ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 1, primo e
 secondo comma, della legge 15 ottobre  1979,  n.  490  ("Proroga  del
 termine  di  cui  al  settimo  comma dell'articolo 53 del testo unico
 approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6  marzo  1978,
 n.  218, per quanto riguarda gli espropri effettuati per l'esecuzione
 dei lavori del 5› Centro siderurgico di Gioia Tauro"),  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  3  maggio  1984  dal  Tribunale  di  Palmi nel
 procedimento civile vertente tra Zito Agostino  e  il  Consorzio  per
 l'area di sviluppo industriale di Reggio Calabria, iscritta al n. 133
 del registro ordinanze 1985 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 137 bis dell'anno 1985.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito  nella  Camera  di  consiglio  del  23 marzo 1988 il Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
    Ritenuto  che  nel  corso  di  un  giudizio  avente  ad oggetto la
 retrocessione di alcuni immobili, espropriati per la costruzione  del
 porto  industriale  e  del quinto centro siderurgico di Gioia Tauro e
 sui  quali  non  era  stata  realizzata  alcuna  opera  pubblica,  il
 Tribunale di Palmi, avanti il quale il convenuto Consorzio per l'area
 di  sviluppo  industriale   di   Reggio   Calabria   aveva   eccepito
 l'intervenuta  proroga del termine per l'utilizzazione delle aree, ha
 sollevato,  con  ordinanza  in  data  3  maggio  1984,  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma primo e secondo, legge
 15 ottobre 1979 n. 490  che  dispone  appunto  la  predetta  proroga,
 consentendo,  parallelamente,  l'utilizzazione  delle  aree anche per
 iniziative industriali diverse;
      che la disposizione impugnata viene censurata nella parte in cui
 prorogando, per i soli  immobili  destinati  alla  realizzazione  del
 quinto  centro  siderurgico  di  Gioia Tauro, il termine quinquennale
 entro il quale i beni  espropriati  dall'ente  beneficiario  dovevano
 essere  "utilizzati per lo scopo prestabilito", e prevedendo altresi'
 la possibilita' di utilizzazioni industriali alternative, si porrebbe
 in contrasto:
        a)  con  gli  artt. 24 e 25 Cost., in quanto il provvedimento,
 per il suo sostanziale carattere  di  "atto  amministrativo  plurimo"
 solo    formalmente    legislativo,    sottrarrebbe    al   sindacato
 giurisdizionale e alla cognizione del giudice naturale  precostituito
 per legge la materia da esso disciplinata;
        b) con l'art. 3 Cost., creando un'ingiustificata disparita' di
 trattamento  fra   gli   espropriati   degli   immobili   interessati
 all'esecuzione  dei  lavori  del  quinto  centro siderurgico di Gioia
 Tauro e gli altri espropriati, proprietari  di  immobili  situati  in
 zone limitrofe;
        c)   con   l'art.   97,   primo   comma,   Cost.,  attribuendo
 all'amministrazione  un  potere  di  utilizzazione  del   bene,   per
 iniziative  industriali alternative, troppo ampio in riferimento alla
 mancata previsione, sia di un termine perentorio per la redazione  in
 forma  esecutiva  dei  progetti  alternativi,  sia  della  necessaria
 correlazione fra l'entita' degli eventuali programmi  e  l'estensione
 delle aree da assoggettare al vincolo della proroga;
        d)  con  l'art.  42, terzo comma, Cost., in quanto la predetta
 proroga, impedendo  l'esercizio  del  diritto  dei  proprietari  alla
 restituzione   del  bene,  integrerebbe  gli  estremi  di  una  nuova
 espropriazione, senza la previsione di un adeguato indennizzo;
      che  e'  intervenuta l'Avvocatura Generale dello Stato chiedendo
 che la questione sia dichiarata infondata.
    Considerato  che,  in riferimento al primo dei prospettati profili
 di  illegittimita'  costituzionale,  va  negata  l'esistenza  di  una
 riserva  di  potesta'  amministrativa  nella  materia  che  la  norma
 impugnata disciplina, e cio' ad ulteriore precisazione di quanto gia'
 affermato  da  questa  Corte  nelle  sentenze n. 95 e 6 del 1966, e a
 prescindere dalla attinenza che gli invocati parametri possano o meno
 avere in relazione alle censure mosse;
      che  per  quanto  attiene  all'asserito  contrasto  con l'art. 3
 Cost., la lamentata diversita' di regime trova  una  sua  ragionevole
 giustificazione  nella  peculiarita' della destinazione impressa agli
 immobili espropriati,  cui  evidentemente  si  collega  il  permanere
 dell'assoluta  necessita' di realizzare l'originaria opera pubblica o
 comunque altre iniziative industriali in grado di imprimere alla zona
 in oggetto lo stesso tipo di sviluppo;
      che,  in relazione alla sostenuta violazione dell'art. 97, primo
 comma, Cost., la riserva di legge ed il principio del buon andamento,
 ai  quali  sembra  riferirsi il giudice a quo, attenendo alla materia
 dell'organizzazione dei pubblici uffici, nulla hanno a che vedere con
 le disposizioni, quale quella impugnata, che disciplinano l'attivita'
 amministrativa incidendo  direttamente  nella  sfera  soggettiva  dei
 privati, e per le quali nella nostra Costituzione sono previsti altri
 e diversi parametri di riferimento;
      che   per   quanto  concerne,  infine,  la  prospettata  lesione
 dell'art. 42, terzo comma, Cost., la sentenza di questa Corte n.  245
 del  1987  configura la retrocessione come un "diritto potestativo di
 acquisto", non essendo peraltro ipotizzabili, una  volta  intervenuta
 l'espropriazione  del  bene  e  corrisposto  l'indennizzo,  posizioni
 giuridiche, a rilevanza economica, riferibili all'espropriato;
      che,   conseguentemente,  la  limitazione  che  la  disposizione
 censurata apporrebbe al potere di retrocessione, a prescindere  dalla
 sua  consistenza, non puo' in alcun modo integrare gli estremi di una
 nuova  espropriazione,  presupponendo  quest'ultima  l'esistenza   di
 situazioni  giuridiche  soggettive  perfette, a contenuto reale o che
 comunque attengono al godimento del bene;
      che,  pertanto,  in  relazione  a tutti gli anzidetti profili la
 questione va dichiarata manifestamente infondata.
    Visti gli artt. 26, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9,
 secondo comma, delle norme integrative per i giudizi avanti la  Corte
 costituzionale.