ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nel  giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato
 il 12  novembre  1984,  depositato  in  Cancelleria  il  19  novembre
 successivo  ed  iscritto  al  n.  50  del  registro ricorsi 1984, per
 conflitto di attribuzioni sorto  a  seguito  della  deliberazione  27
 luglio  1984  del  Comitato  interministeriale  di cui all'art. 5 del
 d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, contenente:  "Disposizioni  per  la
 prima  applicazione dell'art. 4 del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915,
 concernente lo smaltimento dei rifiuti".
    Visto  l'atto  di  costituzione  del  Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 10 maggio 1988 il Giudice relatore
 Aldo Corasaniti;
    Uditi  l'avv.  Valerio Onida per la Regione Lombardia e l'Avvocato
 dello Stato Pier Giorgio Verzi' per il Presidente del  Consiglio  dei
 ministri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Con  ricorso  notificato  il  12  novembre 1984, la Regione
 Lombardia ha proposto conflitto di attribuzione nei  confronti  dello
 Stato  in  relazione  a  delibera  in data 27 luglio 1984 (pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale n. 253 del 13 settembre 1984)  del  Comitato
 interministeriale  di cui all'art. 5 del d.P.R. 10 settembre 1982, n.
 915, contenente disposizioni sullo smaltimento dei rifiuti, assumendo
 lese le sue competenze.
    La delibera sarebbe radicalmente illegittima, perche' adottata sul
 fondamento di una norma di legge (art. 4 d.P.R. n. 915  del  1982)  a
 sua  volta  invasiva  delle  competenze  regionali  in tema di tutela
 ambientale e di esecuzione delle  direttive  comunitarie  e,  dunque,
 contrastante  con gli artt. 117 e 118 della Costituzione e 6, 101 del
 d.P.R. n. 616 del 1977, che trovano riscontro nell'art. 3 della legge
 di  delega  9  febbraio  1982,  n.  42, laddove di tali competenze si
 ribadisce la garanzia.
    La deliberazione, inoltre, risulterebbe illegittima sia per il suo
 contenuto eccessivamente dettagliato,  tale  da  comprimere  oltre  i
 limiti   consentiti  l'autonomia  regionale,  sia  per  il  fatto  di
 concernere  settori  e  profili  estranei  all'oggetto   del   potere
 conferito.
    L'art.  4  del  d.P.R.  n. 915 del 1982 riserverebbe allo Stato il
 compito di predisporre norme a carattere tecnico sui criteri generali
 di  smaltimento dei rifiuti, nonche' sulle caratteristiche delle zone
 ove gli impianti di smaltimento debbono essere ubicati (lett. b), sui
 sistemi  che  favoriscono  il riciclaggio dei rifiuti, il recupero di
 materie e la produzione di energia (lett. c), sui modi di smaltimento
 dei  rifiuti  tossici  e  nocivi  e sul rilascio delle autorizzazioni
 relative,  oltreche'  sui  criteri  di  assimilabilita'  dei  rifiuti
 speciali  a  quelli  urbani  (lett. e ), f), determinando i limiti di
 accettabilita' delle sostanze, in relazione a dati  chimico-fisici  e
 microbiologici (lett. d ), g). Dal potere cosi' attribuito esulerebbe
 la  competenza   a   disciplinare   il   profilo   amministrativo   e
 procedimentale   della   materia.   Questi   limiti  sarebbero  stati
 largamente superati dal decreto che ha originato il conflitto.
    Il  paragrafo  "0"  prevede l'istituzione di Comitati regionali di
 esperti per individuare  le  zone  idonee  alla  realizzazione  degli
 impianti  di smaltimento (0.3, ultima parte) ed un potere sostitutivo
 del Commissario  del  Governo,  in  caso  di  "inottemperanza"  della
 regione. La prima previsione toccherebbe competenze amministrative ed
 organizzative estranee all'oggetto eminentemente tecnico  del  potere
 conferito;  la seconda previsione risulterebbe contraria al "tipo" di
 rapporti fra Stato e regione configurato dalle  norme  costituzionali
 (art.  118,  125,  126 Cost.), essendo previsto un potere sostitutivo
 solo per garantire il rispetto degli obblighi internazionali (art. 6,
 comma terzo, d.P.R. n. 616 del 1977).
    Il  par.  1), disciplinando lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri
 (punto 1.1.3.) ed elencando le sostanze ed i  processi  produttivi  i
 cui rifiuti si dovrebbero presumere sempre tossici, indipendentemente
 dalla presenza degli elementi elencati nell'allegato al d.P.R. n. 915
 del  1982  (punto  1.2., n. 2, e tab. 1.3.), salva la possibilita' di
 prova contraria, andrebbe oltre il compito di indicare i  criteri  di
 assimilabilita'  dei  rifiuti  speciali  a  quelli  urbani,  violando
 inoltre quanto disposto dall'art. 2, quinto comma, del d.P.R. n.  915
 del  1982,  sulle  sostanze  in  presenza delle quali il rifiuto deve
 considerarsi tossico e nocivo.
    L'estrema   minuziosita'   dell'elenco  dei  rifiuti  assimilabili
 risulterebbe in contrasto con  il  compito  di  indicare  "i  criteri
 generali" di assimilabilita'.
    Il  par.  1.3.,  individuando  la  categoria  dei  rifiuti  urbani
 pericolosi, contemplata nel d.P.R. n. 915 del  1982  (art.  8,  comma
 secondo,  lett.  d) solo in riferimento alla competenza regolamentare
 dei comuni, risulterebbe per questo motivo illegittimo.
    Del  pari estraneo all'oggetto riconosciuto dalla legge sarebbe la
 disciplina della raccolta e del trasporto dei rifiuti  (par.  2)  con
 riferimento  ai  rifiuti  urbani  (punti  2.1.1;  2.1.2.), ai rifiuti
 ospedalieri (2.2.), ai rifiuti tossici e nocivi (punti 2.3.;  2.3.1.;
 2.3.2.),  mentre  eccessivamente minuziosa risulterebbe la disciplina
 dei processi di incenerimento e di compostaggio, contenuta  nel  par.
 3,  ben  oltre  la determinazione dei limiti di accettabilita' di cui
 all'art. 4 del d.P.R. n. 915 del 1982.
    Le prescrizioni contenute nel paragrafo 4 sarebbero viziate per la
 loro eccessiva minuziosita'. Sarebbero estranee  inoltre  all'oggetto
 del potere riconosciuto dalla legge le norme di classificazione delle
 discariche (punto 4.2.) e la disciplina dei piani di  recupero  delle
 aree interessate (punto 4.2.3.1., lett. d); punto 4.2.3.2., lett. e),
 che giungerebbero  a  toccare  le  competenze  relative  all'uso  del
 territorio.
    Il  par.  5 contiene una disciplina delle autorizzazioni che viene
 censurata per  la  sua  eccessiva  minuziosita',  non  richiesta  dal
 compito  di determinare i criteri tecnici generali ai sensi dell'art.
 4 d.P.R. n. 915 del 1982, e per il fatto che giunge a toccare aspetti
 amministrativi ed organizzativi (contenuto della domanda; autorita' a
 cui deve essere indirizzata);  modalita'  dell'istruttoria  relativa;
 durata  dell'autorizzazione;  garanzie finanziarie richieste; compiti
 di vigilanza e di controllo; pareri obbligatori  di  organi  statali,
 etc.) naturalmente riservata all'autonomia regionale.
    Il  par. 6 sul controllo di campionamento e di analisi conterrebbe
 previsione  prive  di  fondamento   legislativo,   disciplinando   le
 procedure  per  prelievi  ed  analisi  con  norme estranee ai compiti
 tecnici del Comitato.
    Il  par.  7 disciplina non solo l'efficacia nel tempo dell'atto (e
 gia' questo esulerebbe dalle competenze esercitate), ma pretenderebbe
 di  disciplinare  anche  l'efficacia nel tempo di quanto prescrive il
 d.P.R. n. 915 del 1982,  fissando  i  termini  di  adeguamento  delle
 regioni  in  contrasto  con  quanto  dispone  l'art.  33 del medesimo
 d.P.R., che lascerebbe invece alle regioni ampia discrezionalita' sul
 punto.
    Il  par.  8  sui criteri di rilevamento dei dati, benche' privo di
 attuale efficacia precettiva, risulterebbe estraneo  all'oggetto  del
 potere  conferito  anche  nella parte in cui prefigura una disciplina
 dei flussi informativi.
    Piu'   in  generale,  l'atto  impugnato  sarebbe  illegittimo  per
 violazione  del  princi'pio  di  legalita',  contenendo  disposizioni
 dettagliate e vincolanti prive di fondamento legislativo.
    2.  -  Si  costituiva  il  Presidente  del  Consiglio dei ministri
 contestando le deduzioni di parte ricorrente.
    Premesso  che  la legittimita' costituzionale delle norme di legge
 su cui si fonda la deliberazione impugnata deve essere  discussa  nel
 giudizio  che  le  concerne, l'Avvocatura dello Stato negava anche la
 sussistenza   degli   ulteriori   vizi   denunziati   di    eccessiva
 specificazione  delle  prescrizioni  dettate  e  di esorbitanza delle
 medesime dai limiti di oggetto e di contenuto fissati dalla legge.
    Non  potrebbero escludersi, infatti, un certo grado di puntualita'
 nell'esercizio di un potere lato sensu regolamentare,  specie  quando
 le    prescrizioni    date    trovano   fondamento   in   valutazioni
 tecnico-scientifiche non formulabili  secondo  schemi  elastici.  Nel
 caso  di  specie,  comunque,  l'indicazione  di  schemi  uniformi  di
 smaltimento dei rifiuti su tutto il territorio  nazionale  lascerebbe
 sufficiente  margine  per  ulteriore disciplina della materia in sede
 locale.
    La funzione di indirizzo e coordinamento riconosciuta dall'art. 4,
 lett. a), del d.P.R. n. 915 del 1982, di cui parte ricorrente avrebbe
 trascurato  le  valenze  generali,  sarebbe sufficientemente ampio da
 consentire  una  disciplina  delle  varie  fasi  di  trattamento  dei
 rifiuti,  in relazione agli obbiettivi di cui all'art. 1 del medesimo
 decreto presidenziale.
 L'art.  4,  lett.  f),  prevederebbe,  del  resto, una competenza del
 Comitato interministeriale per quel che concerne i  criteri  generali
 per  il  rilascio  delle  autorizzazioni allo smaltimento dei rifiuti
 tossici, mentre sarebbe di competenza regionale la  disciplina  delle
 relative procedure (art. 6, lett. f).
    Ne'  la disciplina dei termini di applicazione delle disposizioni,
 contenuta nel par. 7 della deliberazione, sarebbe contraria a  quanto
 prescrive  l'art.  31  del  d.P.R.  n. 915 del 1982, che prevederebbe
 l'autorizzazione provvisoria come ipotesi  alternativa  non  tale  da
 escludere,  prima  dell'entrata  in vigore della normativa regionale,
 l'esercizio di un potere di autorizzazione definitivo,  esplicato  in
 conformita'  della  disciplina  di  attuazione  del  medesimo decreto
 presidenziale.
                         Considerato in diritto
    1.  -  La  Regione Lombardia propone conflitto di attribuzione nei
 confronti dello Stato, in relazione a delibera in data 27 luglio 1984
 del  Comitato  interministeriale  di  cui  all'art.  5  del d.P.R. 10
 settembre 1982, n. 915, recante disposizioni  sullo  smaltimento  dei
 rifiuti,  cosi'  come  modificato  con  l'art. 1 del decreto-legge 29
 maggio 1984, n. 176, nel testo  sostituito  in  sede  di  conversione
 (avvenuta con legge 25 luglio 1984, n. 381).
    Deduce,   innanzi  tutto,  che  il  carattere  invasivo  dell'atto
 deriverebbe dalla illegittimita' costituzionale  della  normativa  di
 grado  legislativo su cui esso si fonda (artt. 4 e 5 del detto d.P.R.
 n. 915), normativa gia' impugnata da essa Regione in via  principale,
 per violazione delle competenze regionali in materia di ambiente e di
 attuazione delle direttive comunitarie.
    Per  l'ipotesi  che l'impugnazione in via principale non sia stata
 accolta, prospetta la sollevabilita' in via incidentale di  questione
 di legittimita' costituzionale della stessa normativa.
    Osserva  poi  che  la  normativa di grado legislativo suindicata e
 particolarmente  l'art.  4  del  d.P.R.  n.  915   prevede   soltanto
 l'individuazione   di   "criteri   generali"   sulla  metodologia  di
 smaltimento  dei  rifiuti,  sulle  caratteristiche  delle  zone   per
 l'ubicazione degli impianti di smaltimento, sulla assimilabilita' dei
 rifiuti speciali  a  quelli  urbani,  oltreche'  sul  rilascio  delle
 autorizzazioni  per  lo  smaltimento  dei  rifiuti tossici e nocivi e
 l'emanazione di "norme tecniche  generali"  relative  ai  sistemi  di
 smaltimento che favoriscano il recupero di materie e la produzione di
 energia, nonche' per il separato smaltimento  di  rifiuti  tossici  e
 nocivi  ed,  infine, la determinazione di "limiti di accettabilita'",
 "caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche"  di  sostanze  in
 relazione  a  specifiche  utilizzazioni e "qualita', concentrazioni o
 caratteristiche" di sostanze che rendono i rifiuti tossici o  nocivi.
    Cio' posto sostiene che l'atto di indirizzo e coordinamento eccede
 la cennata disposizione di legge:
       a)  per  l'oggetto (in quanto contiene la disciplina di aspetti
 meramente amministrativi dello smaltimento dei rifiuti, del trasporto
 e  della  raccolta  dei  rifiuti  urbani,  dei modi di sistemazione e
 recupero delle aree  interessate  da  impianti  di  discarica,  delle
 procedure  di prelievo ed analisi e dei relativi verbali, dei termini
 di applicabilita' delle disposizioni; in  quanto  prevede  poteri  di
 controllo   e  poteri  sostitutivi  non  contemplati  dalla  legge  e
 identifica la categoria dei  "rifiuti  pericolosi",  non  considerata
 dall'art. 4 del d.P.R. n. 915);
       b)  per  il  contenuto  (stante  il suo carattere di disciplina
 dettagliata ed esaustiva della materia con riguardo, in  particolare,
 alle   modalita'   di   smaltimento  dei  rifiuti  ospedalieri,  alla
 presunzione di tossicita' di alcuni  rifiuti,  alla  raccolta  ed  al
 trasporto  di  rifiuti  urbani, ospedalieri, tossici e pericolosi, ai
 processi di incenerimento  e  compostaggio,  alle  discariche  ed  al
 regime delle autorizzazioni).
    2.  -  Le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del
 d.P.R. n. 915 del 1982 sono state dichiarate non  fondate  da  questa
 Corte  con  sentenza  n.  192  del  1987. Non puo' essere accolta, in
 conseguenza, la censura che investe l'atto nella sua interezza  sotto
 il profilo dell'asserita incostituzionalita' derivata.
    Ne'  vi  sono  motivi  per  sollevare  in  via  incidentale  nuova
 questione di legittimita' degli artt. 4 e 5 del  d.P.R.  n.  915  del
 1982.  Quanto  all'art.  4 in se' considerato non sono stati dedotti,
 infatti, profili nuovi e diversi rispetto a quelli  gia'  prospettati
 con  il  precedente  ricorso  in  via  principale ed esaminati con la
 sentenza di questa Corte suindicata. Per quel che riguarda lo  stesso
 art. 4 e l'art. 5, congiuntamente considerati, l'unico profilo sembra
 esser quello della mancanza  in  esso  dell'enunciazione  di  criteri
 generali   per   l'esercizio   del   potere  attribuito  al  Comitato
 interministeriale di cui all'art. 3 della legge 10 maggio 1976, n.319
 - come composto ai sensi del detto art. 5 d.P.R. n. 915 e dell'art. 1
 decreto-legge 29 maggio 1984 n. 176, convertito nella legge 25 luglio
 1984,  n. 381 - profilo che e' prospettato anche come vizio dell'atto
 impugnato (adducendosi implicitamente  che,  in  ogni  caso,  per  la
 asserita  mancanza  di  criteri  generali,  la  detta  normativa  non
 potrebbe servire da idoneo supporto legislativo dell'atto  medesimo).
 Si  tratta  peraltro  di  censura,  secondo  quanto  sara'  detto nel
 prosieguo (infra, par. 3), non fondata.
    3.  -  Con  la  sentenza  di questa Corte n. 192 del 1987 e' stato
 ritenuto che al Comitato interministeriale  di  cui  all'art.  5  del
 d.P.R.  n.  915  del  1982  sono  conferiti  poteri  di  indirizzo  e
 coordinamento, sicche' l'atto impugnato deve ritenersi espressione di
 tali  poteri.  Con  altra  sentenza di questa Corte (sent. n. 560 del
 1988) l'indirizzo e coordinamento esercitato con atto governativo  e'
 stato   ritenuto   compatibile   con   la   garanzia   costituzionale
 dell'autonomia  regionale,  in  quanto  tocca  direttamente  la  sola
 attivita'   amministrativa,   mentre   nei  confronti  dell'attivita'
 regionale  legislativa   dispiega   effetti   mediati   e   riflessi;
 l'attivita'  legislativa regionale risulta limitata solo in relazione
 alle  esigenze  unitarie,  nei  profili  evidenziati   dall'atto   di
 indirizzo  e  coordinamento, mentre le singole disposizioni di questo
 possono  essere  sostituite   con   misure   regionali   che   siano,
 singolarmente  o  nel  complesso,  equivalenti (vale a dire in eguale
 misura rispondenti, anche se con diverso  contenuto,  alle  anzidette
 esigenze unitarie e idonee in definitiva a realizzarle).
    Per  quanto  concerne  la  mancanza  di criteri generali idonei ad
 orientare   l'esercizio   dei   poteri    conferiti    al    Comitato
 interministeriale,  va  osservato che, in realta', l'art. 4 del detto
 d.P.R. n. 915 del 1982 contiene un insieme di  indicazioni  di  scopo
 ("favorire  il  riciclaggio  dei  rifiuti,  il recupero delle materie
 utilizzabili", "limitare la formazione dei  rifiuti")  e  strumentali
 (definire,  se  necessario,  "norme  tecniche  per lo smaltimento dei
 rifiuti tossici e  nocivi  separatamente  da  ogni  altra  materia  e
 residuo")  che  integrano  veri  e propri criteri per l'esercizio del
 potere di indirizzo e coordinamento.
    Ulteriori criteri possono essere desunti:
      1)  dal  d.P.R.  n.  915 del 1982 che, con i primi due articoli,
 determina i profili dei valori ambientali e della salute  oggetto  di
 particolare tutela in rapporto allo smaltimento dei rifiuti;
     2)  dalla  normativa  su materie analoghe o strettamente connesse
 ed, innanzi tutto, dalla legge 10 maggio 1976, n. 319,  sulla  tutela
 delle  acque  dall'inquinamento,  alle  cui  tabelle il presente atto
 talvolta si richiama (cfr. punti 4.2.3.2.; 4.2.3.3., lett. d); e  poi
 anche  dalla  legge  8  ottobre 1976, n. 690,sempre sull'inquinamento
 delle acque (cfr. punti 3.4.1.; 4.2.2.), dalla legge 29 maggio  1974,
 n.  256  e dal d.P.R. 24 novembre 1981, n. 927, sulla etichettatura e
 sull'imballaggio delle sostanze pericolose (cfr. punto 1.1.1.,  lett.
 c).
    Il  criterio  fondamentale,  del  resto,  di  tutela dell'igiene e
 dell'ambiente, affermato dalla normativa in vigore, e'  ulteriormente
 precisato  dal  riferimento  a nozioni tecniche e scientifiche cui il
 legislatore legittimamente rinvia e che si pongono come limite quanto
 mai   stringente   alla  discrezionalita'  del  potere  di  indirizzo
 coordinamento di cui si tratta. Considerazioni analoghe sul carattere
 largamente  vincolato  delle  valutazioni tecniche cui il legislatore
 puo' fare riferimento hanno condotto,  del  resto,  questa  Corte  ad
 ammettere  che  la  delega  legislativa  o  il decreto delegato possa
 legittimamente rinviare a criteri tecnici (cfr.  sentt.  nn.  3/1971;
 9/1972; 127/1981).
    4.  -  L'atto  impugnato e' stato modificato con deliberazione del
 medesimo Comitato interministeriale di cui all'art. 5 del  d.P.R.  n.
 915  del  1982,  in  data  13  dicembre  1984,  che  ha  abrogato  la
 disposizione concernente il potere sostitutivo  del  Commissario  del
 Governo  in caso di inottemperanza da parte della regione all'obbligo
 di istituire un Comitato di esperti per l'individuazione  delle  aree
 idonee  alla  realizzazione  degli  impianti  di  smaltimento  (punto
 0.3.,terzo comma); per questa parte deve, dunque, dichiararsi cessata
 la materia del contendere.
    Le  censure  di  eccesso  rispetto  alle  previsioni  di legge per
 oggetto  e  per  contenuto  debbono  peraltro  essere  esaminate  con
 riferimento alle restanti parti dell'atto impugnato.
    5.  -  L'art.  4  del  d.P.R. n. 915 del 1982 prevede un potere di
 indirizzo e coordinamento per la predisposizione di criteri  generali
 sullo  smaltimento  dei  rifiuti, sulla determinazione delle zone per
 l'ubicazione  degli  impianti  relativi,   sull'assimilabilita'   dei
 rifiuti  speciali  ai  rifiuti  urbani,  sul distinto smaltimento dei
 rifiuti  tossici  e  nocivi,  sul  rilascio   delle   autorizzazioni,
 oltreche'  l'emanazione di norme dirette a limitare la formazione dei
 rifiuti, a  favorire  il  riciclaggio,  a  determinare  i  limiti  di
 accettabilita'  di  certe  sostanze,  a  determinare  le  quantita' e
 concentrazioni delle sostanze che rendono i rifiuti tossici e nocivi.
    6.  -  Per  quanto concerne la determinazione di "criteri generali
 per il rilascio delle autorizzazioni" (art. 4,  lett.  f)  il  potere
 attribuito  dalla norma di legge deve ragionevolmente intendersi come
 riferito al coordinamento delle attribuzioni di  regioni  o  di  enti
 locali  diversi,  nella  ipotesi  di  attivita'  che  li  coinvolgano
 congiuntamente, e  come  relativo  alla  indicazione  di  criteri  di
 valutazione dell'attivita' da autorizzare e dell'oggetto di essa: non
 gia' come concernente prescrizioni attinenti al momento organizzativo
 e  procedimentale  cosi'  puntuali  da contenere la predeterminazione
 completa ed esaustiva del procedimento autorizzativo o di una fase di
 esso.
    Non  rientra, pertanto, nel potere attribuito la previsione (punto
 5.2., terzo comma) di un  parere  congiunto  dell'Istituto  Superiore
 della   Sanita',   dell'Istituto   per  la  sicurezza  del  lavoro  e
 dell'Istituto di ricerca delle acque del C.N.R. per le discariche  di
 terza categoria.
    Del  pari estranea al potere riconosciuto dalla norma anzidetta e'
 la   disciplina   del   momento   procedimentale   del   conferimento
 dell'autorizzazione  medesima  e, dunque, della domanda (punto 5.1.2.
 dell'atto impugnato) e  della  fase  istruttoria  (punto  5.2.  primo
 comma, lettere a ), c) che non attiene, appunto, ai "criteri" ma alle
 modalita' di esercizio della funzione che  si  esplica  nel  rilascio
 delle autorizzazioni.
    Analogamente  e'  da  dire  per  quel che riguarda le disposizioni
 relative al contenuto, alla durata ed alle forme di  pubblicita'  del
 provvedimento  autorizzativo  (punto  5.3.1.; 5.3.2.; 5.3.3.; 5.3.4.)
 nonche'    ai    controlli    sul    rispetto    delle     condizioni
 dell'autorizzazione   stessa   (punto   5.3.6.),  per  un  verso  non
 riconducibili  alla  determinazione  "dei  criteri  per  il  rilascio
 dell'autorizzazione"  e  per  altro  verso  conseguenziali  a  quelle
 attinenti alle modalita' di esercizio della funzione che  si  esplica
 nel rilascio delle autorizzazioni.
    Da  cio'  consegue  l'annullamento  delle suindicate disposizioni,
 annullamento che, naturalmente, non tocca le norme del d.P.R. n.  915
 del  1982  che  direttamente  disciplinano  la  materia  anche  sotto
 l'aspetto procedimentale (e cio' a prescindere dalla possibilita' che
 alcune  di  tali  norme,  secondo quanto affermato con la sentenza di
 questa  Corte  n.  192  del  1987,  siano  da  considerare  norme  di
 principio, come tali derogabili dal legislatore regionale).
    7.   -   Rientra,   invece,   nei  poteri  conferiti  al  Comitato
 interministeriale  -  in  quanto  rientra  nella  determinazione  dei
 criteri  generali  per  lo smaltimento dei rifiuti - prevedere che le
 Regioni individuino le aree idonee  alla  ubicazione  degli  impianti
 relativi con valutazione che abbia il supporto di adeguate competenze
 tecniche da parte di comitati che di tali  competenze  siano  muniti,
 senza peraltro determinare la composizione dell'organo e le modalita'
 procedimentali del suo intervento (punto 0.3., ultimo comma). Cio' e'
 vero  a maggior ragione con riferimento alla nuova formulazione della
 norma   contenuta   nella   deliberazione   del   medesimo   Comitato
 interministeriale   in  data  13  dicembre  1984,  che  contiene  una
 disciplina meno penetrante sul punto  (limitandosi  a  richiedere  la
 presenza   di   competenze   in  materia  sanitaria,  ingegneristica,
 geologica e  chimica  e  non  piu'  una  specializzazione  di  medico
 igienista  o di ingegneria sanitaria, oltreche' geologica e chimica).
    Rientra,    ancora,    nei    poteri    conferiti    al   Comitato
 interministeriale la disposizione che qualifica tossici  e  nocivi  i
 rifiuti  provenienti da attivita' di produzione e di servizi indicate
 in apposita tabella (tab. 1.3.), salvo che l'interessato dimostri che
 questi  rifiuti,  per  la  quantita' e concentrazione delle sostanze,
 indicate in altre tabelle (tab. 1.1. e tab. 1.2.) pure allegate,  non
 possono  essere  considerati  tossici  e  nocivi  (punto  1.2., n. 2,
 dell'atto). Si tratta infatti di disposizione riconducibile al potere
 di  determinare  "le  caratteristiche delle sostanze... che rendono i
 rifiuti che le contengono tossici o nocivi per  la  salute  dell'uomo
 e/o  per  l'ambiente"  conferito  con  il detto art. 4, lett. g), del
 d.P.R. n. 915 del 1982.
    La  definizione  della categoria dei "rifiuti pericolosi", operata
 ai soli fini della prima applicazione dell'art. 8 del d.P.R.  n.  915
 del  1982,  atteso  il  suo  carattere "provvisorio", non e' idonea a
 ledere le  competenze  regionali.  La  successiva  deliberazione  del
 Comitato  in  data 13 dicembre 1984, sopra menzionata, precisando che
 "resta   salva   la   facolta'   dei   comuni   di    disciplinare...
 l'assimilabilita'  di  rifiuti  provenienti  da  attivita'  agricole,
 artigianali, commerciali e di servizi, nonche' da ospedali,  istituti
 di  cura  ed affini, sia pubblici che privati, ai fini dell'ordinario
 conferimento  dei  rifiuti   medesimi   al   servizio   pubblico...",
 contribuisce  del  resto  a  chiarire l'ampio ambito delle competenze
 comunali in materia.
    Rientra  nel concetto di "smaltimento dei rifiuti" qual e' assunto
 nel senso piu' lato e senza limitazioni dall'art.  4,  lett.  b)  del
 d.P.R.  n.  915  del  1982,  anche la disciplina della raccolta e del
 trasporto dei rifiuti, sicche' l'atto impugnato  non  e'  censurabile
 per  il fatto di disciplinare anche la raccolta ed il trasporto tanto
 dei rifiuti tossici e nocivi quanto di quelli urbani  ed  ospedalieri
 (punti 1.1.3; 2.1.1; 2.1.2; 2.2.; 2.3.).
    Analogamente  e'  da dire per i processi di incenerimento (3.3.) e
 di  compostaggio  (3.4.),  rientrando  il  primo  nel   concetto   di
 "smaltimento   dei   rifiuti"   ed   il   secondo   costituendo  fase
 significativa di quel  riutilizzo  e  riciclaggio  delle  materie  in
 relazione  a  cui  il  potere di indirizzo e' espressamente conferito
 (art. 4, lett. c), d.P.R. 915 del 1982).
    La  disciplina  della localizzazione degli impianti di discarica e
 la disciplina del recupero delle aree adibite a discarica, in  quanto
 contiene   semplici  criteri  per  la  salvaguardia  di  inderogabili
 esigenze di igiene, non e' idonea a ledere le competenze regionali in
 materia urbanistica (punto 3.1.). Sono funzionali alla determinazione
 di  questi  criteri,  ovviamente,  anche  le  classificazioni   degli
 impianti di discarica (punto 4.2. e segg.).
    La disciplina dei controlli, dei prelievi e delle analisi rientra,
 d'altra parte, nel potere di fissare i criteri e le modalita' per  lo
 smaltimento  dei  rifiuti e per l'ubicazione delle discariche al fine
 di garantire i beni fondamentali della salute e dell'ambiente  (punto
 6).  La stessa disciplina della relativa verbalizzazione (punto 6.4.)
 impone il  riferimento  ad  elementi  essenziali  del  controllo  (e,
 dunque,  fra  l'altro,  firma  di chi lo ha eseguito, indicazione dei
 rappresentanti dell'impresa presenti, osservazioni) e,  pertanto,  e'
 conseguenza  necessaria  delle  disposizioni  relative  al  controllo
 medesimo.
    Non  e' estranea al potere di indirizzo e coordinamento in materia
 di autorizzazioni (art. 4, lett. f), del d.P.R.  n.  915  del  1982),
 secondo  quanto  si  e'  accennato,  la disciplina dettata con l'atto
 impugnato nella parte in cui si si limita a garantire  le  competenze
 di  tutte  le  Regioni  interessate  per  la  ipotesi che il medesimo
 soggetto intenda svolgere questa attivita' in diversi  luoghi  o  che
 l'attivita'   coinvolga   il   territorio   di  piu'  Regioni,  ed  a
 salvaguardare gli  enti  minori,  prevedendo  la  comunicazione,  per
 conoscenza,  ai  Comuni  ed  alle  Province interessate delle domande
 relative (punto 5.1.1.; 5.2., secondo comma). Analogamente  va  detto
 per  quanto  concerne,  nell'ambito  della  disciplina  anzidetta, la
 previsione, peraltro  senza  ulteriori  specificazioni,  di  garanzie
 idonee  ad  assicurare  la  copertura  dei  costi  del  servizio  cui
 subordinare l'autorizzazione (punto 5.3.1, lett. f); 5.3.5.).
    La  determinazione dell'efficacia temporale dell'atto con riguardo
 alle  attivita',  agli  impianti  e  alle  attrezzature,  nonche'  ai
 trasferimenti e alle modifiche rilevanti per la salute e/o l'ambiente
 posti in essere in epoca successiva (punto  7,  primo  comma)  e  con
 riguardo  agli  impianti esistenti (punto 7, secondo comma, n. 1) non
 innova rispetto alla disciplina di cui agli artt. 31 e 33 del  d.P.R.
 n. 915 del 1982.
   E'  vero  che  l'art.  33,  terzo  comma,  prevede  che  le Regioni
 stabiliscano il termine entro cui  gli  impianti  e  le  attrezzature
 esistenti debbono adeguarsi alle disposizioni del detto d.P.R. n. 915
 del 1982, dopo aver  esercitato  le  loro  competenze  di  normazione
 integrativa,   in   stretta  consecutio  rispetto  alle  disposizioni
 dell'atto di indirizzo e coordinamento da  emanare  (art.  33,  commi
 primo e secondo); tuttavia l'art. 31 impone ai gestori degli impianti
 in atto di chiedere  autorizzazione  provvisoria  che  potra'  essere
 accordata  solo  previo  riscontro dell'osservanza delle disposizioni
 del d.P.R. n. 915  del  1982  immediatamente  applicabili  (art.  31,
 quinto  comma).  Il d.P.R. n. 915 del 1982 e', dunque, immediatamente
 efficace per le disposizioni di esso idonee,  appunto,  ad  immediata
 applicazione.  E tali debbono ritenersi non solo quelle gia' complete
 di tutti gli elementi prescrittivi, ma anche quelle  che  vengono  ad
 essere  completate  per effetto delle indicazioni contenute nell'atto
 di indirizzo e coordinamento.
    Spetta,  invece,  alla Regione determinare i tempi di applicazione
 di quelle disposizioni del d.P.R. n. 915 del  1982  non  complete  di
 tutti  gli  elementi  prescrittivi  e  non  completate per effetto di
 indicazioni contenute nell'atto di indirizzo e coordinamento, ma  che
 dovranno essere integrate con norme di legge regionale.
    Non e' allora ravvisabile un contrasto fra quanto dispone il punto
 7  dell'atto  di  indirizzo  e  coordinamento  e  quanto  dispone  la
 normativa transitoria del d.P.R. n. 915 del 1982.
    Per  quanto  riguarda  gli  impianti  futuri,  saranno applicabili
 immediatamente solo quelle disposizioni del d.P.R.  n. 915  del  1982
 gia' complete di tutti i necessari elementi prescrittivi o completate
 in conseguenza di indicazioni  contenute  nell'atto  di  indirizzo  e
 coordinamento,  non  potendo avere efficacia precettiva immediata, al
 di la' di espresse norme in proposito e per sua  stessa  natura,  una
 disciplina  che  sia  di princi'pio od indicativa di criteri, qual e'
 quella che, in larga misura, e' contenuta nell'atto  di  indirizzo  e
 coordinamento impugnato.
    Per   quanto   concerne   gli   impianti   esistenti,  l'immediata
 precettivita' di quanto dispongono i punti 1.2. ed 1.3. dell'atto  di
 indirizzo  e  coordinamento  si collega, come accennato, all'avvenuta
 integrazione, ad opera delle  indicazioni  contenute  in  tali  parti
 dell'atto medesimo, delle prescrizioni del d.P.R. n. 915 del 1982 sui
 rifiuti tossici e nocivi e sui rifiuti pericolosi.
    Il   preannunzio   di   successiva   deliberazione   del  Comitato
 interministeriale di cui all'art.  5  del  d.P.R.  n.  915  del  1982
 relativamente  ai  criteri da adottare nel rilevamento dati in ordine
 alla produzione ed allo smaltimento dei  rifiuti  (par.  8),  essendo
 privo,  come  ammette  la  medesima  regione ricorrente, di contenuto
 dispositivo attuale, non e' idoneo a ledere le competenze  regionali.
    8.  -  Le  prescrizioni  dell'atto  di  indirizzo  e coordinamento
 impugnato riconosciute rientranti nei poteri del Comitato  non  sono,
 d'altra  parte,  eccessivamente  dettagliate  o  tali da annullare le
 competenze della Regione, giacche' si limitano  a  stabilire  criteri
 generali e minimali.
    L'elenco, infatti, di cui al punto 1.1.1. sui rifiuti assimilabili
 ha carattere, testualmente, esemplificativo; l'elenco di cui al punto
 1.3.  (rifiuti  pericolosi)  ha,  come  e' stato osservato, carattere
 provvisorio ('ai fini della prima attuazione'); la  disciplina  della
 raccolta  e  trasporto  dei  rifiuti  urbani,  ospedalieri, tossici e
 nocivi si compone di un insieme  di  criteri  piuttosto  elastici  ed
 aperti,  come  quelli  relativi  ai contenitori, alla dispersione dei
 rifiuti, largamente  determinati  da  previsioni  legislative  e  pur
 sempre minimali.
    Contrariamente a quanto asserito nel ricorso non e' prescritta ne'
 la forma ne' il colore di questi contenitori  ma  solo  che,  per  il
 colore  o  per  altra  caratteristica, siano facilmente distinguibili
 (punto 2.2.).
    La  disciplina dei processi di incenerimento contiene ampii rinvii
 alla normativa vigente e fa  salve  espressamente  ulteriori  e  piu'
 rigorose  prescrizioni  regionali  sicche'  ha  carattere  largamente
 minimale.  E  del  pari  si  limita  a   fissare   requisiti   minimi
 inderogabili la disciplina del compostaggio (punto 3).
    Neppure  esaustiva  della  competenza  legislativa regionale e' la
 disciplina delle discariche, che si limita  ad  esigere  distanze  di
 sicurezza  dai  centri  abitati,  dalle  falde acquifere, cautele per
 evitare l'inquinamento ed ulteriori requisiti minimali  di  sicurezza
 (punto 4.2. ss.).
    Naturalmente  -  salva  l'adozione di misure equivalenti nel senso
 suindicato da parte della legge regionale - le regioni hanno comunque
 il potere - come e' espressamente riconosciuto nell'atto impugnato di
 emanare precetti piu' rigorosi di quelli che l'atto  stesso  pone  al
 fine  di  prescrivere  requisiti  minimi  inderogabili a tutela della
 salute e dell'ambiente.