ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel   giudizio   di   legittimita'  costituzionale  dell'art.  4  del
 decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688, recante: "Misure  urgenti,  in
 materia  previdenziale,  di  tesoreria  e di servizi delle ragionerie
 provinciali dello Stato", promosso con ricorso della Regione  Toscana
 notificato  il  28  dicembre  1985,  depositato  in  cancelleria il 4
 gennaio 1986 ed iscritto al n. 1 del registro ricorsi 1986;
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1988 il Giudice relatore
 Aldo Corasaniti;
    Uditi  l'avv.  Fabio  Lorenzoni  e  l'avvocato dello Stato Gaetano
 Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ricorso in data 28 dicembre 1985 la Regione Toscana ha
 proposto questione di legittimita' costituzionale in  via  principale
 dell'art. 4 del decreto-legge 2 dicembre 1985, n. 688, per violazione
 degli artt. 3, comma primo, 42, 81, 119 Cost.
    La  normativa  impugnata  dispone  che gli importi non erogati dei
 mutui concessi dagli istituti  di  credito  agli  enti  ed  organismi
 pubblici  tenuti  all'osservanza  dell'art. 40 della legge n. 119 del
 1981 (fra cui  le  regioni)  alla  data  di  entrata  in  vigore  del
 decreto-legge,  il  cui  ammortamento  ha gia' avuto inizio, dovranno
 essere versati presso la  tesoreria  centrale  o  nelle  contabilita'
 speciali intestate agli enti od organismi pubblici medesimi presso le
 sezioni provinciali della tesoreria dello Stato, in quattro rate ed a
 scadenze  determinate;  dispone  inoltre  che sulle somme non versate
 alle predette scadenze e' dovuto da parte degli istituti  di  credito
 un  interesse  di mora pari al tasso ufficiale di sconto aumentato di
 cinque punti (con  imputazione  al  capo  X  del  capitolo  2368  del
 bilancio    dello    Stato);    che    gli   interessi   compensativi
 contrattualmente dovuti  dagli  enti  creditizi  ai  comuni  ed  alle
 province  in dipendenza dei mutui contratti, con esclusione di quelli
 gia' in ammortamento, dovranno essere  versati,  a  cura  degli  enti
 creditizi  medesimi, al bilancio dello Stato con imputazione al detto
 cap. 2368.
    Secondo  la  regione  ricorrente  la normativa impugnata, oltre ad
 essere illegittima per il fatto che  il  decreto-legge  che  la  reca
 costituisce  reiterazione di precedente decreto-legge non convertito.
    Tale normativa violerebbe l'art.3, comma primo, Cost., parificando
 la situazione di enti la cui autonomia finanziaria non  e'  garantita
 dalla  Costituzione  a quella di enti (come le regioni) che godono di
 specifica  garanzia  da  questo  punto  di  vista.  Contribuendo   ad
 eliminare  quella  fase  intermedia  fra  entrata  e  spesa in cui si
 risolve il servizio di tesoreria regionale,  pur  previsto  da  legge
 dello  Stato  (art.  33  legge  n.  335  del  1976), risulterebbe poi
 direttamente lesiva di tale autonomia; ed  il  sacrificio  di  questa
 risulterebbe  del  tutto  ingiustificato  in  relazione  ad  "entrate
 proprie", quali sono quelle che derivano da mutui contratti, rispetto
 a cui non ricorrerebbero quegli scopi di riduzione dell'indebitamento
 pubblico che giustificano,  secondo  la  giurisprudenza  della  Corte
 costituzionale,   il   servizio   di   tesoreria  unica.  Tutto  cio'
 discostandosi  dal  modello  dell'art.  119  Cost.  che  prevede   un
 coordinamento  tra  finanza  regionale  e  finanza  statale  e non la
 semplice  sostituzione  dello  Stato   nella   gestione   finanziaria
 regionale.
    Risulterebbe  violato,  inoltre, l'art. 42 Cost. essendo sottratta
 alla regione la disponibilita' di somme rientranti nel suo patrimonio
 e  l'art.  81  Cost.,  derivando da questo meccanismo legislativo una
 diminuzione delle entrate regionali, restando invariate le spese  per
 ammortamento dei mutui contratti.
    2.  -  Si  costituiva  il  Presidente  del Consiglio dei ministri,
 attraverso l'Avvocatura dello  Stato,  contestando  le  deduzioni  di
 parte ricorrente.
    Deve  essere  esclusa,  innanzi  tutto,  ad avviso dell'Avvocatura
 dello Stato, la protezione  costituzionale  di  un  uso  patrimoniale
 delle  risorse  regionali e, dunque, la possibilita' di invocare come
 parametro l'art. 42 Cost. La  garanzia  costituzionale  concernerebbe
 solo, invece, l'autonomia finanziaria delle regioni.
    La  disciplina  impugnata,  d'altra  parte,  non  eliminerebbe  il
 servizio di tesoreria regionale di cui all'art.  33  della  legge  19
 maggio  1976,  n.  335.  Il  regime  unitario  di utilizzazione delle
 disponibilita' finanziarie, introdotte con l'art. 40 della  legge  30
 marzo  1981,  n. 119, ed esteso ad ulteriori entrate regionali con la
 normativa  impugnata,  non  escluderebbe  la  possibilita',  per   la
 regione,  di  mantenere  una parte delle sue disponibilita' presso la
 propria  tesoreria,  restando  peraltro  salva  la  possibilita'   di
 utilizzare,  senza  intralci,  quelle  depositate sul conto presso la
 tesoreria statale.
    Le  entrate da mutuo, inoltre, non risulterebbero equiparabili, ai
 sensi della legislazione in vigore (art. 1,  comma  primo,  legge  29
 ottobre  1984,  n. 720, peraltro riferito ai comuni, alle province ed
 ad altri enti diversi dalle regioni), alle  "entrate  proprie",  tali
 essendo  considerate  solo  quelle  derivanti  da  autonoma capacita'
 impositiva o da cespiti patrimoniali.
    Ne'  la  mancata  previsione  di interessi sugli importi acquisiti
 attraverso  il  mutuo  e  per   il   periodo   che   intercorre   fra
 l'acquisizione  e  l'erogazione  violerebbe  l'autonomia  finanziaria
 della regione, mancando una protezione costituzionale della  relativa
 pretesa.
    Risulterebbbe, dunque, infondata, per difetto dei suoi presupposti
 logici, anche la censura di violazione dell'art. 81 Cost.
    3.  -  Con  successiva  memoria  la  regione ribadiva e sviluppava
 ulteriormente le sue deduzioni. All'udienza di discussione  le  parti
 confermavano i rispettivi punti di vista.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Regione  Toscana  impugna  l'art. 4 del decreto-legge 2
 dicembre 1985, n. 688, per violazione degli artt. 3, comma primo, 42,
 81, 119 Cost.
    Osserva  in  primo  luogo che il decreto-legge sarebbe illegittimo
 per  il  fatto  stesso  di  costituire  reiterazione  di   precedente
 decreto-legge non convertito.
    Deduce,  poi,  che  la  norma  impugnata, disponendo il versamento
 nella tesoreria dello Stato degli importi dei  mutui  non  erogati  e
 concessi  agli  enti  ed  organismi pubblici di cui all'art. 40 della
 legge 30 marzo 1981,  n.  119  (oltre  alle  regioni,  anche  comuni,
 province  e  relative aziende, nonche' enti pubblici non economici di
 cui alla tabella A, allegata alla legge 5  agosto  1978,  n.  468,  o
 determinati  con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
 di cui all'ultimo comma  dell'art.  25  della  legge  medesima,  enti
 portuali,  aziende  autonome  dello Stato, Enel), ingiustificatamente
 parifica le regioni ad enti non dotati di autonomia finanziaria.
    Tale  norma,  privando  le regioni della disponibilita' di entrate
 che fanno parte del loro  patrimonio  (quali  sono  quelle  da  mutuo
 contratto),   violerebbe   la   garanzia  della  proprieta'  pubblica
 riconosciuta dall'art. 42 Cost.
    Privando,  d'altra  parte,  le regioni degli interessi sulle somme
 acquisite, e depositate in istituti  di  credito  senza  coprire  gli
 oneri  del  correlativo  debito  di  restituzione,  la  norma  stessa
 violerebbe l'art. 81 Cost., nella parte in cui (ultimo comma) prevede
 la necessaria indicazione dei mezzi di copertura delle maggiori spese
 decise.
    Violerebbe,  infine,  l'autonomia  finanziaria delle regioni sotto
 diversi  profili.  Finirebbe  con  lo  svuotare,  innanzi  tutto,  la
 funzione  del  servizio  di  tesoreria  regionale, pur previsto dalla
 legge fondamentale dello Stato in materia (art. 33  legge  19  maggio
 1976, n. 335). Acquisirebbe allo Stato l'importo di "entrate proprie"
 delle regioni, quali sono quelle derivanti da  mutui  contratti,  pur
 non   ricorrendo   quelle  ragioni  di  riduzione  dell'indebitamento
 pubblico che, in  riferimento  alla  finanza  regionale  derivata  da
 trasferimenti  statali, giustificano, secondo la giurisprudenza della
 Corte, il regime della tesoreria unica.
    Violerebbe anche il limite intrinseco del potere di coordinamento,
 finendo con il  sopprimere  l'autonomia  finanziaria  della  regione,
 almeno  nella  fase  che intercorre tra acquisizione delle entrate ed
 erogazione  delle  spese,  anziche'  armonizzarla  con  le   esigenze
 generali.
    2.  -  L'impugnazione,  proposta nei confronti del decreto-legge 2
 dicembre 1985, n. 688, con riferimento all'art. 4  del  medesimo,  si
 estende,  naturalmente, alla legge di conversione 31 gennaio 1986, n.
 11, che, fra l'altro, non reca sul punto emendamenti (sent.  75/1967;
 75/1979; 185/1981; 41/1985; 151/1986).
    3.  -  La  circostanza  che il decreto-legge impugnato costituisca
 reiterazione di precedente decreto-legge non convertito non  puo'  da
 sola  costituire motivo di impugnazione in via principale, tanto piu'
 quando, come nel caso, il decreto-legge sia  stato  convertito  (cfr.
 sentenze di questa Corte nn. 307 del 1983, 302 del 1988).
    4.  -  Va premesso che l'art. 4 del decreto-legge n. 688 del 1985,
 impugnato, impone agli enti ed organismi pubblici di cui all'art.  40
 legge  n.  119  del  1981,  di  versare  in  conti correnti presso la
 tesoreria centrale o nelle contabilita' speciali  presso  le  sezioni
 provinciali  della  tesoreria  dello Stato loro intestate gli importi
 (quote) non ancora erogati, alla data di entrata in vigore dell'atto,
 dei  mutui  concessi  dagli istituti di credito o dalle sezioni opere
 pubbliche degli istituti di credito. Dispone poi  che  il  versamento
 deve  essere  effettuato  in  quattro  rate a scadenze indicate e che
 sulle somme non versate in termini e' dovuto  un  interesse  di  mora
 pari al tasso ufficiale di sconto aumentato di cinque punti.
    La  normativa  segna  un ulteriore passo in avanti negli indirizzi
 della piu'  recente  legislazione  di  convogliamento  delle  risorse
 regionali  in  conti correnti presso le tesorerie statali, al fine di
 evitare, nei limiti del possibile, ristagno di liquidita' ed  aggravi
 negli interessi passivi a carico dello Stato.
    Al    riguardo,   oltre   a   precedenti   normative   concernenti
 finanziamenti settoriali, va soprattutto richiamato l'art.  31  della
 legge  5  agosto  1978,  n.  468,  sulla  riforma  di alcune norme di
 contabilita' dello Stato in materia di bilancio,  che  disponeva,  in
 generale,  ma  limitatamente  alle  assegnazioni, contributi e quanto
 altro proveniente dal bilancio dello Stato, l'obbligo  delle  regioni
 di  versare  le  rispettive  disponibilita'  in  conti  correnti  non
 vincolati con il Tesoro.
    L'art.  40,  comma  primo, della legge 30 marzo 1981, n. 119, poi,
 estendeva l'obbligo di deposito in conto corrente presso il Tesoro di
 tutte  le  disponibilita'  finanziarie  regionali, quale che fosse la
 loro  provenienza,  salva  la  facolta'  delle  regioni  medesime  di
 mantenere  presso il sistema bancario disponibilita' non superiori al
 12% delle entrate annue previste dal  bilancio  di  competenza;  cio'
 anche  per  l'evidente  collegamento  che sussiste, per un verso, fra
 tempi di erogazione da parte dello Stato  delle  risorse  ascrivibili
 alla  finanza  di  trasferimento  e  disponibilita'  derivante  dalla
 finanza "propria" delle regioni e, per altro verso, fra  esigenze  di
 una  sempre  sufficiente  (in  relazione  ai fabbisogni) provvista di
 mezzi disponibili a favore delle regioni e contrapposte  esigenze  di
 evitare ristagni di liquidita', con aggravio inutile di oneri passivi
 a carico  dello  Stato,  cioe'  a  fini  di  coordinamento  ai  sensi
 dell'art.  119  Cost., oltreche' a fini di controllo della liquidita'
 complessiva del sistema (sentt. 162/1982; 307/1983; 245/1984).
    Successive  leggi  ebbero a prevedere una riduzione della quota di
 risorse disponibili presso le tesorerie  regionali  (art.  21,  comma
 quarto,  decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito in legge
 11 novembre 1983, n. 638; art. 35, comma  quattordicesimo,  legge  27
 dicembre  1983,  n.  730; art. 3 legge 29 ottobre 1984, n. 720) ed il
 temporaneo carattere infruttifero dei conti presso il Tesoro (legge 7
 agosto  1982,  n.  526, artt. 37, 82; art. 1 decreto-legge 10 gennaio
 1983, n. 1, non convertito).
    5. - Cio' posto, e' da osservare che l'autonomia finanziaria delle
 regioni ha  un  indubbio  carattere  funzionale,  nel  senso  che  e'
 destinata  a soddisfare le esigenze di pubblico interesse nelle forme
 e nei modi stabiliti dalla legge. Cio',  per  un  verso,  esclude  la
 pertinenza  del  riferimento  all'art.  42  Cost. e, per altro verso,
 consente  di  valutare  anche  le  censure  proposte  in  riferimento
 all'art. 119 Cost.
    La  normativa  impugnata  non  sopprime,  peraltro, il servizio di
 tesoreria regionale previsto dall'art. 33 della legge 19 maggio 1976,
 n.  335,  anche  se  ne  riduce  l'operativita'  in  riferimento alle
 percentuali delle entrate regionali di volta in volta  effettivamente
 disponibili   (cfr.,   analogamente,  sent.  243/1985);  ne'  elimina
 l'autonomia finanziaria regionale,  restando  integro  il  potere  di
 ripartire  le risorse disponibili tra le diverse destinazioni, che di
 questa autonomia e'  il  profilo  essenziale  (sentt.  nn.  162/1982;
 307/1983). Oltre a cio' neppure incide su quelle che, almeno ai sensi
 di normativa statale (legge 29 ottobre 1984, n. 720, art. 1) sono  da
 considerare  le  "entrate  proprie",  vale a dire quelle derivanti da
 cespiti patrimoniali o da autonomia impositiva (cfr.,  tuttavia,  per
 una  nozione  piu'  articolata  di  "entrate proprie", le norme degli
 statuti speciali della Regione Sicilia e della Regione  Trentino-Alto
 Adige, su cui le sentenze di questa Corte nn. 61 e 62 del 1987).
    Restano,   comunque,   salvaguardate   quelle   che,   secondo  la
 giurisprudenza di questa Corte, sono, nella  presente  materia  della
 tesoreria,  le  esigenze  e  le  garanzie inderogabili dell'autonomia
 regionale, poiche'  la  normativa  impugnata  non  configura  anomali
 strumenti  di  controllo  sulla  gestione finanziaria regionale e non
 frappone ostacoli all'effettiva e pronta utilizzazione delle  risorse
 a   disposizione  della  regione  (sentenze  nn.  155/1977;  94/1981;
 162/1982; 307/1983; 244/1985).
    6.  -  Neppure  fondata  e'  la  questione proposta in riferimento
 all'art. 81, ultimo comma, Cost. e sotto il profilo  di  una  pretesa
 alterazione  fra  entrate  e spese determinata dall'essere la regione
 privata degli interessi  attivi  sulle  somme  di  cui  essa  si  era
 procurata  la  disponibilita'  attraverso  il mutuo, interessi attivi
 destinati, secondo  l'assunto,  a  coprire  l'onere  degli  interessi
 passivi.
    Si  rileva,  innanzi  tutto,  che  nessuna garanzia costituzionale
 assiste l'aspettativa regionale,  peraltro  meramente  ipotetica,  di
 lucrare  maggiori  tassi  di  interesse  presso  istituti  di credito
 discrezionalmente  scelti  (sentt.  nn.  162/1982;   307/1983;   242,
 243/1985).  E'  innegabile, poi, che, a fronte del mutuo contratto e,
 dunque,  dell'obbligo  di  restituzione,  la  regione  acquisisce  la
 disponibilita'  della  somma  relativa.  Va comunque osservato che la
 copertura  delle  nuove  spese  deve  essere  indicata  dalle   leggi
 regionali  che le prevedono (o, per le spese pluriennali, dalle leggi
 di bilancio: art. 2, l. 19 maggio 1976, n. 335) e  che  la  copertura
 delle  spese  di  ammortamento  e degli interessi passivi di un mutuo
 potra'  essere  fornita  da  una  qualsiasi  entrata  regionale,  non
 essendovi,  ne'  per  ragioni  logiche, ne' per ragioni sistematiche,
 necessario collegamento fra la  detta  spesa  e  l'eventuale  entrata
 derivante  da interessi attivi connessi all'utilizzazione provvisoria
 delle somme provenienti  dal  mutuo  attraverso  il  deposito  presso
 aziende di credito.
    7.  -  Ne'  appare utilmente invocato il princi'pio di eguaglianza
 per quel che concerne la lamentata  parificazione  delle  regioni  ad
 enti  non dotati di autonomia costituzionalmente garantita, sia avuto
 riguardo  alla  detta  ratio  della  norma  di  evitare  ristagni  di
 liquidita'  ed  inutile  aggravio di interessi passivi a carico dello
 Stato - rispetto a cui la diversa natura degli enti e degli organismi
 considerati  dall'art.  40  e successive modificazioni della legge n.
 119 del 1981 (cfr., supra par. 1 del "considerato  in  diritto")  non
 assume  rilievo  -  sia,  anche, considerato il carattere disomogeneo
 delle situazioni confrontate, non suscettibili di comparazione  sotto
 un singolo profilo, senza tener conto della disciplina complessiva di
 ciascuna di esse (sent. n. 243/1985).