ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 528 del codice penale, come integrato dall'articolo unico della legge 17 luglio 1975, n. 355 (Esclusione dei rivenditori professionali della stampa periodica e dei librai dalla responsabilita' derivante dagli articoli 528 e 725 cod. pen. e dagli articoli 14 e 15 l. 8 febbraio 1948 n. 47), promosso con ordinanza emessa l'11 novembre 1987 dal Pretore di Trieste nei procedimenti penali riuniti a carico di Ferrarese Giorgio ed altri, iscritta al n. 35 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7 prima serie speciale dell'anno 1988. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio del 28 settembre 1988 il Giudice relatore Ettore Gallo. Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza 11 novembre 1987, il Pretore di Trieste sollevava parziale questione di legittimita' costituzionale dell'art. 528 cod. pen. e dell'articolo unico della l. 17 luglio 1975 n. 355, con riferimento agli artt. 3 e 21 Cost. Riferiva il Pretore che, nel corso di un procedimento penale, era rimasto accertato che alcuni rivenditori e noleggiatori di cassette audiovisive detenevano, per la vendita ed il noleggio, anche cassette a contenuto manifestamente osceno, come gli stessi imputati avevano riconosciuto senza escludere la loro conoscenza di quel contenuto. Sollecitato, pero', dalla difesa, il Pretore riteneva che la detta ipotesi fosse perfettamente corrispondente a quella degli edicolanti e dei librai detentori per la vendita di pubblicazioni oscene, che la citata l. n. 355 del 1975 aveva esentato da pena. Pareva, pero', altresi' al Pretore che la detta previsione non potesse analogicamente applicarsi a quella in esame, in guisa che l'esclusione da quell'esenzione dei venditori di videocassette pornografiche gli sembrava incompatibile con i principi di cui ai parametri indicati. Soggiungeva, anzi, l'ordinanza che se, a suo tempo, questi ultimi venditori non furono contemplati dalla legge n. 355 del 1975, doveva ascriversi soltanto alla circostanza che in quell'epoca le videocassette avevano in Italia scarsa o veruna diffusione. 2. - Si e' costituita in giudizio l'Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, che ha chiesto dichiarazione di infondatezza della sollevata questione. L'Avvocatura Generale si e' riferita alla sentenza di questa Corte n. 93 del 1972, con la quale si e' escluso, in riferimento agli edicolanti, che l'art. 528 cod. pen. dettasse disposizioni incompatibili con l'art. 21 Cost.: poco rilevando che poi il legislatore abbia ritenuto di esentarli da pena per mere ragioni di opportunita'. D'altra parte, nemmeno l'art. 3 Cost. risulterebbe in alcun modo violato dato che si tratterebbe di situazioni diverse, riguardo alle quali - ad avviso dell'Avvocatura - non sono incompatibili discipline diverse. Considerato in diritto 1. - L'ordinanza definisce contraddittoriamente la situazione contemplata dalla legge n. 93 del 1972 talvolta "causa di giustificazione" e talaltra "causa di non punibilita'". Sara' bene, percio', precisare subito, per gli effetti diversi che ne possono derivare, anche sul piano interpetrativo, che le cause di giustificazione operano all'interno del reato, escludendone l'antigiuridicita', talche' la punibilita' non sorge perche' e' il fatto stesso a non rappresentare un illecito penale. Al contrario, le cosidette "circostanze di esclusione della pena" operano all'esterno, nell'ambito delle conseguenze giuridiche del reato e non in quello degli elementi costitutivi, sicche' l'illecito penale resta idealmente fermo anche se la sua punibilita' viene esclusa dal legislatore per soli motivi di opportunita'. E' vero che il codice, in una prospettiva empirica, non caratterizza le due categorie, limitandosi a sottolineare per entrambe il tratto comune della "non punibilita'", ma e' pure vero che da tempo ormai dottrina e giurisprudenza le hanno ben identificate, precisando la ben diversa loro natura e gli effetti diversi che ne possono derivare. Proprio uno di tali effetti diversi ha indotto il Pretore a sollevare la questione di legittimita' costituzionale, nell'opinione che della situazione prevista non sia consentita applicazione analogica. Poiche', pero', le cause di giustificazione la consentono sicuramente, trattandosi di applicazione in bonam partem, deve ritenersi che, in definitiva, il Pretore stesso, nonostante le incertezze terminologiche, propenda in realta' per ritenere esattamente che si tratti di mera causa di non punibilita'. Ma la ratio che l'ordinanza pone a fondamento della statuita non punibilita' non puo' essere condivisa. 2. Afferma il Pretore che - come risulterebbe anche dai lavori del Senato - si sarebbe voluto evitare di imporre ai rivenditori "...l'esercizio di un'inammissibile attivita' censoria preventiva, vietata espressamente dall'art. 21 Cost.". Si tratterebbe, percio', ad avviso del Pretore, di un "interesse... di rango costituzionale alla eliminazione di ogni profilo preventivo alla libera comunicazione del pensiero". Dal che egli trae la facile conseguenza che identica tutela deve trovare tale interesse nell'ipotesi per la quale egli solleva la questione. Senonche', se e' vero che, durante i lavori preparatori, qualche parlamentare ha effettivamente accennato a tale possibile ratio, nel contesto di sequenze argomentative dirette a porre in luce l'impossibilita' da parte degli edicolanti ad esaminare quotidianamente tutto cio' che, per contratto nazionale, sono obbligati a ricevere dai distributori, e' vero anche che la tesi e' stata da altri contestata. Si e', infatti, con maggiore esattezza rilevato che l'obbligo giuridico che incombe sull'edicolante non e' diverso da quello di ogni altro cittadino: l'obbedienza alla legge penale, vale a dire a quell'art. 528 cod. pen. che oggi assume valenza esecutiva del dovere costituzionale contenuto nell'ultima parte dell'art. 21 Cost. Il che, lungi dal rappresentare una pretesa censura preventiva privata, riguarda la personale responsabilita' penale di chi, detenendo per vendere, distribuire od esporre scritti, disegni, immagini, od altri oggetti, ha l'obbligo giuridico di assicurarsi che non abbiano carattere di oscenita', se non vuole incorrere nelle sanzioni comminate dall'art. 528 cod. pen. Evidentemente il legislatore, proprio in considerazione della gran mole di pubblicazioni che edicolanti e librai ricevono quotidianamente o periodicamente o frequentemente, ha ritenuto, in via eccezionale, di esimerli da pena se dovesse loro sfuggire il carattere osceno di qualche stampato. Ma si tratta appunto di una disposizione di mera opportunita', che cessa di essere applicabile, lasciando il campo all'operativita' del generale imperativo contenuto nell'art. 528 cod. pen. , ogniqualvolta piu' non si verifichi la situazione di eccezionalita', come dimostra il terzo comma dell'articolo unico della legge impugnata. Chi, infatti, deliberatamente espone al pubblico una specifica parte di una pubblicazione, non puo' non averla contemplata, e percio' non puo' non essere consapevole della sua palese oscenita': cosi' come, vendendo una pubblicazione ad un infrasedicenne, non puo' non rispondere del particolare obbligo che gl'incombe di esaminare la pubblicazione stessa prima di affidarla alle mani del minore. Del resto, questa Corte aveva gia' espressamente escluso la tesi del censore privato come ratio della legge, perche' non avrebbe senso, in quanto "il divieto di cui all'art. 21, secondo comma, della Costituzione concerne la censura come istituto tipico del diritto pubblico" (sent.10 maggio 1972 n. 93; ma confronta anche le sentenze numeri 31 e 115 del 1952, n. 44 del 1960 e 159 del 1970). 3. - Il problema che la Corte e' chiamata a risolvere non riguarda, percio', il confronto con l'art. 21 Cost. che, per le ragioni enunciate, non puo' venire in causa; cosi' come non ha fondamento l'impugnazione dell'art. 528 cod. pen. che - come si e' rilevato - va immune da censura, in quanto conforme all'imperativo rivolto dalla Costituzione al legislatore nell'art. 21 u.p. Cost. Il controllo della Corte va, percio', limitato alla conformita' della impugnata l. n. 355 del 1975, articolo unico, commi primo e secondo, all'art. 3 Cost., in relazione alla situazione dei rivenditori e noleggiatori di videocassette a contenuto osceno, ritenuta dal Pretore identica a quella che la legge impugnata contempla, almeno relativamente ai librai: identica al punto che - secondo l'ordinanza - se l'equiparazione non e' gia' nella legge, cio' dipenderebbe esclusivamente dal fatto che in quell'epoca il commercio delle videocassette era pressoche' inesistente. Senonche', deve dirsi intanto che non sembra sussistere identita' fra le due situazioni. Mentre, infatti, il titolo della pubblicazione periodica, o non periodica, raramente e' indicativo del suo contenuto, la videocassetta, proprio perche' questo non puo' essere riconosciuto se non inserendola nell'apparecchio riproduttore, lo enuncia piuttosto chiaramente nell'intitolazione al fine di rendersi appetibile agli amatori. Inoltre, la videocassetta pornografica viene segnalata come tale da editori e fornitori, e come tale acquistata dai rivenditori, in grazia della sua notevole forza di attrazione commerciale per un certo pubblico: il caso stesso sottoposto all'esame del Pretore lo conferma attraverso la riconosciuta consapevolezza dei rivenditori. Ma, indipendentemente da tutto cio', l'impossibilita' di estendere ai rivenditori di videocassette oscene la causa di non punibilita' concessa dal legislatore ad edicolanti e librai, e' nella natura della causa e nella sua eccezionalita'. Nella natura della causa perche', una volta escluso che si tratti di causa di giustificazione, e' proprio il suo carattere di pura esenzione da pena dipendente da mere ragioni di politica legislativa che colloca la situazione fra quelle rigorosamente riservate al potere discrezionale del legislatore, libero di valutare come crede i criteri di opportunita' che presiedono alla scelta. Ma anche nella superlativa eccezionalita' della causa, dato che con la norma impugnata si e' esentata da pena una categoria di commercianti in relazione ad una disposizione (l'art. 528 cod. pen.) che - come si e' rilevato - oggi risulta esecutiva del precetto che il Costituente rivolge al legislatore a tutela del principio di cui all'art. 21 u.p. Cost. La Corte non puo' far diventare regola una situazione che trova la sua origine in un uso eccezionale che il legislatore ha fatto del suo discrezionale potere. E' appena il caso di avvertire, infine, che la proposta questione non ha nulla a che vedere con l'evoluzione dei costumi, colla nozione di osceno o di comune senso del pudore. Essa presuppone, infatti, che si tratti sicuramente - secondo il giudizio espresso del giudice a quo - di immagini audiovisive contrarie al buon costume, e risponde esclusivamente al quesito posto circa una possibile loro diffusione da parte dei rivenditori, nonostante il categorico divieto della Costituzione e quello stesso di cui all'art. 528 cod. pen.