosi a
 reato commesso in precedenza, ben puo' essere determinata  computando
 la  custodia  successivamente inutiliter sofferta e non potrebbe mai,
 l'istituto, risolversi in una spinta a delinquere.
   D'altro  canto,  l'Avvocatura  nega  che  si possa sostenere che la
 situazione di chi abbia commesso il reato dopo  la  cessazione  della
 custodia  cautelare  ma  prima di sapere che tale custodia fosse sine
 titulo, sia soggettivamente identica alla  situazione  di  chi  abbia
 commesso  il  reato prima della custodia cautelare: invero, anche dal
 punto di  vista  psicologico,  la  possibilita'  o,  addirittura,  la
 probabilita'  che  si  realizzi  processualmente  un  certo risultato
 costituisce un elemento  differenziante  di  notevoli  proporzioni  e
 tale,  comunque,  da  rendere  piu'  che ragionevole la diversita' di
 discipline normative.
    Per  quanto  riguarda  la  presunta violazione dell'art. 13 assume
 l'Avvocatura che appare doveroso, per esigenze di tutela sociale e di
 difesa  della  collettivita',  evitare  che  chi  abbia  sofferto una
 custodia preventiva in relazione ad una  vicenda  processuale  ancora
 sub  iudice  possa  essere indotto a commettere uno specifico delitto
 per far diventare sine titulo la custodia cautelare gia' sofferta.
                         Considerato in diritto
    1. - L'eccezione proposta dal giudice remittente e' infondata.
    Non  e'  questa  la  sede  per  ripercorrere  l'evoluzione  che il
 principio  di  c.d.   fungibilita'   (o,   se   si   preferisce,   di
 "mutuabilita'")  tra custodia cautelare e carcerazione per esecuzione
 di  pena  ha  subito  prima   e   dopo   le   innovazioni   apportate
 all'originario  testo dell'art. 271 c.p.p. dall'art. 9 della legge 18
 giugno 1955, n. 57.
    Ne'   e'   qui   il  caso  d'approfondire  le  "ragioni"  di  tale
 fungibilita', alla luce della natura  e  funzioni  della  pena  quali
 risultano  dal sistema costituzionale: va qui soltanto ricordato che,
 a fronte dell'art. 27, terzo comma,  Cost.,  non  e'  in  alcun  modo
 condividibile l'assunto della natura esclusivamente retributiva della
 pena e, conseguentemente, della negazione delle  funzioni  preventive
 speciali  della  medesima.  Sicche', forse, ulteriori approfondimenti
 del tema potrebbero condurre almeno  a  "mitigare"  l'identificazione
 tra  sanzioni  penali  ed  extrapenali  implicita nelle affermazioni,
 tuttora ricorrenti, della pura compensazione, che si  verificherebbe,
 nell'istituto in esame, tra crediti e debiti tra cittadino e Stato.
    Circoscrivendo   l'indagine   alla   sola,   specifica   questione
 sottoposta all'esame di questa Corte, va anzitutto affermato  che  la
 ratio  per  la  quale  l'attuale  testo  dell'art. 271, quarto comma,
 c.p.p., subordina la detrazione del  "tempo"  di  custodia  cautelare
 sofferto dall'imputato dalla durata della pena (inflitta per un reato
 diverso da quello per il quale si e'  subita  la  predetta  custodia)
 alla condizione che il "reato diverso" non sia stato commesso dopo la
 cessazione della custodia  cautelare,  viene  comunemente  ricondotta
 alla  necessita' di non concedere "spinte" a delinquere, trasformando
 l'istituto di c.d. fungibilita' tra custodia cautelare e carcerazione
 per  esecuzione  di  pena in una riduzione delle finalita' preventive
 ordinariamente perseguite dal sistema penale.
    Or andrebbe qui precisato che, per vero, gia' prima della predetta
 ratio, comunemente individuata dalla dottrina  e  giurisprudenza,  e'
 doveroso riferirsi al principio d'obbligatorieta' della pena: questa,
 infatti, sorge dal reato e non  puo',  pertanto,  che  "supporre"  un
 reato  gia' commesso ed accertato; e cio', anche a parte le finalita'
 "rieducative" di cui al terzo comma dell'art. 27 Cost.,  che  possono
 aver  senso  anche  se  riferite  ad  "altro" reato ma che, peraltro,
 certamente non possono mai riguardare un reato "da commettere".
    Ma,  anche  a  tacer  d'altro  e ad assumere per uniche le ragioni
 "riduttive" sopra indicate, anche a voler  ritenere,  cioe',  che  la
 necessaria  precedenza del reato (dal computo della pena irrogata per
 il quale e' da sottrarsi il tempo della sofferta custodia  cautelare)
 rispetto   alla   cessazione  della  stessa  custodia,  sia  motivata
 unicamente dal non creare "spinte"  a  delinquere,  il  quarto  comma
 dell'art. 271 c.p.p. non viola l'art. 3 Cost.
    La  situazione  di chi ha commesso un reato prima della cessazione
 dell'"inutile" custodia  preventiva  (relativa  ad  altro  reato)  e'
 oggettivamente  diversa da quella di chi ha commesso un reato dopo la
 cessazione della stessa "inutile" custodia, anche nell'ipotesi che il
 "nuovo"  reato  sia stato commesso prima dell'accertamento giudiziale
 dell'"inutilita'" della sofferta custodia cautelare.
    Ne'    e'   condividibile   l'assunto   sostenuto   nell'ordinanza
 remittente, secondo  il  quale,  sebbene  "formalmente"  diverse,  la
 situazione  di  chi  ha commesso il reato anteriormente alla custodia
 cautelare e' sostanzialmente uguale a quella di chi  ha  commesso  il
 reato successivamente alla cessazione della custodia ma anteriormente
 all'accertamento  giudiziale   definitivo   dell'"inutilita'"   della
 medesima:  la  situazione  di  chi e' "in attesa" d'una "possibile" o
 "probabile" dichiarazione giudiziale dell'inutilita'  della  sofferta
 custodia  cautelare  e', dal punto di vista psicologico, notevolmente
 diversa da quella di chi  ancora  non  ha  sofferto  alcuna  custodia
 cautelare  e  che, pertanto, neppure ha modo di riflettere su calcoli
 attinenti a custodie cautelari  del  tutto  ipotetiche  e,  comunque,
 "irrilevanti".  Infatti,  scontare, in avvenire, custodie cautelari o
 carcerazioni in esecuzione di pena non puo' in alcun modo motivare il
 soggetto  a  delinquere.  Non  cosi'  accade, invece, per chi, pur se
 ancora non giudizialmente certo dell'inutilita' della  gia'  sofferta
 custodia  cautelare,  puo', comunque, esser spinto a delinquere dalla
 speranza che, in avvenire, il  tempo  della  gia'  sofferta  custodia
 venga, attraverso una giudiziale decisione, sottratto da quello della
 carcerazione in esecuzione di pena per il "nuovo" reato.
    Ma   va  aggiunto  che  (a  meno  di  ritenere  che  le  decisioni
 giudiziarie siano rimesse "al  caso"  od  all'assoluto  arbitrio  dei
 giudici)  il  soggetto  che ha gia' sofferto la custodia cautelare sa
 bene (anzi, e' solo lui in grado di meglio conoscere) se la  medesima
 e'  stata  utilmente  od inutilmente scontata: e la spinta al "nuovo"
 reato e' tanto piu' forte quanto piu' e' radicata nel  soggetto,  con
 la  sicurezza  di  non  aver  commesso  in precedenza alcun reato, la
 certezza  che  l'autorita'  giudiziaria   dichiarera'   ufficialmente
 "inutile" la scontata custodia cautelare.
    Per diverse situazioni, dal punto di vista oggettivo e soggettivo,
 il  legislatore  ha,  pertanto,  ragionevolmente   previsto   diverse
 discipline  giuridiche.  La  regolamentazione  di cui al quarto comma
 dell'art. 271 c.p.p. non contiene,  dunque,  in  alcun  modo,  regole
 irragionevolmente discriminatorie.
    2. - Neppure l'art. 13 Cost. (richiamato dall'ordinanza rimettente
 sotto il profilo della  compressione,  da  parte  della  disposizione
 impugnata,  della  liberta'  personale anche in casi in cui non vi e'
 alcuna esigenza di difesa sociale e di tutela della collettivita') e'
 violato  dal  quarto  comma  dell'art.  271 c.p.p. Anzi, tenuto conto
 delle ragioni gia' precisate (sottolineate, a tacer  d'altro,  ancora
 una  volta  le  finalita'  preventive  per le quali il legislatore ha
 subordinato  la  c.d.   fungibilita'   tra   custodia   cautelare   e
 carcerazione in esecuzione di pena alla commissione del reato, per il
 quale  si  deve  scontare  la  pena,  precedentemente  alla  sofferta
 custodia cautelare) e' doveroso particolarmente rilevare che, appunto
 in difesa della collettivita', va evitato che chi abbia sofferto  una
 custodia  cautelare  ancora  sub  iudice  sia indotto a delinquere o,
 comunque, ritrovi motivi "favorevoli"  alla  commissione  di  "nuovi"
 reati  nella  certezza o nella speranza che, in avvenire, la predetta
 custodia sia giudizialmente dichiarata "inutilmente" sofferta.