ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 28 e 37 della
 legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla  tutela  della  liberta'  e
 dignita'  dei  lavoratori,  della liberta' sindacale e dell'attivita'
 sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), e dell'art.
 23,  primo  comma, della legge 29 marzo 1983, n. 93 (Legge quadro sul
 pubblico impiego), promossi con le seguenti ordinanze:
      1) ordinanza emessa il 16 maggio 1987 dal Pretore di Genzano nel
 procedimento civile vertente tra la S.p.a. Casa di Cura  Villa  delle
 Querce  e  la  Federazione Funzione Pubblica C.G.I.L., iscritta al n.
 328 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 1987;
      2)  ordinanza  emessa l'11 febbraio 1987 dal Pretore di Roma sul
 ricorso proposto dall'Associazione Nazionale  Funzionari  di  Polizia
 contro  il  Ministero  dell'Interno  ed altro, iscritta al n. 401 del
 registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1987;
    Visti  l'atto  di costituzione della Federazione Funzione Pubblica
 C.G.I.L. nonche' gli atti di intervento del Presidente del  Consiglio
 dei ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  23 marzo 1988 il Giudice
 relatore Francesco Greco;
    Ritenuto  che  il  Pretore di Genzano, con ordinanza del 16 maggio
 1987 (R.O. n. 328/87), emessa nel giudizio di opposizione  a  decreto
 ex  art.  28  della legge 20 maggio 1970 n. 300 promosso dalla s.p.a.
 Villa delle Quercie di Nemi  contro  la  Federazione  della  funzione
 pubblica  aderente  alla  CGIL, ha sollevato, su istanza di parte, la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 28 della legge  n.
 300   del   1970  in  riferimento  agli  artt.  3,  24  e  102  della
 Costituzione;
      che, a parere del giudice rimettente la disposizione censurata -
 consentendo che una medesima condotta del datore di lavoro, idonea  a
 ledere   contemporaneamente   situazioni   giuridiche  collettive  ed
 individuali, sia oggetto di pronuncie divergenti in  un  giudizio  ex
 art.  28  legge  citata e in un giudizio individuale e non prevedendo
 poi  adeguati  meccanismi  di  coordinamento  tra  i  due  giudizi  -
 determinerebbe   la   possibilita'  di  un  "contrasto  pratico"  tra
 giudicati;
      che,  sempre  ad avviso del giudice a quo, la mancata previsione
 di un congegno di coordinamento tra i due giudizi  e  la  conseguente
 possibilita'  di  giudicati  contrastanti violerebbe, da un lato, gli
 artt. 3 e 24 Cost. e, dall'altro lato, l'art. 102 Cost. conferendo al
 giudice  del  procedimento ex art. 28 dello Statuto dei lavoratori la
 fisionomia  e  la  posizione  di  un  giudice  speciale,  svincolato,
 nell'accertamento   dei   fatti,  tanto  da  precedenti  accertamenti
 effettuati in sede di giudizio penale quanto da accertamenti compiuti
 dal  giudice  civile  in  una causa individuale avente ad oggetto gli
 stessi eventi;
      che  nel  giudizio  si  e'  costituita  la  Federazione funzione
 pubblica C.G.I.L. Comprensorio dei Castelli Romani in persona del suo
 segretario,  rappresentata  e  difesa  dagli avv.ti Luciano Ventura e
 Livio  Bussa,  chiedendo  alla  Corte  di  dichiarare  infondata   la
 questione sollevata dal Pretore di Genzano;
      che  e'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 argomentando  e  concludendo  per l'inammissibilita' o l'infondatezza
 della questione;
      che  il  Pretore  di  Roma, con ordinanza dell'11 febbraio 1987,
 emessa nel procedimento promosso ai sensi dell'art. 28 della legge n.
 300  del  1970  nei  contronti  del  Ministero  dell'Interno  e della
 Presidenza del Consiglio  dei  ministri  da  parte  dell'Associazione
 Nazionale  Funzionari  di Polizia per lamentare la propria esclusione
 dalla contrattazione per  il  rinnovo  del  contratto  collettivo  di
 categoria,  ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 39 Cost.,
 questione di legittimita' costituzionale degli artt. 28  e  37  della
 stessa legge n. 300 del 1970 nonche' dell'art. 23, primo comma, della
 legge  29  marzo  1983,  n.  93,  nella  parte   in   cui   escludono
 l'applicabilita' nei confronti dello Stato del citato art. 28, per la
 tutela di posizioni di diritto soggettivo proprie  ed  esclusive  del
 sindacato e non correlate a posizioni soggettive inerenti al rapporto
 di impiego di singoli dipendenti;
      che  il giudice remittente, pur dandosi carico della sentenza n.
 68 del 1980, con la quale questa Corte ha  dichiarato  l'infondatezza
 della  questione  di legittimita' costituzionale dello stesso art. 28
 della legge n.  300  del  1970,  nella  parte  in  cui  non  consente
 l'esperibilita'   dello   speciale   procedimento  ivi  previsto  nei
 confronti dello Stato, ha ritenuto di dovere nondimeno  sollevare  il
 suddetto  dubbio  di incostituzionalita' sotto il diverso profilo che
 una differenza di tutela,  mentre  puo'  risultare  giustificata  nei
 rapporti fra impiego pubblico e impiego privato, non appare razionale
 nell'ambito del  pubblico  impiego  in  generale,  cosicche'  sarebbe
 illegittimo  che il sindacato dei dipendenti statali godesse di mezzi
 di  tutela  ritenuti  meno  efficaci   di   quelli   a   disposizione
 dell'analogo  sindacato  dei dipendenti degli altri enti pubblici non
 economici,  i  quali  possono  fruire  del  menzionato   procedimento
 speciale;
      che  anche  in  tale  giudizio  e' intervenuto il Presidente del
 Consiglio dei ministri per mezzo dell'Avvocatura Generale dello Stato
 che   ha   concluso  nel  senso  dell'inammissibilita'  e,  comunque,
 dell'infondatezza della questione;
    Considerato  che,  per  quanto concerne la questione sollevata dal
 Pretore di Genzano (R.O. n. 328/87), l'azione  speciale  ex  art.  28
 Statuto   dei  lavoratori  e  l'azione  individuale,  pur  diretta  a
 reprimere una medesima condotta del datore di lavoro, restano  azioni
 del  tutto  distinte  ed  autonome  in  ragione  della diversita' dei
 soggetti legittimati a proporle,  della  diversita'  degli  interessi
 tutelati  (interessi collettivi sindacali l'una e diritti individuali
 l'altra) e della diversita' dei profili di illiceita' della condotta;
      che,  in  particolare, nei due giudizi la condotta del datore di
 lavoro e' esaminata,  ricostruita,  valutata  da  angolazioni  e  con
 finalita'  profondamente  differenti,  dal momento che il giudice del
 procedimento repressivo speciale e' chiamato a verificare se l'atto o
 il  comportamento  del  datore  di  lavoro  abbia  leso gli interessi
 collettivi di cui sono titolari esclusivi le associazioni  sindacali,
 mentre   il   giudice   dell'azione  individuale  ha  il  compito  di
 controllare la legittimita' del medesimo  atto  o  comportamento  sul
 terreno della disciplina del rapporto di lavoro;
      che,  a  causa  della  strutturale  diversita' dei due giudizi e
 degli accertamenti in essi compiuti, il medesimo fatto storico (nella
 specie:  il  licenziamento di alcuni dipendenti) puo' essere oggetto,
 in sede di procedimento repressivo speciale ed in  sede  di  giudizio
 individuale,  di  pronuncie  di  segno  differente  ma non per questo
 contraddittorie,  insuscettibili  di  produrre  alcun  contrasto  tra
 giudicati;
      che  sul piano piu' strettamente operativo - cui si riferisce il
 giudice a quo - l'eventuale adozione di pronuncie divergenti nei  due
 giudizi  di  cui  si  discute non sembra porre insolubili problemi di
 coordinamento poiche' e' evidente  che  l'atto  od  il  comportamento
 potenzialmente  "plurioffensivo"  del  datore  di  lavoro  che  venga
 sottoposto al duplice vaglio del giudizio  ex  art.  28  Statuto  dei
 lavoratori  e  del  giudizio  individuale  potra'  essere considerato
 esente da censure  solo  quando  esso  avra'  superato  positivamente
 entrambe  le  verifiche  giudiziali, mentre sara' sufficiente che uno
 dei due distinti accertamenti si concluda con esito negativo  per  il
 datore   di   lavoro   perche'  dell'atto  o  del  comportamento  sia
 alternativamente dichiarata l'invalidita' o  decretata  la  rimozione
 degli effetti;
      che   la  evidenziata  assenza  di  contrasto  tra  giudicati  e
 l'inesistenza dei particolari problemi  di  coordinamento  menzionati
 nell'ordinanza  di  rinvio escludono che la norma impugnata violi gli
 artt. 3 e 24 Cost.;
      che  l'autonomia e le peculiari caratteristiche del procedimento
 regolato dall'art. 28 della legge n.  300  del  1970  sono  modellate
 sulle   particolari  esigenze  di  tutela  di  interessi  collettivi,
 differenti dagli interessi individuali dei singoli lavoratori, ma non
 valgono  certo  a  conferire  al  giudice  dell'azione  repressiva la
 fisionomia e la natura di  un  giudice  speciale,  in  contrasto  con
 l'art.  102  Cost.,  poiche'  il  pretore e' un magistrato ordinario,
 inserito nell'ordine giudiziario, e non e' lecita  alcuna  confusione
 tra la sua posizione istituzionale e la specificita' dei procedimenti
 dal legislatore attribuiti alla sua competenza;
      che  per le suesposte ragioni la questione sollevata dal Pretore
 di Genzano va dichiarata manifestamente infondata;
      che del pari manifestamente infondata va dichiarata la questione
 sollevata dal Pretore di Roma;
      che, invero, non puo' disconoscersi che rilevanti diversita' tra
 i vari rapporti di impiego (quali,  con  riferimento  alla  dicotomia
 pubblico-privato, sono state ritenute idonee a giustificare, in parte
 qua, una diversita' di disciplina:  v.  sent.  n.  60  del  1980)  si
 rinvengono  non  soltanto per effetto di tale dicotomia, ma esistono,
 con non minore incidenza,  anche  all'interno  del  vasto  campo  del
 pubblico impiego;
      che  non  e' dubitabile, in particolare, che sussistono profonde
 differenze di disciplina e di tutela tra i rapporti con  Stato,  Enti
 pubblici  economici  ed  Enti  pubblici  non  economici,  onde non e'
 ipotizzabile un'automatica estensione dall'un settore all'altro delle
 rispettive normative;
      che,  nonostante  significativi  processi  di omogenizzazione di
 dette normative,  il  rapporto  di  pubblico  impiego  statale  resta
 tutt'ora distinto da quello intercorrente con Enti pubblici, sia pure
 non economici, e che, di fronte alla  dilatazione  degli  ambiti  del
 diritto  pubblico, ben puo' il legislatore diversamente apprezzare il
 collegamento e la strumentalita' del rapporto di lavoro rispetto alle
 finalita'  istituzionali  assegnate  agli  uffici  in cui si articola
 l'amministrazione pubblica;
      che,  con  riferimento  allo  Stato,  e'  innegabile  che i fini
 assunti  in  via  diretta  dal  medesimo  sono,  per  natura  o   per
 valutazione  insindacabile  del  legislatore, tra quelli basilari per
 l'esistenza  stessa  e   per   il   mantenimento   delle   condizioni
 indispensabili alla vita della Comunita';
      che,   in  considerazione  di  cio',  puo'  trovare  ragionevole
 giustificazione uno speciale regime degli  strumenti  di  difesa  dei
 sindacati   anche   rispetto   ad   altri   comparti  della  pubblica
 amministrazione, assumendo  proprio  in  tale  contesto  pienezza  di
 significato  la  riserva dell'art. 37 della legge n. 300 del 1970 per
 Enti  pubblici  non  economici  che,  in  relazione   alle   funzioni
 esercitate,  abbiano  norme che escludano il peculiare rimedio di cui
 all'art. 28 dello Statuto dei Lavoratori;
      che,  piu'  in  particolare,  per  quanto concerne la Polizia di
 Stato non puo' trascurarsi la posizione  del  tutto  peculiare  della
 medesima, giustificata dalle delicate funzioni che essa e' chiamata a
 svolgere (anche rispetto a quelle degli altri organi statali);
      che,    in    tale    quadro   complessivo,   l'inapplicabilita'
 dell'istituto dell'art. 28 cit. ai sindacati della Polizia di  Stato,
 da  una  parte  non contrasta con gli artt. 3 e 39 Cost. e dall'altra
 non costituisce impedimento ne' diminuzione di tutela giurisdizionale
 in  relazione  all'art.  24  Cost.,  rimanendo questa assicurata, fra
 l'altro, anche  dai  mezzi  cautelari  previsti  dalla  giurisdizione
 amministrativa,  non  meno rapidi ed incisivi, specie alla luce degli
 interventi di questa Corte (v. sent. n. 190 del 1985);
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, e
 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
 Corte costituzionale.