ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel giudizio promosso con ricorso della Regione Toscana notificato il
 16 maggio 1984, depositato in Cancelleria il 4 giugno  successivo  ed
 iscritto  al  n.  19  del  registro  ricorsi  1984,  per conflitto di
 attribuzione  sorto  a  seguito  del   provvedimento   del   Comitato
 Interministeriale  dei  Prezzi  in  data  20  marzo  1984, n.  10/84,
 recante:  "Direttive  alle  amministrazioni  regionali,  provinciali,
 comunali ed ai comitati provinciali dei prezzi".
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  1988  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi  l'Avvocato  Alberto  Predieri  per  la  Regione  Toscana  e
 l'Avvocato dello Stato Paolo D'Amico per il Presidente del  Consiglio
 dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Con ricorso notificato il 16 maggio 1984, la Regione Toscana
 ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti del provvedimento
 del  CIP  10/1984,  pubblicato  sulla  G.U. del 30 marzo 1984, n. 90,
 avente  ad  oggetto  "Direttive   alle   amministrazioni   regionali,
 provinciali,   comunali   ed  ai  comitati  provinciali  prezzi".  Il
 conflitto e' elevato in quanto il predetto decreto, stabilendo che le
 tariffe  del  trasporto  urbano  e  delle  autolinee  in  concessione
 dovranno essere mantenute ferme  per  tutto  il  1984,  lederebbe  le
 competenze che gli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dagli artt. 52
 e 84 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, assicurano  alle  regioni  in
 materia  di  tranvie  e  linee automobilistiche d'interesse regionale
 ovvero in quella di fiere e mercati (attivita' commerciali).
    La  ricorrente  osserva,  in primo luogo, che ai sensi dell'art. 3
 della  legge  n.  382  del  1975,  la   funzione   di   indirizzo   e
 coordinamento,  tanto  per  le  materie  trasferite quanto per quelle
 delegate, e' esercitata dal Consiglio dei Ministri, previa emanazione
 di  una  legge  che determini i principi, i criteri e le scelte sulla
 cui base debbono essere formulati i provvedimenti  di  indirizzo  (v.
 sent.  n.  150  del  1982). Il provvedimento impugnato, viceversa, e'
 stato adottato dal CIP, anziche' dal Consiglio dei Ministri, e non e'
 fondato  su alcuna norma di legge. Del tutto irrilevante e', infatti,
 a giudizio della Regione, il riferimento contenuto nella premessa del
 provvedimento  impugnato  al Decreto Legislativo del Capo Provvisorio
 dello Stato 15 settembre 1947, n. 896, che, per la sua formulazione e
 la  sua struttura, costituisce una norma in bianco, incompatibile con
 il principio di legalita' e  del  tutto  estranea  alla  funzione  di
 indirizzo e coordinamento dello Stato nei confronti delle regioni.
    Parimente   inidoneo  e',  secondo  la  Regione,  il  riferimento,
 contenuto nella premessa del provvedimento impugnato, all'art. 52 del
 d.P.R.  n. 616 del 1977, in base al quale, ferme restando le funzioni
 gia' di competenza delle regioni e dei  comuni  e  nel  quadro  degli
 indirizzi   determinati   dal   Governo,  e'  delegato  alle  regioni
 l'esercizio delle  funzioni  amministrative  relative,  tra  l'altro,
 all'attivita'  dei  comitati provinciali per i prezzi. Poiche', anzi,
 gli indirizzi entro i quali deve svolgersi la funzione regionale  non
 possono essere se non quelli determinati secondo l'art. 3 della legge
 n. 382 del 1975, il provvedimento impugnato  sembrerebbe  contrastare
 con  l'art.  52  medesimo,  sia  perche'  anche  la delega deve esser
 conforme a quegli indirizzi, sia perche' prevede un  parere  del  CIP
 che  si  inserisce  nella formazione dell'atto regionale senza alcuna
 specifica previsione da parte del d.P.R. n. 616 del 1977.
    Il  provvedimento  impugnato, poi, contrasterebbe, ad avviso della
 Regione ricorrente, con l'art. 7, tredicesimo comma, della  legge  27
 dicembre 1983, n. 730 (legge finanziaria per il 1984), in quanto tale
 disposizione prevede che  i  disavanzi  delle  aziende  di  trasporto
 pubblico  devono  essere  coperti  dalle  regioni o province autonome
 mediante aumenti tariffari.
    Un  ulteriore motivo di illegittimita' del provvedimento impugnato
 e' ravvisato dalla Regione ricorrente nel fatto che il  provvedimento
 stesso  si  basa  su  un decreto legge non convertito (d.l. n. 10 del
 1984). E, a sanare questa illegittimita'  non  si  puo'  invocare,  a
 giudizio  della  Regione,  la  circostanza  che  il d.l. n. 70 del 27
 aprile 1984 ha fatto salvi gli  atti  ed  i  provvedimenti  adottati,
 nonche' gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base
 del decreto non convertito, in quanto tale potere  spetta,  ai  sensi
 dell'art.  77,  terzo  comma,  Cost.,  al Parlamento. La disposizione
 contenuta  nel  d.l.  n.  70   del   1984   deve,   anzi,   ritenersi
 costituzionalmente  illegittima  e,  in  tale prospettiva, la Regione
 Toscana chiede che la  Corte  sollevi  dinanzi  a  se'  questione  di
 legittimita' costituzionale della predetta disposizione.
    Infine, la ricorrente osserva che nella premessa del provvedimento
 impugnato e' fatto riferimento al protocollo d'intesa tra  Governo  e
 sindacati  del  14  febbraio 1984, rilevando che in alcun modo questa
 intesa,  della  quale  e'  incerta  la  natura,  puo'  costituire  il
 fondamento  del  potere  di  indirizzo  e coordinamento nei confronti
 delle regioni.
    2.  -  Si  e' costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo la reiezione del ricorso.
    L'Avvocatura osserva, in primo luogo, che la competenza del CIP ad
 emanare l'atto impugnato si fonda sulla previsione  dell'art.  1  del
 d.l. n. 10 del 1984, i cui effetti sono stati fatti salvi dall'art. 4
 del d.l. n. 70 del 1984; e, poiche' quest'ultimo decreto  ha  formato
 oggetto  di  un'autonoma impugnativa in via principale da parte della
 stessa  Regione  Toscana,  la  relativa  questione  non  puo'  essere
 trattata   nel  presente  giudizio  per  conflitto  di  attribuzione.
 Inoltre, osserva l'Avvocatura, i criteri ed i principi  ai  quali  il
 provvedimento del CIP deve attenersi, risultano delineati dal d.l. n.
 70 del 1984, riproduttivo del d.l. n. 10 del 1984, non convertito.
    In  sostanza,  quindi,  il  provvedimento  impugnato e' pienamente
 conforme all'art. 3 della legge n. 382 del 1975  e  all'art.  52  del
 d.P.R.  n.  616  del 1977, mentre la previsione del parere vincolante
 del CIP e'  contenuta  in  una  disposizione  del  provvedimento  non
 espressamente impugnata (punto 2 della delibera CIP impugnata).
    L'Avvocatura  contesta, poi, che il provvedimento impugnato sia in
 contrasto con l'art. 7, tredicesimo comma, della  legge  n.  730  del
 1983,  in  quanto  il  provvedimento stesso si fonda su una specifica
 disposizione di legge e non puo', certo, attenersi alla  legislazione
 preesistente.  Sullo  stesso punto l'Avvocatura osserva, inoltre, che
 l'art. 7,  tredicesimo  comma,  della  legge  n.  730  del  1983  non
 prevedeva  gli  aumenti tariffari come unico mezzo per il ripiano dei
 disavanzi delle aziende di trasporto pubblico locale.
    3. - In prossimita' dell'udienza, la Regione Toscana ha depositato
 una memoria con la quale, pur dando atto che, con sentenza n. 245 del
 1984,  la  Corte  ha  dichiarato  l'incostituzionalita'  dell'art. 7,
 tredicesimo comma, della legge n. 730 del 1983, insiste nel sostenere
 l'illegittimita'  del  provvedimento impugnato, prospettando altresi'
 il dubbio che un decreto-legge possa stabilire principi  fondamentali
 della materia.
    4.  -  Nel corso della pubblica udienza, mentre l'Avvocatura dello
 Stato  ha  ribadito  gli  argomenti  dedotti  nel  proprio  atto   di
 costituzione,   la  Regione  Toscana  ha  invece  insistito  in  modo
 particolare sull'illegittimita'  di  un  decreto-legge  che  tende  a
 sanare gli effetti di un precedente decreto-legge.
    Su   quest'ultimo   punto   la  ricorrente  ha  prospettato  nuovi
 argomenti, osservando, in particolare, che l'art. 77,  ultimo  comma,
 Cost.,  nel  riservare  alle  Camere il potere di regolare i rapporti
 eventualmente sorti in base a un decreto non convertito, si pone come
 scopo  primario,  non  gia' quello di abilitare il Parlamento a porre
 norme retroattive (cio' che avrebbe potuto fare anche in  assenza  di
 una  specifica  previsione  costituzionale),  ma  piuttosto quello di
 riconoscere alle Camere la facolta' di disciplinare rapporti che, per
 la  mancata  conversione,  sono da considerare giuridicamente tanquam
 non essent, come se non esistessero. Questa competenza riservata alle
 Camere   non   puo'  venir  esercitata  dal  Governo  con  successivi
 decreti-legge, poiche', a giudizio della ricorrente, quest'ultimo non
 puo'  far  rivivere  qualcosa  che e' ormai morto. Tanto piu' cio' e'
 vietato, secondo la Regione, quando, come nel caso, il  decreto-legge
 successivo,  facendo  salvi  i  rapporti  sorti in base al precedente
 decreto e  convalidando  gli  atti  adottati,  mira  a  compiere  una
 "conversione" surrettizia del decreto riprodotto.
                         Considerato in diritto
    1.  -  Oggetto del presente giudizio per conflitto di attribuzione
 e' la questione se il provvedimento  del  Comitato  Interministeriale
 dei  Prezzi  n.  10/1984, nel vietare di aumentare, per l'intero anno
 1984, le tariffe del trasporto urbano delle autolinee in concessione,
 sia   invasivo  delle  competenze  in  materia  di  tranvie  e  linee
 automobilistiche d'interesse regionale, nonche'  di  quelle  relative
 alla  submateria delle attivita' commerciali, le quali sono garantite
 alle regioni dagli artt. 117 e 118 Cost., come attuati dagli artt. 52
 e 84 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
    Secondo  la Regione Toscana l'invasione delle competenze regionali
 deriverebbe dal fatto che il provvedimento impugnato sarebbe un  atto
 di  indirizzo  e  di  coordinamento  del  tutto  privo  di  una  base
 legislativa (non essendo stato convertito il decreto-legge sul  quale
 si  fonda  quel  provvedimento),  oltreche'  emanato  da un'autorita'
 incompetente (non potendo ritenersi che il CIP  possa  legittimamente
 surrogarsi al Governo nell'esercizio delle competenze di cui all'art.
 3 della  legge  n.  382  del  1975)  e  in  violazione  dell'art.  7,
 tredicesimo  comma,  della  legge n. 730 del 1983 (secondo il quale i
 disavanzi di gestione delle  aziende  qui  considerate  devono  esser
 coperti  mediante  adeguamenti tariffari, stabiliti dalle regioni con
 il concorso degli enti locali interessati).
    Il  ricorso  della  Regione  Toscana  non  puo' essere accolto per
 nessuno dei profili prospettati.
    2.  -  Innanzitutto,  non  puo'  esser condiviso il rilievo che il
 provvedimento  impugnato  sia  (del  tutto)   privo   di   una   base
 legislativa.
    2.1. - Per dimostrare l'assunto contrario, la ricorrente argomenta
 che, poiche' il d.l. n. 10 del 1984 e' decaduto con effetto ex tunc a
 causa  della  sua  mancata  conversione  in  legge,  il provvedimento
 impugnato, che su di esso si fonda, e' divenuto  privo  di  qualsiasi
 copertura  legislativa.  Ne' si potrebbe obiettare, sempre secondo la
 ricorrente, che gli effetti del predetto decreto  siano  stati  fatti
 salvi  dall'art.  4  del  successivo  d.  l.  n. 70 del 1984, essendo
 quest'ultimo illegittimo in quanto esercizio di  una  competenza  che
 l'art.  77,  ultimo  comma,  Cost.,  riserva alle Camere. Rispetto ad
 esso, anzi, la Regione ha presentato  formale  eccezione  perche'  la
 Corte  sollevi  di  fronte  a  se  stessa  la  relativa  questione di
 costituzionalita'.
    Cosi'  argomentando,  peraltro,  la Regione Toscana, mentre rileva
 correttamente la decadenza del decreto-legge n. 10 per effetto  della
 mancata   conversione   in   legge,  nello  stesso  tempo  omette  di
 considerare che la legge 12 giugno 1984, n.219, nel convertire il  d.
 l.  n.  70 del 1984, che aveva riprodotto il predetto d. l. n. 10, ha
 stabilito, all'ultimo comma del  suo  articolo  unico,  che  "restano
 validi  gli  atti e i provvedimenti adottati e sono salvi gli effetti
 prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto-legge 15
 febbraio  1984,  n.  10".  In altre parole, la legge n. 219 del 1984,
 mentre ha convertito in legge il d. l. n.  70,  nello  stesso  tempo,
 proprio in virtu' della disposizione appena ricordata, ha fatto salvi
 gli effetti e - quel che qui interessa -  ha  assicurato  una  valida
 base legislativa ai provvedimenti adottati sul fondamento del decreto
 decaduto e  poi  riprodotto  (cioe'  il  d.  l.  n.  10),  estendendo
 retroattivamente ad essi l'efficacia delle proprie disposizioni.
    Nel  far  cio', la predetta legge ha, per un verso, sostituito con
 effetto ex tunc l'art. 4 del d. l. n. 70 (v. sent. n. 34  del  1985),
 e,  per  altro  verso, ha posto una norma (ultimo comma dell'articolo
 unico) in funzione di sanatoria verso gli atti e i provvedimenti che,
 essendo  stati  adottati  sulla  base del decreto decaduto, sarebbero
 risultati, in mancanza di essa,  sicuramente  invalidi.  E,  poiche',
 come  questa  Corte  ha gia' avuto modo di dire (v., ad es., sent. n.
 100 del 1987), nel nostro ordinamento e' pienamente  ammissibile  una
 legge  generale  e  astratta in funzione di convalida o di sanatoria,
 sempreche' ovviamente cio' non comporti una lesione  dei  principi  e
 dei  precetti  costituzionali  (che  nel  caso  non ricorre), si deve
 concludere che la legge n. 219 del  1984  ha  posto  una  norma  che,
 estendendo  retroattivamente  gli effetti dell'art. 1 del d. l. n. 70
 agli atti e ai provvedimenti adottati  sul  fondamento  dell'identico
 articolo  contenuto  nel  precedente d. l. n. 10, conferisce a questi
 ultimi una base legislativa formalmente idonea.
    2.2.   -   D'altra   parte,   sotto  il  profilo  sostanziale,  il
 provvedimento n. 10/1984 del Comitato Interministeriale  dei  Prezzi,
 ancorche'   porti   nella   sua  intitolazione  la  denominazione  di
 "direttive", non possiede, certo,  per  la  parte  che  interessa  il
 presente  giudizio  (punto  4),  le caratteristiche strutturali di un
 atto di indirizzo e coordinamento. Contrariamente a quanto suppone la
 ricorrente,   esso   e'   un  atto  amministrativo  che,  sulla  base
 dell'esercizio di  una  discrezionalita'  meramente  tecnica,  appare
 rivolto  all'applicazione puntuale di una direttiva gia' presente, in
 tutti i suoi elementi prescrittivi, nell'art. 1 del decreto-legge  n.
 70  del  1984,  come  convertito (ed esteso ai provvedimenti adottati
 sulla base del d. l. n. 10) ad opera della legge n. 219 del 1984.
    In  effetti,  nella disposizione legislativa appena citata e' gia'
 formulato il divieto, per l'anno 1984,  di  aumentare  mediamente  le
 tariffe  e  i  prezzi amministrati al di la' del 10% del valore reale
 riscontratosi nell'anno precedente.  Nell'art.  1  del  d.l.  n.  70,
 infatti,  e'  stabilito  testualmente che "per il 1984 la media annua
 ponderata  degli  incrementi  dei  prezzi  al  comsumo  per  l'intera
 collettivita'  nazionale  non  puo' superare, nel complesso, il tasso
 minimo  di  inflazione  indicato,  nella  relazione  previsionale   e
 programmatica  del  Governo  per l'anno medesimo, nella misura del 10
 per cento". Al fine di attuare l'anzidetta direttiva, lo stesso  art.
 1,  mentre  prevede  che  il  CIP dia un parere preventivo vincolante
 sulle proposte di incremento delle tariffe e dei prezzi  amministrati
 la  cui  deliberazione spetti allo Stato centrale, nello stesso tempo
 demanda al medesimo Comitato, al  fine  di  determinare  gli  aumenti
 delle  tariffe  e  dei  prezzi  amministrati  di spettanza degli enti
 locali autonomi,  il  potere  di  emanare  "apposite  direttive  alle
 amministrazioni  regionali,  provinciali  e  comunali  e  ai comitati
 provinciali dei prezzi per i provvedimenti da  adottarsi  nell'ambito
 territoriale di loro competenza".
    Il provvedimento impugnato nel presente giudizio e' stato adottato
 sulla base di questa specifica attribuzione  di  potere  al  fine  di
 determinare  in  concreto,  a  seguito  dell'applicazione  di criteri
 meramente  tecnici,  il  livello   delle   tariffe   e   dei   prezzi
 amministrati,  la  cui  deliberazione  spetta  alle  automomie locali
 territoriali, in relazione al tetto del 10%, rappresentato dal  tasso
 di inflazione programmato per il 1984. Ed infatti, a questo riguardo,
 il provvedimento del CIP dispone nella parte che qui interessa (punto
 4)  quanto  segue: "le tariffe del trasporto urbano e delle autolinee
 in concessione - considerato che a  livello  nazionale  l'effetto  di
 "trascinamento"  sulla  media 1984 degli aumenti intervenuti nel 1983
 registra valori percentuali rispettivamente del  9,9%  e  del  15,7%,
 gia' difficilmente compatibili con il tasso di inflazione programmato
 - dovranno esser mantenute ferme agli attuali livelli".
    In   altre  parole,  in  attuazione  del  divieto  legislativo  di
 aumentare per il 1984 le tariffe amministrate  in  misura  mediamente
 superiore  al  10%  reale, il provvedimento impugnato, constatato che
 l'effetto di "trascinamento" degli incrementi realizzatisi  nel  1983
 aveva  portato  nelle  tariffe  in questione a tassi reali di aumento
 pressoche' pari (nel  caso  del  trasporto  urbano)  o,  addirittura,
 nettamente  superiori  (nel  caso  delle  autolinee  in  concessione)
 rispetto al tetto stabilito, non fa altro che dare concretezza a quel
 divieto  imponendo  alle  amministrazioni  regionali,  provinciali  e
 comunali di mantener ferme, in termini monetari, le predette tariffe.
    Appare  chiaro,  pertanto,  che  nel  far  cio'  il  provvedimento
 impugnato non introduce affatto prescrizioni nuove rispetto a  quelle
 gia'  contenute nella disposizione legislativa che vi sta a base, ma,
 conformemente del resto alla natura delle  comuni  deliberazioni  del
 CIP  (v.,  ad es., sent. 103 del 1957), non fa altro che applicare al
 caso  di   specie,   usando   esclusivamente   criteri   tecnici   di
 determinazione,  il divieto contenuto nell'art. 1 del d. l. n. 70 del
 1984, come convertito ed esteso ai rapporti anteriori dalla legge  n.
 219  del 1984. Non si e', dunque, in presenza di un atto di indirizzo
 e coordinamento, ma piuttosto di un atto di amministrazione  puntuale
 e  concreto  posto  in  essere  nell'attuazione di una direttiva gia'
 contenuta, in tutti i suoi elementi prescrittivi, nella  disposizione
 legislativa sulla quale si basa il provvedimento impugnato.
    3.  - Trattandosi di un indirizzo legislativo che il provvedimento
 impugnato ha semplicemente applicato a un caso  concreto,  vengono  a
 cadere  tutte  le  censure formulate dalla Regione ricorrente, vale a
 dire non solo quella relativa  alla  pretesa  mancanza  di  copertura
 legislativa, ma anche quella attinente alla presunta incompetenza del
 CIP ad emanare atti di indirizzo e coordinamento e quella riguardante
 l'asserito  contrasto  del  provvedimento  impugnato  con  l'art.  7,
 tredicesimo comma, della legge n. 730  del  1983  (disposizione  che,
 peraltro,  e'  stata  annullata  con  effetto ex tunc a seguito della
 dichiarazione d'illegittimita' costituzionale con sent.  n.  245  del
 1984).
    Non  si  puo'  dubitare,  dunque,  che  il provvedimento di cui si
 chiede l'annullamento sia svolgimento  di  una  competenza  spettante
 allo  Stato,  che  non  lede,  cosi'  come  e'  stata  esercitata, le
 attribuzioni costituzionalmente garantite  alle  regioni.  Cio'  vale
 tanto  piu'  se  si  ha  presente,  come  elemento  di sfondo, che la
 disposizione legislativa di cui l'atto impugnato costituisce puntuale
 applicazione  si  collega  sicuramente  a finalita' generali, come la
 lotta  all'inflazione  su  tutto   il   territorio   nazionale,   che
 trascendono senz'alcun dubbio gli interessi che si intendono tutelare
 con le competenze attribuite alle regioni.
    4.  - Le argomentazioni precedentemente svolte, mentre precludono,
 per gli stessi motivi enunciati da questa Corte nella sent. n. 34 del
 1985,  l'esame di qualsivoglia censura prospettata contro il d. l. n.
 70 del 1974 al fine  dell'invalidazione  del  provvedimento  del  CIP
 oggetto  della  presente impugnazione, inducono altresi' a dichiarare
 l'irrilevanza della  eccezione  formulata  dalla  Regione  ricorrente
 affinche'  la  Corte  sollevi  di  fronte a se stessa la questione di
 costituzionalita' dell'art. 4 del decreto-legge n. 70  del  1984  per
 contrasto   con  l'art.  77  della  Costituzione.  Poiche',  infatti,
 l'ultimo comma dell'articolo unico della gia' citata legge n. 219 del
 1984  si  e'  integralmente  e stabilmente sostituito, con effetto ex
 tunc, alla disposizione provvisoria della  cui  costituzionalita'  si
 dubita,    quest'ultima   e'   stata   cancellata   sin   dall'inizio
 dall'ordinamento legislativo  e,  in  ogni  caso,  non  e'  piu'  una
 disposizione  applicabile  nel  presente  giudizio. Pertanto, a voler
 tacere di  altri  argomenti  conducenti  alla  medesima  conclusione,
 appare  chiaro  che  la questione di costituzionalita' eccepita dalla
 parte ricorrente  e'  manifestamente  inammissibile  per  difetto  di
 rilevanza;